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Autore: Sinnheim    30/05/2016    2 recensioni
Versione 2.0, modificata ed arricchita.
Secondo volume della serie "A Dance of Light and Shadow".
Tre anni dopo la pubblicazione del suo primo diario, Bloom si vede costretta a scrivere di getto tutto ciò che è accaduto negli ultimi mesi, non per svago, ma per raccontare quella terribile verità che ha colpito tutti ma che nessuno è stato in grado di capire in tempo. Azioni terribili richiedono terribili provvedimenti e Bloom, ancora una volta, è pronta a pagare il prezzo delle conseguenze delle sue azioni e di quelle degli altri. Questa volta, però, senza essere sicura di cosa ciò comporti. Sequel de Il Canto della Guerra.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Dance of Light and Shadow'
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CAPITOLO 4: IL CANTO DI MUSA




 

La debolezza di Tecna non fu presa bene dalle ragazze. Nonostante io fossi stata molto chiara sul fatto che la nostra amica non fosse corrotta ma solo emotivamente instabile, tra le Winx iniziò a serpeggiare la paura e il sospetto, come se, da un momento all'altro, le compagne di una vita potessero rivoltarsi le une contro le altre e diventare tutte Orphan impazzite.

A mente fredda, ora che è ormai tutto finito, non posso nemmeno prendermela troppo con loro: se una roccia solida come Tecna si era ridotta in quel modo, a una ragazza sensibile come Flora cosa sarebbe potuto accadere? Faceva paura... faceva tanta paura.

Nei momenti passati insieme, l'aria era sempre carica di tensione: l'ansia era ben percepibile, densa come nebbia, per questo motivo mi stupii molto quando mi accorsi che l'unica nota stonata del gruppo era Musa, la migliore amica di Tecna e quella che, per via di logica, avrebbe dovuto star male più di tutti. I suoi sorrisi non erano affatto tirati né falsi, a noi si mostrava sinceramente tranquilla e ottimista.

D'altronde, lei è sempre stata così: la forza motrice del gruppo, quella che ti sprona a vedere il bicchiere mezzo pieno anche nei momenti più bui. Le ragazze amavano questo suo lato luminoso, difatti mi inquietò non poco la loro reazione durante quei tristi giorni: in qualche modo, ebbi la conferma che non era solo una mia paranoia, c'era davvero qualcosa di marcio in quella realtà.

Perché asserisco questo con tanta sicurezza? Beh, perché l’atteggiamento positivo di Musa iniziò a destare discussioni e conflitti, ipotesi e idee assurde: c'era chi ne era contenta, tipo Flora, e invece c'era chi ne era decisamente infastidita, come Stella. Se da una parte l'ottimismo faceva bene, dall'altra era percepita come una forma di sconsideratezza: dopotutto, come si poteva star tranquilli dopo che la nostra cara amica si era distrutta in quel modo?

«Dobbiamo essere contente che Tecna non sia corrotta! Certo che soffro nel vederla ridotta così, ma si può rimediare!» era solita dire la fata della musica in ogni occasione, ma ciò non faceva che scatenare un effetto domino senza fine.

«Non è che Musa è così tranquilla perché sta nascondendo qualcosa?» diceva Aisha; «Non è che stai dicendo così perché tu stai nascondendo qualcosa?» rispondeva Stella, e così all'infinito, in un circolo vizioso di sospetto e di paura.

La mia voce in tutto quel caos? Inesistente. Erano terrorizzate, più che insistere nel dire che Tecna non era corrotta, cos'altro potevo fare? Ad essere completamente sincera, poi, la mia condizione non mi permetteva di occuparmi troppo delle faccende emotive degli altri: già ero abbastanza compromessa da sola con i miei pensieri, non avevo la forza di infilarmi anche nelle loro turbe mentali.

Musa era tranquilla alla fin fine, le uniche che si stavano facendo problemi erano loro. Così, decisi di lasciar perdere e di sorvegliare il tutto da debita distanza. Non avevo certo intenzione di commettere lo stesso errore due volte, avrei comunque continuato a tenerle sott'occhio.

Passò qualche tempo. Cercavo di stare vicina a tutte e di far sentire loro la mia presenza, soprattutto a Musa; notai che passava più tempo da sola del normale, così andai a trovarla molte volte nel corso delle giornate.

Spartiti musicali erano sparpagliati un po' ovunque, il pc era sempre impostato su programmi di editing e gestione dei suoni e alcuni strumenti musicali erano fuori dalla loro custodia. Mi spiegò che stava scrivendo molti brani per rilassarsi e, già che c'era, le inviava a Tecna per farle piacere, visto che alla nostra amica piaceva moltissimo ascoltare le opere della fata della musica.

Nessun tic strano, nessun comportamento ossessivo, era tutto nella norma. Ma potevo davvero fidarmi? Constatai che anche le altre non davano segno di sintomi di corruzione o di crolli nervosi nonostante la loro giustificata paranoia, forse le cose si stavano davvero aggiustando. Tuttavia, se c'era una cosa che avevo imparato in tutti quegli anni, era che non dovevo mai abbassare mai la guardia. Così feci.

Le giornate passarono, in sostanza, pigre e tranquille; le allieve mantenevano i ranghi, io portavo avanti la mia vigilanza sugli Orphan e le lezioni continuavano in modo regolare. Fin quando, beh... posso affermare con certezza assoluta, che quello fu il punto di rottura definitivo.

Se le cose erano rimaste in precario equilibrio dopo gli avvenimenti di Faragonda e Tecna: se tutto, fino a quel momento, si era mantenuto stabile per quanto possibile, dopo ciò che sto per raccontare tutto crollò irreparabilmente. Un effetto domino di dimensioni catastrofiche che mi ha portato a fare ciò che sto per fare.

Come un buco nero che porta tutto con sé verso l'oblio, così tutto ciò che amavo stava per capitolare davanti ai miei inermi occhi scarlatti. Ironico... ho la potenza necessaria per distruggere intere città, ma non ho avuto la forza di fermare questo.

Un giorno come tanti, Musa tornò ad Alfea in tarda serata. Quella stessa mattina ci disse che, nel pomeriggio, sarebbe andata ad un appuntamento, ma aveva anche detto che sarebbe tornata presto; sorrideva e scherzava più del consueto, divagando sul motivo del suo ritardo.

Non demmo troppo peso alla cosa e lasciammo correre, ignare di cosa la nostra cara amica nascondeva sotto il suo giacchetto largo, fin troppo largo per la sua taglia. La osservai meglio, senza farmi notare: camminava leggermente piegata in avanti, si stringeva il braccio sinistro. Niente di eccessivamente anomalo, non c'era nemmeno l'ombra dei tic della corruzione, eppure la cosa mi puzzava parecchio. Aveva l'aria di un animale ferito, ecco.

Il giorno dopo, arrivò un mazzo di fiori enorme per Musa da parte di un anonimo. In principio ne fummo contente: ci scherzavamo sopra e punzecchiavamo la fata della musica per sapere chi fosse il misterioso spasimante, ma lei quasi scoppiò a piangere quando lesse il bigliettino che li accompagnava, bigliettino che non ci fece nemmeno toccare, per la cronaca. Tutto molto strano, ma non troppo strano, non ancora, almeno.

Un giorno, Musa non tornò proprio. Allarmate, iniziammo a chiamarla al telefono ma niente, non rispondeva. Dopo alcune ore ci chiamò dicendoci che rimaneva a dormire fuori e che si era dimenticata di avvertirci. Non era da lei.

La mattina dopo, si presentò con un braccio fasciato e un occhio gonfio. Non potendo più nascondere il fatto, vuotò il sacco: Riven era tornato a Magix dopo la sua lunga assenza. Ci disse che, finalmente, aveva capito il senso della sua vita, che il viaggio che aveva intrapreso aveva dato i suoi frutti e che ora era pronto a stare di nuovo con lei.

Ridendo in modo teatrale, raccontò che era andata a trovarlo nel suo alloggio a Fonterossa ed era caduta dalle scale, facendosi male. Per non farla andare via in quelle condizioni, rimase da lui per la notte.

Ci guardammo stupite e cupe, ma la lasciammo andare senza dir nulla. Dopo così tanti anni, Riven era tornato a casa e Musa si comportava in modo davvero strano, non era una coincidenza.

«L'ha picchiata» dissi senza giri di parole. Le ragazze annuirono.

«Questo torna all'improvviso e la prima cosa che fa è farle del male?! Io lo ammazzo!» urlò rabbiosa Aisha mentre Flora cercava di calmarla.

Stella sbraitò esasperata: «Sapevo che, prima o poi, sarebbe successo qualcosa! Era fin troppo allegra. Quando mai le cose si sono sistemate da sole, per noi?»

«La questione è delicata, ragazze. Riven è sempre stato un tipo strano, ma non si era mai comportato così, fino ad ora. Sospetto che sotto ci sia di più».

Parlai con voce ferma e calma per farmi capire bene senza fraintendimenti, sapevano dove volevo andare a parare.

«Dici... che sia corrotto? Ma non è nemmeno un essere magico, come può essere corrotto?» sussurrò Flora, come se avesse paura delle sue stesse parole.

«Non lo so, ma... non è da escludere. Sentite, voi mantenete la calma. Io andrò a parlare con Musa, decideremo insieme cosa fare. State tranquille».

Detto questo, girai i tacchi e mi diressi dalla fata della musica. I miei passi erano pesanti e lenti, mi sentivo annegare nei miei pensieri. Era davvero possibile? Una persona qualunque poteva essere contaminata? Improbabile, impossibile. Cosa poteva essere inquinato se non possedevano magia di nessun tipo?

Riflettevo furiosamente, le idee cavalcavano veloci: se davvero Riven era diventato un Orphan, l'intero concetto di corruzione andava rivisto. Era qualcosa che andava al di là dell'essere una situazione pericolosa. Era gravissimo.

Arrivai con più domande che risposte davanti la porta di Musa, fortunatamente si stava riposando in camera sua. Bussai e, inaspettatamente, lei mi fece entrare senza fare storie, non come invece aveva fatto Tecna.

"Oh bene... già è qualcosa" pensai speranzosa.

La fata mi accolse con un sorriso stanco, si sdraiò nuovamente sul letto e io mi sedetti accanto a lei. Non perse tempo e vuotò subito il sacco, era inutile raccontare menzogne.

«So benissimo che a te non posso farla in barba» disse ridacchiando, poi continuò: «Avevo sognato questo momento da così tanto tempo... è tornato, capisci? L'uomo che amo, finalmente con me».

Le strinsi la mano e la lasciai parlare liberamente.

«C'era qualcosa che non andava. Era così strano... oppresso. Cadeva spesso vittima di crisi d'ira, così, senza motivo. Ieri mi ha pestata come un saccone da box solo perché gli ho detto di farsi aiutare da qualcuno. Quando non è arrabbiato è sempre così dolce, mi implora perdono... e io lo faccio. Volevo... volevo che le cose andassero bene per forza, che tutto fosse come doveva essere...»

I suoi occhi si riempirono di lacrime. Io rimasi inespressiva per non cadere nella tentazione di dare di matto e fracassare tutto, poi mi guardò dolorante con aria sconfitta, dicendomi: «È corrotto, vero?»

Non ne avevo la certezza assoluta, era qualcosa di impossibile da concepire, ma tutto mi urlava che quello fosse un caso eclatante di corruzione. Che cosa poteva avere di corrotto se un potere non lo aveva? Mi esplodeva letteralmente la testa.

«È… assurdo, ma credo di sì. Insomma, per quanto lui sia un tipo introverso e a volte un po' strano, non è stato mai violento. Un cambio di personalità così repentino mi fa sospettare che sia davvero corrotto, ma come? Lui non possiede magia dentro di sé, vero?»

Musa fece di no con la testa, mi sentivo brancolare nel buio. Mi passai le mani sul viso cercando di alleviare la frustrazione, con scarsi risultati.

«Va bene... dobbiamo portarlo dalla Griffin, lo sai. Ce lo porto io personalmente» dissi alzandomi, quando la fata mi strinse la mano e mi bloccò.

«No, Bloom, aspetta. Quando sta con me, lui si sforza davvero di rimanere calmo. Se lo costringerai, ti attaccherà, e… potrebbe farsi del male. Lascia che vada io. Lo convincerò».

La guardai, cinica, ammiccando verso il braccio fasciato.

«Ah ha, vedo che ci sei riuscita l'ultima volta» dissi, ma lei non mollò la presa.

«Bloom... lasciami fare. Fidati di me».

Vidi la determinazione che l'ha sempre contraddistinta nei suoi occhi. QQQualcosa dentro la mia testa diceva di lasciarla andare, ma ascoltare le voci che parlavano nella mia mente non era mai una saggia idea.

«Veniamo con te comunque. Vi aspetteremo davanti l’entrata di Fonterossa».

Passarono due, strazianti ore di attesa. Io e le ragazze ci guardavamo con aria preoccupata: ci stava mettendo davvero troppo per convincerlo a uscire.

Alla fine, non resistemmo più e andammo verso l’alloggio di Riven. Aveva la spada color ametista in mano, coperta di sangue, con il volto più stralunato che io avessi mai visto. Musa era a terra, in una pozza cremisi.

Il corpo della nostra cara amica era vicino ai piedi dell'assassino, il quale fissava con occhi sgranati la sua opera, folle e consapevole allo stesso tempo. Non saprei descrivere cosa provarono le ragazze a quella vista, ognuno reagisce sempre in modo diverso a queste cose, ma... beh, posso immaginare.

Come successe a me in passato, qualcosa in loro si ruppe, qualcosa di vitale importanza: quella barriera fragile e delicata che ci separa dalla pazzia divoratrice. Non si mosse nessuno, a malapena respiravamo.

Mi imposi di restare glaciale per non cadere preda della corruzione, e un forte senso di nausea mi avvolse: ancora una volta avrei dovuto rinunciare alla mia umanità. Ormai non ero poi tanto diversa da un mostro…

«Voleva portarmi dalla Griffin, vi rendete conto? Questo... è colpa vostra! Che cosa le avete detto, eh? Pensate che io sia malato?! Guardate cosa mi ha costretto a fare, io la amavo!» sbiascicò.

Un sorriso sadico sul volto fece capolino all'improvviso: non sembrava più nemmeno umano.

«Doveva morire! Pensava di farmi curare, non mi amava! Sparite dalla mia vista!»

Si alzò di scatto e caricò a spada levata, pronto a farci a pezzi. Io non mi mossi di un millimetro, mentre le ragazze si trasformarono furiosamente e iniziarono a combattere con l'assassino.

Rimasi lì, a fissare gli occhi spenti della mia cara amica, incurante di cosa avevo giusto a un palmo da me: una sfera di Stella mi sfiorò l'orecchio, intorno a me una danza di morte si stava consumando, ma io non sentivo niente.

Ero troppo presa dall'ironia della scena per provare orrore, per provare una qualsivoglia emozione. Avrei potuto disintegrarlo con un gesto: era un essere così insignificante rispetto a quel che ero io, eppure capace di uccidere un essere umano in modo tanto brutale.

Avrei potuto risolvere qualsiasi problema, qualsiasi conflitto, ma non ho avuto la capacità di fermare la mano di un uomo piccolo e debole che ha spezzato la vita della sua donna.

Persa in quel pensiero così malato, non diedi nessun peso alla battaglia che stava infuriando in quelle quattro mura. Riven respingeva abilmente gli assalti delle ragazze, inutili, visto che attaccavano senza un piano, seguendo solo la furia cieca del loro cuore.

Mentre l'ambiente in cui mi trovavo veniva distrutto, io iniziai a sogghignare, piano, senza farmi notare. Lo sentite il delirio divampare tra queste parole? Da quel giorno non ci fu spazio per nient'altro nelle nostre anime: niente più amicizia, niente più amore, solo follia.

«Si distruggeranno tutti a vicenda, come cannibali che si mangiano tra fratelli e sorelle... e io? Io che non posso più provare niente, cosa dovrei fare?» sussurrai a bassa voce volgendo gli occhi al soffitto. «Forse dovrei bruciarvi tutti».

Mi portai la mano al volto e scoppiai a ridere, stanca. Ridevo di gusto davanti alla mia impotenza e alla mia inettitudine, mentre intorno a me urla infernali mi riempivano le orecchie.

Follia. Solo pura, dolce follia. E io non potevo fare altro che guardare.

  
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