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Autore: Shichan    27/05/2016    1 recensioni
Miyuki sa meglio di chiunque altro che a volte è più facile annientare gli altri che soffocare se stessi, eppure ora guarda Eijun e pensa sarebbe comodo conoscere un modo per non dover fare né l'una né l'altra cosa.
Mei è pieno del suo talento, passa le dita sul pianoforte come se le passasse sul proprio corpo, perché lo strumento non è un tramite ma espressione pura di sé.
Satoru è stato così abituato alla figura che vedeva nello specchio, da trovare insopportabile il pensiero di poter essere qualcosa di diverso - o di volerlo diventare: finge meglio di quanto lui stesso creda, tranne che con Haruichi.
Per tutti e tre, respirare non è mai stato così difficile.
[MiSawa, FuruHaru, MiyuMei (passata); tematiche delicate, consigliata la lettura delle note al primo capitolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Eijun Sawamura, Kazuya Miyuki, Mei Narumiya, Satoru Furuya
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Il silenzio in bus è qualcosa a cui Miyuki non è mai stato abituato. Mezzi pubblici come quello o la metro sono abbastanza affollati, di solito, perché un minimo di vociare aleggi senza troppe pretese nei vagoni o nel mezzo di per sé; certo, forse il fatto che sia un orario particolare del sabato mattina – non l’ora di punta in cui gli impiegati si muovono da casa per andare al lavoro, né l’ora di pranzo che vede rientrare le più svariate categorie di cittadini giapponesi – aiuta a far sì che lui viaggi con pochi occupanti insieme a lui, come qualche sera prima.
Il tragitto verso casa di Eijun è più abituale di quanto Kazuya stesso voglia o riesca a credere, diventato familiare come quello che fa per andare all’università quando ha lezione: non deve più prestare la massima attenzione per essere sicuro di scendere alla fermata giusta,  né controllare la strada percorsa a piedi per quei pochi minuti di cammino necessari a coprire la distanza tra la fermata dell’autobus e casa Sawamura. Non si tratta, tuttavia, di una familiarità dal significato preciso, poiché formatasi prima di qualsiasi dichiarazione, grazie a incontri settimanali dovuti a un rapporto più simile a quello lavorativo che non a quello informale tra due persone. È anche in assenza di un vero e proprio bisogno di guardare dove stia andando che Kazuya ha il tempo di riformulare nella propria testa il breve scambio di messaggi tra lui ed Eijun, oltre che a ripercorrere in silenzio gli ultimi scambi tra loro e riscopre così quanto poco sia portato alle situazioni non chiare, lasciate in sospeso, e come risulti inesistente in lui una qualsiasi inclinazione al compromesso, di cui finora non ha mai avuto davvero bisogno.
Si chiede, a pochi passi dall’abitazione dei Sawamura, se dare il proprio consenso a passare la notte lì da solo con Eijun non sia stata una delle – sempre più numerose – scelte discutibili dell’ultimo periodo. Aggiustando la tracolla del borsone usato per portare con sé l’occorrente, ferma i propri piedi a un paio di passi dall’ingresso dove fa mostra di sé la targhetta con il cognome della famiglia dell’altro ragazzo; gli è ancora incomprensibile la natura di quell’invito.

Quando suona il campanello, Eijun si ostina per qualche secondo a far finta di controllare il cellulare con una nonchalance che non esiste davvero nella sua persona in quel momento, come se andare ad aprire non fosse la priorità e come se non avesse fatto altro che passeggiare avanti e indietro per il corridoio d’ingresso fino a qualche minuto prima. Lo schermo del tuo telefono gli mostra il messaggio di Haruichi di quella mattina, un semplice “buona fortuna, Eijun. Andrà tutto bene” di cui aveva un bisogno smisurato e nel quale, tuttavia, ora non riesce a credere.
In diciotto anni di vita Eijun può vantare di essersi pentito poche volte delle cose fatte o delle decisioni prese: certo le ha riconsiderate in parte, ha riconosciuto di aver gestito male delle situazioni a causa di un carattere prettamente impulsivo e istintivo, ma non si è mai pentito; non è sicuro di poter ancora vantare la stessa cosa anche adesso, mentre guarda il citofono come se quello dovesse mangiargli l’orecchio nel momento stesso in cui lo avvicinerà per sentire gracchiare dall’altra parte la voce di Miyuki – in effetti decide di non alzarlo nemmeno e di aprire direttamente la porta, per guardare e accertarsi si tratti del suo ospite, così da aprirgli il cancelletto con il pulsante di quel mostro elettronico che si fa beffe di lui (nella sua testa).
A distanza di un vialetto breve, il viso di Miyuki è rivolto al citofono in attesa di una risposta che non arriva; non è molto il tempo che concede a Eijun per osservarlo e cercare di sbirciare la sua espressione prima di ritrovarsi davanti qualcosa di non meglio identificato a celare buona parte dei pensieri altrui, qualcosa alla quale si è abituato controvoglia nell’ultimo periodo. Purtroppo, non vede molto altro oltre alla confusione per una mancata risposta, che si spiega – lo capisce nel distendersi di qualche ruga d’espressione e delle sopracciglia aggrottate – quando alzando lo sguardo lo inquadra di rimando. Eijun gli sorride, sparendo oltre la porta e pigiando il pulsante per aprirgli il cancelletto e lasciargli libero accesso alla propria casa, e non ci vuole molto perché Miyuki sia alla porta e varchi la soglia.
La prima cosa che colpisce l’attenzione di Eijun è il borsone dell’altro, perché troppo abituato a usarne lui stesso per le trasferte con la squadra e dunque riconoscerne uno simile non è difficile; non reca scritte particolari se non la marca e, su un lato, la targhetta appena scolorita su cui si riescono comunque a leggere gli ideogrammi del nome e cognome di Miyuki. Ci si sofferma poco, perché quasi subito si muove per chiudere la porta e mostrare all’altro le pantofole per gli ospiti.
«Puoi lasciare il borsone all’ingresso se vuoi, lo portiamo su dopo.» assicura, certo di non dover fare gli onori di casa come se fosse la prima volta che l’altro è ospite e conscio di come Miyuki conosca la planimetria della sua abitazione senza che lui si sprechi a illustrargliela – cosa che rende più strano di quanto avrebbe creduto il trovare un valido argomento di conversazione.
Forse invitare Miyuki dopo gli ultimi incontri che hanno avuto non è stata una grande idea; com’è ovvio, lui ci pensa quando è  troppo tardi.
Kazuya ai suoi occhi non sembra granché agitato, ma quello non è poi molto indicativo visto che non è comunque uno stato d’animo tipico dell’altro nemmeno in condizioni normali. Lo osserva posare il borsone lì come indicato, privarsi delle scarpe nel genkan e inforcare le pantofole come ha fatto altre volte, ogni settimana durante la sua preparazione agli esami di ammissione. Lo nota guardarsi intorno per qualche istante, ed Eijun non riesce a indovinare di cosa l’altro stia cercando di sincerarsi – forse della reale assenza o meno di altri membri della famiglia Sawamura. Sembra prendere coscienza della situazione in breve tempo, però, considerando come si volti a guardarlo come se nulla fosse.
«Dove sono andati i tuoi?» è la domanda posta da Miyuki, ed Eijun non ne è sicuro ma suppone l’altro stia cercando di rompere il ghiaccio in qualche modo. Decide che guidarlo in salotto, tanto per cominciare, può essere una buona idea: «A Nagano.» replica distratto, ma uno sbuffo divertito da parte dell’altro lo fa voltare di nuovo in sua direzione dopo appena due passi.
«Sì» osserva Miyuki «quello me lo avevi scritto per messaggio. Intendevo dove, a Nagano.» aggiunge con una sottile presa in giro insita nel suo tono di voce. Eijun s’imbroncia senza quasi accorgersene, forse perché è la cosa più naturale che si è concesso da quando Miyuki ha suonato il citofono: «Non ci stavo pensando.» bofonchia «Comunque una cugina di sposa. Una cugina di secondo grado, credo, cioè è la figlia della cugina di mia madre… o qualcosa del genere.» replica, abbastanza confuso anche lui sulla parentela.
«E tu sei stato esonerato dal partecipare?»
«No, ma insomma, i pochi parenti della mia età sono rimasti tutti a casa per il periodo di ammissioni all’università o per non perdere giorni di scuola e quindi…» aggiunge, lasciando cadere la frase senza il bisogno di una reale conclusione per intuire il resto. In salotto gli fa cenno di sedersi dove preferisce, l’arredamento occidentale della casa che offre come opzione il divano o la poltroncina dove si sistema di solito suo nonno; con la coda dell’occhio Eijun lo vede optare per il primo e dunque si muove verso la tv poco distante, recuperandone il telecomando e voltandosi verso Miyuki, l’aria decisa a non lasciare che la loro ultima conversazione renda quel week-end invivibile.
«Film o videogioco?» domanda a bruciapelo, come se un’altra opzione al di fuori di quelle due non fosse contemplata – e in effetti non lo è: l’orologio indica un orario ancora poco indicato a preoccuparsi della cena, che dal suo punto di vista sarà ordinata al suo ristorante di fiducia, perché non ha nessuna intenzione di permettere a Miyuki di prendersi gioco dei suoi tentativi di cucina.
«Sawamura.»
«Non ti farò scegliere qualcosa che non sia una delle due opzioni che—»
«Cosa vuoi mangiare per cena?»
«…pensavo di ordinare» inizia, ma il lieve sospiro di Miyuki e la sua espressione da “lo sapevo” lo fanno tacere prima di poter concludere la frase. Sente i muscoli del proprio viso contrarsi in un’espressione indispettita e sta già prendendo aria nei polmoni al fine di rifilargli una filippica su quanto potrebbe rendersi più apprezzabile dell’aculeo di un riccio piantato al centro del piede in maniera piuttosto dolorosa, quando l’altro si salva in corner con un: «Se il tuo frigo non è del tutto vuoto, posso cucinare io.» afferma, lasciando Eijun del tutto spiazzato e senza dargli il tempo di chiedere granché, vista l’aggiunta di un semplice «Un film andrà bene. Non potrei mai privare Kuramochi della gioia di batterti ai videogame.»
La scelta del film da vedere li impegna per ben dieci minuti, in cui appare evidente come non siano per nulla accomunati da gusti cinematografici simili e alla fine dei quali Eijun decide che il modo migliore di scegliere è affidarsi alla casualità. Impiegano altri dieci minuti a portare dalla stanza di Eijun al salotto il portatile del padrone di casa, attaccarlo alla tv e tirar fuori un buon sito di film in streaming. Miyuki teme il peggio quando, sbirciando sullo schermo, vede l’altro aprire la lista dei titoli, chiudere gli occhi e tenere pigiato il tasto che fa scorrere la lista: quando lo ferma, il titolo che la schermata gli rimanda è quello di un film di sicuro appartenente al genere romantico. Lasciano passare qualche momento, per dare tempo allo streaming di caricarsi, e in quel frangente Eijun recupera dalla cucina da bere e qualche stuzzichino; poco dopo fa partire il film, lo schermo ampio della televisione che cattura la loro attenzione quando sono entrambi accomodati sul divano.
Dura pressoché due ore e la cosa che stupisce di più Miyuki non ha nulla a che vedere con la pellicola. Lo sforzo per non ridere è quasi disumano.
«Smetti di fare quella faccia, lo so che stai ridendo di me!» sbraita Eijun e Miyuki si chiede come possa aver sperato di vederlo impassibile quando a un certo punto, nel mezzo del film, ha sentito tirare su con il naso al proprio fianco e voltandosi – non senza una certa incredulità – si è ritrovato davanti un Sawamura in lacrime che: «No, Riko-chan non ti arrendere!»
Non pensa esista qualcuno in grado di non ridere di fronte a una scena simile. Si sente superiore a qualsiasi essere umano per una manciata di secondi, anche se ora lascia scappare uno sbuffo divertito che si tramuta presto in risata. In risposta, Eijun gli dà una spallata per poi soffiarsi il naso e pronunciare nello stesso momento un: «Non è colpa mia se tu sei arido dentro, va bene?!»
«Hai ragione, ma la tua anima di fanciulla delicata è stata una sorpresa.» lo prende in giro, e fa appena in tempo a ripararsi da una cuscinata. A dire il vero non si aspettava un’atmosfera così tranquilla e giocosa – non ci sperava, più che altro. La preferisce di gran lunga agli interminabili silenzi pieni di domande inespresse e di risposte negate, a cui si è aggiunta l’ombra di una terza persona che sperava di non sovrapporre mai a nessun altro; per fortuna, senza neanche farlo di proposito suppone, Eijun riesce a mostrargli quanto poco ci sia in comune tra lui e Mei e quella presenza di fa meno pressante.
A volte Miyuki si chiede se sparirà mai del tutto come finge sia già avvenuto da tempo.
«Andiamo,» pronuncia con un mezzo sorriso, interrompendo la furia vendicativa di Eijun che si ferma con il cuscino sollevato e pronto a colpire, sull’espressione l’indecisione tra l’assestargli un altro colpo o mostrarsi misericordioso: «ti faccio l’onore di preparare la cena.» ironizza Miyuki e tanto sembra bastare a far prendere all’altro una decisione – la comunica il suo stomaco, brontolando.
Ricorda dove si trova la cucina di Sawamura, ma si lascia comunque guidare, più per educazione che non per reale bisogno. Di certo, una volta dentro, vi si muove in maniera diversa: la prima volta è stato lì da osservatore, da ospite, guardando Eijun e sua madre interagire; ora cerca con lo sguardo gli utensili in vista, prova a indovinare cosa nasconda ogni sportello secondo un posizionamento di solito comune a un po’ tutti gli spazi dediti alla preparazione dei pasti. Appeso in vista nota quasi subito il grembiule e se ne appropria, indossandolo nella semplicità della stoffa blu: gli ci vuole un po’ giusto per le pentole, abituato ad averle nei ripiani alti e trovandole invece in quelli bassi, grazie a uno spazio di certo maggiore di quello offerto dall’angolo cottura del suo appartamento. Eijun dapprima gli gironzola intorno incerto, forse con l’intento di essere vicino qualora servisse il suo aiuto – ed è così, dal momento che Kazuya non vuole frugare in casa d’altri per trovare gli ingredienti – ma una volta trovato tutto il necessario, lo fa sedere. Non dura molto, giusto il tempo di preparare le prime cose e mettere una delle padelle sul fuoco che Eijun è di nuovo in piedi. Con la coda dell’occhio lo vede cercare di mantenere una distanza tale da non essergli d’intralcio, anche se a tratti la curiosità vince e Miyuki se lo ritrova a pochi passi.
«Quando hai imparato a cucinare?» domanda Eijun, sorprendendolo un po’ in effetti.
«Da piccolo, per le cose semplici. Mio padre lavorava tutto il giorno, così quando tornavo a casa mi facevo il pranzo da solo.» spiega, assicurandosi di non tagliarsi mentre il rumore ritmico del coltello contro il tagliere riempie l’aria e fa da sottofondo mentre parla «E mi piace, quindi ho continuato. Poi vivendo da solo non potevo affidarmi solo al cibo da conbini.» aggiunge, con un mezzo sorriso e un’occhiata veloce a Eijun; quando ne vede il broncio capisce che l’altro ha colto il sottile riferimento alle sue intenzioni per la cena di quella sera prima che Miyuki prendesse il controllo della cosa.
«Non penso di essere bravo come tua madre,» continua Kazuya «ma posso garantire lo stesso sul sapore.»
Eijun a un certo punto si offre di apparecchiare, o meglio ancora inizia a muoversi per prendere l’occorrente senza davvero comunicarglielo. Kazuya si volta a guardarlo per momenti brevi, così da non distogliere troppo a lungo l’attenzione dalla cena quasi pronta, ma non può fare a meno di notare come sia strano e al tempo stesso familiare in un modo bizzarro come Eijun si sposti nella stanza, e lui si sposti per permettergli di prendere questo o quell’oggetto quasi condividessero spesso gli stessi spazi. Durante la preparazione, come anche mentre mangiano, non una sola volta Sawamura gli domanda perché non fosse sua madre a occuparsi del pranzo.
Gliene è grato.

Il dopocena è passato inaspettatamente veloce: Eijun ha insistito per lavare i piatti, e quando Miyuki si è offerto di aiutarlo lo ha costretto a sedersi – «Sei ospite, che padrone di casa sarei se ti facessi fare anche questo?» – dandogli modo di osservarlo, sebbene sia sicuro l’altro non ci abbia neanche pensato. Kazuya si è ben guardato dal farglielo notare, approfittandone, e dopo quella parentesi così casalinga hanno trovato di nuovo posto sul divano. Se l’idea iniziale è stata scorrere i canali della televisione alla ricerca di qualcosa di decente da vedere, il proposito si è perso quasi subito: è stato strano ritrovarsi a parlare, lasciando il programma in corso come semplice ronzio di sottofondo, ma non una brutta cosa. Miyuki ha sentito di apprezzare più di quanto avrebbe mai pensato la normalità della loro conversazione – baseball, idee sul futuro, qualche aneddoto dei tempi del liceo con Kuramochi, tutt’altro che lontani.
Decidono di spostarsi quando i piedi di entrambi stanno iniziando a gelarsi, lì sul divano e fermi nella stessa posizione; a Miyuki viene offerto di nuovo di usare il bagno per primo e non fa storie, recuperando dal proprio borsone l’occorrente per cambiarsi, Eijun che da metà scala pronuncia un «Gli asciugamani sono già in bagno!» continuando a salire. Kazuya si prende il suo tempo, non tanto per cambiarsi, quanto per darne anche a Eijun: sa di essere stato esplicito nelle ultime occasioni in cui hanno affrontato argomenti che avrebbe preferito tenere per sé ancora per un po’, ma la sensazione di essere da solo con Eijun in casa è comunque lì, presente. In modo diverso da come lo sarebbe se Sawamura fosse una ragazza, e ancora diverso da come sarebbe se Miyuki non gli avesse apertamente detto che non ha intenzione di avere con lui alcun tipo di esperienza sessuale.  Per quanto Eijun abbia dichiarato più di una volta come la cosa gli vada bene, il dubbio e il sospetto sono annidati lì da qualche parte e Kazuya vorrebbe davvero, davvero liberarsene senza fare un torto al più giovane ma è più forte di lui.
Certo la situazione prende una piega del tutto inaspettata quando, abbandonato il bagno e raggiunta la stanza di Eijun, nel varcarne la soglia lo trova intento a sistemare il futon a terra come l’ultima volta. Peccato il loro rapporto sia in qualche modo diverso da allora, al punto che vedere quel materasso per gli ospiti lo porta a sorridere prima e a sbuffare divertito poi: non sa se Sawamura voglia mostrargli così la sua determinazione a non chiedergli nulla di più di quanto Miyuki si sia detto pronto a dare o se si tratti di una manovra data dal nervosismo e dal non sapere cosa fare. Fatto sta che lo fa sentire molto meglio di quanto Eijun stesso si renda conto, forse.
«E quello?» lo interroga, con una nota divertita nel tono che cerca di celare. Eijun guarda con insistenza il proprio operato, come se fosse quello a dovergli suggerire la risposta.
«Beh, ho pensato…» borbotta, alzando gli occhi su di lui e indicandogli il futon come si farebbe con l’uscita, rivolti a una persona importante: «Prego, Miyuki-senpai!» esclama Eijun e quello sì, lo fa ridere. A giudicare dall’espressione di Sawamura deve essere la prima volta che ride apertamente in quel modo, con lui, perché quando gli presta di nuovo attenzione l’espressione dell’altro è stupita, la bocca un poco aperta, incapace di contenere la sorpresa tanto da non lasciare alcuno spazio a un broncio o a un’offesa. Miyuki avvicina l’indice all’angolo del proprio occhio, asciugando un accenno di lacrima per la risata scemata: «Sul serio? Non mi hai mai chiamato senpai da quando ti ho fatto notare che sarebbe stato il caso.» sottolinea, vedendolo assumere un’aria imbarazzata che di certo potrebbe celare, se non fosse così trasparente nelle proprie emozioni.
«Potresti anche non ridere in quel modo per una cosa così.» lo sente borbottare e sospira, muovendosi verso di lui. Ci vuole poco a passargli un braccio attorno alle spalle, nonostante la posizione di Eijun non renda il movimento del tutto fluido, per poi trascinarlo di pochi passi fino al letto. Si siede, e spinge l’altro a fare lo stesso per inerzia del proprio spostamento, niente di più; lascia andare Eijun, ma si lascia anche cadere sdraiato sul materasso visto che la propria posizione – leggermente di sbieco rispetto al letto – glielo permette senza che ci sia il rischio di finire a dare una testata contro il muro. Sente lo sguardo dell’altro su di sé, ma non si mette fretta nello stabilire un contatto visivo tra loro. Quando lo fa trova Eijun a guardarlo, la fronte un poco aggrottata, di certo confuso; Kazuya si muove, si sistema su un fianco e con una mano dà un paio di pacche leggere al materasso in un invito eloquente. Eijun sembra un po’ un animale sulla difensiva mentre, con più lentezza di quanta lo animerebbe di solito, si libera delle pantofole ai propri piedi e si stende. Il risultato è una posizione del tutto innaturale, con Sawamura supino e intento a fissare con insistenza il soffitto. Lo sbuffo divertito è qualcosa che Kazuya non riesce a risparmiare tanto a se stesso quanto all’altro, ma è qualcosa di breve, non si trasforma in una risata e lui si muove a propria volta, imitando l’altro nella scelta della sua medesima posizione. Un po’ come se guardassero lo stelle, peccato che tutto ciò su cui possono posare gli occhi siano le venature del legno.
Il silenzio, a metà fra uno scomodo e pregno di disagio e uno naturale, riempie la stanza di Eijun per un tempo lungo abbastanza da rendere plausibile l’essersi addormentati, se solo entrambi non si lanciassero di tanto in tanto un’occhiata discreta. Alla fine, Miyuki è conscio di non poter lasciare sempre che dell’inizio dei loro discorsi si occupi Sawamura: «Dormire insieme non è un problema.» è il modo in cui articola il suo pensiero, molto più complesso di quanto quella semplice frase possa esprimere, ma non aggiunge altro e lascia invece che la propria affermazione aleggi tra loro. Per quel che può vedere, il corpo accanto al suo non si irrigidisce né sussulta, così prosegue quando si potrebbe credere il discorso sia nato e morto in una sola frase: «In verità poche cose possono diventarlo. Un problema, intendo.» chiarisce. Non è così facile, soprattutto perché ha affrontato una sola volta quel tipo di discorso e con toni molto diversi, tanto che sovrapporre le due situazioni è pressoché impossibile. Ciò non gli impedisce di avere, nitida e precisa in un angolo della propria mente, un’immagine fatta più di suoni che non di volti, di voci dai toni troppo alti, di tentativi di comprendere e farsi comprendere falliti in maniera totale.
È la mano di Eijun a distrarlo, sfiorando incerto la sua un paio di volte prima che le dita si intreccino con quelle di Kazuya, portandolo ad abbassare appena lo sguardo per cercare conferma visiva del gesto; torna quasi subito a guardare Sawamura, però, notandone un’espressione confusa, più che preoccupata. Prima che possa chiedere qualcosa, lo sente muovere i piedi per spingere più verso la fine del letto le coperte già sistemate in precedenza perché lo accogliessero, e con una manovra buffa – e piuttosto sgraziata, a essere sinceri – vi infila i piedi sotto e smuove il tutto abbastanza perché gli basti allungare una mano per arrivare a recuperarle. Miyuki non capisce per quale motivo Eijun non apra bocca, lui che a volte sembra faticare a tenerla chiusa, compreso in quel momento mentre lo guarda come a suggerirgli solo con gli occhi di imitarlo, cosicché possa coprire entrambi. La stanza è calda, ma in effetti il clima esterno non permette ancora di stare scoperti a lungo senza risentirne; perciò Kazuya si muove a sua volta e infine sembrano aver esaurito le sistemazioni da fare e con cui occupare il tempo.
Se ne accorge anche Sawamura.
«Voglio sapere cosa può diventare un problema.» ammette, e lo fa senza preavviso come quando si sgancia una bomba, in pratica – il che è applicabile a buona parte delle azioni altrui a ben pensarci. Miyuki lo vede mettersi su un fianco per poterlo guardare in viso, e a quel punto sa di non poter in alcun modo evitare di rispondere. Ma, si dice, se avesse voluto farlo non si sarebbe neanche avvicinato a Eijun, limitandosi a occupare il futon a terra e a fingersi troppo stanco per qualunque cosa.
«Di sicuro, non il tenersi per mano.» fa notare, più per rompere la tensione che non per prenderlo in giro. È la sua attività preferita: è convinto del fatto che nulla sia più divertente di buona parte delle espressioni dell’altro quando è oggetto di una presa in giro bonaria, ma sa riconoscere il momento in cui può permettersi di scherzare e quando è invece opportuno essere seri. Forse lo percepisce anche Eijun,  il suo intento, giacché non ci sono insulti ma si limita a guardarlo in attesa di qualcosa che sembra certo stia per arrivare. Miyuki sospira, e in quel momento sente la mano del ragazzo steso lì con lui stringere un poco di più la sua, e il suo pollice sfiorarne con movimenti circolari il dorso. Se lo faccia con l’intento di calmarlo o per puro riflesso Kazuya non lo sa, ma c’è un piccolo incoraggiamento che riesce a fare suo e lascia scivolare un respiro trattenuto per metà fra le labbra, muovendosi piano e avvicinando il viso a quello di Eijun. Arriva vicino abbastanza da sfregare la punta del proprio naso contro quello altrui, e anche se la posizione non è delle migliori – perché la troppa vicinanza gli causa un fastidio leggero a causa degli occhiali – non socchiude gli occhi, ritenendo importante mantenere vivo il contatto visivo. Sente Sawamura irrigidirsi più per la sorpresa che non per il fastidio, e le labbra gli si incurvano in un sorriso accennato notando il viso di Eijun assumere un rossore leggero ma inequivocabile.
Il modo in cui gli sfiora la bocca con la propria in un primo tentativo è talmente casto da sembrare goffo, e somiglia più all’accenno di un gesto che non al gesto in sé; è un contatto così lieve da fargli percepire a stento se anche le labbra di Sawamura siano screpolate o secche quanto le proprie. Non chiude gli occhi, nell’avvicinarsi tanto seppure per pochi istanti, né la prima volta né quando ripete la stessa azione una seconda e una terza, soffermandosi appena di più quasi tastando il terreno. La sorpresa di Eijun si traduce in un respiro trattenuto e lasciato andare lentamente, a piccole dosi, il timore – appena percepibile eppure così evidente – che anche un dettaglio minuscolo come quello potrebbe spezzare il loro delicato equilibrio.
È diverso da qualsiasi situazione in cui Miyuki si sia mai trovato, perché prima di allora i baci sono sempre venuti prima di una spiegazione, dell’accorgersi da parte del suo partner che qualcosa stonava, in un certo senso. Eijun è la prima persona a sapere dall’inizio che un bacio non porterà mai al sesso, ed è lì, a dosare quella sua indole un po’ irruenta che non è mai mossa da cattive intenzioni perché timoroso di fare la cosa sbagliata. Lo confonde più di quanto creda, di certo, e Kazuya stesso non saprebbe dire se si tratti di una confusione gradita o che lo spaventa, portato al pensiero pessimistico più che a quello ottimistico, se deve essere sincero con se stesso.
Lo guarda, notando come Sawamura abbia chiuso gli occhi appena lui si è avvicinato palesando le proprie intenzioni e non li abbia più aperti; vede le sue sopracciglia un poco aggrottate, in un modo che lo fa sembrare buffo, ma intenerisce anche Kazuya per poco incline che possa essere al sentimentalismo.  Azzera di nuovo la distanza, ma si sofferma di più sulle sue labbra questa volta e le sente morbide, tremare impercettibilmente – la cosa lo fa sorridere, sperando Eijun non si senta preso in giro per una volta in cui non lo è, perché traspare così tanto il fatto che l’altro sia emozionato da un gesto così semplice che, ancora, Miyuki si chiede se non stia davvero sbagliando nel concedersi la debolezza di credere alle parole di Sawamura quando l’altro dice che andrà bene, che non vuole per forza arrivare a un certo punto con lui. Si domanda di nuovo se non dovrebbe essere lui, dall’alto della sua esperienza su una cosa che lo riguarda tanto da vicino, a mettere un freno prima che la cosa sfugga di mano. Ma Eijun gli sta stringendo la mano, ancora di più, e che sia un invito a non allontanarsi o un modo di sfogare il nervosismo Kazuya non lo sa, ma pensa davvero e con ogni buona intenzione possibile che sia in entrambi i casi qualcosa di positivo.
Forse è proprio per questo che la distanza tra lui e Sawamura, quella emotiva, sembra sempre diminuire nonostante i suggerimenti della sua razionalità spesso fuori luogo: Eijun lo porta a pensare che per una volta potrebbe essere una buona cosa, credere che andrà tutto bene.
E potrebbe fare di più, potrebbe anche approfondire quel bacio – perché l’altro dopotutto gli ha chiesto cosa possa diventare un problema e cosa no, e quello decisamente non lo è né lo è mai stato. Sarebbe il modo più veloce ed efficace di fargli capire come essere asessuale non significhi aver bisogno che l’altra persona sia sempre preoccupata per ogni gesto o movimento, come non significhi essere più fragili, più inclini a essere feriti, o traumatizzati dalla vita. Sarebbe facile, più di un qualsiasi discorso in cui Miyuki non saprebbe da dove cominciare senza sentirsi un idiota, perché è il tipo di cosa di cui non ha mai sentito il bisogno di parlare, di affrontare come un’influenza negativa per la propria esistenza.
Non lo fa, però, per rispetto di Sawamura; tuttavia non affronta nemmeno alcun discorso con lui, perché la certezza di un silenzio enigmatico lo fa sentire più sicuro. Perciò gli lascia solo un altro bacio veloce, come se fosse la loro quotidianità e spera che Eijun ne colga il significato, la sfumatura, e gli perdoni l’ennesima domanda aggirata.
Quando la mano libera di Sawamura sale a sfiorargli i capelli alla base del collo, con un movimento impacciato ma che vorrebbe essere rassicurante, sa di essere stato scusato per ancora una volta – e capisce, con forza improvvisa e brutale, come non sia mai stato abituato alla cosa.
Chiude gli occhi, e la fronte di Eijun poggia sulla propria, il respiro a solleticargli il viso.

Mantiene lo sguardo sulla vetrina, con una punta di incertezza e un accenno di intimo imbarazzo, ma abbastanza sicuro di poter attirare poco l’attenzione o almeno di farlo per il motivo sbagliato. Averne coscienza in maniera razionale di certo aiuta ma, di contro, vedere una delle due commesse all’interno sporgersi verso la collega e sussurrarle qualcosa guardandolo, prima di ridacchiare entrambe, gli mette addosso un nervosismo che non sa controllare. Non è la prima volta che gli capita, ma non si è mai abituato: si sente sotto esame, perché sa di essere “colpevole”.
La boutique che ha davanti è famosa tra le ragazze della sua età o poco più grandi, ed è da alcune compagne di classe che ne ha sentito parlare: l’entrata ha delle porte in vetro che permettono di guardare dentro da fuori e viceversa, e l’interno è luminoso e arredato con semplicità ed efficienza, in modo da rendere facile trovare i vari reparti da quel che riesce a vedere da lì. Quando decide di fermarsi come ora in negozi del genere, si mantiene sempre un poco distante dalla vetrina; ogni tanto capita che qualche commessa dia l’interpretazione più scontata alla sua presenza, e lo fa anche quella di questa boutique dal momento che si prende la briga di andargli incontro uscendo sulla strada e pronunciando in sua direzione un: «È interessato a qualcosa in particolare?»
Immagina sia una reazione naturale quando qualcuno rimane a lungo davanti alla vetrina con aria confusa, per quanto la confusione in questione sia dovuta a tutt’altra cosa rispetto a quella di certo ipotizzata dalla giovane: «Sta guardando qualcosa per la sua fidanzata?» lo incalza lei e lui sospira, in un misto discreto tra rassegnazione e sollievo, per poi scuotere la testa.
Sente lo sguardo deluso della commessa su di sé e si stringe nelle spalle, perché si sente deluso lui stesso anche se per un motivo del tutto diverso. A fermargli il cuore per un momento, però, è il richiamo che lo raggiunge dopo neanche una ventina di passi – abbastanza per dissimulare, se non altro.
«Satoru!» è il modo con cui Haruichi attira la sua attenzione prima di posargli una mano sulla spalla in una pacca leggera, rivolgendogli un sorriso. Satoru si ferma il tempo necessario a farsi affiancare, prima di avviarsi di nuovo. Kominato gli cammina vicino, senza fretta, e non parla subito: ha sempre trovato confortante la sua compagnia, forse perché si trova esattamente a metà strada tra lui ed Eijun, con i suoi silenzi quando di parole superflue non c’è bisogno e la sua capacità di mantenere viva la conversazione quando l’imbarazzo o la poca conoscenza rischiano di farla da padroni. Furuya si ricorda di quando ha conosciuto Haruichi, un momento del tutto diverso da quello in cui ha incrociato Eijun sul diamante; ha una memoria piuttosto nitida di Kominato che viene chiamato durante l’appello il primo giorno di liceo e si alza per una breve presentazione davanti a tutta la classe, con il suo impaccio palpabile e il tono non troppo alto ma con un modo chiaro di parlare nonostante quello. Satoru lo ha seguito con lo sguardo in più occasioni di quante volesse, ma il motivo è stato chiaro fin dall’inizio: anche oggi, dopo tre anni di convivenza nella stessa classe e nella stessa squadra, conoscendo i pregi e i difetti di Haruichi, prova ancora una sottile, bonaria invidia quando lo guarda e non ha nulla a che vedere con le loro prestazioni sportive o con il ruolo di capitano della squadra ricoperto dall’altro. Sono diversi nella corporatura, nella massa muscolare: Haruichi è minuto, con i suoi quasi venti centimetri di altezza in meno rispetto a Satoru e per quanto il suo fisico sia modellato dagli anni di attività sportiva proprio come quello di Furuya, non è difficile immaginare a chi tra loro starebbe meglio un vestito nello stile di quello adocchiato nella vetrina del negozio che si è lasciato alle spalle. Lo sa per esperienza, memore degli anni delle medie che ha provato a cancellare dalla propria testa – e ci ha provato davvero, credendo nella possibilità di vivere meglio senza ricordare, ma è stato un fallimento su tutta la linea.
«Credo» pronuncia Haruichi al suo fianco, distogliendolo da quei pensieri «sia stato importante quello che hai detto a Eijun.» rivela, con un’occhiata di sbieco più simile a un implicito “grazie” che non a un “sappiamo entrambi di cosa parliamo”, più sensato se Satoru negasse di aver colto di cosa stiano parlando. Non risponde subito però. Le parole pronunciate quel pomeriggio gli sono rimaste nella testa, sembrano sussurrate costantemente al suo orecchio, e quasi pizzicano sulla punta della lingua come fosse in procinto di pronunciarle anche ora. Ha attribuito il non riuscire a togliersele dalla mente al fatto di aver percepito con grande forza e chiarezza quanto ipocrite fossero. Perché è indubbio, crede in quello che ha detto, pur senza conoscere i dettagli della situazione tra Eijun e Miyuki – ed è un bene non saperli, giacché è convinto non saprebbe analizzare con altrettanto distacco la situazione se avesse una più chiara opinione riguardo chi potrebbe avere ragione o torto, sempre ammesso che sia una situazione dove attribuire l’una o l’altra cosa sia così semplice. È convinto si debba rimanere fedeli a se stessi, nel bene e nel male, e per quanto possa aver compreso negli anni quanto sia vitale anche sapersi adattare agli ambienti e alle persone ha sempre creduto ci sia un limite preciso oltre il quale scendere a compromessi significhi cancellare o dimenticare se stessi. Satoru l’ha provato sulla propria pelle: ha dovuto imparare a non pensare di essere solo quando giocava una partita, e per lungo e difficile che possa essere stato il suo percorso per migliorarsi anche in quell’aspetto, è felice di aver smussato parte del suo carattere eliminando quegli spigoli che non permettevano a nessuno di avvicinarsi senza esserne colpito nel modo più sbagliato. Sa quindi come sia importante sapersi bilanciare, piegare la testa quando necessario senza però calpestare la propria dignità e per questo ha detto a Eijun quelle parole, perché Sawamura ai suoi occhi è qualcuno capace di migliorarsi senza mai perdere se stesso, senza mai smettere di essere quello che è anche quando non è cosciente di esserlo. Non saprebbe immaginarlo come un animale in gabbia, schiavo del bisogno di una persona; quando ha parlato e ha cercato di farglielo capire, lo ha fatto mosso da sentimenti sinceri, per quanto gli sia difficile esprimerli e farli arrivare alla persona interessata.
Non rimpiange il pensiero a cui ha dato voce, ma rimpiange la consapevolezza di essere stato bravo solo a parole, solo perché riguardava qualcuno che non era lui – perché quando si guarda allo specchio Satoru vede qualcosa che non gli piace, qualcosa che non sente di essere e che non potrà mai essere davvero senza arrivare a odiarla eppure è ciò che si obbliga a mostrare, perché adattarsi è più facile, passare inosservato e non giudicato è più semplice; perché non importa come lui si senta dentro: il corpo visto allo specchio all’ultimo anno delle medie era già troppo alto, troppo muscoloso per poter star bene con abiti come quello delle boutique che guarda furtivamente.
Quello è il corpo di un uomo. Non è affatto sicuro sia qualcosa che potrà accettare mai.
«Mh.» è l’unica cosa che pronuncia, e non la si può neanche chiamare davvero “risposta”, ma Haruichi – da quanto riesce a scorgere sbirciando il suo viso con la coda dell’occhio – sorride, nello stesso modo in cui lo farebbe se Satoru si fosse prodigato in una replica lunga e articolata. È abbastanza sicuro che in più di qualche occasione Haruichi si sia reso conto di essere osservato, ma non glielo ha mai fatto notare, non ha mai mostrato fastidio e Furuya gliene è grato perché avrebbe di certo causato imbarazzo fra di loro. Se c’è una cosa che apprezza davvero di cuore è come si sente con l’altro, il modo in cui Kominato gli trasmette lo stare bene, a proprio agio. È una sensazione che Satoru ha associato sempre e solo a suo nonno, e ritrovarla con una persona non della famiglia è stato destabilizzante all’inizio, curioso con il tempo e ora è piacevole; stare con Haruichi somiglia allo stare avvolto in una coperta davanti al fuoco, mentre fuori c’è una tormenta di neve che finirà col ricoprire ogni strada, albero o tetto nelle vicinanze, rendendo tutto bianco e irriconoscibile e quasi irreale.
«Satoru?» si sente chiamare e allora si concede di voltare completamente la testa verso l’altro, di abbassare un poco lo sguardo per incontrare il suo: «Anche tu puoi fare come Eijun, se vuoi.» pronuncia, e in un primo momento Satoru non fa finta di non capire, è reale la sua espressione confusa a quelle parole e Haruichi non pare faticare ad accorgersene «Voglio dire che se dovessi avere qualcosa che ti preoccupa, io ed Eijun saremmo felici di darti una mano.» chiarisce e a Furuya sembra di percepire con fin troppa chiarezza la punta di esitazione nella voce dell’altro, la cautela nella scelta delle parole. Ancora una volta si rende conto di come Haruichi dosi ogni cosa a cui decide di dare voce dopo riflessioni di un certo spessore e sente di saperlo meglio di molti altri – non può azzardare a dire “meglio di chiunque altro” ma non importa, anche così è abbastanza, nel suo piccolo Satoru si sente speciale nel modo più normale in cui potrebbe sperare di esserlo, così diverso da quello che lo specchio gli ricorda ogni giorno, per poi suggerirgli con crudezza che in lui non c’è niente di speciale. 
Eppure sa di non poter rimanere in silenzio, percepisce su di sé lo sguardo di Haruichi e avverte come ci sia in esso l’urgenza di comprendere e insieme a essa, ben bilanciata, la gentile discrezione con cui evita di metterlo sotto pressione. Si è accorto a malapena di aver fermato i propri passi portando l’altro a fare lo stesso, e quando se ne rende conto irrigidisce le spalle e stringe i pugni lungo i fianchi; si tratta solo di un attimo, però, perché poi tutto torna a rilassarsi.
«D’accordo.» dice, e in quell’unica parola non c’è la presa di coscienza di quanto la loro amicizia sia pronta a essergli di supporto, quanto l’ammissione a non essere pronto a condividere quella parte di sé con nessuno. Suggerisce, con la paura mascherata da garbo, di non avere intenzione di affrontare quel discorso.
Non sa leggere negli occhi di Haruichi, quando questi si limita ad annuire, eppure sente in cuor suo di aver tradito la sua fiducia. Camminare al suo fianco, all’improvviso, non ha più niente di normale e familiare.

 

 

 

 

Il film visto da Miyuki e Sawamura, nel caso qualcuno avesse la voglia e la fantasia di vederlo, è “Kanojo wa Uso o Aishisugiteru”, conosciuto anche come “The Liar and his Lover”.
I conbini/konbini/combini sono dei mini market giapponesi aperti ventiquattro ore su ventiquattro dove tra le altre cose è possibile trovare un sacco di cibi precotti o di veloce consumo.

   
 
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