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Autore: ELIOTbynight    28/05/2016    4 recensioni
Piccola hurt/comfort senza pretese, perché quando Kageyama sta male, l'unica persona al suo fianco è anche l'unica che lui vorrebbe.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ S M I L E ~

 

Hinata aveva sempre pensato che Kageyama fosse figo.

Certo, spesso si rivelava un completo idiota, ma Hinata era abbastanza maturo da riconoscere che lui stesso a volte era idiota tanto quanto lui. Ma sul campo da pallavolo, oh sì, Kageyama era davvero figo.

Capitava spesso che Hinata si sorprendesse a soffermarsi sul modo tranquillo in cui i suoi occhi si chiudevano in un sospiro, per poi riaprirsi mantenendo una forma sottile e affilata. Quando Kageyama aveva quell’espressione seria e convinta, quando puntava quegli occhi di un blu incredibile davanti a sé, illuminati da una scintilla di concentrazione e controllo, Hinata sapeva che andava tutto bene. Sogghignava tra sé e pensava: “Non posso restare indietro, anch’io devo diventare come lui!”.

Era in qualche modo rassicurante e un giorno Hinata ne divenne più consapevole del solito, chiedendosi poi se assumesse quell’atteggiamento solo in campo. Oltre a quello sguardo sicuro, Hinata ricordava bene solo quelli minacciosi di quando Kageyama gli sbraitava incontro insulti e minacce, a parte le smorfie che faceva prima o dopo una partita mentre parlavano del più e del meno.

“Non l’ho mai visto sorridere”, pensò un attimo prima che Ukai fischiasse ed annunciasse la fine degli allenamenti, ricordando ai ragazzi di non saltare lo stretching.

Ok, c’erano quei ghigni compiaciuti di quando azzeccavano una veloce, quello sgorbio che l’aveva spaventato quando aveva provato ad imitare il sorriso rassicurante di Sugawara, c’era anche quel ghigno di soddisfazione che ogni tanto Kageyama gli lanciava quando erano entrambi emozionati per un’amichevole o un obiettivo da raggiungere … ma in qualche modo non valevano come dei veri sorrisi.

Hinata sapeva di sorridere spesso, per i motivi più disparati, ma mentre alla fine di quell’allenamento raccoglieva più palloni possibile per metterli a posto prima del suo rivale, si chiese se esistesse un motivo serio, oltre alla pallavolo, che potesse spingere Kageyama a sorridere in quel modo semplice, genuino e sereno, che forse non gli apparteneva ma che Hinata avrebbe tanto voluto vedere sul suo viso.

Si era appena sconvolto silenziosamente per aver partorito tutti questi pensieri insieme, quando si sentì tirare per la maglietta sudata.

“Sbrighiamoci, dobbiamo chiudere la palestra!” esclamò Tanaka, senza che il piccoletto si aspettasse di sentire la sua voce. Per un attimo aveva pensato che sarebbe stato Kageyama a parlargli.

“Okay!” trillò Hinata, guardandosi poi intorno d’istinto. Dov’era Kageyama? Oddio, aveva davvero percepito la sua assenza con una tale intensità?

“Kageyama è andato a cambiarsi prima”, spiegò Daichi entrando nello spogliatoio per ultimo. “Ha detto di essersi ricordato di un impegno.”

Il piccolo centrale lo fissò per un lungo momento, poi annuì energicamente. Ciononostante, non poté impedire a se stesso di guardarsi intorno in silenzio, come se stesse ancora cercando Kageyama.

“Oh, è inaspettatamente tranquillo qui!” osservò Suga con un mezzo sorriso, trovando Asahi che annuiva.

Nishinoya balzò fuori dalla stanza del club e ciondolò sulla balaustra prima di scendere le scale: “Se ti manca il baccano che fanno sempre i due scemotti del primo anno, ci pensiamo io e Ryuu!”

“Non ci pensate nemmeno.” rispose Daichi dal fondo della scala, mentre Sugawara ed Ennoshita ridacchiavano.

In tutto questo, Hinata si sbrigò prima del solito a uscire dallo spogliatoio, non impegnato a discutere con Kageyama di quanti centimetri potevano ancora crescere prima della fine del liceo. Tsukishima fece una battuta su come Hinata fosse straordinariamente muto in assenza del Re, ma il piccoletto non lo sentì neppure e salendo sulla bicicletta per tornare a casa si morse un labbro nervoso, senza capacitarsi di come Kageyama fosse sparito senza che lui neanche se ne accorgesse.

 

*

 

Anche Kageyama pensava che Hinata fosse figo.

Non ne era altrettanto conscio, ma in lui questa opinione esisteva ed era forte. Era implicitamente visibile negli sforzi che ci metteva ogni volta nel fornirgli le alzate perfette e nel bagliore raro che si irradiava dal suo sguardo quando vedeva Hinata avere successo in campo, anche senza il suo aiuto.

Ciò di cui invece Kageyama era consapevole era lo strano calore che lo coglieva all’improvviso sulle guance quando Hinata gli sorrideva con grinta, per non parlare del nodo al petto che a malapena sopportava quando tra i due c’era un contatto fisico più prolungato del normale.

Stava pensando sul serio di essere diventato matto, mentre scuoteva la testa e procedeva spedito sul marciapiede buio dietro casa. Quei sintomi erano una cosa da ragazzine e, a meno che non si fosse preso una cotta per il suo compagno di squadra, poteva solo significare che doveva darsi una regolata.

“Possibile che mi sia allenato troppo?” si domandò, imbronciando il muso in avanti e spaventando un bambino.

La sua ingenuità lo rendeva un adolescente tanto puro quanto stupido, ma finché i suoi allenamenti con Hinata sarebbero andati avanti senza intoppi, Kageyama era tranquillo e credeva, fiducioso, che queste strane reazioni alla presenza del nanetto sarebbero cessate dopo un giorno di pausa, dopo il quale sarebbe tornato in palestra a mente fresca.

Storse il naso all’idea di saltare un intero pomeriggio di allenamenti, quando accanto a sé sentì piangere un neonato. Sobbalzò e rialzò il capo confuso: una madre che cullava il figlio per farlo smettere di piangere, un vecchietto e una ragazza sui vent’anni lo circondavano.  Sollevò di più il viso e fu attirato dalla luce rossa di un semaforo.

“Ma dove sono finito?”

Un attimo dopo esserselo chiesto, realizzò di aver sbagliato strada. Sbuffò e maledisse Hinata per averlo distratto attraverso i suoi pensieri, ricevendo l’occhiata interrogativa e disapprovante dell’anziano signore che si apprestava ad attraversare la strada.

“Dunque, ora da che parte vado? Non vorrei essermi allontanato tanto … Dannazione, Hinata me la pagherà! O forse non dovrei dirgli che lo stavo pensando? Ma certo, mi prenderebbe in giro. Meglio di no. Magari gli faccio solo qualche alzata in meno. Ah, ma quel negozio lo conosco! Allora se attraverso la strada e faccio il giro …”

Era già in mezzo alle strisce pedonali, quando un potente bagliore bianco lo sorprese alla sua sinistra. Fece per voltarsi accigliato, ma prima che riuscisse a farlo incrociò la luce del semaforo che era tornata rossa, seguita da un assordante rumore di pneumatici stridenti sull’asfalto.

A malapena ebbe il tempo di spalancare gli occhi e maledire di nuovo Hinata per averlo distratto … poi la luce lo accecò.

 

*

 

Kageyama fu il primo pensiero con cui Hinata si svegliò la mattina dopo.

Un istante prima di aprire gli occhi e saltare giù dal letto, gli vennero in mente le alzate che avrebbe ricevuto da lui agli allenamenti e il tono semiserio con il quale l’alzatore gli avrebbe detto “un’altra!”. Non c’era un motivo preciso per cui Hinata si fosse svegliato proprio con quelle immagini nella testa – o almeno così credeva – ma nulla poté comunque impedirgli  di sorridere sommessamente durante tutto il tragitto che lo portò a scuola.

Quel sorriso si spense solo quando giunse in palestra e si rese conto che Kageyama non c’era.

“Più tardi provo a vedere se è in classe. Magari non sta bene.”

Il professor Takeda l’aveva detto con il tono più rassicurante del mondo e nessuno avrebbe potuto dubitare del fatto che Kageyama sarebbe tornato presto. Ma lui non si sarebbe perso un allenamento neanche con il morbillo e se c’era qualcuno che lo sapeva, quello era Hinata.

Non riuscì più a sorridere come si deve per tutto il giorno, neanche gli allenamenti pomeridiani lo tirarono su.

“Molto bene, Hinata!” esclamò Sugawara soddisfatto dopo aver provato un attacco con lui, ma mentre il centrale tornava in posizione si accorse dell’espressione cupa sul suo volto, un’espressione che su di lui era ancora più inquietante.

Stava per chiamarlo e dirgli qualcosa per tirargli su il morale, quando Takeda entrò in palestra a perdifiato e nessuno sul momento lo notò – lo aveva fatto tanto di quelle volte che ormai era normale – se non fosse che il professore aveva uno sguardo agitato rivolto proprio a Hinata e allora tutti si fermarono a guardarlo.

“È per te!”

Il rosso alzò la testa e vide che Takeda gli porgeva un cellulare con chiamata in corso. Lo portò all’orecchio senza una particolare reazione: “Pronto?”

“Sei tu Hinata Shouyou?”

Una voce di donna poco tranquilla lo fece scattare sull’attenti e solo la curiosità lo trattenne dal fare mille ipotesi catastrofiche tutte insieme. Tutte su una sola persona, naturalmente.

“Sono la mamma di Tobio … Tobio Kageyama.”

Troppo tardi, il panico gli era esploso nel petto una frazione di secondo prima di sentire quel nome.

Hinata strinse il cellulare con le mani tremanti e gli occhi sbarrati, deglutì e rispose con voce troppo bassa per essere veramente la sua.

“S-Sono Hinata … come sta Kageyama?”

“Grazie al cielo ti ho trovato! Devo chiederti un favore molto importante. Potresti venire subito a casa nostra?”

“Ehm … sì, credo di sì.”

“Davvero? Grazie, grazie di cuore Hinata-kun! Tobio non fa che chiedere di te …”

“… C-Come, di me?”

“Ha quasi avuto un incidente ieri, per poco non lo hanno investito … Sta bene, ma ne è rimasto traumatizzato. È tutto il giorno che se ne sta a letto senza volersi muovere, mormora cose strane e ripete il tuo nome in continuazione.”

Ci volle un po’ perché Hinata si rendesse conto della situazione. Perché proprio lui? Di solito quando si sta male per colpa di uno spavento del genere, si chiama la famiglia, i propri cari … non un semplice compagno di pallavolo con cui si condividono i pomeriggi, si passa la maggior parte del tempo e ci si diverte perché col passare dei mesi si è diventati molto uniti.

Oh.

“Io … Io arrivo. Sì, sto arrivando!”

Hinata corse fuori dalla palestra per prendere la bicicletta senza nemmeno cambiarsi, rincorso dal professore che voleva almeno riavere indietro il telefonino. Quando il ragazzo chiuse la chiamata e restituì l’apparecchio, era già in sella e si sarebbe già messo a piangere dalla paura, se non fosse stato per la fatica della pedalata che teneva impegnata la sua vista e ogni sua reazione corporea.

 

*

 

La porta si spalancò all’improvviso e Kageyama sobbalzò. Sollevando gli occhi gonfi, incontrò quelli lucidi di Hinata, spaventati tanto quanto i propri. Solo il respiro accelerato del più basso impediva al silenzio di incupire la stanza.

Alcuni secondi furono abbastanza perché Hinata riuscisse a vedere la disperazione di quei tanto cari occhi blu tramutarsi in leggero sollievo. Stavolta ne era certo: non aveva mai visto in essi una sfumatura simile e un fastidioso nodo in gola gli fece pensare che non avrebbe voluto vederla mai più.

In un attimo si fiondò sul letto di Kageyama, che era tristemente raggomitolato su se stesso in un angolino, e si mise in ginocchio abbracciandolo stretto. Il moro fece lo stesso ansimando, come se avesse ripreso a respirare dopo ore di apnea, e schiacciò il viso contro il suo collo. Hinata gli cinse le spalle con le braccia magre e troppo deboli per poter tenere insieme i pezzi del cuore spezzato di Kageyama, ma ciò non gli impedì di provarci con tutte le sue forze, stringendolo a sé e facendo vagare le mani tra i suoi capelli in modo confuso e frettoloso.

“Kageyama! Kageyama, sono qui … sono qui.”

Quelle parole pronunciate ad alta voce fecero bene a entrambi, come prova che loro erano davvero lì, erano davvero insieme.

Hinata avvertì la schiena di Kageyama rilassarsi e la propria maglietta del club venire tirata piano verso il basso, poi un singhiozzo e un calore umido all’altezza del cuore. A quel punto sospirò e chiuse gli occhi, abbassando la fronte e tenendo stretto il compagno di squadra per paura che scivolasse via e sparisse.

“Sono qui … sono qui, va tutto bene.”ripeté più volte pianissimo, mentre l’altro piangeva tutte le lacrime che ancora gli avanzavano dalla giornata e dal tremendo spavento che aveva preso la sera prima.

Kageyama non avrebbe mai pensato che Hinata arrivasse davvero a consolarlo, ma ora che lo poteva stringere forte non si vergognò neanche più di averlo sperato, così come non si sarebbe più vergognato delle strane reazioni del suo corpo ad ogni volta che Hinata faceva capolino nella sua mente. Vergogna e timidezza non c’erano più, non erano più niente rispetto a quello strano sentimento che ora gli faceva martellare il cuore, e Kageyama capì che quell’abbraccio era tutto ciò di cui aveva bisogno.

Hinata non si mosse finché Kageyama non smise di piangere. Solo quando lo udì calmarsi e tirare su col naso, gli accarezzò la schiena titubante e domandò: “Va meglio?”

L’alzatore annuì più volte e restò con il volto appoggiato alla sua spalla. “Possiamo … restare così per un po’?” sussurrò, stringendo appena la presa delle braccia intorno ai suoi fianchi.

Il cuore di Hinata saltò un battito e in un altro momento lui avrebbe avuto paura che Kageyama lo notasse, ma dirgli di no sarebbe stata una follia e dunque sorrise appena. “Certo.” rispose, facendo aderire la guancia ad un lato della sua testa e chiudendo gli occhi di nuovo.

Kageyama lo fece a sua volta e sospirò, rimanendo immobile in quell’abbraccio per un lungo silenzio che stavolta non aveva nulla di terribile.

Entrambi sapevano di avere tante domande a cui dar voce e per alcuni lunghi minuti riuscirono a dimenticarle, adagiati dolcemente nel calore che univa i loro corpi un poco tremanti, ma alla fine percepirono che in qualche modo era arrivato il momento delle spiegazioni.

“È da ieri sera che stai così?”

Forse non era la domanda migliore con cui iniziare, siccome Kageyama esitò prima di dargli una risposta, ma Hinata non attese molto per riceverne una.

“Sì … Dovevo fare una commissione per mia madre e mi sono perso. Per poco non mi investivano e mi hanno tirato via appena in tempo, ma sono rimasto seduto sul marciapiede in preda al panico finché non è arrivata lei a portarmi a casa.”

“… Come diavolo hai fatto?”

Kageyama spalancò gli occhi e si staccò subito dall’abbraccio per fissarlo con sguardo accigliato.

“Come hai fatto a perderti, scemo?” sogghignò Hinata con una mano davanti alla bocca.

“Stai zitto, boge!” esclamò Kageyama contrariato. “Se proprio vuoi saperlo, è colpa tua!”

“Cosa, e perché mai sarebbe colpa mia?!”

“Perché … perché stavo pensando a te.”

L’aveva appena mormorato, ma al tono timido che aveva usato e al rossore che tinse le guance di Kageyama in modo imbarazzante Hinata riuscì a stupirsi e imbarazzarsi a sua volta.

“Oh.”

Entrambi tennero gli occhi bassi, ma si resero conto di avere ancora le braccia intorno all’altro e non poterono evitare di arrossire. Non avendo il coraggio di dire altro, Kageyama premette ancora la fronte contro la spalla di Hinata. Quest’ultimo sorrise e gli accarezzò la schiena come prima.

“Sono contento che tu stia bene.” disse, prima di dargli un leggero bacio sulla tempia.

A quel gesto Kageyama si irrigidì: “P-Perché l’hai fatto?”

“Fatto cosa?”

“Il … il bacio.”

Incuriosito, Hinata si tirò indietro per guardarlo e si sorprese un poco a vedere quanto si stava vergognando.

“Beh, quando mia sorella è triste o ha paura, viene sempre da me e allora per farla stare meglio di sol-”

Una mano sulla guancia lo interruppe. Era una di quelle mani dalle dita sottili e tanto allenate a furia di servire alzate, le sue alzate, ed averne una sul viso era una sensazione tanto nuova quanto piacevole. Per non parlare di quegli occhi blu: non l’avevano mai guardato così timidamente e Hinata si accorse di esserne innamorato perso.

Non ebbe il tempo di decidere cosa fare al riguardo, perché la sua testa si mosse da sola verso quella di Kageyama e le loro labbra si toccarono prima che i due potessero formulare un altro pensiero. A dire la verità, ogni pensiero in quel momento era fuori luogo.

Fu un bacio dolce, per quanto semplice e banale. In un angolo remoto della loro mente echeggiava la domanda “Che caspita sta succedendo?”, ma era troppo flebile da sentire rispetto al battito del loro cuore impazzito. Quando si separarono con uno schiocco, restarono a guardarsi per lunghi istanti … e finalmente avvenne il miracolo.

Kageyama sorrise.

Era un sorriso molto lieve e la curva delle labbra era appena visibile, ma era accompagnato da una scintilla di gratitudine negli occhi e Hinata seppe subito che era il sorriso più bello del mondo. Un sorriso simile poteva dunque appartenere eccome a Kageyama! Poteva renderlo ancora più bello di quanto già non fosse.

Quel sorriso superò le aspettative di Hinata, che per un istante fissò il moretto meravigliato, prima di ricambiare e abbracciarlo talmente forte che entrambi finirono con un tonfo stesi sul letto.

Non si sarebbero rialzati tanto presto e Kageyama pensò che era perfetto così.

 

*

 

Fine

Sono uscita dal tunnel!

In questo turbine di esami e di impegni, mi avvicino alla laurea e quindi non riesco a scrivere con l'anima in pace e non ci riuscirò finché non mi toglierò alcuni pesi della vita dalle spalle.

Però ogni tanto riesco a uscirmene con qualcosina di caruccio come questa... balenatami da una visione che ho avuto quasi a random, non ho fatto altro che metterci un pizzico di trama in più ed ecco qua. Avevo in effetti il bisogno di sottolineare in qualche modo quanto questi due facciano bene l'uno all'altro, aw. Sapete che amo la KageHina più di moltissime altre cose!
Detto ciò, mi congedo. Spero di tornare presto con le mie fic in corso, anche perché non posso continuare a ideare nuovi prompt e cederli ad altri solo perché prima voglio finire le mie storie. u.u
Bye bye dunque!

Eliot ;D
   
 
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