CAPITOLO 4:
IL CANTO DI MUSA
La
debolezza di Tecna non fu presa bene dalle ragazze. Nonostante io fossi
stata
molto chiara sul fatto che la nostra amica non fosse corrotta ma solo
emotivamente instabile, tra le Winx iniziò a serpeggiare la
paura e il
sospetto, come se, da un momento all'altro, le compagne di una vita
potessero
rivoltarsi le une contro le altre e diventare tutte Orphan impazzite.
A mente
fredda, ora che è ormai tutto finito, non posso nemmeno
prendermela troppo con
loro: se una roccia solida come Tecna si era ridotta in quel modo, a
una
ragazza sensibile come Flora cosa sarebbe potuto accadere? Faceva
paura...
faceva tanta paura.
Nei
momenti passati insieme, l'aria era sempre carica di tensione: l'ansia
era ben
percepibile, densa come nebbia, per questo motivo mi stupii molto
quando mi
accorsi che l'unica nota stonata del gruppo era Musa, la migliore amica
di
Tecna e quella che, per via di logica, avrebbe dovuto star male
più di tutti. I
suoi sorrisi non erano affatto tirati né falsi, a noi si
mostrava sinceramente
tranquilla e ottimista.
D'altronde,
lei è sempre stata così: la forza motrice del
gruppo, quella che ti sprona a
vedere il bicchiere mezzo pieno anche nei momenti più bui.
Le ragazze amavano
questo suo lato luminoso, difatti mi inquietò non poco la
loro reazione durante
quei tristi giorni: in qualche modo, ebbi la conferma che non era solo
una mia
paranoia, c'era davvero qualcosa di marcio in quella realtà.
Perché
asserisco
questo con tanta sicurezza? Beh, perché
l’atteggiamento positivo di Musa iniziò
a destare discussioni e conflitti, ipotesi e idee assurde: c'era chi ne
era
contenta, tipo Flora, e invece c'era chi ne era decisamente
infastidita, come
Stella. Se da una parte l'ottimismo faceva bene, dall'altra era
percepita come
una forma di sconsideratezza: dopotutto, come si poteva star tranquilli
dopo
che la nostra cara amica si era distrutta in quel modo?
«Dobbiamo
essere contente che Tecna non sia corrotta! Certo che soffro nel
vederla ridotta
così, ma si può rimediare!» era solita
dire la fata della musica in ogni
occasione, ma ciò non faceva che scatenare un effetto domino
senza fine.
«Non
è che
Musa è così tranquilla perché sta
nascondendo qualcosa?» diceva Aisha; «Non
è
che stai dicendo così perché tu
stai
nascondendo qualcosa?» rispondeva Stella, e così
all'infinito, in un circolo
vizioso di sospetto e di paura.
La mia
voce in tutto quel caos? Inesistente. Erano terrorizzate,
più che insistere nel
dire che Tecna non era corrotta, cos'altro potevo fare? Ad essere
completamente
sincera, poi, la mia condizione non mi permetteva di occuparmi troppo
delle
faccende emotive degli altri: già ero abbastanza compromessa
da sola con i miei
pensieri, non avevo la forza di infilarmi anche nelle loro turbe
mentali.
Musa era
tranquilla alla fin fine, le uniche che si stavano facendo problemi
erano loro.
Così, decisi di lasciar perdere e di sorvegliare il tutto da
debita distanza. Non
avevo certo intenzione di commettere lo stesso errore due volte, avrei
comunque
continuato a tenerle sott'occhio.
Passò
qualche tempo. Cercavo di stare vicina a tutte e di far sentire loro la
mia
presenza, soprattutto a Musa; notai che passava più tempo da
sola del normale,
così andai a trovarla molte volte nel corso delle giornate.
Spartiti
musicali
erano sparpagliati un po' ovunque, il pc era sempre impostato su
programmi di
editing e gestione dei suoni e alcuni strumenti musicali erano fuori
dalla loro
custodia. Mi spiegò che stava scrivendo molti brani per
rilassarsi e, già che
c'era, le inviava a Tecna per farle piacere, visto che alla nostra
amica piaceva
moltissimo ascoltare le opere della fata della musica.
Nessun tic
strano, nessun comportamento ossessivo, era tutto nella norma. Ma
potevo
davvero fidarmi? Constatai che anche le altre non davano segno di
sintomi di
corruzione o di crolli nervosi nonostante la loro giustificata
paranoia, forse
le cose si stavano davvero aggiustando. Tuttavia, se c'era una cosa che
avevo
imparato in tutti quegli anni, era che non dovevo mai abbassare mai la
guardia.
Così feci.
Le
giornate passarono, in sostanza, pigre e tranquille; le allieve
mantenevano i
ranghi, io portavo avanti la mia vigilanza sugli Orphan e le lezioni
continuavano in modo regolare. Fin quando, beh... posso affermare con
certezza
assoluta, che quello fu il punto di rottura definitivo.
Se le cose
erano rimaste in precario equilibrio dopo gli avvenimenti di Faragonda
e Tecna:
se tutto, fino a quel momento, si era mantenuto stabile per quanto
possibile,
dopo ciò che sto per raccontare tutto crollò
irreparabilmente. Un effetto
domino di dimensioni catastrofiche che mi ha portato a fare
ciò che sto per
fare.
Come un
buco nero che porta tutto con sé verso l'oblio,
così tutto ciò che amavo stava
per capitolare davanti ai miei inermi occhi scarlatti. Ironico... ho la
potenza
necessaria per distruggere intere città, ma non ho avuto la
forza di fermare
questo.
Un giorno
come tanti, Musa tornò ad Alfea in tarda serata. Quella
stessa mattina ci disse
che, nel pomeriggio, sarebbe andata ad un appuntamento, ma aveva anche
detto
che sarebbe tornata presto; sorrideva e scherzava più del
consueto, divagando
sul motivo del suo ritardo.
Non demmo
troppo peso alla cosa e lasciammo correre, ignare di cosa la nostra
cara amica
nascondeva sotto il suo giacchetto largo, fin troppo largo per la sua
taglia. La
osservai meglio, senza farmi notare: camminava leggermente piegata in
avanti,
si stringeva il braccio sinistro. Niente di eccessivamente anomalo, non
c'era
nemmeno l'ombra dei tic della corruzione, eppure la cosa mi puzzava
parecchio.
Aveva l'aria di un animale ferito, ecco.
Il giorno
dopo, arrivò un mazzo di fiori enorme per Musa da parte di
un anonimo. In
principio ne fummo contente: ci scherzavamo sopra e punzecchiavamo la
fata
della musica per sapere chi fosse il misterioso spasimante, ma lei
quasi
scoppiò a piangere quando lesse il bigliettino che li
accompagnava, bigliettino
che non ci fece nemmeno toccare, per la cronaca. Tutto molto strano, ma
non
troppo strano, non ancora, almeno.
Un giorno,
Musa non tornò proprio. Allarmate, iniziammo a chiamarla al
telefono ma niente,
non rispondeva. Dopo alcune ore ci chiamò dicendoci che
rimaneva a dormire
fuori e che si era dimenticata di avvertirci. Non era da lei.
La mattina
dopo, si presentò con un braccio fasciato e un occhio
gonfio. Non potendo più
nascondere il fatto, vuotò il sacco: Riven era tornato a
Magix dopo la sua
lunga assenza. Ci disse che, finalmente, aveva capito il senso della
sua vita,
che il viaggio che aveva intrapreso aveva dato i suoi frutti e che ora
era
pronto a stare di nuovo con lei.
Ridendo in
modo teatrale, raccontò che era andata a trovarlo nel suo
alloggio a Fonterossa
ed era caduta dalle scale, facendosi male. Per non farla andare via in
quelle
condizioni, rimase da lui per la notte.
Ci
guardammo stupite e cupe, ma la lasciammo andare senza dir nulla. Dopo
così
tanti anni, Riven era tornato a casa e Musa si comportava in modo
davvero
strano, non era una coincidenza.
«L'ha
picchiata» dissi senza giri di parole. Le ragazze annuirono.
«Questo
torna all'improvviso e la prima cosa che fa è farle del
male?! Io lo ammazzo!»
urlò rabbiosa Aisha mentre Flora cercava di calmarla.
Stella
sbraitò esasperata: «Sapevo che, prima o poi,
sarebbe successo qualcosa! Era
fin troppo allegra. Quando mai le cose si sono sistemate da sole, per
noi?»
«La
questione è delicata, ragazze. Riven è sempre
stato un tipo strano, ma non si
era mai comportato così, fino ad ora. Sospetto che sotto ci
sia di più».
Parlai con
voce ferma e calma per farmi capire bene senza fraintendimenti,
sapevano dove
volevo andare a parare.
«Dici...
che sia corrotto? Ma non è nemmeno un essere magico, come
può essere corrotto?»
sussurrò Flora, come se avesse paura delle sue stesse
parole.
«Non
lo
so, ma... non è da escludere. Sentite, voi mantenete la
calma. Io andrò a
parlare con Musa, decideremo insieme cosa fare. State tranquille».
Detto
questo, girai i tacchi e mi diressi dalla fata della musica. I miei
passi erano
pesanti e lenti, mi sentivo annegare nei miei pensieri. Era davvero
possibile?
Una persona qualunque poteva essere contaminata? Improbabile,
impossibile. Cosa
poteva essere inquinato se non possedevano magia di nessun tipo?
Riflettevo
furiosamente, le idee cavalcavano veloci: se davvero Riven era
diventato un
Orphan, l'intero concetto di corruzione andava rivisto. Era qualcosa
che andava
al di là dell'essere una situazione pericolosa. Era gravissimo.
Arrivai
con più domande che risposte davanti la porta di Musa,
fortunatamente si stava
riposando in camera sua. Bussai e, inaspettatamente, lei mi fece
entrare senza
fare storie, non come invece aveva fatto Tecna.
"Oh
bene... già è qualcosa" pensai speranzosa.
La fata mi
accolse con un sorriso stanco, si sdraiò nuovamente sul
letto e io mi sedetti
accanto a lei. Non perse tempo e vuotò subito il sacco, era
inutile raccontare
menzogne.
«So
benissimo che a te non posso farla in barba» disse
ridacchiando, poi continuò:
«Avevo sognato questo momento da così tanto
tempo... è tornato, capisci? L'uomo
che amo, finalmente con me».
Le strinsi
la mano e la lasciai parlare liberamente.
«C'era
qualcosa che non andava. Era così strano... oppresso. Cadeva
spesso vittima di
crisi d'ira, così, senza motivo. Ieri mi ha pestata come un
saccone da box solo
perché gli ho detto di farsi aiutare da qualcuno. Quando non
è arrabbiato è
sempre così dolce, mi implora perdono... e io lo faccio.
Volevo... volevo che
le cose andassero bene per forza, che tutto fosse come doveva
essere...»
I suoi
occhi si riempirono di lacrime. Io rimasi inespressiva per non cadere
nella
tentazione di dare di matto e fracassare tutto, poi mi
guardò dolorante con
aria sconfitta, dicendomi: «È corrotto,
vero?»
Non ne
avevo la certezza assoluta, era qualcosa di impossibile da concepire,
ma tutto
mi urlava che quello fosse un caso eclatante di corruzione. Che cosa poteva avere di corrotto se un
potere non lo aveva? Mi esplodeva letteralmente la testa.
«È…
assurdo, ma credo di sì. Insomma, per quanto lui sia un tipo
introverso e a
volte un po' strano, non è stato mai violento. Un cambio di
personalità così
repentino mi fa sospettare che sia davvero corrotto, ma come? Lui non
possiede
magia dentro di sé, vero?»
Musa fece
di no con la testa, mi sentivo brancolare nel buio. Mi passai le mani
sul viso
cercando di alleviare la frustrazione, con scarsi risultati.
«Va
bene... dobbiamo portarlo dalla Griffin, lo sai. Ce lo porto io
personalmente»
dissi alzandomi, quando la fata mi strinse la mano e mi
bloccò.
«No,
Bloom, aspetta. Quando sta con me, lui si sforza davvero di rimanere
calmo. Se
lo costringerai, ti attaccherà, e… potrebbe farsi
del male. Lascia che vada io.
Lo convincerò».
La guardai,
cinica, ammiccando verso il braccio fasciato.
«Ah
ha,
vedo che ci sei riuscita l'ultima volta» dissi, ma lei non
mollò la presa.
«Bloom...
lasciami fare. Fidati di me».
Vidi la
determinazione che l'ha sempre contraddistinta nei suoi occhi. Q
«Veniamo
con te comunque. Vi aspetteremo davanti l’entrata di
Fonterossa».
Passarono
due, strazianti ore di attesa. Io e le ragazze ci guardavamo con aria
preoccupata: ci stava mettendo davvero troppo per convincerlo a uscire.
Alla fine,
non resistemmo più e andammo verso l’alloggio di
Riven. Aveva la spada color
ametista in mano, coperta di sangue, con il volto più
stralunato che io avessi
mai visto. Musa era a terra, in una pozza cremisi.
Il corpo
della nostra cara amica era vicino ai piedi dell'assassino, il quale
fissava
con occhi sgranati la sua opera, folle e consapevole allo stesso tempo.
Non
saprei descrivere cosa provarono le ragazze a quella vista, ognuno
reagisce
sempre in modo diverso a queste cose, ma... beh, posso immaginare.
Come
successe a me in passato, qualcosa in loro si ruppe, qualcosa di vitale
importanza: quella barriera fragile e delicata che ci separa dalla
pazzia divoratrice.
Non si mosse nessuno, a malapena respiravamo.
Mi imposi
di restare glaciale per non cadere preda della corruzione, e un forte
senso di
nausea mi avvolse: ancora una volta avrei dovuto rinunciare alla mia
umanità. Ormai
non ero poi tanto diversa da un mostro…
«Voleva
portarmi dalla Griffin, vi rendete conto? Questo... è colpa
vostra! Che cosa le
avete detto, eh? Pensate che io sia malato?! Guardate cosa mi ha
costretto a
fare, io la amavo!» sbiascicò.
Un sorriso
sadico sul volto fece capolino all'improvviso: non sembrava
più nemmeno umano.
«Doveva
morire! Pensava di farmi curare, non mi amava! Sparite dalla mia
vista!»
Si
alzò di
scatto e caricò a spada levata, pronto a farci a pezzi. Io
non mi mossi di un
millimetro, mentre le ragazze si trasformarono furiosamente e
iniziarono a
combattere con l'assassino.
Rimasi
lì,
a fissare gli occhi spenti della mia cara amica, incurante di cosa
avevo giusto
a un palmo da me: una sfera di Stella mi sfiorò l'orecchio,
intorno a me una
danza di morte si stava consumando, ma io non sentivo niente.
Ero troppo
presa dall'ironia della scena per provare orrore, per provare una
qualsivoglia
emozione. Avrei potuto disintegrarlo con un gesto: era un essere
così
insignificante rispetto a quel che ero io, eppure capace di uccidere un
essere
umano in modo tanto brutale.
Avrei
potuto risolvere qualsiasi problema, qualsiasi conflitto, ma non ho
avuto la
capacità di fermare la mano di un uomo piccolo e debole che
ha spezzato la vita
della sua donna.
Persa in
quel pensiero così malato, non diedi nessun peso alla
battaglia che stava infuriando
in quelle quattro mura. Riven respingeva abilmente gli assalti delle
ragazze,
inutili, visto che attaccavano senza un piano, seguendo solo la furia
cieca del
loro cuore.
Mentre
l'ambiente in cui mi trovavo veniva distrutto, io iniziai a
sogghignare, piano,
senza farmi notare. Lo sentite il delirio divampare tra queste parole?
Da quel
giorno non ci fu spazio per nient'altro nelle nostre anime: niente
più amicizia,
niente più amore, solo follia.
«Si
distruggeranno tutti a vicenda, come cannibali che si mangiano tra
fratelli e
sorelle... e io? Io che non posso più provare niente, cosa
dovrei fare?» sussurrai
a bassa voce volgendo gli occhi al soffitto. «Forse dovrei
bruciarvi tutti».
Mi portai
la mano al volto e scoppiai a ridere, stanca. Ridevo di gusto davanti
alla mia
impotenza e alla mia inettitudine, mentre intorno a me urla infernali
mi
riempivano le orecchie.
Follia.
Solo pura, dolce follia. E io non potevo fare altro che guardare.