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Autore: Eriok    30/05/2016    2 recensioni
Temi i tuoi vicini, e tutto ciò che potrebbero sentire.
I protagonisti della serie in un mondo parallelo, Arkadia Bay, e la sua università dove ognuno di loro lavora e/o studia.
Li seguiremo in tutte le loro peripezie quotidiane, tra amori, delusioni, litigi e intrighi.
Genere: Erotico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Lexa, Octavia Blake, Un po' tutti
Note: Lemon, Movieverse, OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Fear The Neighbors

 

2.

 

Clarke finalmente scarica l’ultimo scatolone dalla macchina dentro la camera del suo nuovo appartamento condiviso. Con l’avanbraccio si asciuga il sudore dalla fronte, sbuffando. Quel giorno faceva veramente troppo caldo. Esce chiudendo la porta a chiave, per andare a salutare sua madre, che le aveva dato un passaggio con il furgoncino dell’azienda. Si era presa una giornata libera, in modo da poterla accompagnare e salutarla.

«Ho finito, adesso manca solo da svuotare e sistemare tutto, ma questo sono capace di farlo da sola.» dice, appoggiandosi al finestrino della macchina.

«Sicura che sei apposto tesoro?» domanda la madre, scostandosi i capelli sfuggiti alla coda.

«Sì mamma, stai tranquilla.» la madre le sfiora il volto con la mano, con aria malinconica «Dai, non fare quella faccia, ci vediamo comunque in officina!» disse la bionda sorridendo, ma sapeva che comunque quel groppo in gola non sarebbe andato via presto.

Un pizzicotto al sedere la fece voltare, sorpresa e offesa. Pronta per sferrare un pugno a chi aveva osato, bloccò il movimento a metà quando sentì una fontana di capelli investirla.

«Clarke!» urlò Raven, buttandosi tra le sue braccia. L’abbraccio venne ricambiato con altrettanto entusiasmo.

«Raven! Cosa ci fai qui?» domandò la bionda, sorpresa di vedere la sua amica di quartiere in quella parte del campus.

«Perché ci vivo forse?! Oddio quanto tempo!» il sorriso della castana illumina tutto il volto.

«Clarke io vado, che tra poco ricomincia il turno…» la voce della madre dalla macchina fece girare la bionda, salutandola con un bacio sulla guancia.

«Ci vediamo presto mamma, stai tranquilla. Come puoi vedere non sono da sola.».

«Raven! Bada a lei da parte mia!» e la macchina partì dal parcheggio con calma, lasciando le due giovani studentesse nel parcheggio.

«In che alloggio sei?» domandò la bionda, girandosi verso l’amica.

«Il sette.».

«Oh, io sono nell’otto! Siamo vicine!» disse entusiasta la meccanica. Averla vicino la rendeva più tranquilla, e il nodo alla gola si allentò leggermente. Si sistemò la spallina della canottiera, tutta sudata e con residui di olio non tolto perfettamente.

«Vedo che non perdi il tuo fascino da meccanica sexy.» mormorò Raven, ammiccandole.

«Mollala di scherzare, informatica dei miei stivali!» disse, dandole un leggero pugno alla spalla.

«Senti, adesso non sono per niente presentabile, ma se vuoi stasera usciamo insieme!» propose la bionda, sorridendole.

«Sai benissimo a quale porta bussare…» disse facendole l’occhiolino mentre si allontanava salutando.

 

Salendo le scale Clarke notò un poster fatto a mano di una banda che suona spesso nel pub del campus – Space Walkers – con il nome di Jasper che troneggiava al centro. Ricordava benissimo quel giovane ragazzo ingenuo, pronto a rincorrere ogni nuova fiamma per poi rimanere deluso da ognuno di essa, e la sua fissa per lo spazio e l’universo. Era il suo vicino di casa prima che la sua famiglia si trasferisse all’estero. Almeno finché non decise di tornare per l’università. La foto ritoccata lo ritraeva in atteggiamenti da punkettaro, con le occhiaie coperte da matita nera, le unghie nere, e i capelli scuri sparati con chili di gel, con un paio di occhialoni calcati sulla fronte. In secondo piano Monty, il suo migliore amico da sempre che suona la chitarra, e altri due membri che non conosceva. La data era quella di oggi, e pensò che forse ci sarebbe potuta andare con Raven, più tardi.

Prese le scale, visto che l’ascensore aveva deciso di abbandonarla al terzo viaggio di scatoloni da portare in appartamento. Entrò aprendo la porta, andando dritto in camera.

Si spogliò, buttando le robe sul letto ancora da fare, prese il cambio e un asciugamano dal borsone a terra, per dirigersi verso il bagno.

Quando aprì la porta si aprì da sola si ritrovò faccia a faccia con una ragazza ed entrambe urlarono per lo spavento.

Clarke perse un colpo. Era quella ragazza della moto di prima. Ed era di fronte a lei. Con solo un asciugamano addosso. Completamente bagnata.

Il cuore balzò a mille, diventando completamente rossa. Dimentica che era in intimo.

«N-Non ti hanno insegnato a bussare…!?» sbraitò Lexa, rossa in volto. E corse verso il salotto, dirigendosi verso una delle camere che, Clarke si ricordava benissimo, erano entrambe vuote prima che arrivasse lei.

«S-scusa!» balbettò, guardando il muro mentre lei spariva dietro la porta.

Chiudendo la porta del bagno dietro di sé, Clarke riprese a respirare. Potendo così sprofondare di nuovo nell’imbarazzo più totale. Si accucciò tenendosi le mani davanti alla bocca, bloccata in una espressione tra l’emozione e la vergogna.

Poi un odore dolce catturò la sua attenzione. Il bagno era pregno di quel profumo che sapeva di pesca. E vide candele sparse per il soprammobile, ancora accese, che emanavano un profumo che catturava la mente e la trascinava verso la pace e la quiete.

Sembrava il set che si era immaginata Clarke quel pomeriggio all’officina.

«Dannazione…!» mormorò fra i denti, mordendosi il labbro.

“Come farò a vivere con una gnocca simile in casa mia…?”. L’immagine di Lexa in asciugamano le mandò un’ondata di caldo e scosse, mugugnando leggermente.

Aprì l’acqua della doccia. Fredda.

 

L’orecchio teso di Lexa sulla porta, quando sentì l’acqua scorrere si portò la mano alla bocca, mordendosi le unghie. In faccia un volto preoccupato, ancora con le guance infuocate per l’emozione, e il cuore che non smetteva di battere. Poi, come riprendendosi, tornò ad avere il volto freddo e duro, riprendendo il controllo delle sue emozioni. Non poteva permettersi un’altra svista. Un’altra cotta. Un’altra debolezza.

Dopo Costia, quel “meccanico-femmina” non doveva scalfirla.

Per la mente le passò il reggiseno nero che contornava il suo petto, e scocciata diede un calcio ad uno scatolone.

«Concentrati, Lexa. Hai cose migliori da fare, che non pensare a…».

Maglia scollata sporca d’olio.

«…Dannazione.».

 

Sono ore che Octavia gira e rigira per il campo alla ricerca di questa ala nuova, con in mano una mappa disegnata dal fratello. Dopo l’ennesimo giro a vuoto lo lanciò dentro un cestino.

Girandosi, vide un uomo rasato osservarla. Octavia lo squadrò, ricambiando lo sguardo.

Era sexy. Si avvicinò.

«Ehi, ciao!».

Ma lui non rispose, continuando a fissarla. Era uno sguardo enigmatico, e quegli occhi scuri erano così belli e affascinanti da sprofondarci.

«Ehm…ho bisogno di andare all’ala nuova, dove ci sono i nuovi dormitori…mi aiuti ad arrivarci?». Era leggermente inquietata da quello sguardo. Anche se le spalle larghe e le braccia muscolose tatuate cancellavano l’inquietudine per trasformarla in qualcosa di più eccitante.

L’uomo, sempre senza parlare, afferrò i borsoni e si diresse con passo sicuro verso uno stabile.

«Ehi, aspetta…!» urlò la ragazza, correndo dietro quell’uomo così tenebroso eppure così affascinante.

 

«Oh, cazzo…» ansimò Bellamy, piegato sulle panche dello spogliatoio vuoto, nudo e ricoperto di sudore. Una mano scorre sulla sua schiena, afferrandogli i capelli ricci. Non sente quello che dice l’uomo Bellamy, è troppo concentrato a venire.

Qualche altra spinta, e l’altro esce per venire anche lui pochi secondi dopo sulla sua schiena.

Sudato e soddisfatto, si abbandona disteso sulla panca. L’erezione che lentamente scema, mentre cerca di riprendere a respirare.

Murphy sogghigna.

«Grazie per il giro, dolcezza, ma adesso devo andare.» dice, mentre si riveste.

Il rumore della zip fece voltare Bellamy, ancora con il volto sconvolto e rosso.

«Devi proprio andare…?» mormora, in un soffio. Il giovane si sposta i capelli all’indietro, congelandolo con gli occhi chiari.

«Non sono la tua puttana.» disse, incazzato. Il moro abbassa lo sguardo. Sente una mano afferrargli i capelli con forza, portando il suo volto vicino a quello di Murphy. Quegli occhi ghiacciati gli bloccano il respiro e il pensiero. Ed erano arrabbiati. Molto.

«TU sei la mia puttana. E decido IO quando e quanto scopare. Fine.» lo molla di peso, uscendo dallo spogliatoio accendendosi una sigaretta.

Bellamy si alza, e apre il rubinetto di una doccia. Scaglia un pugno al muro, incrinando la mattonella. Un leggero rivolo di sangue cola, mischiandosi all’acqua che scorre…insieme alle lacrime.

«Dannazione!».

 

   
 
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