Serie TV > My Mad Fat Diary
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Autore: Apricot93    26/05/2016    2 recensioni
Dal Cap. 9:
«... E voglio una persona che non si aspetti sempre il peggio da me, Rae, perché non me lo merito».
Non voglio stare con te. Avrebbe potuto dirmi questo e non avrebbe fatto differenza.
Non posso neanche controbattere. Con cosa poi? Ha ragione su tutta la linea, io lo so che Finn merita tutto questo «e pensi che lei sia questa persona?».
Sorride, un sorriso amaro che gli deforma le labbra in una risatina canzonatoria «è l'unica parte del discorso che hai ascoltato?».
Dal Cap.10: (Finn's POV)
«Sei peggio di una bambina dell'asilo, Rae» e mi sei mancata per tutto il tempo in cui sei stata via «ma sei adorabile...» le avevo sussurrato all'orecchio avvicinandomi di un passo.
Le sue guance erano avvampate all'istante, immediate come l'allegria che aveva spazzato via il mio nervosismo.
Che mi fossi imbarazzato anch'io, però, non l'avrei ammesso nemmeno sotto tortura.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archie, Chloe Harris, Finn Nelson, Kester, Rae Earl
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 12: Numeri

Stamford - 15/21 Dicembre



Non sono mai stata un asso con i numeri, mai piaciuti loro, troppo asettici, puntuali, definiti, univoci, per una mente contorta e votata al ragionamento dalle scappatoie infinite come la mia. Gabbie per liberi pensieri.
Mi hanno sempre dato un senso di claustrofobia, indicatori di inevitabilità: anni passati, grammi di cibo, divisioni, sottrazioni, soprattutto sottrazioni, le lancette dell'orologio... tic tac, il tempo passa Rae datti una mossa... la bilancia, il conto alla rovescia per l'anno nuovo come se sul serio ci fosse qualcosa da festeggiare nel tempo che ti scivola dalle dita. Spaventosa la responsabilità che ricoprono nell'acuire paure e fobie, come contribuiscano quotidianamente ad esasperare il mio senso di inadeguatezza.

Vuoi sapere in che misura dovresti odiarti anche oggi?
Fatti un giro sulla bilancia e fattelo spiegare dai numerini in sequenza crescente.
Sei curiosa di vedere quanto tempo stai sprecando?
Butta un occhio all'orologio e permetti al tempo che passa di raccontarti la tua quotidiana storia di inutilità.
Hai bisogno di conoscere l'entità del danno che hai causato a Finn?
Alza gli occhi al calendario e comincia a contare, guarda quanti giorni sono passati dall'ultima volta in cui ti ha rivolto la parola e lo scoprirai da sola. Conta, i numeri non si lasciano fraintendere, non devi interpretare nulla solo... guardare, fare lo sforzo fisico di aprire gli occhi e incontrare la realtà.

Un approccio alla vita decisamente troppo reale e concreto per una persona abituata alle fantasie, per questo io sono un tipo da parole, lo sono sempre stata.
Le parole possono essere plasmate come creta, portate all'esasperazione e ridotte a un'inezia cambiandone solo l'ordine o la punteggiatura all'interno di una frase. Un numero di interpretazioni infinite e infiniti ragionamenti, l'arte dell'inganno in tutte le sue sfaccettature.
Se tirassi fuori l'argomento in una delle mie sedute di psicoterapia con Kester, come d'altronde è successo almeno un migliaio di volte, lui sosterrebbe l'inutilità di crearsi una realtà fittizia infarcita di verità rimaneggiate ad arte e la necessità di confrontarsi con i fatti, con se stessi per ciò che si è e non per ciò che si vorrebbe essere, «perché solo partendo dalla realtà ti costruisci lo spazio necessario ad agire e migliorarti, non sulle fantasie, non su visioni catastrofiche di ciò che potrebbe essere» ripete spesso quando sono un tantino disfattista.
Se me lo dicesse oggi scoppierei a ridergli in faccia e prenderei la strada della porta in due secondi netti. Quando vedi solo ammaccature, sbagli, schifo e scelte sbagliate dentro di te e tutto intorno qual'è la scelta? Qual'è l'alternativa? Se l'onestà verso se stessi non è che l'ennesimo espediente rivolto al fallimento allora no, grazie. Passo. Preferisco inventarmi una serie di storielle, convincermene e vivere di quelle.
Insensato? Magari si. La soluzione più semplice? Senz'altro. Istinto di conservazione? Senza ombra di dubbio.
Non riesco a "fare"? Vuol dire che farò finta.
E Dio, Dio!!!, vorrei non aver mai conosciuto Kester, vorrei che non mi fosse mai entrato nella testa, vorrei che le sue parole non avessero scavato così in profondità dentro di me perché magari potrei credere davvero in tutte queste stronzate ed essere un'alienata felice.
E invece no, c'è il Grillo Parlante e non ci sono più quelle dolci, tenere, adorabilissime pastigliette anche dette psicofarmaci a farmi da filtro con le emozioni e la realtà, e quindi eccomi qui, una novellina dei numeri in balia dei fatti, l'incubo che si compie. Il capolavoro analitico di Kester, posso vedere il sorrisetto sornione degno dello Stregatto materializzarsi sulle sue labbra, giuro che se chiudessi gli occhi potrei figurarmelo proprio qui, ora, davanti a me. Lo odio con tutta me stessa per avermi contagiata con il suo buonsenso, con i suoi maledettissimi ragionamenti sensati e trucchetti da ciarlatano laureato.
L'insensatezza mi piaceva, l'insensatezza mi rendeva felice, fuori di testa ma felice, avrei potuto trasferirmi sulla stramaledettissima Isola che non c'è per l'eternità e vivere su un arcobaleno, ma no, facciamoci resettare il cervello dallo spicologo "so tutto io". Diventa una persona sana e infelice.

Quindi numeri, dicevo «per la cronaca sono 8, Rae Earl, 8 i giorni che hai passato senza Finn... per ora» scandisco a voce alta rabbrividendo vistosamente, pessima scelta quella di aggiungere il "per ora" alla fine della frase, la prospettiva di un rifiuto futuro reiterato nel tempo non è affatto incoraggiante «192 ore, una somma imbarazzante di minuti e 2kg in più di ansia e nostalgia sulla bilancia. Sono questi i tuoi fatti adesso, non te lo dimenticare» me lo ripeto come un mantra allo specchio guardando dritto negli occhi cerchiati di nero, perché ho bisogno di esserne consapevole fino in fondo, perché finalmente la mia idiozia può essere misurata e tutti possono vederla.
Perché ho capito che il mondo non si ferma nemmeno se lo chiudo fuori dalla mia stanza a doppia mandata, ma scorre, veloce.
E anche se non so ancora cosa fare non voglio che si accumulino altri giorni, non voglio essere il passato di Finn, non voglio che la rabbia che prova in questo momento nei miei confronti sparisca insieme al mio ricordo, non posso nemmeno pensarci.
Gli ho lasciato una settimana per sbollire la rabbia, una settimana che ho passato a studiare una grossa crepa che tra rettilinei e piccole biforcazioni tremolanti si snoda sulla parete bianca opposta al mio letto, dovrò dire a Karim di darle un'occhiata perché adesso non posso più controllarla, le lancette non si fermano e il tempo non aspetta me, non l'ha mai fatto e anche se ho fatto finta di dimenticarlo adesso lo so.

* * * * * * *



Va bene lo ammetto, il passaggio dalle rassicuranti mura della mia cameretta ai rami di un cespuglio decisamente poco ospitale è un tantino repentino anche per i miei standard di stramberia. Forse mi sono lasciata prendere un po' troppo dall'entusiasmo, ma a mali estremi, estremi rimedi, e quando capita di avere un guizzo di coraggio bisogna sfruttarlo, giusto?
Del resto mi era sembrata una buona idea, davvero, quando sono uscita di casa a passo di carica per correre da Finn ero assolutamente convinta che si trattasse della decisione più impavida e sensata che la mia mente avesse mai partorito... almeno finché non sono arrivata qui, e con "qui" intendo effettivamente davanti casa sua... solo che... beh, più o meno, diciamo che mi sto rendendo conto di avere dei livelli di coerenza piuttosto bassi per non dire inesistenti, e che tra l'avere un guizzo di coraggio ed essere coraggiosi c'è una bella differenza.
Perciò eccomi qui, al momento più in modalità "stalker inquietante" che "ex fidanzata respinta che sta cercando di rimediare a un disastro".
La verità è che arrivare a un passo dalla mèta mi ha mandata in confusione. Letteralmente in confusione. Stavo per suonare il campanello, giuro che stavo per farlo, ero a una manciata di millimetri dal bottoncino, ma poi ho iniziato a percepire tutti i sintomi tipici di un attacco di panico e non ce l'ho fatta, mi sono nascosta, letteralmente incespugliata.
E via il solito copione di respiro affannato, tremolio, cuore al limite tra tachicardia e infarto, guance bollenti, terrore da fine del mondo imminente, il classico dei classici. Per dirla tutta ora come ora sono piuttosto sicura di avere l'aspetto di un gattone con l'asma in crisi esistenziale.
Mi piacerebbe provare l'ebrezza di sorprendermi una volta tanto, avere un'idea, seguirla e portarla a compimento, e invece no, nel più tipico dei cliché una volta che tiro fuori le palle finisco a stramazzare tra la vegetazione senza aver nemmeno visto Finn.
Coraggio Rae, esci da questa specie di rifugio per gabbiani e fai quello che devi fare, inspira, espira, inspira, espira.
Ti ordino di riprenderti!
Hai parlato con Finn centinaia di volte, è incazzato ma è sempre lui, ti ascolterà, capirà.
... O magari non ti aprirà nemmeno la porta...
Positività porca miseria!

Un altro paio di boccate d'aria e «ok, posso farcela. Ce la farò, via il dente via il dolore» rantolo al primo passo alla luce del sole «adesso vado lì, mi cucio un bel sorriso tenero sulle labbra, tonnellate di rimorso e sensi di colpa da ogni singolo poro, suono alla porta e appena mi apre gli dico "Ciao!", oppure subito "perdonami!"... sì, "perdonami!"» esclamo arricciando le labbra nel sorriso più finto concepito dalla notte dei tempi «però no, troppo patetico. "Ciao" e basta, "ciao" va bene... e per la miseria smettila di parlare da sola!» blatero calciando aria a caso.
Sul serio, quante possibilità ci sono che Finn non mi scoppi a ridere in faccia?
Quante possibilità ci sono che mi apra almeno la porta??

Ad ogni modo: calma.
L'ingrediente fondamentale per la buona riuscita della missione è la calma. Unita a un pizzico di ossigeno in più, qualche passeggiata su e giù per il marciapiede, borbottii antistress e un pizzico di ritrovata determinazione. Il tutto condito da occhiatine divertite di passanti ignari.
Ed eccomi qui dieci minuti dopo, nocche sulla porta, in attesa.
In realtà all'inizio avrei voluto attaccarmi al campanello finché non avessi visto la sagoma di Finn Nelson apparire magicamente, ma un tocco delicato sul legno chiaro è più indicato, quantomeno perché se sono abbastanza leggera ho ancora la possibilità di non essere sentita e ripensarci, volendo.
Codarda, lo so, è che sono spaventata da morire, l'idea di un rifiuto mi paralizza, e se è vero che non sono una veggente è altrettanto vero che l'indifferenza e le chiamate ignorate dei giorni scorsi non sono esattamente degli indicatori positivi. Anzi. E non voglio nemmeno pensare a come mi sentirei se venissi rifiutata di persona.
Basta così, stop ai pensieri disfattisti, testa alta, pugno alla porta e un bel sorriso tenero sul viso.
'Fanculo, vada come vada!

E sono abbastanza convinta di avere un collegamento diretto tra mano e cuore, perché altrimenti non si spiega come il secondo abbia riconosciuto all'istante l'azione del primo cominciando a pompare all'impazzata, l'adrenalina mi ucciderà se non succede subito qualcosa, Finn mi è mancato così tanto che ho una voglio inumana di vederlo. E a dire la verità anche di baciarlo, farmi stringere tra le sue braccia, mordergli le labbra, accarezzargli i capelli e fare...
«Che cosa ci fai qui?».
Finn si materializza sulla porta all'improvviso nemmeno fosse una proiezione dei miei desideri, ha i capelli sconvolti, gli occhi lucidi e leggermente cerchiati di nero, e il maglione bianco morbidissimo che si posa sui fianchi e gli risalta le pagliuzze dorate negli occhi. Possibile stesse dormendo? Eppure sono le sei del pomeriggio.
In ogni caso è una visione, e non sono assolutamente preparata.
"Ti prego mantieni un contegno e non balbettare, non è proprio il momento" mi ripeto all'infinito pregando serva a qualcosa, ma il ragazzo davanti a me non ci prova nemmeno a mascherare il fastidio per mettermi a mio agio. La mascella contratta, le nocche sbiancate sulla porta socchiusa e gli occhi ridotti a due fessure raccontano esattamente quello che mi sarei aspettata di trovare: una persona incazzata. Non gli è passata.
Sono una statua di sale «C-ciao» e benvenuta balbuzie «Finn, io volevo... volevo solo...».
Sbuffa senza darmi il tempo di finire la frase «mi sembrava di averti detto che non voglio parlare con te» dritto al punto senza guardarmi nemmeno negli occhi.
Il suo corpo è completamente proteso verso la porta, pronto a chiuderla con un gesto secco, ma non può andare così, non deve, non posso sopravvivere un altro giorno sapendo che lui mi odia. Deve pensarla così anche il mio piede, perché è tra la porta e la soglia che si incastra, un attimo prima che questa possa chiudersi «p-per favore, dammi due minuti... solo due minuti poi ti lascerò in pace».
Suona come una litania, in ginocchio e mani giunte avrei ottenuto lo stesso effetto.
Finn studia la mia espressione per qualche secondo, accigliato, vorrei che leggesse nei miei occhi la stessa determinazione mista a nostalgia che sento nel cuore. Non mi rifiuterebbe mai.
«Non ho niente da dirti, Rae» borbotta spostando gli occhi sul piede che tiene ancora la porta aperta, se non fosse una persona pacifica giurerei che stia cercando un attrezzo contundente per tranciarmelo di netto.
«Ma io sì. Per favore...» gli accarezzo distrattamente le nocche con due dita rabbrividendo al contatto con la sua pelle, si ritrae come scottato un attimo dopo, non mi arrendo però, non oggi «due minuti, stammi a sentire due minuti poi ti giuro che vado via. Per favore».
Potrei esplodere in un pianto disperato nel giro di un paio di secondi se dovesse mandarmi via sul serio. Possibile che gli vada bene così?
Sospira rumorosamente, la mano libera incastrata nei capelli e le labbra arricciate in una smorfia scocciata. Si scosta leggermente dalla porta per permettermi di passare «entra» dice solo, secco, come se gli costasse uno sforzo enorme.
Non me lo faccio ripetere due volte.

Ti amo.
Ti amo così tanto che certe volte ho paura mi scoppi il cuore se non te lo dico.

Da quando ho seguito Finn in casa una manciata di secondi fa riesco a sentirle chiaramente quelle due paroline così sincere e reali nella mia gola che premono per uscire fuori. Ho così tanta voglia di dirlo che temo mi scappino sovrappensiero da un momento all'altro.
È che suonerebbero così giuste, così vere, anche se lui non mi volesse più.
Non voglio più vederti Rae.
Ti amo.
Non ti perdono stavolta.
Ti amo.
Ho mangiato una scatola di cereali per pranzo.
Ti amo.

Potrebbe seriamente diventare la mia risposta per tutto.
Il problema è che ho una gran paura di non averglielo mai detto abbastanza, paura che le mie azioni deliranti l'abbiano fatto scivolare in secondo piano, che abbia potuto perfino dimenticarlo o peggio, dubitarne. Ne morirei.
Ho buttato talmente tante occasioni con lui. Era mio, MIO, voleva esserlo, e io sono scappata alla prima difficoltà lasciandolo solo. Ha avuto tanta tenacia con me, sempre, e come l'ho ripagato? Con un disastro dietro l'altro, il silenzio, la mancanza, sono stata orribile con lui e se fossi una persona migliore gli girerei a largo perché merita decisamente più di quanto potrò mai dargli.
Ma quelle due parole non le posso ignorare, non posso proprio, e sarò egoista forse ma giuro che se dovesse perdonarmi non farò mai più certe stronzate, mai più.
Quanto tempo ho sprecato quando potevo ancora baciarlo senza chiedergli il permesso? Quanto??
Il minimo che possa fare adesso è tentare in tutti i modi di rimediare.
«Ascolta...» sussurro dopo aver aspirato una lunga boccata d'ossigeno sperando di attirare la sua attenzione, siamo seduti entrambi in cucina, uno di fronte all'altra ai due lati opposti del tavolino, ma per lui è come se non ci fossi nemmeno, non ha ancora alzato lo sguardo dalle sue mani adagiate sulle ginocchia «mi dispiace tanto per quello che è successo, ma... davvero, c'è un enorme malinteso di mezzo».
«Ah si?» alza un sopracciglio curvando le labbra in un risolino teso «quindi non hai parlato con mia madre?».
Sì e no, ma se mi lasciassi spiegare capiresti che non l'ho fatto apposta e magari non mi odieresti più in questo modo.
È come se avessi davanti agli occhi la vecchia versione di Finn, quella che non si fidava delle mie scelte musicali e mi parlava appena.
«Sì, ma...».
«Allora non c'è nessun malinteso» taglia corto eludendo le mie parole, «e onestamente non capisco perché sei ancora qui, anzi se è tutto...» indica con un cenno la porta e il mio cuore si stringe un po' di più.
Sta già tentando di cacciarmi? Sul serio?
Potrebbe essere più chiaro di così solo se mi trascinasse con tutta la sedia oltre la porta, e non escludo che ci abbia pensato.
«È successo per caso, va bene?» provo a darmi un tono ignorando il muro di Berlino che ho davanti «avevo intenzione di andare a parlare con tua madre, lo ammetto, era una stronzata gigantesca, ok, ma volevo aiutarti, ero in buona fede».
«Ma non erano affari tuoi!» esclama alzando per la prima volta gli occhi annacquati su di me.
E questo fa un po' male, perché non è del tutto vero che non erano affari miei, Finn è sempre stato affar mio e sono più che certa che nessuno si girerebbe dall'altra parte davanti alla sofferenza della persona che ama. Lui con me non l'ha mai fatto, ad esempio. Certo non è questo il momento di mettere i puntini sulle "i".
«Magari... ok, comunque c-ci avevo r-ripensato» non ora ti prego, non farti prendere dall'emotività, coraggio «quando abbiamo litigato l'ultima volta e tu mi hai trovata qui pronta a partire io... tu, tu hai pensato che stessi scappando da qualche parte, ma invece io avevo pensato che anche se non fossimo mai potuti tornare insieme avrei voluto fare lo stesso una cosa per te. Aiutarti come tu hai sempre fatto con me...».
Lo osservo di nuovo, con cautela, stacco gli occhi dai bordi mangiucchiati del mio maglione e mi concedo qualche secondo per studiarlo un po', per capire se ha senso che continui quel discorso oppure no. Sembra assorto nei suoi pensieri, la luce della finestra lo colpisce appena ai lati del viso proiettando piccole ombreggiature sulla pelle candida.
Dio, ma eri così bello anche quando stavamo insieme?
Come facevo a starti accanto senza sentirmi inadeguata? Mi sa che non lo facevo...
Concentrati dannazione! Non è proprio il momento.
«Volevo andare da Eleonor e chiederle di non arrendersi con te» ammetto con le guance in fiamme «dirle che non era troppo tardi per sistemare le cose, o almeno fare un tentativo in quella direzione, che avrebbe perso tanto, troppo, se non l'avesse fatto».
Io non riuscirei mai a rinunciare a te. Mai.
A quelle parole Finn si alza di scatto sulle sue gambe, piccato, concedendomi il privilegio degli occhi «non è qualcosa che potevi stabilire tu, Rae, è una faccenda tra me e mia madre! Siamo io e la mia famiglia, e tu non avevi nessun diritto di ficcare il naso!» sottolinea l'ultima frase alzando il tono di voce, giurerei che ci fosse anche un "non dovevi permetterti!" di sottotesto che ha dimenticato di aggiungere.
«Quando l'ho vista qui mi è sembrato un miracolo, mi sono detto "ma guarda, forse stavolta ha capito, forse ci siamo, magari posso anche crederle". E invece cos'era?» sbatte forte un pugno sul tavolino, il tonfo sordo mi arriva fin dentro le ossa, non c'è più solo nervosismo nelle sue movenze, ma delusione, tristezza, rassegnazione «una perfetta estranea per lei ha dovuto spiegarle come comportarsi con suo figlio! Come dovrei reagire? Che cazzo dovrei pensare di lei? E di te??».
«Ma è qui che ti sbagli!» urlo con il viso in fiamme e sull'orlo delle lacrime. Non posso più lasciare questa distanza fisica tra noi, ho bisogno di guardarlo dritto negli occhi per farmi capire. Quindi mi alzo trascinando la sedia e arrivo a pochi centimetri dal suo viso, siamo così vicini che il suo respiro mi solletica la pelle scatenandomi mille piccoli brividi «non sono andata da tua madre, alla fine ci ho ripensato, ho fatto marcia indietro e sono venuta da te. Perché volevo parlare con te, volevo spiegarti, volevo chiarire. Ma quando sono arrivata qui tu non c'eri, ma... ma invece c'era lei, proprio davanti alla porta».

Ricordo bene quel momento, pioveva forte, pioggia mista a neve in realtà, e avevo lo stesso identico batticuore di ora, la stessa identica voglia di buttarmi tra le braccia di Finn, dirgli quanto lo amassi e piangere come una fontana. Vorrei farlo proprio qui, anche adesso. Peccato non ne abbia mai avuto la possibilità, ora come allora... Comunque Eleonor mi ha riconosciuta immediatamente, elegante ed eterea nel suo completo blu, sembrava perfino felice di vedermi.
«Si era appena traferita in città con Tom, ti ricordi? E la prima cosa che ha fatto quando è arrivata in città è stata venire qui, per parlare con te. Io non c'entro niente, capisci?».
Non aveva bisogno di me per capire quanto sei speciale e che non poteva perderti.
Finn è completamente stupito, preso in contropiede, ma anche dubbioso, in un moto di coraggio afferro una delle sue mani tra le mie e comincio ad accarezzargliela delicatamente con i polpastrelli. Non ricambia la presa, ma nemmeno si sottrae.
«Il ciondolo, lei... lei aveva il ciondolo che ti avevo regalato» sussurra appena senza staccare i suoi occhi dai miei. Si stanno lentamente riempiedo di nuovo della dolcezza che gli appartiene da sempre, potrei restare imbambolata a guardarlo per sempre.
Il ciondolo. Non l'ho più tolto dal collo da quando me la tirato contro il pomeriggio di una vita fa, ogni tanto lo sfioro sovrappensiero per ricordarmi che per lui ero importante, mi tranquillizza.
«Pioveva» racconto beandomi del calore della sua pelle «qui non c'era nessuno e così si è offerta di riaccompagnarmi a casa, dev'essermi caduto nella sua macchina. Anzi sicuramente è andata così. Ero così imbarazzata che non ho aperto bocca durante il tragitto, e quando ci siamo salutate mi sono limitata a dirle quanto fossi felice che avesse deciso di non arrendersi con te. E basta, ti giuro che non c'è stata nessun'altra parola tra di noi. Nessuna. Lei voleva parlare con te e non ha avuto bisogno di nessuna spinta per decidersi. Non... non potevo pensare che tu fossi così arrabbiato con me proprio nel momento in cui avresti avuto più bisogno di avermi accanto, e per una cosa da niente oltretutto...»
Il mio è a malapena un sussurro quando finisco di parlare, il respiro è tornato regolare, la mano di Finn è ancora saldamente ancorata tra le mie, magari per una volta la ruota ricomincerà a girare nel verso giusto dopotutto.
Il peggio è passato... vero?
Adesso ci abbracciamo e posso dirti finalmente le uniche due parole che contano... non è così?
Illusa, la realtà è che conosco Finn molto meno di quanto credessi, e che c'è qualcosa nel mio discorso, una piccola, infinitesimale parte di ciò che ho detto che sta vanificando tutto il resto. Le parole hanno un peso, soprattutto quando non ci rendiamo conto del significato che viene loro attribuito da chi abbiamo davanti, e io fra tutti dovrei saperlo bene considerato che ne faccio un uso spropositato tutto il tempo. Lo capisco dal lampo di fastidio che colpisce gli occhi nocciola di Finn che qualcosa è andato storto, si trasformano in ghiaccio in un istante, ed è la stessa sensazione sgradevole che lo porta a lasciare bruscamente la mia mano come se bruciasse.

Con quanta facilità un problema a un passo dalla soluzione riesce a mandare di nuovo tutto a puttane?
Un attimo fa avevo davanti a me una persona confusa, quasi convinta della mia buona fede, della mia sincerità, del mio affetto persino, una persona che stava lentamente tornando a guardarmi con gli occhi che conoscevo.
Questa nuovissima versione di Finn che fa avanti e indietro nei pochi metri quadrati della cucina come un leone in gabbia è un'altra cosa.
Il silenzio calato tra di noi è interrotto solo dal rumore dei suoi passi indecisi, si volta di tanto in tanto a guardarmi e socchiude appena le labbra nel tentativo, probabilmente, di cominciare un discorso che finora è rimasto confinato solo nella sua testa.
Parlami!... vorrei urlargli... dimmi qual'è il problema, dimmi che cosa c'è che non va!
Perchè poco fa stava andando tutto bene, non l'ho sognato, e ora questo.
Che cosa mi sono persa?
«Avevo b... io non... no... una cosa da niente?» accenna, titubante, come se in realtà avesse voluto dire qualcos'altro e si fosse trovato tra le mani un pretesto qualunque. Si riprende immediatamente però, e sorride, in un'espressione di scherno che non raggiunge gli occhi, impassibili e fissi in un punto qualunque dietro la mia testa «avevi intenzione di farti 4 ore di autobus per parlare con l'ultima persona al mondo con cui avresti dovuto farlo e ti sembra una cosa da niente?».
Ok aspetta, non volevo dire questo...
«Non volevo dire questo, non è una cosa da niente, non lo è, ma non l'ho fatto, no? Intendevo dire che è assurdo litigare per... per qualcosa che non è successo! Perché... perché sei così arrabbiato?» e stavolta sono io a fare un passo indietro per osservarlo meglio.
Da qualche parte nella conversazione che abbiamo avuto dev'esserci stato per forza qualcosa che l'ha fatto scattare, ma perché non me ne parla invece di mettersi sulla difensiva? Mi rifiuto di credere che si sia agitato così solo ed esclusivamente per un'uscita infelice che non pensavo nemmeno. Da quando siamo diventati due estranei? Da quando la mia presenza è un problema?
E non lo capisco, sul serio, appurato che sono una pessima oratrice, che sbaglio le parole e ho delle pessime ideee che non metto in atto, perché è ancora così furioso con me?
«Adesso che mi hai spiegato quello che c'era da spiegare puoi andare via, scusami ma ho da fare» dice indicando la porta alle mie spalle.
Non sono completamente convinta che sia stato davvero Finn a parlare, perché lui non ha quel tono perentorio, non è uno stronzo e non mi tratterebbe mai in questo modo... Giusto?
«Aspetta, ma perché? Pensavo che adesso che sai tutto avremmo potuto chiarire, che mi avresti perdonato, che... che non saresti più stato arrabbiato».
Ma devo entrare nell'ordine di idee che la persona che ho di fronte in questo momento è solo la caricatura di Finn Nelson, e questa copia sbiadita della persona che amo ha deciso che non mi vuole più in casa sua.
È con una stretta delicata di due dita sul polso che mi accompagna verso l'uscita. Mi sta cacciando, e nonostante tutto il mio corpo idiota accelera i battiti e si incendia sotto al suo tocco. Dannati, dannatissimi ormoni traditori.
Non riesco nemmeno a reagire, mi sento completamente annichilita, assente, una statua di sale in balia degli eventi. E sono anche tanto stanca, mai una volta che possa sbagliare senza sbatterci la faccia, mai una volta che possa capire fino in fondo di cosa sono responsabile.
Perché lo giuro, stavolta proprio non lo so.
«Certe volte le cose vanno male e non puoi farci niente, non si può sempre aggiustare tutto» sento dire dall'automa che ha ancora il mio polso bloccato tra le dita davanti alla porta di casa «va' via Rae, occupati della tua vita e lascia in pace la mia».
Ed è questa la conclusione, qui il punto d'arrivo, una persona che non può essere in nessun caso il mio Finn mi ha appena dato il benservito richiudendosi la porta alle spalle, neanche si fosse trattato di cacciare un venditore ambulante fastidioso. Come se fosse un'inezia, il naturale scorrere degli eventi, l'ultima banalità dell'Universo.
Cosa diamine è appena successo??
Perché Finn mi ha appena sbattuto fuori dalla sua vita e io ho ancora quel ti amo bloccato sulla punta della lingua.

* * * * * * *



Prospettive.
È tutta una questione di prospettive.
In condizioni normali ogni singola funzione vitale compiuta quotidianamente dal nostro organismo potrebbe passare quasi inosservata, risultare spontanea, naturale, semplice. Possiamo muoverci, osservare il mondo, ascoltarlo, percepirlo sulla pelle, interpretarlo, senza interrogarci troppo su come e perché fisiologicamente parlando questo accada. In realtà ogni giorno ogni più piccolo, infinitesimale frammento di noi, del nostro corpo, mette in atto centinaia di processi biochimici complessi di cui non siamo minimamente consapevoli.
Adoro il profumo della pioggia, respiro a pieni polmoni l'aria gelida di una giornata invernale poco prima che nevichi, e non ci penso, o almeno non ci pensavo, all'ossigeno che scorre nel sangue e arriva via via in ogni cellula del nostro corpo. Non mi sono mai soffermata sull'idea che allo stesso modo una piccola, minuscola parte della nostra essenza venga di nuovo ceduta al mondo sotto forma di anidride carbonica seguendo il percorso inverso.
Succede e basta, è così che funziona.
Ma quando il tempo aumenta di consistenza e non ragioni più in termini di giorni e ore ma minuti, secondi, allora tutto cambia.
5 giorni possono sembrare niente paragonati all'intera esistenza, ma diventano un'eternità se li vivi come 7200 minuti, 432000 secondi.
Tutto si riduce sempre a questo: numeri.
E allora diventi consapevole di ogni cellula, ogni battito di cuore, improvvisamente fa quasi male quell'ossigeno che si fa strada dentro di te ogni volta che immetti aria nei polmoni e ti senti svuotata di ogni energia all'idea di doverlo ripetere centinaia di volte ogni ora.
In 5 giorni possono succedere tantissime cose, puoi passeggiare per i corridoi del campus cercando disperatamente un paio di occhi nocciola per i quali, ti rendi conto, hai assorbito la stessa incosistenza dell'aria, la stessa trasparenza. Puoi incollare l'orecchio alla cornetta del telefono per ore aspettando inutilmente che dall'altra parte una voce conosciuta ti ricordi che sì, in effetti esisti ancora. Puoi scoprire quanti minuti ci vogliono per mangiare un'intera torta ai mirtilli armata solo di un cucchiaino da tè... 7, per l'esattezza.
E puoi renderti conto che da un giorno all'altro per te la parola "nostalgia" ha acquisito nuovi significati. "Nostalgia" sono i 12 minuti che mi separano dalla porta bianca della casa di Finn, sono i 9 squilli che posso ascoltare ad ogni chiamata tutte le volte che non risponde, sono le due lettere lunghissime scritte e mai spedite perché non potrei sopportare di essere rifiutata anche così. E sono anche tutte le stelle che sto osservando adesso dal tetto del teatro, il giorno delle prove generali dello spettacolo, prove che ho indegnamente deciso di saltare per diventare una statua di ghiaccio.

«Quindi è qui che hanno spostato il Polo Nord» Archie, detto anche Folletto disturbatore della quiete altrui, esordisce osservandomi dall'alto appena entrato nel mio campo visivo.
Stavo giusto finendo di contare le stelle di uno spicchio di cielo sdraiata sul linoleum del tetto.
Le sue scarpe sono a pochi millimetri dai miei capelli mentre saltella su e giù a braccia incrociate per difendersi dal freddo «la Patmore ha dato in escandescenza perché non c'eri, voleva godersi la tua straordinaria performance da brucone viola» sghignazza sprofondando le mani nelle tasche del cappotto.
«Brucaliffo Arch, si chiama Brucaliffo, e tu sei solo invidioso perché sei un'insulsa margheritina di campo».
«Touché» sbuffa planando a gambe incrociate al mio fianco «in ogni caso il viola non mi dona, e poi sono sempre in tempo a fregarti la parte se decidi di morire assiderata. A breve ti trasformerai in una statua di ghiaccio».
Magari... Sarebbe un modo molto artistico di morire, e Finn sarebbe costretto a guardarmi.
Appunto mentale: tenere in considerazione l'idea per scopi futuri.

Archie si avvicina a me prendondo ad accarezzarmi i capelli, lui sa tutto del mio litigio con il suo migliore amico «come mai sola soletta qui? Non starai mica evitando Finn?».
Maledette scenografie, maledetta manualità da falegname e maledetto Finn.
Dopo giorni trascorsi a calpestare inutilmente la mia dignità speravo solo di potermi trovare una distrazione, e invece entro nel teatro e chi vedo a un metro dal palco intento a martellare?
Esattamente.
Neanche a dirlo non mi ha degnato di uno sguardo, però è rimasto anche dopo aver terminato il suo lavoro per guardare le prove. Come diavolo avrei potuto starmene impalata lì per un'altra ora a fissarlo come un baccalà mentre ride e scherza con tutti tranne me?
Non esiste, grazie tante, strano ma vero ho ancora un briciolo di amor proprio, quindi ho preferito un rifigio sicuro... Che sia una cella frigorifera a cielo aperto è del tutto secondario.
«Guarda che è lui che evita me» puntualizzo «e comunque sono anche stufa di farmi ignorare. Gli dò così fastidio? Accontentato».
«Smettila di fare i capricci» borbotta tirandomi una ciocca arricciata dall'umidità della sera «e poi non è vero che gli dai fastidio, è solo che, lo sai, Finn è un testone ed è anche orgoglioso... ma gli passerà... ».
Gli passerà, certo, magari tra 10-15 anni deciderà di farmi la grazia e perdonarmi per un'idea che non ho nemmeno messo in atto. Sempre ammesso che il motivo sia davvero questo, oltretutto.
Ma tanto lui è la parte lesa a prescindere, giusto? La pazza instabile sono io. Mi sfugge proprio il senso di essersi dato tanto da fare per me fino a una manciata di giorni fa se poi è bastato un malinteso per mandarmi a quel paese.
Ok, aspetta un attimo... sono arrabbiata con Finn?
Questa è nuova...
«Certo!» esplodo «Mister Perfezione non accetta certi ragionamenti. Sai che ti dico Arch?» mi sollevo sedendomi a gambe incrociate accanto a lui «sono stufa di sentirmi in colpa per qualcosa che non ho fatto. Gli piace giocare alla povera anima candida offesa? Benissimo, d'ora in poi lo farà senza di me».
Archie scoppia in una fragorosa risata «ok, ok, quindi sei arrabbiata adesso? Devo prepararmi ai fuochi d'artificio?».
«Fai poco lo spiritoso» gli intimo schioccandogli due dita su una guancia «ho i miei buoni motivi per avercela con lui».
«E quali sarebbero?».
«Beh...» mi volto completamente verso di lui sollevando lentamente una mano con l'indice alzato «prima di tutto mi ha detto, cito testuali parole, "occupati della tua vita e lascia in pace la mia"» per incrementare la drammaticità del momento imito anche la voce calda e suadente del diretto interessato facendo ridere Archie fino alle lacrime «ma ci pensi? LUI che dice a ME di farmi gli affari miei. Lui! Che è venuto a cercarmi fino a Sleaford fingendosi te per entrare in clinica! Ti rendi conto?».
Assurdo.
Semplicemente ridicolo.

«Lui è quello che ha sempre detto che voleva non lo tenessi fuori dalla mia vita e dai miei problemi, e poi cosa fa? Eh? Esattamente la stessa cosa, anzi peggio, perché lui di me sa praticamente tutto mentre io ho scoperto il nome di sua madre solo di recente!» sbuffo senza fiato, imbestialita.
E ok, prima di ammetterlo ad alta voce non ci avevo mai pensato. È un permaloso, orgoglioso ipocrita!
«Secondo» proseguo sollevando il medio della mano destra «mi ha mentito».
«Mentito?» Archie socchiude gli occhi arricciando il naso, posso vedergli mille punti di domanda brillargli negli occhi anche al buio.
«Sì! Mi ha mentito» confermo incrociando le braccia al petto e gonfiando le guance di rabbia «non me lo bevo tutto questo nervosismo nei miei confronti per la storia di Eleonor... Arch, parliamoci chiaro, io non ho fatto niente, ho avuto una pessima idea, è vero, ma non l'ho messa in pratica. Oltretutto gli ho chiesto scusa mille volte e lui per tutta risposta mi ha cacciata di casa. C A C C I A T A - D I - C A S A» scandisco esattamente ogni lettera per sottolineare il concetto.
Non mi toglierò mai dalla testa il fastidio e il disagio presenti negli occhi di Finn quando mi ha "gentilmente accompagnata" per un polso alla porta.
Il mio amico del cuore preferito si passa una mano tra i capelli, lievemente in imbarazzo e sulle spine «in effetti non hai tutti i torti...».
«Non li ho. No. E terzo» concludo la mia arringa sollevando di nuovo la mano e mostrando un terzo dito alzato «non si fida di me».
E questa è la parte che mi fa più male.
Posso accettare l'incazzatura, posso accettare che mi abbia detto che le sue cose non mi riguardano in un momento di rabbia, ma la totale mancanza di fiducia no. Quella fa malissimo.
«Lui lo sa quanto ho sofferto per mio padre. C'è stato, io gli ho permesso di esserci».
Io gli ho permesso di esserci, sempre, lui non ha mai nemmeno accennato alle sue faccende personali.
«Eleonor è un'altra storia, va bene, ma io più di chiunque altro avrei potuto capirlo. Sono un'esperta di genitori problematici. So bene cosa significa quando vieni abbandonato completamente dall'unica persona che dovrebbe starti vicino a prescindere. L'ho provato sulla mia pelle. Quindi perché non me ne ha mai parlato? Perché non si è mai cofidato con me?... Perché?».
L'ultima domanda viene fuori come un soffio, le lacrime premono ai lati degli occhi per uscire, sono atterrita dalle mie stesse parole, dalla consapevolezza di essermi persa per strada la parte più intima della persona che amo e che diceva di amarmi a sua volta.
Perché non mi ha mai detto niente? Perché ci faccio caso solo ora? Che razza di persona sono per non essermi accorta di un malessere simile? Gli occhi di Finn sono trasparenti, lo sono sempre stati.
Sei una stupida egoista Rae.
Lui non si fida di te perché tu sei una stupida egoista che pensa solo a se stessa.
La colpa di questa situazione è tua quanto sua.

«Siamo... siamo tutti diversi Rae» Archie sussurra appena, ma non ci crede troppo nemmeno lui, è abbattuto quanto me «Finn è il tipo di persona che difficilmente tira fuori i suoi fatti personali con le altre persone. Io stesso sapevo di Eleonor solo perché lo conosco da tutta la vita, altrimenti pensi che me ne avrebbe parlato? È fatto così».
«Beh è fatto male!» le prime lacrime scendono silenziose sulle mie guance bollenti «ma sono fatta male anch'io, se non fossi sempre stata così problematica magari me ne avrebbe parlato. Quindi in fondo siamo una gran bella coppia di idioti!».
Non provo nemmeno più a trattenere le lacrime, lascio che mi inondino gli occhi e il viso mentre si confondono con i fiocchi di neve che hanno iniziato a cadere dal cielo senza che me ne accorgessi neppure. Archie mi abbraccia forte accarezzandomi la testa, sussurrando qualcosa che non capisco ma che suona tremendamente dolce. Troppo dolce, non sono convinta di meritare certe gentilezze, non adesso, non dopo quello che ho appena realizzato.
«Non piangere Rae, non piangere ti prego» Archie si separa appena da me, le mani completamente ghiacciate ad asciugare le mie guance caldissime «vedrai che si sistemerà tutto,e poi che diamine, contegno! I brucaliffi non piangono! Passano la vita a maltrattare la gente e urlare "coooosa esssser tuuu?" tuuutto il tempo» grida modulando la sua voce calda in maniera stridula e ammiccante.
Aspetta un attimo, dovrei essere io quella?
Da quando è diventato così bravo a imitare le voci? Giuro che stavolta sembrava me...
«Idiota».
«Sul serio Rae, sono sicuro che si risolverà tutto. Finn ogni tanto si comporta come un'idiota ma non lo è, lo sai, si pentirà del modo in cui ti ha trattato e farete pace. Fidati di questa margheritina di campo canterina. "I fiori hanno sempre ragione!"» asserisce con l'inconfondibile vocetta squillante della professoressa Patmore durante le prove.
Quella donna è seriamente una delle persone più buffe che abbia mai conosciuto in vita mia. Oltretutto ha una fissazione quasi patologica per la botanica e il linguaggio dei fiori, di tanto in tanto ne regala uno a qualcuno dei suoi studenti e loro, da quello, devono tirare le somme della loro performance di recitazione sul palco. "I fiori hanno sempre ragione!" risponde ai malcapitati che hanno la pessima idea di ribattere, gente che non la conosce ancora bene, ovvio.
«Oddio Arch, hai veramente un futuro come attore» ammetto stropicciandomi gli occhi umidi, sono un po' meno angosciata ora grazie a lui.
«Lo so, lo so» asserisce circondandomi le spalle mentre indirizza entrambi alla porta di accesso alle scale «adesso però torniamo in teatro o mi toccherà cominciare a recitare anche nei panni della stalattite e del suo migliore amico pupazzo di neve».
«Ti voglio bene Arch, tantissimo».
Pochi secondi dopo tutto ciò che rimane di noi è un'eco continua sulla tromba delle scale «"I fiori hanno sempre ragione!"».

* * * * * * *



In teatro l'atmosfera è rilassata, silenziosa, le luci soffuse, pochissime persone.
Le prove a cui ho dato forfait sono finite da un pezzo e grazie al cielo la Patmore è già andata a casa, sorbirmi anche le sue ramanzine oggi sarebbe stato sfiancante, il coronamento perfetto di una giornata da dimenticare.
Sono rimasti solo una decina di studenti, inclusa me, per sistemare la sala e completare le porzioni di scenografia sul palco che necessitano di piccoli ritocchi o rifiniture. Imbarazzante la quantità di fiori di cartapesta che si può accumulare in pochi giorni, sono praticamente ovunque, hanno trasformato il teatro della scuola nel carnevale di Rio.
Anche Chloe e Izzy hanno deciso di unirsi a noi per l'occasione con la scusa di dare una mano, in effetti è la prima volta che passiamo più di un paio di giorni senza vederci, ma tra le prove dello spettacolo e tutte le vicissitudini con Finn non ho avuto una gran voglia di fare vita sociale. Mi sono mancate.
E Finn, per l'appunto... naturalmente c'è anche lui, croce e delizia della mia patetica esistenza. Non che per me faccia qualche differenza dato che non mi rivolge la parola, ogni tanto sarei tentata di fargli qualche gestaccio per scoprire se sono effettivamente trasparente o fa solo finta di non vedermi.
Al momento è intento a puntellare il tetto di una casupola dai muri inclinati insieme ad Archie, è ingiustamente una visione anche con una semplice t-shirt bianca di cotone e i jeans sbiaditi.
Mi piacerebbe proprio sapere cosa gli sta dicendo il folletto dei fiori per farlo sorridere così, vedo l'accenno di una fossetta anche da qui. Dio, pagherei per poterci affondare le dita, qui, adesso.
Contieniti Rae! Smettila subito di sbavare e continua a lavorare!
Finn Nelson e le sue adorabili maledettissime fossette possono andare a quel paese!

La situazione sta decisamente diventando ingestibile, sono arrivata a livelli di frustrazione inauditi, è già un miracolo che non sia esplosa nel bel mezzo del teatro come un vulcano in eruzione. Ma manca poco eh, manca veramente poco.
«Tutto bene?» bisbiglia Chloe indicando Finn con un rapidissimo cenno della testa. Izzy accanto a lei sta colorando con tempere e pennello il disegno di una rosa rosso vermiglio, ma ammicca di tanto in tanto nella nostra direzione in attesa della risposta.
«Al solito» sospiro alzando le spalle «quello che vedi è quello che è. Riassumendo: per lui non esisto».
«Testone».
Izzy si sporge verso di me pennello alla mano, ha un atteggiamento molto cospiratorio e sta imbrattando il pavimento di nuvolette rosse «Chop mi ha detto che l'altra sera al Pub sembrava giù di morale. Secondo me la situazione pesa anche a lui Rae, gli manchi...».
Magari...
«Beh, se così fosse avrebbe potuto accettare le mie scuse, probabilmente ha qualche altro problema» borbotto senza sollevare lo sguardo dalla farfallina azzurra di cartoncino che sto incollando a un pannello di compensato.
Qualche altro problema di cui ovviamente non vuole rendermi partecipe, ma questo evito accuratamente di aggiungerlo mascherando il nervosismo con una pressione un po' troppo forte sul povero disegno che ho tra le mani.
Fatti gli affari tuoi Rae, l'hai sentito, giusto? Occupati della tua vita e lascia stare la sua.
La sua è off-limits.
Come le sue fossette.
Fossette e vita off-limits.
A casa probabilmente ha una lista di fedelissimi cui concede la parola, e tu non ci sei, mi pare evidente.
Stronzo oh...

«Che stronzo però» sbuffa Chloe, e la amo, è ufficiale, siamo esattamente sulla stessa lunghezza d'onda «con gli uomini è sempre così, prima ti dicono di non fare una cosa, se poi invece, guardacaso, la fanno loro, allora va bene. Non era lui che ti diceva che voleva sapere tutto di te e bla bla bla...?».
«Già».
«Visto? Sono un'esperta!» esulta roteando il martello che sta adoperando da mezz'ora per attaccare un alberello che ha visto decisamente tempi migliori.
«Stà attenta con quell'affare Chlo!» urla Izzy abbassando la testa appena in tempo per schivare uno scontro diretto.

Archie e Finn si avvicinano a noi attirate dal fracasso improvviso «che state facendo, impiastri?» domanda Archie divertito dall'espressione terrorizzata di Izzy.
«Niente, Izzy è esagerata come al solito» chiosa Chloe continuando a maneggiare pericolosamente il martello come fosse una clavetta «che c'è, è vero!» ribatte all'occhiata omicida della rossa «sono perfettamente entrata nel personaggio e ho assoluta dimestichezza con l'attrezzo... sei tu che ti spaventi per niente... Non è che da piccola sei rimasta traumatizzata da qualcosa? Esiste la fobia per i martelli?» domanda candidamente.
Izzy avvampa come un peperone maturo mentre sia Finn che Archie ridono sguaiatamente.
«Si Izz, parlaci della tua infanzia, dicci cosa ti turba» le sussurra all'orecchio Finn con fare divertito portandola ad avvampare ancora di più.
Ed è una stupidaggine, ne sono consapevole, una battutina innocente nella cornice di uno scherzo, ma sono stanca, sono arrabbiata e anche triste, e quell'invito a confidarsi mi manda la temperatura corporea direttamente al livello Etna.
Ipocrita, ipocrita e stronzo.
Ipocrita e malfidato.
L'ho già detto ipocrita?

«Sì Izz, confidati con noi, prendi esempio da Finn... mh... ipocrita» borbotto sottovoce tossendo l'ultima parola nel tentativo di farmi udire, o forse no, dal diretto interessato.
Finn, che ha chiaramente un radar per i principi d'incendio, non si lascia sfuggire la mia frecciatina «come, scusa?» ribatte, piccato.
E questa sarebbe la mia buona occasione per tacere, ribattere con un secco "niente" e finirla lì, ma ehi, sono io...
«Dicevo a Izzy di prendere esempio da te e raccontarci tutto... ops, scusa...» sghignazzo coprendomi la bocca con una mano per la palese allusione «volevo dire...».
«So esattamente cosa volevi dire» mi interrompe fulminandomi con un'occhiataccia.
Cos'è Mister Non Chiedetemi Niente, ho toccato un nervo scoperto?
Tutto a un tratto l'atmosfera goliardica presente fino a un attimo prima si sgonfia, evapora letteralmente, Chloe, Archie e Izzy abbassano gli occhi in direzioni diverse, intenti a fissare scarpe, fiori di cartapesta e macchie di colore sul pavimento. Finn invece incatena i suoi occhi ai miei, privi di qualsiasi accenno di divertimento.
Si rivolge a Izzy senza però smettere di fissare me «in effetti Izz potresti farti consigliare direttamente da Rae, ma occhio, tieni a portata di mano una valigia e il passaporto perché di solito le sue idee migliori comprendono treni e altre nazioni».
Oh oh, l'ha detto sul serio?
Ha seriamente tirato fuori, di nuovo, la storia della valigia??

Archie allarga le labbra boccheggiando vistosamente come un pesciolino rosso lasciato senza acqua, e comincia a palleggiare gli occhi tra me e il suo migliore amico, incredulo.
Izzy invece, così come Chloe, adotta la tecnica del mimetismo cercando di confondersi con lo sfondo alle sue spalle.
«Beh, sempre meglio togliersi di torno che evitare le persone di proposito» rispondo piccata avvicinandomi al suo viso «come mai sei qui oggi? Non vedo i soliti 50 metri di sicurezza che devi mettere tra di noi».
Finn spalanca gli occhioni nocciola indignato «tipico, proprio tipico, il mondo non gira intorno a te, Rae, e io non sto cercando di evitare proprio nessuno».
Ok, questa è una bugia.
Questa è una grossa, gigantesca, colossale palla!

«Questa è buona! Cos'è, pensi sia diventata anche cieca oltre che invisibile? Non lo sono per niente, e so benissimo quello che stai...».
«Time out!» Archie si frappone tra me e il bugiardo dalla lingua lunga e osserva entrambi con un'aria contrariata che non ammette repliche «vi sembra il luogo adatto per mettersi a discutere? Andate fuori a continuare... e usate toni civili, se ci riuscite».
Il solito diplomatico Grillo Parlante.
Se si aspetta che deponga l'ascia di guerra e chieda per l'ennesima volta a Finn di concedermi il privilegio di una chiacchierata non ha capito proprio nulla, ho smesso di ficcarmi la dignità sotto le scarpe, basta così.
Incrocio le braccia al petto gonfiando le guance, e sbatterei anche i piedi a terra se non lo trovassi un tantino infantile «per me possiamo anche chiuderla qui. Non ho nient'altro da aggiungere».
Ma un attimo dopo una forza insistente arpiona saldamente il mio polso e mi trascina verso la fine del teatro «vuoi cacciarmi anche dal teatro adesso? Non è tuo, non puoi fare il padrone anche qui!» urlo sguaiatamente provando a liberarmi dalla presa ferrea di Finn.
«Smettila di parlare a vanvera e vieni fuori con me» insiste il mio aguzzino prepotente, continuando a trascinarmi sotto lo sguardo allibito degli altri studenti presenti «non voglio dare spettacolo qui».
«Beh, tanto è un teatro, sono abituati!» sbuffo sonoramente.
Finn si blocca a metà strada tra il palco e l'uscita d'emergenza «questa potevi proprio risparmiartela» sottolinea un attimo prima di proseguire per la sua strada con rinnovata determinazione.
La linguaccia che lancio alla sua nuca mostrando tutta la mia maturità rimane per fortuna un segreto tra me e i suoi capelli.
Smetto di opporre resistenza comunque e lo seguo all'aria aperta, visto che ci siamo ne approfitto anche per sfiorare delicatamente la sua mano con i polpastrelli, è così morbida e calda, avvampo in un attimo.
Dio, sono fottuta, praticamente ha già vinto.
D'altronde peggio di così non può andare...

* * * * * * *



L'aria gelida della sera ci piomba addosso con tutta la sua intensità dopo il primo passo fuori dal teatro, odora di neve, e sui nostri volti accaldati ha lo stesso effetto di uno schiaffo in pieno viso.
Finn interrompe la sua marcia a pochi metri dall'ingresso, in un angolino appartato illuminato da un lampione intermittente, i fiocchi di neve hanno ricominciato a cadere con una certa intensità ora e fa davvero molto freddo.
«Si può sapere qual'è il tuo problema??» esclama a pochi centimetri dal mio viso dopo avermi liberato il polso con uno strattone.
«Il mio probelma?» questo è veramente il colmo «TU vieni a chiedere a ME qual'è il problema?».
«Hai già dimenticato cos'è successo là dentro? Sei stata tu a cominciare!».
Sembra veramente fuori di sé, possibile non capisca perché sono arrivata a questo punto? Non vede che è stata la sua totale chiusura nei miei confronti a farmi scattare?
«Sì, è vero» ammetto comunque mestamente nel tentativo di smorzare un po' i toni, Calma Rae, calma, non puoi sprecare questa occasione, devi parlare con lui, parlare, non litigarci «è che... q-quando hai detto a Izzy di aprirsi con noi mi è sembrato ridicolo. Perché tu non l'hai mai fatto... tu... tu con me non l'hai mai fatto. E noi siamo stati anche insieme... ma...».
Le parole, dove sono le parole? Chi me le ha rubate?!
Dio, perché dev'essere così complicato, perché? Come faccio a ragionare lucidamente e formulare frasi di senso compiuto se mi guarda con quegli occhioni spalancati? Perché devo essere io a spiegargli che il suo comportamento non è normale? Io che, tra tutti, sono la persona meno normale in assoluto.
Prendo un altro grosso respiro e attingo a tutte le riserve di spirito zen di cui dispongo, il battito del mio cuore deve per forza calmarsi, subito, perché sul serio, ci sono buone probabilità che mi esca fuori dal petto da un momento all'altro.
«Tu hai detto di amarmi e io ti ho creduto. Ti ho creduto sempre. Dicevi di voler far parte della mia vita, mi hai chiesto di non tenerti fuori dai miei problemi, mai, perché avremmo potuto affrontarli insieme. E io ho cercato di farlo, mi sono fidata ma... ma è stato difficile Finn, difficile da morire, e certe volte avrei preferito cavarmi gli occhi da sola piuttosto che raccontarti le mie stramberie. Ma l'ho fatto lo stesso, per te, non mi sono più nascosta» ed è la verità, è tutto talmente vero da fare male, con lui mi sono sentita e mi sento tuttora completamente esposta. «Ma negli ultimi giorni ho realizzato di essere stata l'unica a farlo perché tu... tu a me hai sempre tenuto nascosto tutto. Avevi tutta questa situazione incasinata con Eleonor e io sapevo a malapena che avessi una madre... Dio Santo, ti rendi conto della differenza?! Ti sembra giusto?!».
Le prime lacrime traditrici accarezzano le mie guance senza che possa minimamente ostacolarle, Finn davanti a me sembra impassibile a prima vista, ma le nocche sbiancate dei suoi pugni chiusi e la mascella serrata lo tradiscono, nonostante voglia ostentare sicurezza è sulle spine anche lui.
Non è ancora pronto a mollare però «devi smetterla con questa storiella Rae, ti ho già spiegato che non sono affari tuoi, che devi starne fuori, che...».
«Bla bla bla, smettila tu di dire questa stronzata!» lo interrompo bruscamente prima che possa ribadire per l'essesima volta quella sciocchezza «sono affari miei! Lo sono eccome!... TU sei affar mio!».
Alla mia ammissione disperata Finn distoglie lo sguardo puntandolo su un lato indefinito del cortile, infila i pugni nelle tasche della giacca e inspira profondamente una boccata d'aria ghiacciata. Se non fosse un momento tanto drammatico troverei quasi poetico essere qui fuori con lui, così vicini, sotto la neve. Ed è completamente ridicolo che mi venga in mente adesso un pensiero tanto smielato, del tutto fuoriluogo, ma è il mio modo "sulle nuvole" di vivere la sua vicinanza, è sempre stato così.
La tensione tra noi è palpabile ora e così in contrasto con la delicatezza che abbiamo intorno, Finn sta cercando le parole giuste per ribattere, vedo le rotelline del suo cervello vorticare all'impazzata anche da fuori. Quando torna a guardarmi dritto negli occhi però non c'è più traccia di incertezza sul suo viso, solo determinazione e nervosismo... ho un brutto presentimento.
«E poi finora siamo stati occupati da altro, non ti pare?» sussurra con una punta di sarcasmo.
«Che... che cosa vorresti dire?».
«Beh, quando avrei dovuto tirare fuori il discorso secondo te? Mentre mi avevi lasciato? Mentre eri a Sleaford? Mentre macinavo chilometri e chilometri con la macchina per venire a cercarti? Quando, Rae? Perché siamo sempre stati piuttosto indaffarati con i tuoi, di momenti no, per poterci concentrare anche sui miei».
«Non ci provare!» grido allibita, completamente sconvolta dall'acredine nelle sue parole «non provare a dare la colpa a me! Sì, è vero, ho avuto i miei problemi, ho fatto delle scelte veramente idiote in passato, ma ti avrei ascoltato sempre e tu lo sai! Lo avrei fatto Finn, e non provare a dire il contrario perché lo sai benissimo che farei qualunque cosa per te... Non... non puoi non saperlo...» sussurro le ultime parole in stato di shock.
So cosa sta cercando di fare, l'ho capito, non sono stupida fino a questo punto, vuole spostare l'attenzione dalla sua ipocrisia al mio egoismo. E magari è anche vero che spesso e volentieri sono stata concentrata esclusivamente su me stessa, ma io so, nel mio cuore so che se lui avesse fatto anche solo un tentativo per aprirsi con me non mi sarei mai, mai tirata indietro. Mai, nemmeno durante la peggiore delle crisi.
«Questa, q-questa è solo una bugia che ti racconti per convincerti che stai facendo la scelta giusta. Una bugia che racconti a te... come... come quelle che stai raccontando a me».
Finn è immobile a mezzo metro da me, continua a fissare il mio viso ma è come se mi guardasse attraverso, come se stesse facendo uno sforzo immane ad essere lì e fa così male, fa talmente male che il peso sullo stomaco sostenuto negli ultimi giorni si sta trasformando in una voragine di nulla.
Scuote la testa in segno di negazione, indignato «ma di quali bugie parli??».
«Del motivo per cui ce l'hai con me» ammetto, titubante «l'ho capito che non si tratta più di tua madre, sai? Pensi che sia stupida? Di te non so un mucchio di cose però ti conosco come le mie tasche, e so benissimo che non puoi avercela con me per quello. C'è dell'altro, solo... solo non riesco a capire cosa».
Ed è la verità, lo sappiamo entrambi, in questi giorni ci ho sbattuto la testa milioni di volte e non ci credo più alla storiella della violazione della privacy. Finn non è quel tipo di persona, non è uno stronzo supponente, se si comporta in questo modo significa che c'è qualcos'altro e adesso voglio sapere esattamente contro cosa sto combattento. Qualunque cosa lo stia allontanando da me potrebbe avere una soluzione se solo lui lo volesse, se solo mi desse una possibilità.
Dammene una, ti prego. Solo una...
Ma è chiaro che lui non ha nessuna intenzione di concedermene, perché messo alle strette indietreggia ancora fino a intraprendere una lenta marcia al contrario verso la porta da cui siamo usciti. Se ne sta andando, ancora una volta mi sta chiudendo fuori.
«Te l'ho già spiegato Rae... non... non si può sempre sistemare tutto. Certe volte bisogna accettare la realtà» dice un secondo prima di voltarmi definitivamente le spalle.

Il cuore corre talmente forte da azzerare l'interruzione tra un battito e l'altro. Non posso perderlo, non voglio, non ora che potremmo stare insieme sul serio, non ora che ho imparato a vivere nel mondo reale e a mostrarmi per la persona che sono davvero. Non ora che non ci sono più pillole che mi inibiscono i sentimenti e la mente, non quando l'amore che provo per lui è così forte da essermi convinta di poterlo essere io stessa nella vita.
È per tutti questi motivi che non posso mollare, è per mille validissime ragioni che le mie gambe in totale autogestione cominciano a muovere il primo timidissimo passo verso di lui... e poi il secondo, il terzo e via via aumentando di velocità fino a raggiungerlo.
«Aspetta, ti prego!» gli afferro la mano sinistra appena in tempo mentre l'altra è già abbassata sul maniglione antipanico dell'uscita d'emergenza del teatro «ti... ti prego Finn, per favore...» lo imploro ancora.
Lui non mi concede nemmeno il privilegio di vederlo voltarsi, ma la sua voce è traballante quando riempie di nuovo il silenzio «Rae, io...».
No, non andrà così, se vuoi lasciarmi devi almeno permettermi di dirti tutto.
Ho chiuso con i rimpianti.

Tiro con forza il braccio precedentemente arpionato e lo costringo a voltarsi verso di me. Le mie mani incerte si posano delicatamente sulle sue guance caldissime, ti prego guardami negli occhi, è il sottinteso del mio gesto, perché so che lì troverà la verità di quanto sto per dirgli. E non ho idea di come sia possibile che i miei polmoni siano ancora in funzione perché Finn è bello da mozzare il fiato, i suoi occhi sono così intensi, caldi, quasi liquidi, e sono dotati di una dolcezza che mi fa tremare le gambe ogni volta che mi guarda a distanza ravvicinata come adesso.
Sembra così indifeso all'improvviso, avvicina una guancia e poi l'altra al mio tocco come un gattino in cerca di coccole, socchiudendo gli occhi. E lo so che si sta maledicendo internamente per questa debolezza ma è comunque una piccola vittoria, significa che da qualche parte sotto a tutta quell'indifferenza e al cinismo ostentato il mio Finn esiste ancora.
Eccoti finalmente...
«Tu non hai idea di quanto hai significato per me Finn... di quanto signichi tuttora. Prima di conoscere te la mia specialità era passare inosservata» sorrido al ricordo delle stravaganze compiute in tal senso «pregavo di diventare invisibile, sai? Ero... ero felicissima di sentirmi dire frasi tipo "non mi ricordo di te" oppure "non ti avevo vista", perché significava non essere risultata quella stramba, quella diversa. Avevo il terrore di essere notata, fraintesa. Poi... poi ho conosciuto te, e per la prima volta in vita mia ho desiderato essere guardata davvero. Ho desiderato conoscerti e che tu mi conoscessi, ho desiderato entrare a far parte della tua vita con tutta me stessa e quando questo è successo non ci potevo credere. Ero così felice che sembrava un miracolo».
Siamo vicini, così vicini che le nuvolette prodotte dai nostri respiri si rincorrono, volano leggere e si fondono nell'aria incanalando la stessa identica emozione.
Finn non dice una parola, rimane semplicemente incantato a fissarmi mentre l'accenno di un sorriso gli piega leggermente le labbra dando vita a quel prodigio meraviglioso delle fossette, riesco a sentirle appena sotto i polpastrelli ma sono lì, l'unica dimostrazione tangibile di un momento di felicità.
«Il tuo amore per me è diventato amore per me stessa. Accettando te ho accettato il modo in cui tu mi guardavi e incredibilmente ho cominciato a guardarmi allo stesso modo, tutti i miei difetti sono diventati caratteristiche, sfumature, e tutto grazie a te» gli sfioro piano le guance in punta di dita beandomi del calore della sua pelle, «è stato grazie a te Finn. Tutto grazie a te, perché mi sono detta che se una persona speciale come te voleva me forse... forse potevo essere un po' speciale anch'io. E non puoi ignorarmi Finn, non puoi camminare per i corridoi e fingere di non vedermi, non puoi trattarmi come se fossi invibile. Perché ti amo... ti amo, e se sono invisibile per te... sono invisibile e basta».
Dirgli "ti amo" è la sensazione più forte mai provata nella mia vita, l'ammissione più vera e sincera che potessi fare, è solo pronunciando quelle due parole, dandogli vita e lasciandole libere di arrivare a destinazione che sollevo il nodo in gola trattenuto per settimane. Dal ricovero a Sleaford, forse addirittura da prima.
Finn continua a fissarmi incredulo trattenendo il respiro, i suoi occhi viaggiano freneticamente dai miei occhi alle mie labbra e il suo respiro mi solletica la pelle. Sotto gli strati di vestiti sono un unico inesauribile brivido, che si propaga in tutto il corpo nel momento in cui appoggia le mani sulle mie, ancora adagiate sulle sue guance.
Chiudo gli occhi al leggero movimento della sua testa verso di me, pregando in tutte le lingue del mondo che il mio cuore sia preparato a reggere anche un bacio dopo tutto quello che è successo stasera.
... ma evidentemente è destino che non lo sappia mai...

«Ragazzi!» esordisce una vocetta fastidiosa a pochi passi da noi.
È un incubo, per favore ditemi che è un incubo.
Finn si sottrae immediatamente al contatto come ustionato, ha il respiro affannato e lo sguardo imbarazzato mentre ritrova lucidità e con un paio di passi si allontana da me ristabilendo una nuova distanza.
No! Ditemi che non sta succedendo davvero, ti prego vattene via! ripeto nella mia testa come un mantra, come se quella preghiera silenziosa avesse il potere di far dissolvere una persona nell'aria.
Elle ci viene incontro a grandi falcate, leggermente in debito d'aria come se fosse appena reduce da una corsa e stringe tra le braccia la sua inseparabile macchina fotografica. Ci sono borse, tracolle e cartelline che spuntano dappertutto intorno a lei, niente che non abbia già visto un milione di volte.
Vorrei ucciderla a sangue freddo, strozzarla a mani nude.
O ficcarle una palla di neve direttamente in gola, sarebbe più scenografico.
«Avevo paura di non trovare più nessuno a quest'ora, volevo farvi vedere le foto. Ci sono anche gli altri?» domanda entusiasta bloccandosi a pochi passi da noi, del tutto inconsapevole del momento appena interrotto.
Le foto, giusto, in questi ultimi giorni di prove ha gironzolato spesso in teatro macchina fotografica alla mano, è praticamente diventata un incubo continuo di "clic", efficiente, silenziosa e rapida come un ninja. Ho ricordi molto vaghi e confusi riguardo una spiegazione sull'esposizione della luce seguita dal suo proposito di mostrarci gli scatti quanto prima.
Pessimo, pessimo tempismo.
Davanti al nostro mutismo ostentato si schiarisce la voce leggermente a disagio, poi all'improvviso si focalizza su Finn come se fosse stata appena colta da una rivelazione «ma tu non avevi il treno alle sette? Come mai sei ancora qui?» gli domanda.
Momento, momento, momento.
Treno?
Treno alle sette?
Finn doveva prendere un treno alle sette?
Tutta la mia attenzione converge immediatamente verso il paio di occhi nocciola che rimbalzano a disagio tra me ed Elle senza sapere cosa dire.
«S-si, cioè no. Alla fine abbiamo cambiato date» borbotta in risposta.
Ok, che cosa mi sono persa?
La mia lingua si scioglie all'istante e mi rivolgo direttamente a lui «treno? Devi andare da qualche parte?».
La prima cosa che salta agli occhi alla mia domanda è il disagio di Elle. Non dice una parola ma il suo pensiero è lampante, credeva di aver detto qualcosa di cui fossi già a conoscenza.
Dal canto suo Finn diventa più taciturno di secondo in secondo, tant'è che è la nostra amica comune a rispondere per lui «oh, beh, no, scusate probabilmente devo essermi confusa» ridacchia gesticolando nervosamente «sono così distratta che ogni volta capisco una cosa per un'altra...».
Sì, ti credo sulla parola, stanne certa.
Elle è una pessima bugiarda e Finn non è migliore di lei. Sospira stancamente un paio di volte prima di prendere la parola «sarei dovuto partire con mia madre oggi, per una settimana di vacanza a Londra» ammette rivolgendosi direttamente a me «ma non mi andava di lasciare mio padre da solo per Natale, quindi abbiamo spostato la partenza al 27».
Black out totale.
Cosa divolo significa?!
Chi mi ha cancellato una parte di memoria?!
Dev'essere così per forza perché quello che ho appena ascoltato non ha il minimo senso.

«Scusa Finn» si intromette un'imbarazzatissima Elle «l'altra sera ne parlavi con Archie e Chloe, pensavo l'avessi detto a tutti».
A tutti...
La mia mente registra solo poche parole, e sono, nell'ordine: Chloe, Archie, Elle e Eleonor.
Tutti...
Sono l'unica che non può nemmeno provare a nominarla quindi? Con gli altri ne parli tranquillamente?
Sono allibita, davvero, all'idea che Elle, una persona che Finn conosce... da quanto? Un paio di mesi? Sappia di lui qualcosa che per me è totalmente off-limits.
Va bene che non siamo stati in buoni rapporti ultimamente, ma una vacanza con Eleonor significa riavvicinamento, significa parole, significa discussioni, significa avvenimenti importantissimi di cui sono stata tenuta all'oscuro.
Solo io, l'unica.
Lui la detestava fino a pochi giorni fa, no, no, la odiava proprio. E adesso parte con lei...
Il mio sguardo è fisso sull'asfalto ma percepisco distintamente due paia di occhi focalizzati su di me, Elle e Finn aspettano che dica qualcosa, che abbia una reazione, ma cosa posso dire? Mi sento un guscio vuoto in questo momento, mi viene da vomitare.
«Rae...» una persona che decisamente ho smesso di conoscere allunga una mano verso di me «Rae, io...».
NO. NO. NO.
NO.

Non mi ero nemmeno resa conto di aver cominciato a indietreggiare, ho le braccia tese davanti a me e nessuna intenzione di farmi toccare, da nessuno, tantomeno da Finn perché aria, ho bisogno di aria. Ho bisogno di ossigeno e di mettere una certa distanza tra me e lo stronzo menefreghista che ha appena deciso di spezzarmi il cuore in mille frammenti microscopici.
Come dovrei fare a tenerli insieme adesso, come?
L'idea di essere stata tagliata fuori dalla sua vita mi paralizza, è molto più di quanto possa sopportare.
Noncuranza significa mancanza di interesse, mancanza di interesse significa indifferenza, e l'indifferenza è qualcosa che non posso gestire.
Qualcosa cui non posso rimediare.
È anche peggio dell'odio.
Mi concedo di guardarlo negli occhi un secondo, un secondo solo prima che esploda in un pianto disperato «spero... spero che vada tutto bene con tua madre».
«Rae..» prova ad interrompermi Finn.
«Spero che andrà bene e che vi divertirete insieme. A... a quanto pare alla fine una lista ce l'hai davvero, no?».
«Rae, aspetta un secondo, non pensare che...».
«Solo che a quanto pare è molto più corta di quanto pensassi. Non riguarda chi può essere messo a conoscenza delle tue cose... no» scuoto la testa tra me e me impedendo qualsiasi tipo di nuova interruzione «... no... no... riguarda chi NON può conoscerle. Giustamente è più facile, molto più corta... Sc-scommetto di essere la prima voce» considero, mentre sorrido fintamente per evitare di crollare e accartocciarmi su me stessa a terra.
Quindi è così.
È questo che si prova quando finisce tutto.
"Non si può sempre sistemare tutto Rae, certe volte bisogna accettare la realtà e basta" così ha detto... già... accettare la realtà...

«Mi dispiace di non poter rimanere per guardare le tue foto Elle» la fisso sfoggiando il sorriso tremolante più finto che essere umano abbia mai concepito «ma adesso devo proprio andare, saranno sicuramente bellissime».
Pronuncio l'ultima frase mentre sto già correndo, perché non mi vedrà piangere ancora, no, non gli permetterò di ridicolizzare anche le mie lacrime.
Ho sbagliato tutto, ogni cosa, per lui non sono nessuno. Nessuno.
Non alzo la testa per guardare davanti a me, mi concentro sull'asfalto e sulle mie gambe che acquistano velocità, non alzo la testa nemmeno quando sento la voce di Finn ripetere il mio nome ad alta voce più volte. Non la alzo per voltarmi e nemmeno per rispondere, continuo la mia corsa fino alla fine della strada, lontana dai loro occhi, lontana da Finn.
Finn... che non ha nemmeno perso tempo a seguirmi.

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Entrare qui ormai è diventata fonte inesauribile di vergogna, è passata un'eternità, lo so, perdonatemi. Non voglio accampare scuse di nessun tipo perché sarebbero perfettamente inutili, mi dispiace infinitamente punto e basta.
Vi lascio due righe striminzite per dare qualche piccola informazione di servizio.
Il prossimo, e ultimo, capitolo verrà pubblicato tra due settimane circa.
Direte voi "non ci credo nemmeno se lo vedo", avete almeno in parte ragione considerando i tempi biblici di pubblicazione degli ultimi capitoli, ma, c'è un ma.
La storia nella mia mente è conclusa, ho una gran voglia di mettere la parola fiine e ho già cominciato la stesura.
Quindi riassumendo, due settimane: il 10 Giugno.
Ci sarà anche un epilogo, diciamo che me lo tengo un po' come se fosse un jolly, perché nel caso in cui dovessi dilungarmi eccessivamente spezzerò e lo utilizzerò come conclusione della storia vera e propria. Chi vivrà vedrà, le mie doti di sintesi sono pressoché nulle quindi potrebbe facilmente capitare.
Ma non temete, in tal caso si tratterà comunque di un intervallo di tempo sempre di un paio di settimane. Non di più.
E niente, tutto qui. Ringrazio quante mi hanno scritto in privato per incitarmi a continuare, per ringraziarmi (a quanto pare questa terza stagione ha deluso tante persone) o semplicemente per salutare, mi fa sempre un enorme piacere constatare che non me la canto e me la suono da sola, ecco.
Al prossimo capitolo (non vi spoilero niente, abbiate pazienza è l'ultimo capitolo, più o meno, e non mi sembrerebbe per niente carino. Vi dico solo che ci sarà anche un piccolo POV di Finn).
:)
   
 
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