Note della traduttrice: in ritardo di una settimana (la sessione estiva fa schifo, specialmente se inizia a maggio) ma ecco qua il nuovo capitolo. Le cose cominciano a "riscaldarsi" (in tutti i sensi!) ma forse questo non è il tipo di azione che ci si aspetterebbe... o forse sì, dato che si tratta pur sempre di Shizuo e Izaya. Buona lettura!
Capitolo 5
I
loro
incontri avevano cominciato ad assumere una certa
regolarità: Izaya si
assicurava di finire il lavoro per le otto – ignorando la
sospettosa curiosità
con cui Namie guardava quel suo nuovo zelo – poi prendeva il
treno per
Ikebukuro, arrivava in ospedale alle otto e mezzo e si
arrampicava fino alla
stanza di Shizuo, che rimaneva in attesa del suo arrivo. Il ragazzo non
gli
aveva più chiesto perché insistesse a voler
passare dalla finestra, ma fin dal
loro secondo incontro si era sempre assicurato di lasciarla leggermente
aperta;
non abbastanza per lasciar entrare l’aria, notò
Izaya, ma abbastanza per
lasciare entrare lui. L’informatore cercò di non
rimuginarci troppo –
effettivamente, non voleva pensare né a Shizuo né
alle loro recenti interazioni.
Potevano aver trascorso le ultime settimane seguendo quella nuova
routine, ma
Izaya non aveva ancora capito come si sentiva a riguardo, e
procrastinava il
momento in cui avrebbe dovuto prendere una decisione. Per il momento
era
soddisfatto così, seduto sul letto di fronte a Shizuo e con
le gambe stese
parallele alle sue.
L’informatore
tornò a concentrarsi sulla conversazione da cui si era
momentaneamente
estraniato. Il biondo si stava chiedendo perché diavolo gli
unici vestiti che
sembrava possedere fossero uniformi da barista: conciato in quel modo,
anche se
gli avessero permesso di liberarsi delle dannate vestaglie da ospedale,
sarebbe
comunque sembrato un idiota.
«Sai
una
cosa? Non mi dispiacciono troppo» affermò Izaya,
rievocando l’immagine di
Shizuo con quel completo addosso; ogni volta che lo aveva incontrato
vestito in
quel modo avevano finito per radere al suolo mezza Ikebukuro, ma
preferì non
pensarci.
«Le
uniformi
o le vestaglie dell’ospedale?» rise Shizuo. Izaya
si limitò a roteare gli
occhi, per poi spostarli sugli abiti dell’altro ragazzo.
«Sai
già
quando ti dimettono?»
«Sarei
già
tornato a casa, se non fosse per la perdita di memoria. I dottori
vogliono
assicurarsi che non causi complicazioni o cose del
genere»
alzò le spalle,
evidentemente poco interessato alle sue condizioni di salute
«Odio stare
rinchiuso qui dentro.»
«Perché
non
andiamo a farci un giro, allora?»
Non
era
proprio riuscito a trattenersi. Le parole gli erano scivolate fuori
dalla bocca
senza dargli l’occasione di riflettere a pieno su quella
proposta, ma che
sarebbe successo se qualcuno li avesse visti? Stava per rimangiarsi
tutto, poi
però vide gli occhi di Shizuo accendersi, e il suo intero
viso illuminarsi
mentre prendeva in considerazione l’idea. Izaya aveva
combinato un casino, e
non poteva fare niente per rimediare, ma tentò almeno di non
dare a vedere
l’enorme rimpianto che gli scorreva in corpo.
«Dove?»
chiese Shizuo, e l’informatore si costrinse a trattenere un
sospiro. Un mostro
in mezzo agli uomini come lui non avrebbe dovuto assomigliare
così tanto a un
cucciolo indifeso, eppure gli occhi grandi, i capelli ribelli,
l’innocente
esuberanza che sprizzava da tutti i pori, dicevano l’esatto
contrario. Non si
sarebbe sorpreso se avesse perfino cominciato ad ansimare.
«Non
lo so.»
Un
posto
buio, dove nessuno in grado di riconoscerli avrebbe potuto vederli.
Perché non
poteva rimangiarselo e basta? Era sicuro che avrebbe adorato vedere
l’espressione
di delusione sul viso di Shizuo, gli sarebbe fottutamente piaciuta; e
allora
perché si prendeva la briga di pensare a qualche posto dove
portare quel
maledetto cucciolo troppo cresciuto?
«Al
cinema?»
rabbrividì interiormente a quel suggerimento; sembrava un
programma fin troppo
normale per loro due. Perché non poteva tenere sotto
controllo la sua
boccaccia? Di solito non era un problema riflettere prima di parlare,
ma non
riuscì a decidere se offendersi o rallegrarsi quando Shizuo
rise di lui.
«Sembri
soffrire anche solo a dirlo» lo punzecchiò,
sorridendo «Non preoccuparti, non
voglio uscire da qui solo per andare a sedermi in un’altra
stanza. Mi
basterebbe anche solo camminare un po’, sai, sgranchire le
gambe e mangiare
qualcosa. Cose del genere.»
Izaya
annuii,
grato per il saggio consiglio. Era abbastanza sicuro che nessuno li
avrebbe
visti, se fosse stato abbastanza attento.
«Non
stasera, però» aggiunse Shizuo, grattandosi il
capo «Sono un po’ stanco. E
nemmeno domani, mio fratello ha detto che verrà a trovarmi
con i nostri
genitori. Che ne dici di venerdì?»
Izaya
tirò
fuori il telefono per controllare l’agenda, determinato a non
pensare a quanto fosse
ridicola quella situazione. Stava programmando un appuntamento con il
suo
peggior nemico, il nemico con cui passava ogni notte parlando e
ridendo, che
gli sorrideva come se fosse la persona che più gli faceva
piacere incontrare,
che si rifiutava di uscire dalla sua testa. Tossicchiò
appena.
«Umh,
venerdì va bene» si interruppe quando
realizzò che quello non era più
l’impulso
del momento. Era un incontro pianificato, e stavano effettivamente
trovando del
tempo l’uno per l’altro; avvertì una
stretta al petto, come se tutti i suoi
organi si stessero contraendo nello stesso momento, impedendogli di
avere
abbastanza aria. Si insultò interiormente quando si accorse
che perfino il suo
corpo stava rigettando l’intera situazione, ma spinse da
parte quella
sgradevole sensazione.
«Alla
solita
ora?»
«Magari
un
po’ prima, se vogliamo fermarci a mangiare
qualcosa.»
Decisero
quindi di incontrarsi un’ora prima del solito il
venerdì successivo; l’informatore
sarebbe andato nella camera di Shizuo per aiutare il biondo a
sgattaiolare
fuori dalla finestra. Quel giorno a Izaya rimaneva solo
un’ora
prima di dover
uscire, e invece di sbrigare il lavoro arretrato era seduto a scrutare
i tre
diversi outfit stesi sul suo letto. Non aveva niente a che vedere con
Shizuo, si
disse – sentendosi come la classica scolaretta al primo
appuntamento – aveva
solo bisogno di non vestirsi nel solito modo, in modo tale da non
attirare
troppo l’attenzione. Si rammaricava di non poter indossare il
suo cappotto, ma
fu costretto a optare per una giacca di pelle nera.
Girò
sul
posto a occhi chiusi, puntando il dito davanti a sé, e
scelse un outfit totalmente
a caso: maglietta bianca con bottoni neri e jeans rosso scuro. Appese
gli altri
vestiti nell’armadio, prima di spogliarsi completamente e
dirigersi verso la
sua stanza.
L’acqua
calda dava una piacevole sensazione sulla pelle, sciogliendo i suoi
muscoli
dolorosamente tesi mentre ripassava il piano per la passeggiata. Aveva
già scelto
le strade che potevano percorrere senza pericolo, dove le
probabilità di
incontrare qualcuno che conosceva erano più basse; aveva
persino cercato un
posto da quelle parti dove avrebbero potuto cenare –
decidendo che, se Shizuo
non avesse avuto niente in contrario, avrebbero preso cibo da asporto
per
minimizzare ulteriormente i rischi.
Si
prese un
po’ di tempo per guardarsi allo specchio, chiedendosi se fare
qualcosa ai
capelli in modo da rendersi ancora meno riconoscibile: li spinse
indietro e
tentò di acconciarli un po’, prima di decidere che
nessuna di quelle
pettinature era particolarmente lusinghiera. Non che stesse mettendo il
suo
aspetto prima della sua reputazione, era solo che… decise di
ignorare questi pensieri, concentrandosi
più di quello che era strettamente necessario
sull’abbottonarsi la maglietta. Non
era in grado di trovare una buona giustificazione per quel voler dare
il meglio
di sé davanti a Shizuo, quindi preferiva non pensarci.
Izaya
arrivò
all’ospedale un po’ in anticipo.
Cominciò a scalare il muro, sospirando per la
sottile polvere di mattone che si stava attaccando ai suoi vestiti, e
quando
raggiunse la stanza di Shizuo si accorse che la finestra era aperta.
Prima che
potesse anche solo accennare un saluto, notò la scena che si
stava svolgendo
davanti a lui: il biondo si guardava allo specchio, emettendo bassi
suoni di
disappunto. Quella vista era allo stesso tempo familiare e
completamente nuova.
Shizuo
indossava la vecchia divisa da barista, con l’eccezione degli
occhiali da sole,
e si era chinato in avanti per tentare di aggiustare il farfallino,
fissando
meticolosamente il suo riflesso. Alla fine ringhiò di
frustrazione e si strappò
il papillon dal collo; ci fu un sonoro schiocco di plastica rotta
quando il
fermaglio si spezzò, e Shizuo lo tirò contro il
muro, cantilenando parolacce
sottovoce.
A
quel punto
gli occhi di Izaya si spostarono sul letto, dove una pila di vestiti
nascondeva il piumone. Notò che varie maniche e risvolti
erano
parzialmente rovesciati, e
sorrise per ciò che questo implicava; il momento in cui
aveva visto Shizuo più
arrabbiato era quello in cui stava cercando di decidere cosa indossare
per il
loro… qualunque cosa fosse. A parte le difficoltà
con il farfallino, il biondo
sembrava convinto della sua scelta di vestiario e si stava lisciando la
camicia
mentre la infilava dentro i pantaloni.
Izaya
realizzò all’improvviso di aver appena trascorso
gli ultimi minuti spiandolo e
decise di rendergli nota la sua presenza.
«Ti
vedo in
difficoltà, Shizu-chan» ridacchiò,
ghignando quando il biondo inciampò per
girarsi a guardarlo. Shizuo lasciò cadere il farfallino che
aveva tentato di
sistemare, come se schiacciarne le estremità sarebbe bastato
ad aggiustare il
fermaglio rotto, e le sue guance andarono in fiamme.
«Questo
look
mi fa tornare in mente vecchi ricordi, sai?»
continuò Izaya, indicando i
vestiti di Shizuo. Non specificò che quei ricordi
implicavano loro due che
cercavano di uccidersi a vicenda: i dettagli in fin dei conti non erano
poi
così importanti. «Perché hai messo la
divisa?»
L’informatore
decise che sicuramente non era colpa della luce e che Heiwajima Shizuo
stava
effettivamente arrossendo mentre tentava di mettere insieme un qualche
tipo di
risposta – per lo più una cantilena di “Beh,
ecco” e “Io,
emh, già”.
All’improvviso Izaya ricordò le sue stesse parole.
«Sai
una cosa? Non mi dispiacciono troppo»
“Oh,
‘fanculo” fu
tutto quello a cui
riuscì a pensare. Si alzò, cercando di non
sembrare troppo interessato al
significato di quella situazione. Prese il farfallino dalle mani di
Shizuo e lo
gettò sul letto con gli altri vestiti, chiedendosi da dove
fossero arrivati tutti
quegli abiti: pochi giorni prima non si era lamentato di avere solo
divise da
barista? Le loro dita si sfiorarono per un momento, mentre Izaya si
alzava in
punta di piedi per slacciare i primi due bottoni della camicia di
Shizuo.
«Ecco
fatto»
disse, con una voce molto più bassa di quanto avesse voluto.
Il calore del
biondo si stava irradiando fino a lui, il suo respiro era un
po’ più lento, e
Izaya non riuscì a disinteressarsi completamente a questa
nuova atmosfera.
Calarsi
giù
dall’edificio era relativamente semplice e
l’informatore andò per primo,
mostrando a Shizuo il percorso migliore per scendere. Sperò
che nessuno stesse
prestando troppa attenzione, perché il biondo non era bravo
quanto lui a non farsi
notare. Una volta raggiunta la strada, Izaya seguì il piano
che aveva messo a
punto nella sua testa e rimase in silenzio per un po’,
conscio che quella fosse
la fase più pericolosa del tragitto. Shizuo
sembrò capire che quel silenzio non
era casuale, e non lo infranse fino a quando qualcosa non
catturò la sua
attenzione.
«Sembri
diverso» buttò lì; quella frase non era
uscita proprio come avrebbe voluto, ma
non era certo di come avrebbe potuto aggiustare il tiro. Izaya
indossava più o
meno sempre gli stessi vestiti quando andava a trovarlo,
però oggi aveva giacca
e stivali di pelle, e una maglietta bianca piuttosto
aderente…
«Diverso?»
chiese Izaya, interrompendo i suoi ragionamenti, e adattò il
passo a quello di
Shizuo.
«Sì»
la sua
voce era un po’ roca. Si strofinò il retro del
collo, cercando le parole giuste
«Stai bene vestito così» disse alla
fine, senza tanti giri di parole.
Izaya
rise,
girandosi verso di lui con le sopracciglia inarcate.
«Vorresti
dire che di solito non sto bene?»
Shizuo
non
sapeva davvero come rispondere. Decise per un semplice “non intendevo questo” e fu
immensamente grato a Izaya quando lasciò
cadere l’argomento.
Continuarono
a camminare in un amichevole silenzio, e il biondo si sorprese di
quanto si trovasse
a suo agio insieme a quel ragazzo, più che con chiunque
altro avesse conosciuto
prima della perdita di memoria. Si domandò se questo fosse
collegato al fatto
che con gli altri si sentiva obbligato a essere lo Shizuo di una volta,
mentre
con Izaya poteva abbassare la guardia e smettere di fingere, essere se
stesso. Però
c’era anche un’altra sensazione oltre al sollievo,
un sentimento più caldo che
a volte minacciava di travolgerlo, un sentimento che lo portava a
desiderare
che quel ragazzo non se ne andasse mai.
«Ehi,
Shizu-chan, a cosa è dovuto quel disgustoso
sorrisetto?» chiese Izaya con tono
giocoso, e un piccolo ghigno gli piegò le labbra. Il biondo
roteò gli
occhi, voltando le spalle a quello sguardo che gli faceva andare a
fuoco le
guance.
«Stavo
solo
pensando.»
«A
cosa?»
A
te.
Scosse
leggermente la testa, impedendosi di pronunciare un’altra
frase sdolcinata, e si
impose di rispondere qualcosa di normale.
«Ho
fame.»
Che
diamine
aveva in testa? Doveva esserci per forza una via di mezzo tra le
battute da
commedia romantica e… quello.
Izaya
ridacchiò sommessamente mentre il suo sorriso si allargava,
e Shizuo scoprì
quanto poteva rimpiangere di aver detto qualcosa di così
stupido, quando
ottenne in risposta quello sguardo.
«Più
avanti
ci sono un paio di posti dove possiamo prendere da mangiare. Fanno
anche
take-away» suggerì Izaya. Alzò il capo
a fissare le stelle, coperte solo in
parte dalle nuvole «È una bella serata e
c’è un parco qui vicino, quindi
pensavo…» si interruppe, incapace di continuare.
Quella era una sensazione del
tutto nuova per lui: non avere la risposta pronta, sentire il proprio
petto
stringersi prima di parlare, essere incerto di come sarebbe stato
percepito quello che stava per dire. Quasi sussultò sentendo
la morbidezza
della voce di Shizuo, quando replicò..
«Sembra
una
buona idea.»
Izaya
abbassò
il capo, e percepì quella spiacevole stretta al petto
aumentare quando i suoi
occhi cremisi incontrarono quelli ambrati di Shizuo; c’era
un’intensità in
quello sguardo da fargli dimenticare perfino quello a cui stava
pensando.
Quando il suo cervello ricominciò a funzionare,
realizzò quanto si fossero
avvicinati: ora c’erano meno di venti centimetri tra di loro.
Interruppe
bruscamente il contatto visivo e strinse i denti mentre si obbligava a
sfoderare il suo solito sorrisetto. Shizuo indietreggiò,
mentre l’intensità nei
suoi occhi si tramutava in confusione, ma continuarono a camminare e la
mente
di Izaya si allontanò dalla conversazione. Era
così distratto che fissò Shizuo
con sguardo assente quando lui disse “Ramen”.
«Cosa?»
Il
biondo
indicò un punto davanti a loro, dove era situata una
bancarella di cibo da
strada.
«Dici
sul
serio? Ti pago la cena e tu vuoi il ramen?»
«Paghi
tu?»
«Vorresti
dire che hai portato dei soldi con te?»
Il
ragazzo
si tastò le tasche prima di scuotere la testa.
«Ramen»
disse ancora, stavolta con voce più sicura. Izaya
alzò le spalle – almeno
sarebbe stato economico – e i due si diressero verso la luce
soffusa emessa
dalla piccola bancarella.
«Posso
avere
tre ramen Tokyo, per favore?» domandò, e
l’uomo di mezza età dietro alla cassa
annuì.
«Tre?»
domandò Shizuo, confuso.
«Tu
mangi un
sacco.»
Il
biondo insisté
per portare il cibo finché non arrivarono al parco, che
tecnicamente era
chiuso, ma per Izaya significava solo che era meno probabile che
qualcuno li
riconoscesse. Il biondo esitò di fronte all’idea
di sgattaiolare dentro il
parco di nascosto, ma l’informatore scalò la
recinzione e saltò dall’altra
parte, atterrando con la grazia di un gatto. Prese il pacchetto
dell’asporto da
una fessura tra le sbarre della ringhiera e si allontanò:
Shizuo perse
definitivamente ogni riserva, quando la sua cena divenne la posta in
palio.
Camminarono
per un po’ tra gli alberi e Izaya iniziò a
sproloquiare su quanto fosse breve
la vita degli esseri umani e sulla loro relativa insignificanza
nell’universo.
Shizuo stava ascoltando con un orecchio solo; lo divertiva il modo in
cui Izaya
parlava di loro due, come se fossero esenti da quel ragionamento, ma
era più
concentrato su ciò che li circondava; lo stretto sentiero
che si intrecciava
con la sponda erbosa e una quercia, alta e scura, ridotta a una sagoma
sottile dall’assenza
di luce. Arrivarono a una radura con pochi alberi, che si allineavano a
definirne gli estremi invece di coprirla; poco lontano c’era
un fiume che
tagliava a metà il parco, con una serie di panchine disposte
pochi metri
lontano dalla riva. Shizuo si accorse che Izaya si era avvicinato a una
di esse
e si era seduto, ma la maggior parte della sua attenzione era stata
rapita
dalla vista delle stelle e della luna, non più coperte dalle
fronde degli
alberi; era una vista bellissima, e gli astri si allungavano nel cielo
perfino
fuori dai confini del suo campo visivo, più luminosi di
quanto avesse mai potuto
pensare.
«Hai
intenzioni di rimanere lì impalato, Shizu-chan?»
domandò Izaya, strascicando la
voce, mentre si girava per guardare il biondo che sembrava folgorato
dal panorama.
Shizuo abbandonò quel suo umore insolitamente poetico e
ricambiò lo sguardo, ma
non si mosse.
«Sai,
le
stelle rimarranno lì, ma il cibo si raffredderà,
quindi porta qui il culo e
iniziamo a mangiare.»
Shizuo
non
aveva bisogno di ulteriori sollecitazioni. Raggiunse Izaya sulla
panchina e
cominciò a mangiare; erano seduti vicini e le loro ginocchia
si sfioravano,
nonostante lo spazio disponibile. Il biondo era fin troppo consapevole
del
calore che filtrava da entrambi i loro corpi – dava una bella
sensazione, quasi
confortevole – e qualche volta incrociava lo sguardo di
Izaya, che gli riscaldava
il petto quando rispondeva al sorriso che aveva stampato sulle sue
labbra.
L’informatore
lo prese in giro, lagnandosi per la velocità con cui
mangiava mentre Shizuo si ficcava
in bocca ancora più cibo: il biondo roteò gli
occhi quando il ragazzo gli disse
“se soffochi e muori non aspettarti
che io
ti salvi”, e stava per fargli notare che se fosse
morto non avrebbe potuto
aspettarsi un granché da nessuno, ma
all’improvviso notò che qualcosa era
cambiato. L’aria era diventata più fredda e la
serata non sembrava più tanto
piacevole. Shizuo posò il cibo, scandagliando
l’oscurità, e afferrò il polso di
izaya.
«Che
diavolo…» cominciò
l’informatore, provando a divincolarsi dalla presa del
biondo, ma Shizuo lo zittì, stringendo le dita ancora di
più. L’istinto di
Izaya sembrò mettersi in funzione mentre si chiedeva come
diavolo avesse potuto
non accorgersi di quello che stava succedendo. Si alzarono in piedi
nello
stesso momento, voltandosi schiena contro schiena con la mano di Shizuo
ancora
stretta attorno al polso di Izaya – e una parte
dell’informatore riuscì a ridere
di come la situazione si fosse evoluta, con lui e il biondo pronti a
proteggersi
l’un l’altro.
Realizzando
che ormai la loro presenza era stata notata, un gruppo di uomini
uscì dalle
ombre. Izaya poteva vederne tre e sentirne un quarto; si
spostò i capelli di
fronte al viso, sperando di non essere notato. Doveva trattarsi di una
gang.
«Heiwajima-san»
chiamò uno di loro mentre avanzava, alzando una mano per
segnalare agli altri
di restare indietro. La sua voce era calma e strascicata; Izaya
riusciva a percepire,
più che a vedere, il sorriso da predatore che gli deformava
le
labbra. Avrebbe
voluto strapparglielo via con il coltello. Chi cazzo poteva avere il
coraggio
di andare da Shizuo senza almeno l’ausilio di un esercito e
aspettarsi di avere
successo? Quello era un suo privilegio.
Il
biondo
quasi ringhiò a quei convenevoli, seguiti dal click di un
accendino e dal forte
odore di tabacco che impregnò l’aria.
«Mi
dispiace
disturbarti mentre sei con il tuo fidanzato, ma vedi, questa
è la prima
occasione propizia che abbiamo trovato. Non avrebbe avuto senso
pestarti mentre
eri ancora in ospedale.»
Izaya
era
sorpreso dal fatto che non fossero già stati lanciati in
giro per il parco, ma
la mano attorno al suo polso non si muoveva, proprio come la puzza di
fumo nelle sue narici.
«Non
voglio
uccidervi. Dico sul serio» disse Shizuo, riuscendo in qualche
modo a suonare
sinceramente dispiaciuto e allo stesso tempo minaccioso.
L’uomo di fronte a lui
si accigliò, ma senza che il suo sorriso vacillasse.
«Non
siamo
certo al tuo livello» ammise, però
l’informatore cominciava ad apprezzare
quella situazione sempre di meno. «Ma
comunque…» ci fu un forte scatto e Izaya
si girò per vedere una pistola armata e puntata dritta alla
sua testa; rise tra
sé e sé, perché evidentemente non
avevano idea della persona con cui avevano a
che fare, se pensavano davvero che lui fosse l’anello debole.
«Abbassa
la
pistola, prima che ti faccia a pezzi» La rabbia di Shizuo
stava strabordando e
Izaya riusciva ad avvertire quanto vicino fosse a schiacciare la
sigaretta tra
le dita. Nessuno si mosse. «Beh, allora immagino di non avere
scelta.»
E
così
cominciò.
Il
biondo
aveva appena gettato la sigaretta a terra quando risuonò il
primo sparò; mancò
entrambi, ma questo non cambiò l’effetto che ebbe
sulla furia di Shizuo.
Lasciò andare il polso di Izaya per strappare dal suolo la
panchina su cui si
erano seduti e agitarla tra le mani; l’informatore
notò che, nonostante la sua collera crescente, la stretta
non era mai diventata tanto salda da fargli
male.
Un uomo basso e tarchiato gli corse incontro con un coltello in mano,
però
Shizuo oscillò la panchina verso di lui come una mazza da
cricket, gettandolo malconcio
e sanguinante nel fiume. Ci fu un momento di silenzio mentre tutti
assimilavano
quello che era appena successo, ma sfortunatamente nessuno tranne Izaya
sembrò
pensare razionalmente: mentre lui manteneva le distanze, gli altri
caricarono
Shizuo, e le loro grida di battaglia furono presto sovrastate dal
ruggito
disumano emanato dal biondo.
L’informatore
rimase a guardare. Shizuo mise temporaneamente giù la
panchina per lanciare gli
assalitori in diverse direzioni, prima di sollevarla di nuovo per
giocare a una
versione più cruenta di acchiappa la talpa con
l’uomo che aveva istigato la
rissa. Ma anche quando il teppista fu ridotto a una pozzanghera di
sangue e
ossa rotte, Shizuo non si calmò. Rimase lì in
piedi, latrando e brandendo la
panchina, con gli occhi che praticamente schizzavano fuori insieme
all’adrenalina.
Izaya
tentò
di avvicinarsi, sapendo che doveva cercare in qualche modo di calmarlo,
ma
senza la minima idea di come farlo. Riusciva a vedere la schiena del
biondo
tremare di rabbia: doveva stare attento.
«Shizuo?»
chiamò. L’altro ragazzo si voltò,
apparentemente senza riconoscerlo.
E
questo fu
l’unico avvertimento che Izaya ricevette, prima che la
panchina si schiantasse
contro di lui.
Nel
prossimo capitolo:
Aveva
ferito la persona che più avrebbe voluto proteggere, e con
le sue stesse mani. Era
stato proprio lui, Shizuo, con la sua forza mostruosa, e la sua forza
animale,
la sua infantile mancanza di auto controllo. Come aveva potuto anche
solo pensare
di poter
offrire agli altri qualcosa che non fosse dolore?