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Autore: SuzuyaChan    28/05/2016    2 recensioni
Dopo aver orchestrato un incidente ferroviario ai danni di Shizuo, Izaya va a trovarlo in ospedale e scopre che il suo arci nemico non si ricorda di lui. Decide quindi di tormentarlo proprio ora che si trova all’apice della sua vulnerabilità, ma per qualche strano motivo… non ci riesce.
«Presumo» continuò Shizuo, attirando l’attenzione di Izaya con il suo tono esitante «che noi due fossimo amici.»
[Traduzione della fanfiction di SuzuyaChan]
Genere: Comico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Izaya Orihara, Shizuo Heiwajima | Coppie: Izaya/Shizuo
Note: Lime, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Original work by SuzuyaChan: Aletheia
Translated by: shirangel


Aletheia



Note della traduttrice: in ritardo di una settimana (la sessione estiva fa schifo, specialmente se inizia a maggio) ma ecco qua il nuovo capitolo. Le cose cominciano a "riscaldarsi" (in tutti i sensi!) ma forse questo non è il tipo di azione che ci si aspetterebbe... o forse sì, dato che si tratta pur sempre di Shizuo e Izaya. Buona lettura!

Capitolo 5

I loro incontri avevano cominciato ad assumere una certa regolarità: Izaya si assicurava di finire il lavoro per le otto – ignorando la sospettosa curiosità con cui Namie guardava quel suo nuovo zelo – poi prendeva il treno per Ikebukuro, arrivava in ospedale alle otto e mezzo e si arrampicava fino alla stanza di Shizuo, che rimaneva in attesa del suo arrivo. Il ragazzo non gli aveva più chiesto perché insistesse a voler passare dalla finestra, ma fin dal loro secondo incontro si era sempre assicurato di lasciarla leggermente aperta; non abbastanza per lasciar entrare l’aria, notò Izaya, ma abbastanza per lasciare entrare lui. L’informatore cercò di non rimuginarci troppo – effettivamente, non voleva pensare né a Shizuo né alle loro recenti interazioni. Potevano aver trascorso le ultime settimane seguendo quella nuova routine, ma Izaya non aveva ancora capito come si sentiva a riguardo, e procrastinava il momento in cui avrebbe dovuto prendere una decisione. Per il momento era soddisfatto così, seduto sul letto di fronte a Shizuo e con le gambe stese parallele alle sue.

L’informatore tornò a concentrarsi sulla conversazione da cui si era momentaneamente estraniato. Il biondo si stava chiedendo perché diavolo gli unici vestiti che sembrava possedere fossero uniformi da barista: conciato in quel modo, anche se gli avessero permesso di liberarsi delle dannate vestaglie da ospedale, sarebbe comunque sembrato un idiota.

«Sai una cosa? Non mi dispiacciono troppo» affermò Izaya, rievocando l’immagine di Shizuo con quel completo addosso; ogni volta che lo aveva incontrato vestito in quel modo avevano finito per radere al suolo mezza Ikebukuro, ma preferì non pensarci.

«Le uniformi o le vestaglie dell’ospedale?» rise Shizuo. Izaya si limitò a roteare gli occhi, per poi spostarli sugli abiti dell’altro ragazzo.

«Sai già quando ti dimettono?»

«Sarei già tornato a casa, se non fosse per la perdita di memoria. I dottori vogliono assicurarsi che non causi complicazioni o cose del genere» alzò le spalle, evidentemente poco interessato alle sue condizioni di salute «Odio stare rinchiuso qui dentro.»

«Perché non andiamo a farci un giro, allora?»

Non era proprio riuscito a trattenersi. Le parole gli erano scivolate fuori dalla bocca senza dargli l’occasione di riflettere a pieno su quella proposta, ma che sarebbe successo se qualcuno li avesse visti? Stava per rimangiarsi tutto, poi però vide gli occhi di Shizuo accendersi, e il suo intero viso illuminarsi mentre prendeva in considerazione l’idea. Izaya aveva combinato un casino, e non poteva fare niente per rimediare, ma tentò almeno di non dare a vedere l’enorme rimpianto che gli scorreva in corpo.

«Dove?» chiese Shizuo, e l’informatore si costrinse a trattenere un sospiro. Un mostro in mezzo agli uomini come lui non avrebbe dovuto assomigliare così tanto a un cucciolo indifeso, eppure gli occhi grandi, i capelli ribelli, l’innocente esuberanza che sprizzava da tutti i pori, dicevano l’esatto contrario. Non si sarebbe sorpreso se avesse perfino cominciato ad ansimare.

«Non lo so.»

Un posto buio, dove nessuno in grado di riconoscerli avrebbe potuto vederli. Perché non poteva rimangiarselo e basta? Era sicuro che avrebbe adorato vedere l’espressione di delusione sul viso di Shizuo, gli sarebbe fottutamente piaciuta; e allora perché si prendeva la briga di pensare a qualche posto dove portare quel maledetto cucciolo troppo cresciuto?

«Al cinema?» rabbrividì interiormente a quel suggerimento; sembrava un programma fin troppo normale per loro due. Perché non poteva tenere sotto controllo la sua boccaccia? Di solito non era un problema riflettere prima di parlare, ma non riuscì a decidere se offendersi o rallegrarsi quando Shizuo rise di lui.

«Sembri soffrire anche solo a dirlo» lo punzecchiò, sorridendo «Non preoccuparti, non voglio uscire da qui solo per andare a sedermi in un’altra stanza. Mi basterebbe anche solo camminare un po’, sai, sgranchire le gambe e mangiare qualcosa. Cose del genere.»

Izaya annuii, grato per il saggio consiglio. Era abbastanza sicuro che nessuno li avrebbe visti, se fosse stato abbastanza attento.

«Non stasera, però» aggiunse Shizuo, grattandosi il capo «Sono un po’ stanco. E nemmeno domani, mio fratello ha detto che verrà a trovarmi con i nostri genitori. Che ne dici di venerdì?»

Izaya tirò fuori il telefono per controllare l’agenda, determinato a non pensare a quanto fosse ridicola quella situazione. Stava programmando un appuntamento con il suo peggior nemico, il nemico con cui passava ogni notte parlando e ridendo, che gli sorrideva come se fosse la persona che più gli faceva piacere incontrare, che si rifiutava di uscire dalla sua testa. Tossicchiò appena.

«Umh, venerdì va bene» si interruppe quando realizzò che quello non era più l’impulso del momento. Era un incontro pianificato, e stavano effettivamente trovando del tempo l’uno per l’altro; avvertì una stretta al petto, come se tutti i suoi organi si stessero contraendo nello stesso momento, impedendogli di avere abbastanza aria. Si insultò interiormente quando si accorse che perfino il suo corpo stava rigettando l’intera situazione, ma spinse da parte quella sgradevole sensazione.

«Alla solita ora?»

«Magari un po’ prima, se vogliamo fermarci a mangiare qualcosa.»

Decisero quindi di incontrarsi un’ora prima del solito il venerdì successivo; l’informatore sarebbe andato nella camera di Shizuo per aiutare il biondo a sgattaiolare fuori dalla finestra. Quel giorno a Izaya rimaneva solo un’ora prima di dover uscire, e invece di sbrigare il lavoro arretrato era seduto a scrutare i tre diversi outfit stesi sul suo letto. Non aveva niente a che vedere con Shizuo, si disse – sentendosi come la classica scolaretta al primo appuntamento – aveva solo bisogno di non vestirsi nel solito modo, in modo tale da non attirare troppo l’attenzione. Si rammaricava di non poter indossare il suo cappotto, ma fu costretto a optare per una giacca di pelle nera.

Girò sul posto a occhi chiusi, puntando il dito davanti a sé, e scelse un outfit totalmente a caso: maglietta bianca con bottoni neri e jeans rosso scuro. Appese gli altri vestiti nell’armadio, prima di spogliarsi completamente e dirigersi verso la sua stanza.

L’acqua calda dava una piacevole sensazione sulla pelle, sciogliendo i suoi muscoli dolorosamente tesi mentre ripassava il piano per la passeggiata. Aveva già scelto le strade che potevano percorrere senza pericolo, dove le probabilità di incontrare qualcuno che conosceva erano più basse; aveva persino cercato un posto da quelle parti dove avrebbero potuto cenare – decidendo che, se Shizuo non avesse avuto niente in contrario, avrebbero preso cibo da asporto per minimizzare ulteriormente i rischi.

Si prese un po’ di tempo per guardarsi allo specchio, chiedendosi se fare qualcosa ai capelli in modo da rendersi ancora meno riconoscibile: li spinse indietro e tentò di acconciarli un po’, prima di decidere che nessuna di quelle pettinature era particolarmente lusinghiera. Non che stesse mettendo il suo aspetto prima della sua reputazione, era solo che… decise di ignorare questi pensieri, concentrandosi più di quello che era strettamente necessario sull’abbottonarsi la maglietta. Non era in grado di trovare una buona giustificazione per quel voler dare il meglio di sé davanti a Shizuo, quindi preferiva non pensarci.

Izaya arrivò all’ospedale un po’ in anticipo. Cominciò a scalare il muro, sospirando per la sottile polvere di mattone che si stava attaccando ai suoi vestiti, e quando raggiunse la stanza di Shizuo si accorse che la finestra era aperta. Prima che potesse anche solo accennare un saluto, notò la scena che si stava svolgendo davanti a lui: il biondo si guardava allo specchio, emettendo bassi suoni di disappunto. Quella vista era allo stesso tempo familiare e completamente nuova.

Shizuo indossava la vecchia divisa da barista, con l’eccezione degli occhiali da sole, e si era chinato in avanti per tentare di aggiustare il farfallino, fissando meticolosamente il suo riflesso. Alla fine ringhiò di frustrazione e si strappò il papillon dal collo; ci fu un sonoro schiocco di plastica rotta quando il fermaglio si spezzò, e Shizuo lo tirò contro il muro, cantilenando parolacce sottovoce.

A quel punto gli occhi di Izaya si spostarono sul letto, dove una pila di vestiti nascondeva il piumone. Notò che varie maniche e risvolti erano parzialmente rovesciati, e sorrise per ciò che questo implicava; il momento in cui aveva visto Shizuo più arrabbiato era quello in cui stava cercando di decidere cosa indossare per il loro… qualunque cosa fosse. A parte le difficoltà con il farfallino, il biondo sembrava convinto della sua scelta di vestiario e si stava lisciando la camicia mentre la infilava dentro i pantaloni.

Izaya realizzò all’improvviso di aver appena trascorso gli ultimi minuti spiandolo e decise di rendergli nota la sua presenza.

«Ti vedo in difficoltà, Shizu-chan» ridacchiò, ghignando quando il biondo inciampò per girarsi a guardarlo. Shizuo lasciò cadere il farfallino che aveva tentato di sistemare, come se schiacciarne le estremità sarebbe bastato ad aggiustare il fermaglio rotto, e le sue guance andarono in fiamme.

«Questo look mi fa tornare in mente vecchi ricordi, sai?» continuò Izaya, indicando i vestiti di Shizuo. Non specificò che quei ricordi implicavano loro due che cercavano di uccidersi a vicenda: i dettagli in fin dei conti non erano poi così importanti. «Perché hai messo la divisa?»

L’informatore decise che sicuramente non era colpa della luce e che Heiwajima Shizuo stava effettivamente arrossendo mentre tentava di mettere insieme un qualche tipo di risposta – per lo più una cantilena di “Beh, ecco” e “Io, emh, già”. All’improvviso Izaya ricordò le sue stesse parole.

«Sai una cosa? Non mi dispiacciono troppo»

Oh, ‘fanculo” fu tutto quello a cui riuscì a pensare. Si alzò, cercando di non sembrare troppo interessato al significato di quella situazione. Prese il farfallino dalle mani di Shizuo e lo gettò sul letto con gli altri vestiti, chiedendosi da dove fossero arrivati tutti quegli abiti: pochi giorni prima non si era lamentato di avere solo divise da barista? Le loro dita si sfiorarono per un momento, mentre Izaya si alzava in punta di piedi per slacciare i primi due bottoni della camicia di Shizuo.

«Ecco fatto» disse, con una voce molto più bassa di quanto avesse voluto. Il calore del biondo si stava irradiando fino a lui, il suo respiro era un po’ più lento, e Izaya non riuscì a disinteressarsi completamente a questa nuova atmosfera.

Calarsi giù dall’edificio era relativamente semplice e l’informatore andò per primo, mostrando a Shizuo il percorso migliore per scendere. Sperò che nessuno stesse prestando troppa attenzione, perché il biondo non era bravo quanto lui a non farsi notare. Una volta raggiunta la strada, Izaya seguì il piano che aveva messo a punto nella sua testa e rimase in silenzio per un po’, conscio che quella fosse la fase più pericolosa del tragitto. Shizuo sembrò capire che quel silenzio non era casuale, e non lo infranse fino a quando qualcosa non catturò la sua attenzione.

«Sembri diverso» buttò lì; quella frase non era uscita proprio come avrebbe voluto, ma non era certo di come avrebbe potuto aggiustare il tiro. Izaya indossava più o meno sempre gli stessi vestiti quando andava a trovarlo, però oggi aveva giacca e stivali di pelle, e una maglietta bianca piuttosto aderente…

«Diverso?» chiese Izaya, interrompendo i suoi ragionamenti, e adattò il passo a quello di Shizuo.

«Sì» la sua voce era un po’ roca. Si strofinò il retro del collo, cercando le parole giuste «Stai bene vestito così» disse alla fine, senza tanti giri di parole.

Izaya rise, girandosi verso di lui con le sopracciglia inarcate.

«Vorresti dire che di solito non sto bene?»

Shizuo non sapeva davvero come rispondere. Decise per un semplice “non intendevo questo” e fu immensamente grato a Izaya quando lasciò cadere l’argomento.

Continuarono a camminare in un amichevole silenzio, e il biondo si sorprese di quanto si trovasse a suo agio insieme a quel ragazzo, più che con chiunque altro avesse conosciuto prima della perdita di memoria. Si domandò se questo fosse collegato al fatto che con gli altri si sentiva obbligato a essere lo Shizuo di una volta, mentre con Izaya poteva abbassare la guardia e smettere di fingere, essere se stesso. Però c’era anche un’altra sensazione oltre al sollievo, un sentimento più caldo che a volte minacciava di travolgerlo, un sentimento che lo portava a desiderare che quel ragazzo non se ne andasse mai.

«Ehi, Shizu-chan, a cosa è dovuto quel disgustoso sorrisetto?» chiese Izaya con tono giocoso, e un piccolo ghigno gli piegò le labbra. Il biondo roteò gli occhi, voltando le spalle a quello sguardo che gli faceva andare a fuoco le guance.

«Stavo solo pensando.»

«A cosa?»

A te.

Scosse leggermente la testa, impedendosi di pronunciare un’altra frase sdolcinata, e si impose di rispondere qualcosa di normale.

«Ho fame.»

Che diamine aveva in testa? Doveva esserci per forza una via di mezzo tra le battute da commedia romantica e… quello. Izaya ridacchiò sommessamente mentre il suo sorriso si allargava, e Shizuo scoprì quanto poteva rimpiangere di aver detto qualcosa di così stupido, quando ottenne in risposta quello sguardo.

«Più avanti ci sono un paio di posti dove possiamo prendere da mangiare. Fanno anche take-away» suggerì Izaya. Alzò il capo a fissare le stelle, coperte solo in parte dalle nuvole «È una bella serata e c’è un parco qui vicino, quindi pensavo…» si interruppe, incapace di continuare. Quella era una sensazione del tutto nuova per lui: non avere la risposta pronta, sentire il proprio petto stringersi prima di parlare, essere incerto di come sarebbe stato percepito quello che stava per dire. Quasi sussultò sentendo la morbidezza della voce di Shizuo, quando replicò..

«Sembra una buona idea.»

Izaya abbassò il capo, e percepì quella spiacevole stretta al petto aumentare quando i suoi occhi cremisi incontrarono quelli ambrati di Shizuo; c’era un’intensità in quello sguardo da fargli dimenticare perfino quello a cui stava pensando. Quando il suo cervello ricominciò a funzionare, realizzò quanto si fossero avvicinati: ora c’erano meno di venti centimetri tra di loro. Interruppe bruscamente il contatto visivo e strinse i denti mentre si obbligava a sfoderare il suo solito sorrisetto. Shizuo indietreggiò, mentre l’intensità nei suoi occhi si tramutava in confusione, ma continuarono a camminare e la mente di Izaya si allontanò dalla conversazione. Era così distratto che fissò Shizuo con sguardo assente quando lui disse “Ramen”.

«Cosa?»

Il biondo indicò un punto davanti a loro, dove era situata una bancarella di cibo da strada.

«Dici sul serio? Ti pago la cena e tu vuoi il ramen?»

«Paghi tu?»

«Vorresti dire che hai portato dei soldi con te?»

Il ragazzo si tastò le tasche prima di scuotere la testa.

«Ramen» disse ancora, stavolta con voce più sicura. Izaya alzò le spalle – almeno sarebbe stato economico – e i due si diressero verso la luce soffusa emessa dalla piccola bancarella.

«Posso avere tre ramen Tokyo, per favore?» domandò, e l’uomo di mezza età dietro alla cassa annuì.

«Tre?» domandò Shizuo, confuso.

«Tu mangi un sacco.»

Il biondo insisté per portare il cibo finché non arrivarono al parco, che tecnicamente era chiuso, ma per Izaya significava solo che era meno probabile che qualcuno li riconoscesse. Il biondo esitò di fronte all’idea di sgattaiolare dentro il parco di nascosto, ma l’informatore scalò la recinzione e saltò dall’altra parte, atterrando con la grazia di un gatto. Prese il pacchetto dell’asporto da una fessura tra le sbarre della ringhiera e si allontanò: Shizuo perse definitivamente ogni riserva, quando la sua cena divenne la posta in palio.

Camminarono per un po’ tra gli alberi e Izaya iniziò a sproloquiare su quanto fosse breve la vita degli esseri umani e sulla loro relativa insignificanza nell’universo. Shizuo stava ascoltando con un orecchio solo; lo divertiva il modo in cui Izaya parlava di loro due, come se fossero esenti da quel ragionamento, ma era più concentrato su ciò che li circondava; lo stretto sentiero che si intrecciava con la sponda erbosa e una quercia, alta e scura, ridotta a una sagoma sottile dall’assenza di luce. Arrivarono a una radura con pochi alberi, che si allineavano a definirne gli estremi invece di coprirla; poco lontano c’era un fiume che tagliava a metà il parco, con una serie di panchine disposte pochi metri lontano dalla riva. Shizuo si accorse che Izaya si era avvicinato a una di esse e si era seduto, ma la maggior parte della sua attenzione era stata rapita dalla vista delle stelle e della luna, non più coperte dalle fronde degli alberi; era una vista bellissima, e gli astri si allungavano nel cielo perfino fuori dai confini del suo campo visivo, più luminosi di quanto avesse mai potuto pensare.

«Hai intenzioni di rimanere lì impalato, Shizu-chan?» domandò Izaya, strascicando la voce, mentre si girava per guardare il biondo che sembrava folgorato dal panorama. Shizuo abbandonò quel suo umore insolitamente poetico e ricambiò lo sguardo, ma non si mosse.

«Sai, le stelle rimarranno lì, ma il cibo si raffredderà, quindi porta qui il culo e iniziamo a mangiare.»

Shizuo non aveva bisogno di ulteriori sollecitazioni. Raggiunse Izaya sulla panchina e cominciò a mangiare; erano seduti vicini e le loro ginocchia si sfioravano, nonostante lo spazio disponibile. Il biondo era fin troppo consapevole del calore che filtrava da entrambi i loro corpi – dava una bella sensazione, quasi confortevole – e qualche volta incrociava lo sguardo di Izaya, che gli riscaldava il petto quando rispondeva al sorriso che aveva stampato sulle sue labbra. L’informatore lo prese in giro, lagnandosi per la velocità con cui mangiava mentre Shizuo si ficcava in bocca ancora più cibo: il biondo roteò gli occhi quando il ragazzo gli disse “se soffochi e muori non aspettarti che io ti salvi”, e stava per fargli notare che se fosse morto non avrebbe potuto aspettarsi un granché da nessuno, ma all’improvviso notò che qualcosa era cambiato. L’aria era diventata più fredda e la serata non sembrava più tanto piacevole. Shizuo posò il cibo, scandagliando l’oscurità, e afferrò il polso di izaya.

«Che diavolo…» cominciò l’informatore, provando a divincolarsi dalla presa del biondo, ma Shizuo lo zittì, stringendo le dita ancora di più. L’istinto di Izaya sembrò mettersi in funzione mentre si chiedeva come diavolo avesse potuto non accorgersi di quello che stava succedendo. Si alzarono in piedi nello stesso momento, voltandosi schiena contro schiena con la mano di Shizuo ancora stretta attorno al polso di Izaya – e una parte dell’informatore riuscì a ridere di come la situazione si fosse evoluta, con lui e il biondo pronti a proteggersi l’un l’altro.

Realizzando che ormai la loro presenza era stata notata, un gruppo di uomini uscì dalle ombre. Izaya poteva vederne tre e sentirne un quarto; si spostò i capelli di fronte al viso, sperando di non essere notato. Doveva trattarsi di una gang.

«Heiwajima-san» chiamò uno di loro mentre avanzava, alzando una mano per segnalare agli altri di restare indietro. La sua voce era calma e strascicata; Izaya riusciva a percepire, più che a vedere, il sorriso da predatore che gli deformava le  labbra. Avrebbe voluto strapparglielo via con il coltello. Chi cazzo poteva avere il coraggio di andare da Shizuo senza almeno l’ausilio di un esercito e aspettarsi di avere successo? Quello era un suo privilegio.

Il biondo quasi ringhiò a quei convenevoli, seguiti dal click di un accendino e dal forte odore di tabacco che impregnò l’aria.

«Mi dispiace disturbarti mentre sei con il tuo fidanzato, ma vedi, questa è la prima occasione propizia che abbiamo trovato. Non avrebbe avuto senso pestarti mentre eri ancora in ospedale.»

Izaya era sorpreso dal fatto che non fossero già stati lanciati in giro per il parco, ma la mano attorno al suo polso non si muoveva, proprio come la puzza di fumo nelle sue narici.

«Non voglio uccidervi. Dico sul serio» disse Shizuo, riuscendo in qualche modo a suonare sinceramente dispiaciuto e allo stesso tempo minaccioso. L’uomo di fronte a lui si accigliò, ma senza che il suo sorriso vacillasse.

«Non siamo certo al tuo livello» ammise, però l’informatore cominciava ad apprezzare quella situazione sempre di meno. «Ma comunque…» ci fu un forte scatto e Izaya si girò per vedere una pistola armata e puntata dritta alla sua testa; rise tra sé e sé, perché evidentemente non avevano idea della persona con cui avevano a che fare, se pensavano davvero che lui fosse l’anello debole.

«Abbassa la pistola, prima che ti faccia a pezzi» La rabbia di Shizuo stava strabordando e Izaya riusciva ad avvertire quanto vicino fosse a schiacciare la sigaretta tra le dita. Nessuno si mosse. «Beh, allora immagino di non avere scelta.»

E così cominciò.

Il biondo aveva appena gettato la sigaretta a terra quando risuonò il primo sparò; mancò entrambi, ma questo non cambiò l’effetto che ebbe sulla furia di Shizuo. Lasciò andare il polso di Izaya per strappare dal suolo la panchina su cui si erano seduti e agitarla tra le mani; l’informatore notò che, nonostante la sua collera crescente, la stretta non era mai diventata tanto salda da fargli male. Un uomo basso e tarchiato gli corse incontro con un coltello in mano, però Shizuo oscillò la panchina verso di lui come una mazza da cricket, gettandolo malconcio e sanguinante nel fiume. Ci fu un momento di silenzio mentre tutti assimilavano quello che era appena successo, ma sfortunatamente nessuno tranne Izaya sembrò pensare razionalmente: mentre lui manteneva le distanze, gli altri caricarono Shizuo, e le loro grida di battaglia furono presto sovrastate dal ruggito disumano emanato dal biondo.

L’informatore rimase a guardare. Shizuo mise temporaneamente giù la panchina per lanciare gli assalitori in diverse direzioni, prima di sollevarla di nuovo per giocare a una versione più cruenta di acchiappa la talpa con l’uomo che aveva istigato la rissa. Ma anche quando il teppista fu ridotto a una pozzanghera di sangue e ossa rotte, Shizuo non si calmò. Rimase lì in piedi, latrando e brandendo la panchina, con gli occhi che praticamente schizzavano fuori insieme all’adrenalina.

Izaya tentò di avvicinarsi, sapendo che doveva cercare in qualche modo di calmarlo, ma senza la minima idea di come farlo. Riusciva a vedere la schiena del biondo tremare di rabbia: doveva stare attento.

«Shizuo?» chiamò. L’altro ragazzo si voltò, apparentemente senza riconoscerlo.

E questo fu l’unico avvertimento che Izaya ricevette, prima che la panchina si schiantasse contro di lui.

Nel prossimo capitolo: Aveva ferito la persona che più avrebbe voluto proteggere, e con le sue stesse mani. Era stato proprio lui, Shizuo, con la sua forza mostruosa, e la sua forza animale, la sua infantile mancanza di auto controllo. Come aveva potuto anche solo pensare di poter offrire agli altri qualcosa che non fosse dolore?

   
 
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