Anime & Manga > Binan Kōkō Chikyū Bōei-bu Love!
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Autore: MystOfTheStars    30/05/2016    2 recensioni
Si sa, l'unica cosa in grado di sconfiggere anche le più potenti e oscure tra le maledizioni è, naturalmente, il potere del vero amore.
Il neonato principe En viene maledetto da un demone malvagio e l'incantesimo oscuro potrà essere spezzato solo da un bacio. Tuttavia, sarà davvero difficile - se non impossibile - per i suoi tre spiriti guardiani riuscire a crescere il principino nel cuore della foresta, cercando anche di fargli trovare la persona giusta di cui innamorarsi. Per fortuna, il ragazzo potrebbe riuscire a trovare l'amore anche senza il loro aiuto...
[EnAtsu, IoRyuu, con la partecipazione di - quasi - tutto il cast dell'anime]
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Kinugawa, En Yufuin, Kinshirou Kusatsu, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo IX

Il temporale



 
Dopo aver riletto le due facciate introduttive, Atsushi appoggiò il libro sul tavolo. Quel volume gli era stato regalato da Kinshiro non più tardi dell'estate scorsa e le prime pagine erano interamente ricoperte dalla sua scrittura curata ed elegante. Certo il ragazzo aveva una grande creatività quando si trattava di dediche, pensò Atsushi scorrendolo nuovamente da capo a fondo.

Nell'ultima pagina, proprio sotto la parola "fine", c'era invece qualche parola nella calligrafia di En: "carino ma l'inizio era noioso". Ecco, lui invece non amava sprecarsi in commenti, si disse Atsushi, richiudendo il romanzo e ributtandosi indietro sul letto
Nonostante il sole fosse già alto nel cielo, era ancora in camicia da notte. La sera prima era stata luna nuova e il principe, come ogni novilunio estivo da quando aveva memoria, era uscito di casa con il buio ed aveva raggiunto il suo punto di incontro con Kinshiro.

Perché lo avesse fatto non era chiaro nemmeno a lui; la villa di Kinshiro era vuota, lo sapeva bene perché vi aveva fatto ritorno più e più volte. Finestre e porte erano chiuse ed il giardino, che aveva sempre visto meticolosamente curato ed in ordine, stava lentamente diventando un groviglio di erbacce e rami disordinati.

Da qualche parte dentro di sé, però, Atsushi era segretamente sollevato da tale fatto. Ciò spiegava razionalmente perché non avesse più visto Kin e perché l'amico non si fosse presentato all'appuntamento nemmeno la notte di novilunio precedente. Con quello della notte prima, erano tre gli incontri a cui l'altro non era venuto, ed Atsushi avrebbe voluto, oh, avrebbe disperatamente desiderato credere a quanto riferitogli da Ibushi quella sera - Kinshiro aveva importanti affari da sbrigare ed era per questo che se n'era andato.

Una parte di Atsushi si diceva che tutto ciò era perfettamente razionale, che doveva essere esattamente così, perché Ibushi senz'altro non avrebbe avuto motivo alcuno di mentirgli, non l'aveva mai fatto e non aveva ragione di farlo ora. Eppure, il principe sapeva fin troppo bene di non essersi sognato Kinshiro dietro la finestra della sua stanza, quella sera. Inoltre, si chiedeva se davvero quegli affari urgenti ed improrogabili gli impedissero di scrivergli.

Si sentiva in colpa. Non sapeva per che cosa, ma non riusciva a scollarsi di dosso la sensazione che, quando quel giorno Kinshiro non si era sporto alla finestra anche solo per un semplice saluto, fosse stato a causa sua. Atsushi non sapeva spiegarsi il perché, era accaduto tutto così velocemente che non riusciva a trovare un motivo a cui imputare il repentino cambiamento e la fuga (poteva definirla così?) dell'amico dalla sua vita.

Forse, la notte prima si era comunque recato nel loro consueto luogo di ritrovo perché voleva sentirsi meno in colpa. Per poter dire di essere andato, nonostante sapesse che l'altro non si sarebbe presentato.

Nonostante questo, non si sentiva a posto con la sua coscienza.

Si alzò e si decise a vestirsi. Quella mattina aveva appuntamento con En ed arrivare in ritardo non lo avrebbe certo aiutato a lenire i sensi di colpa.

Si infilò i pantaloni e chiuse la cintura - da qualche tempo, ormai, doveva far passare la punta della fibbia nel buco successivo. Diede un veloce sguardo allo specchio: qui e là, la stoffa dei vestiti si ingolfava formando brutte pieghe. Il principe sospirò e distolse lo sguardo immediatamente.

Sua madre si sarebbe spazientita, quando fosse tornato a casa. Avrebbe dovuto chiedere ai sarti di stringergli gli abiti per il ballo e questo avrebbe ritardato i preparativi e l'avrebbe mandata in ansia.
Finì di allacciarsi la camicia e sgattaiolò nelle cucine per rimediare il pranzo per sé e per En.

Era così facile, qui nella loro residenza estiva: non aveva camerieri che lo rincorrevano tutto il giorno, poteva vestirsi da sé evitando che questi se ne uscissero con "siete diventato troppo magro, altezza, questo non vi va più bene" e cose del genere. Peccato solo che a giorni sarebbe dovuto rientrare a casa e che la cosa gli dispiacesse parecchio.

Come tutte le estati, gli piangeva il cuore a doversene andare da lì, sia per la perdita di libertà che conseguiva al suo ritorno a corte, sia perché si aprivano davanti a lui lunghissimi mesi senza la compagnia di En (e, quest'anno, la prospettiva era più dolorosa che mai).

A peggiorare la situazione, questa volta, c'era anche la prospettiva di ciò che lo attendeva una volta rientrato a palazzo: già da tempo era considerato abbastanza grande da partecipare a tutti gli eventi ufficiali, ed ora lo sarebbe stato anche per quelli mondani di palazzo. I primi non erano mai stati un problema, per Atsushi: non aveva mai ricoperto ruoli attivi al loro interno, quindi il dover semplicemente presenziare alle cerimonie, rimanendo in piedi ed in silenzio, era qualcosa che poteva fare facilmente.

Al contrario, il pensiero di dover iniziare a prendere parte alle varie feste di corte lo rendeva parecchio nervoso.

Ci sarebbe stata una lunga fila di nobili in trepida attesa di conoscerlo ed un’altra, forse non altrettanto lunga ma probabilmente più pericolosa, di giovani eredi in età da marito, ansiose di accaparrarsi le attenzioni del principe. Lui avrebbe dovuto sorridere a tutti, invitare dame a ballare ed essere costantemente al centro dell'attenzione.

Atsushi non era pronto, non lo sarebbe mai stato.

Ecco, ora più che mai avrebbe voluto avere vicino Kinshiro - lui , sempre così raffinato e controllato, sarebbe certo stato in grado di dargli qualche consiglio su come districarsi in situazioni del genere. Ma Kinshiro non c'era, e l'unica persona con cui poteva parlare liberamente di ciò che lo preoccupava non sapeva assolutamente niente di balli di corte.
 
 
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Era una splendida mattinata di fine estate, il tipo di giornata che aveva sempre il potere di mettere Gora di buon umore. Da quando si era alzato, all'alba, aveva già fatto molto - il bel tempo e la consapevolezza di star lavorando di buona lena per la sua particolare famiglia lo rendevano ancora più propenso a darsi da fare, quindi fu con piglio energico che fece la sua comparsa in cucina, con sottobraccio una cesta di legna.

En, che stava tagliando delle fette di pane, si voltò appena quando si accorse che era entrato.

"Buongiorno."

"'giorno."

En si mise d'impegno ad affettare del formaggio.

"Ehi, se hai la pazienza di aspettare un attimo, posso prepararti un pranzo come si deve," si offrì Gora vedendo che il ragazzo stava impacchettando il tutto.

En si strinse nelle spalle. "No, non fa niente."

L'altro sorrise tra sé e sé, mettendo a posto la legna vicino alla stufa e scegliendo il coltello con cui tagliare le verdure per lo stufato. Da quando era stato grande abbastanza da andarsene in giro per conto suo, En si era sempre comportato così - troppo pigro per cucinare qualcosa da sé, ma non abbastanza viziato da pretendere che tutto fosse pronto esclusivamente per lui.

"Non ho visto Io e Ryuu stamattina," se ne uscì ad un certo punto il ragazzo, che si era appena infilato in bocca un'altra fetta di pane ben spalmata di conserva di albicocche. Nonostante l'ora, Gora sapeva bene che quella era la colazione del ragazzo.

"Oggi era il loro turno di andare a caccia, non ricordi?" rispose il più anziano, affettando con dovizia una carota.

Non era così, in realtà: i due spiriti si erano diretti alla capitale del regno, come avevano fatto già più di una volta quell'estate, dopo l'incidente con i demoni. Gora non era sicuro di quello che stavano facendo esattamente, ma sapeva che si stavano adoperando al meglio per garantire che il principe potesse tornare a casa in tutta sicurezza.

"Capito. Be', ciao," si accomiatò il ragazzo, prendendo il suo sacchetto di provviste e uscendo dalla porta. In quella, incrociò un saltellante Yumoto che salutò il ragazzo più alto con un sorriso luminoso.

"Dove vai di bello, cuginone?"

"In giro," bofonchiò l'altro arruffandogli frettolosamente i capelli.

"Torna prima del tramonto, mi raccomando," fece Gora ed En, a dar segno che aveva capito, si limitò ad alzare la mano per un ultimo saluto.

Gora sospirò e tornò alle sue carote, mentre Yumoto si accomodava al tavolo per ficcarsi in bocca una generosa cucchiaiata di conserva di albicocche.

"È una buona cosa che En sia così tranquillo ed a suo agio," osservò il boscaiolo. Sembrava davvero che il ragazzo non percepisse il clima di preoccupazione che ultimamente aleggiava in casa, ma era senz'altro meglio così. Trascorrendo la maggior parte del suo tempo a zonzo, inoltre, non rischiava di origliare i discorsi degli spiriti.

"Vero? Vorrei che rimanesse spensierato il più a lungo possibile," concordò Yumoto scavando col cucchiaio nel vasetto della conserva. "Spero che sarà felice, una volta tornato a casa," aggiunse fissando con mestizia il barattolo ormai vuoto.

Gora annuì; anche lui desiderava lo stesso, naturalmente. Per En era facile qui, dove non aveva responsabilità o doveri e poteva semplicemente andarsene a zonzo come gli pareva e piaceva, ma l'anno seguente, a quella stessa ora, En si sarebbe ritrovato ben lontano dal bosco che era diventato casa sua, con una corona in testa... Nonostante Gora si fosse dichiarato sicuro che il ragazzo sarebbe stato più che all'altezza del compito, non per questo pensava che sarebbe stato semplice.

"Tu, Io e Ryuu sarete comunque al suo fianco," disse quindi l'uomo. "Sono certo che questo gli permetterà di abituarsi in fretta."

"Ci sarai anche tu!" Yumoto lo corresse, puntandogli contro il cucchiaio tirato a lucido.

Gora sorrise e buttò le verdure che aveva affettato nel paiolo, per poi aggiungere qualche spezia. En era ancora molto giovane, e in un modo o nell'altro, alla fine, si sarebbe abituato alla vita di corte - e certo l'adattamento sarebbe stato decisamente più facile per lui che non per Gora, pensò quest'ultimo.
 
 
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Atsushi si esibì in una riverenza un po' goffa e porse la mano verso En.

"Mi concedete questo ballo?"

En spostò il peso da un piede all'altro, incerto.

"Che domande, ovvio," rispose quindi.

Atsushi sollevò la testa di scatto, vagamente rosso in volto.

"Mettici un po' più di impegno, per favore!"

"Atsushi, non sono mai stato ad un ballo di corte, non ho idea di come si faccia," obiettò En, un po' perplesso e un po' divertito.

"Be', inventati qualcosa, allora," sollecitò il principe, tornando ad inchinarsi. Forse chiedere ad En di fargli da dama per "allenarsi" in vista del ballo non era la più geniale delle trovate, visto che non sembrava prendere la sua parte troppo sul serio, ma non aveva assolutamente nessun altro a cui rivolgersi.

"Facciamo finta che sia anch'io una dama al suo debutto a corte, d'accordo? Voglio dire, non sarai mica l'unico."

Atsushi sembrò pensarci su per un momento e poi annuì.

"Probabilmente no, ma se saremo in due a non sapere che cosa fare, non voglio nemmeno pensare al disastro che potrebbe venirne fuori," ragionò.

"Non essere così pessimista," rispose En tutto serio. Poi piegò la testa da un lato, con aria fintamente sorpresa. "Oh, un principe sconosciuto mi chiede di danzare, potrò mai fidarmi?" fece con tono teatrale, allungando la mano fino ad appoggiarla su quella dell'altro.

Atsushi inarcò le sopracciglia, posando le dita sulla vita di En e cominciando a muovere i primi passi.

"Pensavo ci conoscessimo già."

"Davvero?" En lo guardò sorpreso, tentando di seguirne i movimenti. "Non mi pare, eppure sono sicuro che mi ricorderei di un principe così affascinante."

Atsushi non batté ciglio. "Avete una pessima memoria allora, perché siete stato voi a dirmelo."

"A dirvi cosa?"

"Che mi avete incontrato in sogno."

Ad En sfuggì un sorriso. "Te lo ricordi."

"Ho una buona memoria, io."

 "Ecco il mio Atsushi, ha sempre la situazione sotto controllo," En sorrise, posando la mano libera sul fianco del suo cavaliere e calpestandogli un piede senza volere.

Atsushi fece una smorfia, tentando di non perdere il ritmo.

"Non mi pare proprio... Su, segui i miei passi, non è così difficile. Un, due, tre..."

En sospirò, pettinandosi i capelli all'indietro e cercando di spiare i movimenti delle gambe dell'altro. Aveva sempre pensato che ballare fosse un divertimento, invece richiedeva tutta la sua attenzione e, soprattutto, uno sforzo fisico notevole.

"Manca la musica," fece notare ad un tratto.

"Be', non posso certo portarmi dietro un'orchestra," replicò il principe, allungando un braccio e spingendo gentilmente En a fare una giravolta su se stesso.

"Puoi cantare tu una canzone," propose En finendo la sua piroetta e tornando a guardarlo negli occhi.

La proposta colse Atsushi di sorpresa. "Non so cantare."

"Ma prendevi lezioni di musica, me l'hai detto tu."

En si era dimenticato di fare attenzione a dove posava i piedi e, nel tentativo di portare a termine un giro piuttosto complicato, i due ragazzi finirono con l'accavallare le gambe in modo tale che alla fine si trovarono incastrati. Atsushi si liberò con un saltello, ma inciampò in un radice e poi nella caviglia di En, che fortunatamente fu lesto a trattenerlo per la vita.

"Erano lezioni di violino," replicò il principe senza riuscire a nascondere una certa frustrazione nella voce.

"Be', è sempre musica."

"Non è la stessa cosa," sospirò Atsushi, conducendo il suo compagno in una zona priva di radici.

"Per piacere?"

Atsushi scrollò le spalle, arrendendosi. "Tu concentrati sui passi però, va bene? Altrimenti non mi sei di molto aiuto."

En annuì, obbediente, ed Atsushi si mise a canticchiare il tema di una danza lenta e dolce. Era una melodia dal ritmo facile da seguire ed En, ora davvero attento a duplicare i movimenti del principe, si ritrovò ad andarle dietro con inaspettata scioltezza.

Attorno a loro, si era sollevato un vento umido che prometteva pioggia. Nonostante il ritmo dettato da Atsushi fosse gentile, ad En sembrava di muoversi quasi spasmodicamente - era difficile star dietro a tutto, ai passi, alle braccia, alle spinte con cui l'altro gli indicava i movimenti da eseguire. L'aria, poi, gli scompigliava i capelli e gli scivolava addosso, strattonandogli i vestiti come se stesse correndo o saltando.

Atsushi canticchiava piano, con voce leggermente roca, quasi senza fiato per lo sforzo di dover condurre la danza e cantare allo stesso tempo.

Era bravo, pensò En, e glielo disse. Al suo complimento, l'altro sorrise.

En se lo immaginò vestito come lo aveva visto quel giorno al villaggio: un vero principe, attorniato dalla folla di nobili e cortigiane, tutti ugualmente sfavillanti e ricoperti di gioielli ed oro - Atsushi, uno smeraldo in mezzo a un arcobaleno di pietre preziose, bellissimo ed adorabilmente impacciato. En si avvicinò a lui nella danza, circondandogli la vita con il braccio e poggiando la fronte contro la sua.

Chi non se ne sarebbe innamorato, danzando con lui? En non apparteneva a quella miriade di nobili che l'avrebbero circondato, non avrebbe mai potuto appartenervi, così come non sarebbe potuto essere con Atsushi la sera del ballo.

La danza era rallentata, ora, e i due si muovevano in circolo, quasi girando su se stessi. Attorno a loro, l’aria faceva fischiare le chiome dei faggi e gli rovesciava addosso le prime foglie secche.

"I tuoi genitori ti faranno sposare una principessa, come nelle storie?" En sussurrò all'orecchio dell'altro.

Il vento si era fatto insistente, pregno dell'odore dell'acqua. In lontananza, si udì il primo tuono.

Atsushi alzò gli occhi su En. Per un momento, in mezzo alle ciocche di capelli scompigliati, l'altro vi colse un lampo di paura, ma poi il principe gli sorrise.

"Non finché mia sorella non sarà stata data in sposa a qualcuno," lo rassicurò e si strinse di nuovo a lui, quasi a cercare il suo calore contro il vento che si era fatto fresco.

En affondò il volto nella sua chioma scura e chiuse gli occhi. Attorno a loro, il temporale si faceva sentire più rabbioso che mai, ma al giovane non importava se non del tepore di Atsushi tra le sue braccia e del misto di profumo e di umidità calda che gli riempiva le narici. Lentamente, iniziò a baciarlo sui capelli, per poi procedere verso il basso e insinuarsi con le labbra dietro il suo orecchio. Il principe emise un sospiro che En non sentì, nel frastuono del vento.

L'attimo dopo, però, i due furono costretti a staccarsi a causa dell'acquazzone improvviso che gli si stava rovesciando addosso.

Quando raggiunsero il riparo della loro grotta, erano entrambi fradici di pioggia. L'aria nella piccola caverna era fresca ed umida; fuori, l'acqua veniva giù a cascate ed i tuoni squassavano il cielo. Atsushi si appoggiò alle roccia dell'ingresso, togliendosi gli occhiali per strofinarli con quanto di asciutto rimaneva della sua camicia.

Non mancava molto al giorno in cui i suoi genitori avrebbero scelto il promesso sposo di sua sorella. Anzi, con ogni probabilità la decisione era già stata presa, pensò il principe, visto che ora veniva anche il suo turno di fare vita di società.

Sbatté le palpebre, ma la cortina di pioggia al di fuori era una confusione di gocce e spruzzi e vento e foglie, e non riusciva a mettere a fuoco il paesaggio. Quanti temporali avevano guardato passare da quel loro riparo? Quanti ne avrebbero osservati ancora?

Alle sue spalle, En gli circondò la vita con le braccia. Attraverso la fredda umidità della camicia, Atsushi avvertì il tepore della sua pelle nuda.

"Se ti tieni questa addosso, finirai col prenderti un raffreddore," mormorò En, poggiandogli il mento su una spalla.

Atsushi continuava a guardare fuori, verso i faggi che conosceva così bene, ora piegati sotto la forza dell'acquazzone. Sembrava che dovessero spezzarsi a metà, esplodere quasi, schiacciati dal temporale, fino a che non fosse rimasto nulla di quel bosco, se non un cumulo di corteccia e foglie umide.

En gli baciò il collo, lentamente, con desiderio, e la stretta sulla sua vita si fece più forte. Una mano iniziò ad accarezzargli lo stomaco, mentre l'altro strofinava le labbra lungo il profilo del suo zigomo.
Atsushi sovrappose le braccia a quelle di En.

"Ehi, Atsushi, faresti l'amore con me?" la voce dell’altro era un sussurro morbido nell'orecchio del principe. Questo inspirò lentamente, con un ultimo sguardo al bosco al di fuori. Il vento soffiò di nuovo, piegando la pioggia ed innaffiandogli il volto di minuscoli spruzzi d'acqua, accecandolo per un istante.

Il principe afferrò delicatamente i polsi di En ed allontanò le sue braccia quel tanto che gli consentiva di girare su se stesso ed incontrare la bocca dell'altro per impossessarsene. Lo baciò appassionatamente, reggendogli la testa con entrambe le mani e spingendolo verso l'interno della grotta.

Ad un tratto, En si staccò dal bacio e posò la propria fronte contro quella dell'altro, ad occhi chiusi, lasciando che i loro respiri affrettati si mischiassero assieme.

Atsushi cercò di baciarlo ancora, ma En si ritrasse una, due, tre volte, rubandogli un gemito di protesta e frustrazione. Le mani dell'altro, che ancora erano premute sui suoi fianchi, si intrufolarono sotto la stoffa fradicia d'acqua, ad esplorare la pelle umida al di sotto. Il principe si tolse gli occhiali ed En glieli prese e si inginocchiò a terra, posandoli di lato, mentre Atsushi si sfilava la camicia. Quando riaprì gli occhi, il principe si accorse che l'altro aveva già provveduto a stendere al suolo un paio delle coperte che tenevano nella grotta.

Le mani del ragazzo andarono a cercare le sue, mentre i suoi occhi celesti vagavano su quel volto incorniciato da ciuffi di capelli spettinati e carichi di pioggia. Le sue dita strinsero i polsi del principe e lo tirarono verso il basso, e lui si fece condurre giù fino a che non gli fu seduto in grembo. Abbassò le palpebre e reclinò la testa all'indietro, mentre En tracciava un sentiero di baci dalla sua gola fino all'incavo delle sue clavicole.

Era facile, così. Ad occhi chiusi, avrebbero potuto essere ovunque - non contava più l'umidità della grotta, perché tutto ciò che sentiva era il calore delle mani e delle labbra di En su di sé; non importavano più nemmeno il suono della pioggia battente e del vento a poca distanza, perché le sue orecchie erano piene del sovrapporsi affannato dei loro respiri.

Nella caverna rimbombò l'eco di un tuono ed Atsushi si ritrovò steso sulla schiena, sopra la coperta. Aprì gli occhi solo per vedere i capelli di En sparire dal suo campo visivo e sentirne le punte umide solleticargli lo sterno e lo stomaco. Sollevò il bacino e si dimenò per aiutare l'altro a sfilargli i pantaloni e la biancheria, che En accantonò con malagrazia in un angolo. Per un momento, rimasero in silenzio - il tempo sembrava sospeso; nulla esisteva se non loro due, in quella piccola caverna tagliata fuori dal resto del mondo da una cortina di pioggia, che rendeva il bosco una confusione di colori scuri, freddi.

En aveva un braccio avvolto attorno al ginocchio piegato di Atsushi. Vi appoggiò contro una tempia e diresse un breve sorriso al principe.

Questo non lo ricambiò. Teneva le mani incrociate sul petto, quasi a coprirsi. Aveva leggermente freddo, ora, e sentiva una lieve pelle d'oca irradiarsi sugli avambracci. I suoi occhi castani rivolsero una muta preghiera all'altro, quasi implorandolo per un po' di calore.

"Enny..."

En si voltò e baciò la pelle della coscia, lì dove aveva appoggiato la guancia; poi, le sue labbra percorsero tutto l'interno della sua gamba. Arrivato all'inguine, sollevò gli occhi verso Atsushi, che tese le mani verso di lui, in una chiara richiesta.

Appena stupito, En si sollevò e salì ad abbracciarlo ed Atsushi gli si aggrappò alla schiena, reclamando per sé la sua bocca. Di nuovo, non esisteva altro se non il gioco delle loro labbra e delle loro lingue, il calore quasi violento causato dall'attrito tra i loro corpi, dallo sfregarsi delle dita che accarezzavano e che afferravano gentilmente ciocche di capelli.

Atsushi sollevò una gamba e la lasciò scivolare sopra i fianchi di En, il quale a sua volta fece scorrere le sue mani più giù, lì dove i loro corpi si intersecavano. Nel bacio, il principe gli morse un labbro, ed En emise uno sbuffo di sorpresa.

Fuori, un tuono esplose proprio sopra le loro teste.
 
 
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A vederli da lontano, sarebbero apparsi come scintille, due punti di luce colorata che schizzavano qua e là - ma erano troppo grandi per essere lucciole, e poi quale lucciola avrebbe potuto risplendere così tanto in pieno giorno?

Attraversavano a tutta velocità i campi ricchi di grano, lontani dalle strade percorse da mercanti e contadini, sfiorando appena il mare delle spighe piegate di lato dal vento.

"Sembra che stia per scatenarsi un acquazzone," disse la luce rosa ad un tratto.

Non era davvero una scintilla, naturalmente, ma Ryuu lo spirito, che aveva adottato la sua forma alata per poter viaggiare più velocemente.

Nonostante le piccole dimensioni, indossava ancora la versione ridotta degli abiti di cui si era agghindato per presentarsi a corte di fronte ai sovrani: una tunica di broccato rosa decorata da un intricato disegno floreale, pantaloni a sbuffo con lo stesso motivo, e scarpe a punta laccate e splendenti. Io, che volava al suo fianco, indossava abiti molto simili, ma nei toni dell'oro.

Io, Ryuu e Yumoto si erano alternati nei viaggi a palazzo per tutta l'estate. I sovrani avevano insistito affinché il figlio fosse portato a corte il giorno del suo compleanno, e gli spiriti si erano ingegnati al fine di incantare almeno una delle torri del palazzo con magie che tenessero alla larga i demoni. Dopo settimane di lavoro, il lavoro era quasi finito, ed i due non vedevano l'ora di essere a casa. Malauguratamente, si stavano dirigendo proprio dove le nuvole temporalesche erano più dense e nere, esattamente sopra la loro foresta.

"Ci conviene affrettarci," rispose quindi Io.

"E con il nostro ospite come la mettiamo?"

Nessuno dei due si girò o voltò indietro, per non rendere evidente il fatto che si fossero accorti del loro inseguitore. Non avevano idea di chi fosse, ma già da un po' si erano resi conto di essere pedinati, e tale costanza iniziava ad essere sgradita.

"Una volta oltrepassata la nostra barriera, non dovremmo avere problemi, ma ritengo sia meglio occuparcene prima."

Ryuu annuì. "Mi hai letto nel pensiero."
 
 
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Akoya volava tenendosi a debita distanza dagli altri due, che svanivano e riapparivano all'orizzonte, seminascosti dall'ondeggiare del grano. Per essere meno visibile, aveva adottato le stesse ridotte dimensioni della coppia di spiriti, che stava seguendo da quando avevano lasciato la capitale.

La velocità del volo ed il vento che preannunciava il temporale gli scompigliavano i capelli in modo fastidioso, così da rendere anche più ingrato il compito che doveva portare a termine. Se solo si fosse trattato di qualcun altro, e non di quel dispettoso spirito del fuoco...!

Ad un tratto, le sue prede ricomparvero e il demone rallentò: di fronte a lui, i due punti di luce erano evidentemente fermi ai piedi di un cespuglio - chissà, forse avevano deciso di ripararsi lì sotto prima che iniziasse l'acquazzone imminente.

Akoya si avvicinò, attento ma deciso. Fu solo quando era ormai troppo vicino che si accorse che le due piccole luci davanti a lui erano troppo immobili, troppo statiche. Ancora un battito di ali ed ai suoi occhi apparvero chiaramente due enormi gemme luminose, un rubino ed una pepita d'oro, circondate da leggere fiamme fatate che emanavano la luce che lo aveva tratto in inganno, facendogli credere che fossero vive.

Per questo, il demone non fu affatto sorpreso quando tutt'intorno a lui si materializzò una rete fatta di sottili lingue di fuoco ed alle sue spalle risuonò una voce trionfante e canzonatoria.

"Ah-ah! Chi sarebbero le fatine dei fiori questa volta, eh?"

"Spirito dei fiori, se permetti - non lo sono nemmeno più, comunque!" precisò Akoya, raddrizzandosi e sistemandosi i capelli, per poi voltarsi con flemma. Anche se catturato dal nemico, doveva pur sempre rimanere presentabile - non che in questo caso sarebbe stato un problema, data l'identità del nemico in questione.

"Non che abbia molta importanza," rispose Ryuu stringendosi nelle spalle. "Fatine o spiriti dei fori che siano, il fuoco non è loro amico."

"Non una grande perdita," replicò asciutto il demone.

La rete di fiamme era stabile attorno a lui, come una gabbia, le maglie troppo strette per consentirgli di scappare. Esse si allargarono appena, però, per consentire ad Io di passarvi attraverso.

"Permettimi," fece lui, facendogli cenno di girarsi. Akoya obbedì con una smorfia ed alzando il mento in un gesto di disprezzo. Io gli condusse gentilmente i polsi dietro la schiena e, l'istante dopo, qualcosa di freddo e duro glieli immobilizzò.

Proprio in quel momento, attorno a loro iniziarono a cadere gocce di pioggia grosse come le loro teste.

"Ouch!" fece Ryuu, che era stato centrato in pieno da una ed ora aveva una massa di capelli fradici che gli ricadevano in faccia. La gabbia di fiamme attorno ad Akoya vacillò per un istante e poi si spense in uno sbuffo di fumo.

"Sembra che tu non sia particolarmente amico nemmeno dell'acqua, mh?" il demone aveva un sorrisetto soddisfatto, che però durò pochi istanti appena, fino a che la pioggia non colpì anche lui, ricoprendogli il viso di ciocche rosa e bagnate.

Io volò fino al cespuglio dove avevano sistemato le due pietre che erano servite da esca per il demone, trascinandosi dietro anche quest'ultimo. Ryuu li seguì, mantenendosi sempre accanto ad Akoya, al lato dove non c'era Io.

Si sedettero sul terriccio sotto le foglie più larghe della pianta, osservando le gocce di pioggia infrangersi attorno a loro.

Il prigioniero si era accomodato graziosamente tra i due spiriti, le gambe elegantemente ripiegate sotto di sé, guadagnandosi un'occhiata esasperata da parte di Ryuu. Accoccolato lì, estremamente tranquillo nonostante la situazione, Akoya non sembrava aver intenzione né di scappare né di opporre alcun tipo di resistenza.

"Che cosa pensavi di riuscire ad ottenere seguendoci, comunque?" fece lo spirito del fuoco dopo un po'. "Tu ed i tuoi compari dovreste aver capito ormai che non potete attraversare la nostra barriera in alcun modo."

Akoya si strinse nelle spalle e non disse nulla.

I due si scambiarono un'occhiata perplessa. Akoya poteva essersi messo ad osservarli anche solo per scoprire quale fosse la strada che percorrevano normalmente una volta usciti dal bosco, per poter poi tendere loro un'imboscata, oppure per capire come mai i loro viaggi tra la foresta e capitale si fossero fatti così frequenti in quegli ultimi mesi.

Certo, era strano che se ne stesse così tranquillo e non tentasse alcun trucco per liberarsi. Che si trattasse un'imboscata? Eppure non percepivano altre presenza magiche, lì attorno; inoltre, erano stato i due spiriti a decidere quando e dove fermarsi.

Fuori dal loro riparo, lo scroscio della pioggia aumentò di intensità e il cespuglio si piegò improvvisamente sotto la forza delle intemperie, scaricando sui tre spiriti tutta l'acqua che si era accumulata sulle sue foglie.

"Oh, mannaggia a questo tempo!" Ryuu si lamentò, coprendosi la testa con le mani in un tentativo patetico quanto inefficace di salvarsi da quella cascata in miniatura.

"Ecco," fece Io quando uno scudo di opaca luce dorata si formò sopra le loro teste, impedendo loro di infradiciarsi oltre.

Akoya, però, si spostò in avanti fino a ritrovarsi fuori dalla sua protezione. "Ne faccio volentieri a meno," annunciò.

Il temporale impazzava, i campi di grano che li circondavano erano diventati una confusione di oro e grigio, le spighe piegate dalla forza degli elementi e la terra lì attorno che andava rapidamente trasformandosi in pantano. La chioma di Akoya di fronte a loro era carica d'acqua e si spargeva pesantemente sulle sue spalle e sulla schiena come una cascata di petali fradici di pioggia, reclinati sullo stelo del fiore.

"Non c'è bisogno di fare così il melodrammatico," commentò Ryuu roteando gli occhi. Gli era bastato poco, ora che era al riparo dalla pioggia, per tornare asciutto, complici le sue fiamme magiche, e vedere il demone così miseramente seduto sotto l'acquazzone gli sembrava uno spettacolo davvero disdicevole.

Senza dire niente, Io allargò il suo incantesimo, fino a ricoprire anche il loro prigioniero. Questo si irrigidì e fece per spostarsi ancora, ma se si fosse mosso ulteriormente sarebbe finito nel fango, e tale prospettiva lo fece rimanere al suo posto. Certo, Akoya era un tipo orgoglioso che non avrebbe mai accettato alcunché dal nemico, ma evidentemente l'idea di sporcarsi di melma vinceva anche su quel lato del suo carattere.

"Vi diverte tanto giocare con me?" il demone si voltò indietro con un sibilo, per niente grato della protezione dalla pioggia.

Ryuu aggrottò le sopracciglia, offeso, e fece per rispondergli a tono, ma Io parlò prima di lui.

"Siamo tutti nella stessa situazione, adesso, tanto vale stare comodi, per quel che si può."

"Nella stessa situazione, mi prendi in giro? Sono vostro prigioniero, lo so benissimo, ma che non crediate di farmi passare per scemo."

"Forse se tu te ne fossi rimasto dove stavi e non ci avessi pedinato non sarebbe finita così," ironizzò Ryuu. "Certo non è stata una mossa intelligente!"

Akoya socchiuse gli occhi con astio. Dietro Ryuu, lo stelo di una pianta si piegò all'improvviso e gli rovesciò addosso tutta l'acqua contenuta nei calici delle foglie. Lo spirito del fuoco boccheggiò, colto alla sprovvista, e si scrollò per asciugarsi. L'attimo dopo, aveva di nuovo la bacchetta in mano e la puntava contro Akoya con fare aggressivo. "Brutto..."

"D'accordo, basta."

Io alzò una mano per placare gli animi, e la stretta attorno ai polsi di Akoya divenne più salda, per ricordargli che non sarebbero stati tollerati altri trucchetti.

Ryuu si strinse nelle spalle e vorticò la bacchetta per finire di asciugarsi. Stava per metterla via, quando si accorse che Io lo stava osservando con uno sguardo significativo. Ryuu allargò le braccia, come a chiedergli che cosa voleva che facesse, ed Io sollevò le sopracciglia, indicando Akoya con un cenno della testa.

Lo spirito strabuzzò gli occhi e poi scosse la testa, come a dire che non se ne parlava nemmeno, ma l'altro ripeté lo stesso gesto, irremovibile.

Con un sospiro, Ryuu puntò la bacchetta nella direzione di Akoya, che venne avvolto da un sottilissimo velo di fiamme. Quando questo si dissolse, il demone era di nuovo perfettamente asciutto - forse anche troppo, visto il lieve filo di fumo che si alzava da una ciocca dei suoi capelli.

Akoya si voltò, inviperito. "Questa potevi anche risparmiartela, sei un essere infimo e spregevole!"

"Non è colpa mia se sei così facilmente infiammabile," replicò Ryuu esibendo un bel po' di lingua.

Io si premette le tempie con aria disperata. "Potete smetterla adesso?"

"È stato lui a cominciare, Io, l'hai visto benissimo! Mi ha rovesciato addosso tutta quell'acqua. A me è solo sfuggita la mano!"

Prima che il demone potesse tornare a dire la sua, Io gli si avvicinò.

"Scusalo, per favore," gli disse sedendosi accanto a lui e prendendo in mano la ciocca di capelli bruciacchiata. Il danno non era poi tanto grave, ma si notava subito in mezzo alla chioma perfetta del demone. "Sono sicuro che ricresceranno in fretta."

Akoya si strinse nelle spalle e si voltò dall'altra parte.

"Non è stata una trovata particolarmente geniale, seguirci così, da solo," puntualizzò quindi Io, ma non in tono canzonatorio. Suonava genuinamente curioso e perplesso.

Akoya si voltò a fissarlo negli occhi. Al posto di una reazione innervosita, però, sostenne il suo sguardo per diversi istanti, come a valutare esattamente che cosa rivelare, e se l'altro avrebbe o meno capito.

"Mi piacerebbe poterti rispondere che, anche potendo rivelarvi i miei motivi, preferisco tenermi tutto per me, ma la realtà è che, anche se volessi, non potrei dirvi nulla," sputò fuori alla fine, tornando poi a guardare la pioggia.

Ryuu si voltò con aria stranita verso Io - cos'era, il demone cercava di prenderli in giro con indovinelli e giochi di parole senza senso? Ma lo spirito della terra sembrava stare soppesando attentamente le parole del loro prigioniero. Dopo un po', si protese verso di lui, cercando di sbirciarne il volto.

"Oh, è una lacrima quella...? Via, ti ho appena legato i polsi, non mi pare di trattarti con crudeltà."

"Ma che cosa dici! Ti pare che potrei mai mettermi a piangere per una cosa simile?!" Akoya protestò, voltandosi di scatto.

Io sorrise e gli sfiorò appena il volto con un dito. Sul suo polpastrello ora tremava una goccia.

"È solo un po' di pioggia," protestò ancora Akoya, stavolta un po' più debolmente.

"Dici? Be', a volte è difficile ammettere la verità."

Il demone serrò le labbra e il suo sguardo cercò di scappare da quello di Io, ma poi annuì appena.

Lo spirito della terra serrò le dita della mano. Un tenue lampo dorato trasparì attraverso la sua pelle e, quando riaprì il pugno, sul palmo splendeva una perla rosata. Anche nella luce grigia del temporale, questa emanava un tenue bagliore iridescente.

Akoya sbatté le palpebre, evidentemente colpito.

"È tua," fece Io. La sollevò - ora era attaccata ad una catenella d'oro rosa - e si allungò per allacciarla dietro al collo del demone. Sotto le sue dita, le due estremità della catena si unirono senza bisogno di ganci o fermagli.

Akoya aggrottò lievemente le sopracciglia, come a cercare di capire il significato di quel gesto, e il suo sguardo incrociò per un attimo quello di Io.

"Non sempre c'è bisogno delle parole, per esprimere qualcosa," gli disse lo spirito pacatamente. Gli occhi azzurri del demone si spalancarono per un attimo, poi si chiusero, in segno di comprensione.

"Se hai finito con le smancerie, la pioggia sta finendo," la voce di Ryuu suonava davvero innervosita.

Io si alzò. "I miei incantesimi dureranno ancora un po', poi sarai libero," si accomiatò lo spirito della terra, riferendosi sia a quello che teneva Akoya prigioniero che a quello che lo stava proteggendo dal temporale. "Be', quasi," aggiunse Io dopo averci ripensato.

Akoya lo guardò per in istante, poi sembrò capire. Annuì lievemente.

Senza aggiungere altro, i due spiriti presero il volo e il demone rimase voltato a seguirli con lo sguardo. Con un sospiro, si sedette più comodamente, in attesa che l'incantesimo di Io lo rilasciasse. Non credeva che sarebbe mai arrivato a pensarlo, ma era una fortuna che quello spirito della terra fosse, se non altro, intelligente e di buone maniere. Se avesse dovuto aver a che fare con lo spirito del fuoco soltanto, avrebbe anche potuto lasciar perdere fin dal principio, pensò con stizza.

Ma adesso poteva anche rilassarsi, si disse; in fondo, la sua parte l'aveva fatta.
 
 
~~~
 
 
Lo sgocciolio occasionale dei residui di pioggia accompagnava il canto degli uccellini che, piano piano, ricominciavano a svolazzare nel cielo pomeridiano, le piume ancora arruffate dopo il temporale.

Se En aguzzava le orecchie, poteva sentire il lievissimo frusciare dei polpastrelli di Atsushi nei suoi capelli, ed il battito del cuore nel suo petto, che adesso stava usando come cuscino. Aveva le narici piene dell'odore muschiato della foresta dopo la pioggia, condito da un vago sentore di pelle sudata e di olio profumato.

Un braccio piegato dietro la testa, Atsushi teneva gli occhi chiusi ed accarezzava la testa dell'amante, distratto. En sollevò un po' il mento, puntellandolo sugli avambracci incrociati sopra lo sterno del principe. Questo sembrava in pace, appagato, forse un poco stanco.

"Ehi, Atsushi."

"Mh?"

En sospirò. Sentiva un peso nel petto, un peso piacevole, ma così intenso che gli causava quasi dolore.

"Vorrei che fosse sempre così."

Il principe aprì gli occhi e lo osservò senza capire.

"Vorrei svegliarmi ogni mattina in questo modo, accanto a te," spiegò En. "...ecco, magari se fossimo in un letto saremmo più comodi, ma anche quello mi importerebbe relativamente."

Atsushi richiuse gli occhi, mentre per un attimo la presa sui capelli di En si fece più intensa.

"Oh, Enny..."

Poteva non voler dire nulla, poteva voler dire tutto - En non ci diede importanza, in quel momento sentiva solo l'impellente bisogno riuscire a togliersi quel peso dal petto.

"Ti ho già detto che ti amo?" En aggiunse, ed Atsushi riaprì gli occhi, sorridendogli pacatamente.

"Sì."

En annuì e si girò su un lato, alzandosi su di un gomito così da poter guardare Atsushi da vicino. Aveva un'espressione seria in volto, ed anche l'altro drizzò leggermente la testa, attento.

"Atsushi, tu sei tutto per me, sai?"

En non aveva vena poetica, lo sapeva, e forse era per quello che nonostante le parole il peso nel suo petto non si sgonfiava. Tuttavia, preferiva essere diretto, affinché l'altro sapesse: Atsushi aveva totalizzato la sua vita, era la persona che gli aveva fatto trovare uno scopo, che aveva donato un perché alle lunghe giornate trascorse nei boschi, a quella quotidianità sempre monotona.

"Rimani qui, per favore," lo pregò quindi, semplicemente.

Atsushi gli restituì un piccolo sorriso di scuse. "Non è possibile, lo sai. Sono un principe e non posso lasciare la corte, così come tu non puoi lasciare la foresta."

"Se io potessi lasciarla, potrei venire a corte, però." Era a metà tra un'affermazione ed una domanda, una domanda della cui risposta En non era affatto sicuro.

"Ma non puoi," precisò Atsushi, ed En, anche se sapeva che l'altro si stava riferendo solo al fatto di lasciare la foresta, fece il broncio.

Il principe gli accarezzò il viso e l'altro gli si stese accanto.

"Non voglio che tu te ne vada," si lamentò.

“Enny, nemmeno io voglio tornare a casa, a maggior ragione con il ballo che incombe."

"Be', può capitare a tutti di perdersi nel bosco, no? Potresti essere stato catturato da uno spirito cattivo," suggerì En. "Il fratellone ed i miei cugini ti adorerebbero, sai?"

Atsushi inarcò un sopracciglio. "Non gli hai mai detto niente di me... Non credo sarebbero entusiasti se comparissi di punto in bianco sulla soglia di casa."

En si strinse nelle spalle. "Perché devi stroncarmi così, Atsushi," si lamentò, insinuando una gamba tra quelle dell'altro ed avvicinando il proprio volto al suo.

"Ma dico solo la verità," il principe poggiò un polpastrello sulle labbra di En per mantenere una minima distanza tra loro.

"Come sei freddo..." En gli baciò la punta del dito, sollevando su di lui occhi bisognosi. "Dimostrami un po' d'affetto."

Atsushi sorvolò sul fatto che gli sembrava di avergli dimostrato già una buona dose di affetto, quel giorno; invece, tolse il dito dalla bocca dell'altro e lasciò che le loro labbra si toccassero, inesorabilmente attratte tra loro.

Si baciarono teneramente, le mani di En che accarezzavano lente la schiena del principe, lasciando che le dita indugiassero in ogni solco ed incavo tra le sue ossa, come se, cieco, stesse cercando di ricostruirne tutta la figura attraverso il tatto soltanto.

Atsushi lo abbracciò a sua volta e i loro bacini si sfiorarono, trasformando in pochi istanti il bacio da tenero in appassionato. Il principe si staccò e, a carponi, si portò sopra En, che emise un lieve verso di protesta.

"Sssh," Atsushi lo baciò su una guancia e poi le sue labbra e la sua lingua gli scesero lungo il collo, la spalla e poi il fianco, unendosi alle sue mani per accarezzare e provocare la sua pelle, trasformando il brontolio di En in piccoli mugolii di piacere.

Questo lasciò che Atsushi giocasse con lui a suo piacimento e sprofondò il viso tra le braccia, inalando l'odore di lana umida della coperta per soffocare gli occasionali gemiti e sospiri che gli sfuggivano dalle labbra. Ogni movimento dei polpastrelli e delle labbra dell'altro produceva una piccola scintilla, un singulto di calore, fino a che il desiderio non gli fece alzare la testa per chiamare il nome dell'altro.

Atsushi gli fu accanto per baciarlo ancora sulla guancia e poi su tutto il viso, mentre le sue dita gli scendevano tra le natiche. L'aria profumava nuovamente di olio speziato ed En si voltò a cercare gli occhi del principe.

"Prometti che tornerai prima della prossima estate..." pregò, mordendosi appena il labbro al tocco insistente di quelle dita. "Anche solo per un giorno."

“Prometto che tornerò non appena potrò,” mormorò con impazienza l’altro, per poi sigillargli le labbra con le sue. Liberata la mano, lo abbracciò con forza, tirandolo a sé e premendo il proprio petto contro la sua schiena.

En si aggrappò a quell’abbraccio, stringendo la mano di Atsushi nella sua, mentre con l’altra afferrava un lembo della coperta. Il principe lo baciò sul collo, ed En affondò il viso nell’incavo del proprio braccio.
 

~~~
 
 
I due spiriti procedevano a zig zag tra gli alberi della foresta che andava risvegliandosi dopo il temporale. Nessuno di loro aveva più aperto bocca, dopo che avevano lasciato Akoya nei campi. Ryuu volava nervosamente, scansando i tronchi all'ultimo, mentre Io lo seguiva con aria pensosa, apparentemente poco interessato al tragitto.

Ogni tanto, dopo una curva particolarmente violenta, Ryuu si voltava per controllare che lo spirito della terra fosse ancora dietro di lui e non fosse invece andato a sbattere malamente contro un albero per la troppa disattenzione. Anche questa volta, però, Io aveva seguito pedissequamente la traiettoria del compagno. Nonostante ciò, era sufficientemente distratto per finirgli quasi addosso quando quest'ultimo si fermò bruscamente.

"Che succede?"

Ryuu incrociò le braccia sul petto e lo affrontò con occhi fiammeggianti - descrizione alquanto letterale, visto che si trattava di uno spirito del fuoco.

"Succede che sei completamente con la testa tra le nuvole! Stai ancora ripensando a tutte quelle smancerie che ti sei inventato per Akoya? Che cosa non mi è toccato vedere!"

Io sbatté le palpebre, perplesso. "Smancerie? Di che stai parlando, Ryuu?"

"Di che cosa sto parlando?" Io avvertì distintamente una vampata di calore provenire dall'amico di fronte a lui. "Ooh, ma guarda, una lacrimuccia sul quel bel visetto, aspetta che la trasformo in una perla e ti faccio una collana...!"

Nonostante l'evidente rabbia dell'altro, Io non seppe trattenere un piccolo sorriso.

"Ma Ryuu, non gli ho certo fatto un regalo per ingraziarmelo," cercò di spiegare.

"Ah, ora si chiama 'ingraziarsi' le persone, questo?"

"Ryuu, ragiona. Non ti sembra che il comportamento di Akoya sia stato alquanto bizzarro?"

Lo spirito del fuoco piegò le labbra all'ingiù con disdegno, ma nonostante questo continuò ad ascoltare.

"Rifletti. Innanzitutto, come mai siamo stati in grado di percepirne la presenza così facilmente? Anche quel giorno al villaggio, non ci siamo accorti di lui se non quando ce lo siamo ritrovati di fronte. E poi, a che pro seguirci da solo quando sapeva benissimo che non poteva né avere la meglio su di noi in uno scontro né superare la nostra barriera?"

Ryuu si strinse nelle spalle. "Per darci fastidio?"

"E quella frase? Sul non poterci dire nulla nemmeno se avesse voluto?"

Lo spirito del fuoco fece un gesto brusco con la mano, come a voler far cadere l'argomento. "Pensava di prenderci in giro. Perché parlare per enigmi? Se avesse voluto qualcosa, avrebbe potuto dirla direttamente."

Io sollevò le sopracciglia, guardando Ryuu intentamente negli occhi. "Ma se non avesse potuto? Se fosse controllato da qualcuno, o da qualcosa?"

Ryuu cambiò posizione, a disagio. "Questa faccenda è inquietante, Io."

"Sono demoni, mi stupirei se fosse il contrario," commentò l'altro, razionalmente. "E dev'essere perfino più inquietante di quel che immaginiamo, se perfino Akoya ha tentato di lanciarci un segnale."

Lo spirito del fuoco spalancò gli occhi. "Vuoi forse dire che ci stava chiedendo aiuto, in qualche modo?" chiese, per poi scuotere la testa. "Akoya è troppo orgoglioso per una cosa del genere. E comunque, anche se fosse? Credevo che fossimo d'accordo sul fatto che di quei demoni non ci importava niente."

Io annuì, pensoso. "Nemmeno io so che cosa pensare esattamente, ma l'occasione era troppo buona per lasciarsela sfuggire, e quindi l'ho legato con quell'incantesimo."

Ryuu mise le mani sui fianchi. "Gli hai messo al collo una perla creata da te. Tu non regali mai niente a nessuno ...a parte En, ecco."

"È un incantesimo di localizzazione, Ryuu. Quella catenella non ha un'apertura, dovrà usare la magia per liberarsene e, se lo farà, io lo saprò, così come potrò seguire i suoi spostamenti finché l'avrà addosso. E con i suoi, sperabilmente, anche quelli di Kinshiro," spiegò pazientemente lo spirito della terra. "Sei convinto, adesso?"

La spiegazione non sembrò affatto calmare Ryuu, le cui mani, ora, stavano spiegazzando nervosamente i bordi dei pantaloni.

"Be', avresti potuto spiegarti anche prima, invece di far sembrare il tutto così..." le fiamme, ora erano passate dai suoi occhi alle sue guance.

"Così come?"

"Ah, lascia stare!" fece in tono brusco, per poi voltarsi riprendere a volare anche più velocemente di prima.

Io gli si affiancò, non senza un qualche sforzo. Ryuu era rosso in viso e lo stava ignorando di proposito.

"Ehi, tu guarda, anche questa è una lacrima?" fece lo spirito della terra, accarezzandogli gentilmente una guancia.

Ryuu si voltò immediatamente. "Mi prendi in giro?"

Ma Io sorrise e tese verso di lui una mano aperta. Sul palmo riluceva un rubino scarlatto, così trasparente che sembrava contenere fiamme vive.

"Non ho bisogno di queste cose," rispose Ryuu, guardingo, ma i suoi occhi indugiavano tra la pietra ed il viso sempre sorridente di Io.

"Prendila," lo invitò l'altro.

Ryuu esitò per un attimo ancora, poi sollevò il rubino tra le punte delle dita e, senza degnarlo di un secondo sguardo, lo gettò di lato. Un momento dopo si udì il tonfo sordo della pietra che atterrava in mezzo al sottobosco.

"Di quello non so che farmene," spiegò quindi allo spirito della terra che lo guardava vagamente offeso. Dopo un attimo di esitazione, però, Ryuu gli prese la mano. "Rispetto a questa, invece, qualche idea ce l'ho."

Ryuu sorrideva, adesso, il viso ancora arrossato ma con un’espressione spavalda sul volto. "Preferisco stringere questa piuttosto che tutte le pietre preziose del mondo."

Io distolse gli occhi, sul volto un'aria combattuta, come se fosse indeciso tra il prendersela con l'altro per aver gettato via il suo rubino ed il sentirsi lusingato per ciò che gli era stato appena detto. Alla fine, però, ricambiò il sorriso di Ryuu.

Concordavano entrambi sul fatto che, per esprimere certe cose, non fossero affatto necessarie le parole, e quindi nessuno di loro disse nulla, riprendendo il volo mano nella mano.

Nella foresta, la luce sfumava nell'oro del tramonto.
 
 
~~~
 
 
Quella sera, come tante altre, Atsushi aveva allungato il percorso che lo avrebbe condotto a casa per passare di fronte alla villa di Kinshiro.

Il risultato della sua diversione non era stato differente dalle volte precedenti: le finestre erano sempre chiuse, il cancello sprangato, il giardino in uno stato di disordine progressivo che faceva male al cuore al ricordo di quanto curato fosse, quando c'era il signor Ibushi ad occuparsene.

Quella sera, però, Atsushi non era venuto solo per avere l'ennesima conferma che il suo amico era ancora lontano.

Smontò da cavallo e legò l'animale al cancello, dopodiché si impegnò a scavalcare il muro. Ci volle un po', ma alla fine il principe atterrò con malagrazia dall'altra parte, trascinando con sé anche diversi rami della pianta di edera che si arrampicava su quelle pietre.

Nelle ombre che si allungavano, il giardino era immobile e silenzioso. Mentre si incamminava per i vialetti che conosceva a memoria, gli occhi di Atsushi vagavano tra l'erba ed i cespugli più bassi, alla ricerca dei piccoli abitanti. Fu sollevato quando, finalmente, incontrò il musetto scuro di un riccio: l'animale lo osservò per un attimo e poi se ne andò zampettando, alla ricerca della sua cena. Per quanto privo della presenza umana, il giardino era ancora vivo, e saperlo gli regalava uno strano sollievo.

Man mano che si avvicinava alla sua meta, però, il principe sentiva il battito del suo cuore accelerargli nel petto. Era tanto, davvero tanto tempo che non entrava nel labirinto, e comunque non lo aveva mai fatto da solo, né tantomeno a quell'ora della sera.

I cespugli di rose stavano lì, silenziosi ed indifferenti. Il temporale del pomeriggio aveva fatto cadere i petali, ma tutta l'erba intorno era cosparsa di steli e foglie - era chiaro che nessuno aveva più messo mano a quelle piante per settimane. Chissà, si chiese il principe, se il signor Ibushi rimpiangeva l'aver dovuto lasciare il giardino per seguire Kinshiro. Sicuramente poteva immaginare in che stato si sarebbe ridotto, senza le sue cure.

Atsushi si riscosse, realizzando di stare indugiando di proposito di fronte all'entrata del labirinto, nervoso all'idea di dovervi mettere piede. Tuttavia, non aveva senso posticipare, visto che era venuto fin lì appositamente per quello. Inoltre, se avesse aspettato ancora un po', sarebbe calato il buio e la notte avrebbe solo peggiorato le cose. Quindi, trattenne il respiro e varcò la soglia.

Tutto accadde nel giro di pochi attimi - o qualche minuto, forse, il principe era troppo agitato per avere un'esatta percezione del tempo.

Svoltati un paio di angoli, nel tempo di un battito di ciglia, si ritrovò già nel cuore del labirinto. Il gazebo era lì, l'interno pieno di foglie secche, il legno umido di pioggia. La colonna dove Atsushi ricordava aver visto la piccola statuina di giada era vuota. L'aria era profumata e ferma, non c'era alcun suono se non quello delle cicale, nessuna voce bisbigliante, nessun refolo di vento a spostare i rami di fronte a lui.

Il principe si lasciò andare ad una risatina nervosa. Si era perso innumerevoli volte in mezzo ai quei cespugli; anche quando Kinshiro lo aiutava a trovare la strada, il percorso tra le siepi gli era sempre apparso infinito, quasi il labirinto si dipanasse a suo piacimento per ingoiare i due ragazzini nelle sue profondità.

Adesso, nonostante il buio che stava calando velocemente, Atsushi lo vedeva per quello che era: una geometria di siepi di rose costruita con cura, un piccolo angolo floreale in un ricco giardino, come ce n'erano tanti. Forse, si disse, era davvero cresciuto in quei mesi, e certe cose che gli sembravano così spaventose in passato ora erano diventate innocue.

Eppure, ricordava fin troppo bene la sensazione che quelle piante avessero occhi per spiarlo e voce per parlargli, ed ora non erano che foglie e rami, silenziosi ed immobili nella fresca aria notturna di fine estate.

Il ragazzo tornò a respirare normalmente. Era sollevato, certo, ma provava anche un bizzarro senso di vuoto a cui non riusciva a dare un nome.

La magia del labirinto se n'era andata, esattamente come gli abitanti della villa. 



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Note: grazie come sempre alla mia beta Yuki <3 però, volevo dedicare questo capitolo a Wren, che tanto so che legge senza commentare (e apprezzo infinitamente il coraggio di sciropparsi quest'AU senza nemmeno essere fan dell'anime!). Sicuramente, questa parte ti ha fatto trovare le risposte a tante domande esistenziali, e cioè: a che mi serviva la parola "rebbio", e quale fosse l'ordine degli addendi (anche invertendolo, il risultato non cambia, sempre di fanservice si tratta!).
  
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