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Autore: lolasmiley    30/05/2016    2 recensioni
Aria, una bambina di sette anni, confessa il suo più grande desiderio alla carta scrivendolo sulla letterina destinata a Babbo Natale perché, infondo, lui esaudisce sempre i desideri dei bambini.
Ashton per qualche settimana all'anno si cala nei buffi panni di uno degli elfi di Babbo Natale, è un ragazzo solitario, che cerca di soffocare e dimenticare un passato triste e complicato regalando un sorriso a chi non ce l'ha.
E' proprio lui a trovarsi tra le mani la lettera di Aria che lo commuove con le sue parole sincere e profonde. Ashton si sente responsabile, perché alla fine è a lui che la piccola ha chiesto aiuto, ma sa di non poter fare nulla. Si sente colpevole, perché non è riuscito a cambiare il “mondo dei grandi” e a renderlo un po’ meno brutto.
Sa che non è giusto quello che sta succedendo ad Aria e, che se non troverà il modo per realizzare il suo desiderio, la mattina del venticinque dicembre lei smetterà di credere nella magia, nel Natale, e si ritroverà faccia a faccia con la realtà cupa, triste e amara degli adulti.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(10)

Family Portait

26 dicembre 2015

 

 

 

Momma please stop cryin’, I can’t stand the sound 

Your pain is painful and its tearin’ me down 

I hear glasses breakin’ as I sit up in my bed 

I told dad you didn’t mean those nasty things you said 

 

You fight about money, ‘bout me and my brother 

And this I come home to, this is my shelter 

It ain’t easy growin’ up in World War III 

Never knowin’ what love could be, you’ll see 

I don’t want love to destroy me like it has done my family 

 

Can we work it out? Can we be a family? 

I promise I’ll be better, Mommy I’ll do anything 

Can we work it out? Can we be a family? 

I promise I’ll be better, Daddy please don’t leave 

 

Daddy please stop yellin’, I can’t stand the sound

Make mama stop cryin’, ‘cause I need you around 

My mama she loves you, no matter what she says its true 

I know that she hurts you, but remember I love you, too 

 

I ran away today, ran from the noise, ran away 

Don’t wanna go back to that place, but don’t have no choice, no way 

It ain’t easy growin up in World War III 

Never knowin what love could be, well I’ve seen 

I don’t want love to destroy me like it did my family 

 

In our family portrait, we look pretty happy 

Let’s play pretend, let’s act like it comes naturally 

I don’t wanna have to split the holidays 

I don’t want two addresses 

I don’t want a step-brother anyways 

And I don’t want my mom to have to change her last name 

 

Daddy don’t leave 

Turn around please 

Remember that the night you left you took my shining star? 

 

 

 

Ashton aveva chiuso la porta. Chris se n’era accorta, perché, per farlo, lui aveva dovuto lasciare per un attimo la presa attorno alla sua vita, ma non aveva accennato a spostarsi per aiutarlo nell’impresa.

Non voleva affatto lasciarlo andare. Lo stringeva più forte, come se annullare completamente le distanze tra loro l’avrebbe fatta sentire davvero meglio, ma più si avvicinava e meno le bastava. 

Nonostante piangesse, perché ne aveva bisogno, si sentiva felice, a casa. Una sensazione di torpore che le invadeva il petto e l’avvolgeva.

Ashton, invece, era preoccupato e non capiva il motivo di quella visita ma si guardava bene dall’allontanare Chris e aspettava che lei si calmasse, ricambiando l’abbraccio.

«È successo qualcosa?» sussurrò poi, quando ormai qualche minuto era passato e la ragazza ancora non aveva parlato.

Chris tentò di scuotere la testa ma, per non sollevare il capo e farsi vedere con gli occhi ancora umidi di lacrime, finì per strofinare il viso contro il collo di Ashton.

«No. Io... Scusa se ti ho disturbato» si strofinò la manica del maglione sugli occhi, asciugandoli. 

«Non scusarti»

Chris si schiarì la voce.

«Non è che avresti un fazzoletto?» si scostò leggermente per poter guardare il ragazzo di sottecchi.

Ashton le indicò la scatola appoggiata sul piccolo mobiletto di legno alle spalle di Chris, e lei ne sfilò uno soffiandoci poi il naso. 

«Nei film quando lei piange non ha mai bisogno di soffiarsi il naso» cercò di rompere l’imbarazzo, facendo ridacchiare il biondo.

«Ti va una tazza di tè?»

«No» sussurrò Chris dondolandosi un po’, spostando il peso da un piede all’altro «okay, sì»

Ashton le sorrise e sciolse dolcemente l’abbraccio; tuttavia, non voleva separarsi da Chris, quindi mentre lasciava scivolare un braccio lungo il corpo cercò la mano di lei, intrecciandola con la sua.

Chris si irrigidì e cercò di sfilare le dita dalla stretta di Ashton, imbarazzata. Quando ormai lui l’aveva trascinata di un paio di passi verso la cucina lei riuscì, tirando leggermente, a liberarsi e a nascondere entrambe le mani nelle tasche della giacca. Ashton strinse l’aria tra le dita, chiudendole a pugno con delicatezza, e si voltò verso Chris, confuso. Un attimo prima lo stava abbracciando, e ora non voleva che la tenesse per mano? Non capiva, come testimoniavano le sopracciglia aggrottate, cosa avesse fatto di sbagliato. 

«...Scusa» 

«Emh» Chris si schiarì la voce e abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. Erano sporche, avrebbe dovuto lasciarle all’entrata. Se le sfilò con un calcio, restando scalza.

«Scusa tu» farfugliò poi «è che... odio essere presa per mano. Lo so, è strano. Ma non ce l’ho con te, davvero, io... è solo che mi dà fastidio» cercò di spiegarsi, ma credette di star soltanto peggiorando la situazione, così sbirciò l’espressione sul viso di Ashton per controllare l’effetto delle sue parole. Con grande sorpresa ci trovò un sorrisetto appena accennato, ma che bastava a tranquillizzarla. 

Chris sorrise di rimando e lo seguì in cucina. Si sfilò la giacca e la appoggiò su uno degli sgabelli per poi sedersi sul tavolo e osservare Ashton intento a prepararle il tè. Per la prima volta da quando era uscita di casa, le venne in mente che indossava ancora i pantaloni a righe bianche e blu del pigiama, che le ricordavano quello di Mr Bean, e un leggero maglioncino celeste un po’ troppo corto, con disegnato un orso polare sovrappeso (da lontano poteva sembrare un semplice pois bianco dai contorni bitorzoluti) che dormiva beato. In altre parole, un’accoppiata vincente il titolo di outfit più imbarazzante da indossare durante una visita a sorpresa a casa di un bel ragazzo. Tirò verso il basso la maglia per allungarla sulla parte di schiena che era rimasta scoperta, ma il tessuto si ribellò e tornò al suo posto. Chris sbuffò leggermente e incrociò le braccia al petto, giocò dondolando i piedi sospesi nel vuoto finché Ashton non le porse una tazza.

Lui rimase in piedi, di fronte a lei, appoggiato contro il mobile della cucina e, dopo essersi scompigliato i capelli che avevano già iniziato a sembrare più asciutti, nascose le mani in tasca.

La luce fredda di un neon che scorreva sotto la base della credenza illuminava pigramente la stanza, lamentandosi di tanto in tanto con un ronzio leggero. Dalla finestra non si riusciva ad intravedere il bagliore delle stelle, coperte da una coltre di nuvole che rendevano il cielo di un blu denso. Chris soffiò sulla bevanda calda e apprezzò il silenzio e la tranquillità che regnavano nell’appartamento.

Alzò gli occhi verso Ashton, che la guardava ancora con un’ombra di preoccupazione. Gli doveva delle spiegazioni, spiegazioni che non sapeva neanche se fosse stata in grado di dare. Maledisse mentalmente il suo carattere che l’aveva trascinata fuori dal letto a mezzanotte per correre lì, senza nemmeno essersi preparata qualcosa da dire.

Che cos’era che voleva dirgli, cos’era che l’aveva spinta fin lì?

Molte cose. Alcune ancora non le capiva, altre avrebbe voluto ignorarle, altre ancora non avrebbe saputo raccontarle.

«Ashton, io... mi dispiace di essere piombata qui nel mezzo della notte, non riuscivo a dormire e non sono rimasta troppo a rifletterci, in effetti» iniziò, mentre già formulava mentalmente le prossime frasi.

«Ero sveglio» tagliò corto lui «non scusarti»

Chris annuì e rigirò il cucchiaino nel tè.

«Era solo un’introduzione» ammise, e si lasciò sfuggire una risata nervosa. Strinse la tazza tra le mani fredde e tornò a guardare Ashton. Sembrava stanco -e come poteva biasimarlo? Chris si sentì terribilmente in colpa- ma un sorriso leggero sulle sue labbra la incoraggiava a continuare, così la ragazza si fece coraggio.

«Volevo ringraziarti, davvero. Sai quando ti ho detto che avevi avuto un tempismo perfetto per arrivare in quel preciso momento? Non esageravo, hai davvero salvato la situazione. Ero davanti alla porta d’entrata perché stavo per andarmene e portare via Aria, per evitare che assistesse all’ennesimo litigio tra i nostri genitori. Ci hai portato un po’ di pace»

Chris si fermò e si dedicò ad osservare la reazione di Ashton, che sorrise radioso e soddisfatto ma poi abbassò gli occhi un po’ imbarazzato. La rossa decise quindi di rincarare la dose, perché era convinta che lui meritasse di sentire quanto ciò che aveva fatto era stato apprezzato. Inoltre, voleva vederlo sorridere di nuovo in quel modo carino, un po’ impacciato e modesto.

«Io non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto. Non avrei mai potuto sperare in niente di simile, ci hai davvero lasciate senza parole e... voglio dire, non eri nemmeno tenuto a farlo, ma l’hai fatto. Non so se ti rendi conto di che persona meravigliosa sei! Hai sprecato il tuo Natale per noi, infagottato in quel costume! Hai dovuto perfino sopportare la mia famiglia» Chris ridacchiò, seguita da Ashton.

«La torta è valsa tutta la fatica» scherzò lui.

Lei gli diede corda, annuendo alla battuta a cui era impossibile credere.

«Sul serio, Ashton, non finirò mai di dirti grazie. Hai reso questa giornata stupenda... Aria era al settimo cielo per merito tuo! E quel discorso, tu... Le hai davvero salvato il Natale» questa frase le ricordava un film visto da piccola, e le venne da ridere, ma si fece di nuovo seria e continuò «Il fatto che tu le abbia insegnato che è importante lottare per costruirsi il proprio lieto fine, e che ci si può riuscire insieme a chi si ama...»

«Già, be’, ho passato un po’ di tempo per prepararmi un discorso che fosse adatto» Chris approfittò dell’intervento di Ashton per bere in fretta dei grossi sorsi di tè, poi si allungò a posare la tazza sul ripiano accanto a lui «mi sono sentito un po’ come Obama quando l’ho ripetuto davanti allo specchio, prima di uscire, oggi»

Chris rise, ma si chiese se quel ragazzo ci avesse davvero perso così tanto tempo.

«Sai, in realtà all’inizio non ero d’accordo con quello che le stavi dicendo, anche se Aria aveva di certo bisogno di sentirlo. Ma io, sinceramente, non credevo a una parola. Non credo che l’amore sia così semplice e, da quello che ho visto finora, non me la sento di dire che possa durare per sempre. Le persone smettono di amarsi. Tutti i giorni. Sembra che tutte le relazioni siano destinate a cadere a pezzi»

«Davvero credi che non ci sia speranza?»

Lo sguardo di Ashton si era fatto serio, quasi triste. Chris sospirò. Non era venuta per ringraziarlo? Cosa le era venuto in mente di fare, adesso? Perché si era inoltrata in discorsi simili?

«Credevo di no, ma forse mi sbagliavo. Forse hai ragione, servono solo due persone disposte ad costruire un rapporto solido» ammise. Le sembrava di deluderlo a vedere il mondo con così tanto pessimismo.

«Qualche volta bisogna anche essere disposti ad abbattere dei muri»

Il commento di Ashton sembrò quasi una battuta, tanto che Chris sorrise, ribattendo un po’ più allegra «già, le mura di cinta, eh?»

«Mi sembra che in cima, le tue abbiano anche il filo spinato»

Questa volta, il tono brusco non lasciava dubbi d’interpretazione. E nemmeno le sopracciglia aggrottate potevano lasciar pensare che Ashton stesse facendo dell’umorismo. Chris lo osservò, confusa, e inclinò la testa.

«Questo non è giusto. Non è vero. Sei tu quello che alleva coccodrilli con cui popolare il fossato, Ashton»

«Che vuoi dire?»

Non le piaceva la piega che la discussione aveva preso. Non piaceva nemmeno a lui, e nessuno dei due capiva davvero come fossero arrivati quasi a litigare.

Chris tacque, ma avrebbe avuto tante cose da dire. E da chiedere. 

Lei si stava arrabbiando come riflesso dell’irritazione di lui, e non riusciva a capire cosa fosse andato storto. Perché ora ce l’aveva con lei? Chris sospirò e fece del suo meglio per addolcire la sua espressione. Ashton lo notò e si rilassò lentamente, sfilò le mani dalle tasche e le appoggiò sul mobile, accanto alla propria vita.

«Scusa»

Lei scrollò le spalle.

«Non capivo come fossimo arrivati a questo punto»

«Scusa, davvero. Non so cosa... sono solo stanco, credo. L’ultima cosa che volevo era attaccarti in questo modo» si passò una mano sul viso e poi tra i capelli, sospirando.

«Dove sei stato, oggi?» Chris era sollevata che ogni traccia di ostilità fosse svanita, ma non voleva abbandonare del tutto la conversazione. 

«Da te» 

«Appunto» Chris si fermò prima di chiedere “e perché non eri con la tua famiglia? Cosa mi nascondi?” e cercò di formulare le sue domande in modo meno intrusivo, concludendo con un «qualsiasi cosa sia, non me la vuoi dire» 

«Cosa sia, cosa

Chris scrollò le spalle. Non aveva nessuno con cui addobbare l’albero, parole sue. Non le aveva mai parlato della sua famiglia e non poteva aver partecipato a nessun pranzo di Natale, visto che aveva passato la giornata da Chris. Certo, a casa Irwin ci sarebbe potuta essere la tradizione di festeggiare con un appetitoso cenone la sera della Vigilia, ma ciò non significava passare il venticinque da soli.

«Non ne ho idea! Ma è evidente che c’è qualcosa che non mi dici. Mi piacerebbe che lo facessi, vorrei sapere qualcosa di più su di te, ma rispetto che tu non ne voglia parlare. Solo non lanciare la prima pietra se sei il primo ad avere dei segreti, Ashton»

«Hai ragione, scusa»

La rossa rispettava davvero la scelta di Ashton, ma allo stesso tempo moriva dalla voglia che lui si fidasse di lei e le raccontasse cosa lo tormentava. 

Qualcuno doveva fare il primo passo.

Chris sospirò e prese una decisione. 

«Hai ragione anche tu, comunque. Sai già molte cose, ma hai “scoperto” tutto leggendo la lettera di Aria. Io non ti ho detto nulla. E credo che sia anche ora che qualcuno dei due inizi a fidarsi. Sai cosa? Fanculo al cazzo di muro»

La rossa si preparò ad iniziare a raccontare, dopo un momento di riflessione per capire da dove cominciare.

«Avevo sedici anni, era una normalissima serata estiva. Aria giocava con nostra madre in giardino, mentre papà era uscito a comprare del gelato. Ero sull’altalena. Guardavo le lucciole, erano bellissime, e le cicale cantavano. Andava tutto bene. Poi Aria mi chiese di farla provare: voleva che la spingessi, per poter andare più in alto. Poi lei si sporse, mentre l’altalena la portava verso il cielo, per acchiappare una lucciola, ed è stata questione di un secondo. È caduta, si è tagliata il mento. Mamma era terrorizzata e corremmo all’ospedale. Le misero tre punti»

«Mi dispia-» iniziò Ashton, ma Chris, presa nel racconto, si sporse in avanti e gli fece cenno di tacere, con così tanta enfasi che gli sfiorò davvero le labbra.

«No, aspetta, aspetta, non è finita, e quelli erano solo tre maledetti punti, magari la storia finisse qui. Mentre mamma era con Aria per tranquillizzarla, mi chiese di chiamare papà per avvisarlo ma io avevo lasciato il cellulare a casa, quindi usai il suo. Dopo averlo chiamato, mi accorsi di alcuni messaggi non letti, e li aprii. E lì iniziò tutto. Erano bravi, così bravi da litigare per messaggio. Così nessuno li avrebbe sentiti, e probabilmente non avevano mai preso in considerazione l’eventualità che noi potessimo leggerli.

«Ero sconvolta e volevo saperne di più, ma non volevo chiedere nulla a loro. Pensavo che, se non ne avessi parlato, tutto sarebbe tornato normale. Era un’illusione consolatoria a cui mi aggrappavo. Allo stesso tempo, però, avevo bisogno di capire. Così frugai per casa, in ufficio, ovunque, e trovai un diario. Era di mia madre. Bastarono poche pagine per concludere che le cose andavano peggio di quanto potessi immaginare. Litigavano da anni. Da sempre, in pratica»

Chris si ritrovò con lo sguardo perso nel vuoto e iniziò a perdere espressione nella voce per cercare di restare estranea a quelle emozioni che aveva provato, ma le era difficile nascondere l’amarezza.

«Sai, mi sfugge il perché abbiano deciso di sposarsi. Anzi, forse questo più di tanto non è difficile da capire. Erano giovani. Stupidi» scrollò le spalle «innamorati dell’idea dell’amore, si dice, no? Ci può stare, crescendo in un altro modo anche io avrei potuto essere come loro, adesso. Ma quello che davvero non capisco... perché diavolo hanno fatto me»

Ashton avrebbe voluto intervenire. Quella era una questione che non poteva tollerare, non poteva permettere che lei... desiderasse di non essere mai nata. Ma, di nuovo, Chris lo zittì.

«Lasciami finire, non te lo sto raccontando perché mi consoli. Dunque, i problemi erano nati ben prima di me, quando mio padre si era dato alla passione tattoo, mentre mia madre era stata costretta a fare i doppi turni per pagare l’affitto. Da lì sono cominciati gli screzi, i litigi, le bugie, le decisioni prese alle spalle l’uno dell’altra. E io ancora mi chiedo perché diavolo hanno voluto mettere al mondo un figlio, sapendo di essere già in crisi? Io non ho chiesto di finirci, in questo casino, e non capisco perché mi ci abbiano trascinata. Credevano che la cicogna avrebbe riportato l’amore rinnovato come quello di due scolaretti alla prima cotta?» il tentativo di non farsi toccare dal racconto era stato inutile e già si stava rimettendo piangere.

«Io ho solo peggiorato le cose. L’ho scoperto leggendo quel diario. Non cercare di consolarmi, o dire che non è vero, che non è stata colpa mia! Era tutto lì, nero su bianco. Li ho incasinati, Ashton, più di quanto non fossero già. Ogni cosa che ho fatto... quasi tutto ha portato a dei litigi, di cui io non sapevo nulla» si bloccò, con la voce rotta, e si asciugò di nuovo gli occhi con il maglione, aspettando che i singhiozzi si calmassero per riprendere a parlare. 

Il ragazzo si sentiva terribilmente impotente mentre ascoltava e, nonostante Chris cercasse di allontanarlo, le sfiorò il braccio, ma lei si scansò bisbigliando “non ne ho bisogno” e poi tirò su col naso.

«Litigavano per i soldi. Lessi che avevano litigato perfino per una stupida giacca che io avevo voluto comprare e ci rimasi così di merda, mi sentii così in colpa, che non chiesi mai più dei soldi, né dei regali. Avevano litigato anche per il tatuaggio che avevo voluto farmi e per il mio unico amico, che a mia madre sembrava un poco di buono, mentre a mio padre piaceva. E’ stato orribile scoprire di essere io la causa di tanto odio...»

Chris scosse la testa, piangendo, allontanando con la mano Ashton che aveva tentato nuovamente di avvicinarsi per confortarla.

«Un giorno ero così disperata che provai a scappare di casa. Preparai uno zainetto e andai al parco, gran nascondiglio, eh? Be’, indovina, ci misero un bel po’ a trovarmi. Ero nascosta vicino alla panchina dove stavo disegnando quel giorno che sei venuto a parlarmi, e a dirla tutta non è proprio che mi trovarono: tornai indietro perché sapevo di non avere altra scelta e non potevo abbandonare Aria. Ne ero consapevole anche prima di andarmene, ma lo feci comunque perché avevo bisogno di illudermi di poter evadere, essere libera, almeno per un po’»

Chris si coprì parte del viso con le mani e chiuse gli occhi. Era strano raccontare tutto a qualcuno. Non solo strano, ma anche difficile. 

Lei avrebbe voluto che le sue emozioni si fermassero lì e non andassero oltre, avrebbe voluto provare solo imbarazzo e l'amarezza, la tristezza e la rabbia riportate a galla dai ricordi, così da poter riconoscere a se stessa che per tutto questo tempo aveva avuto ragione e aveva fatto bene a chiudere a chiave il suo passato.

Ma non era così. Mentre parlava si accorse a malincuore di essere stata nel torto, perché aprirsi con qualcuno, nonostante la difficoltà nel parlare dei propri sentimenti, era liberatorio. E anche se Ashton non fosse riuscito a capirla, solo avergli parlato la faceva sentire meglio. Le sembrava di essersi finalmente liberata da qualcosa che, per tutto questo tempo, aveva cercato di soffocarla, e di aver ripreso a respirare, ad annaspare furiosamente alla ricerca d’ossigeno.

Aveva bisogno di continuare.

«La prima volta che li ho davvero sentiti litigare, è stata una sera. Tornavo a casa dopo aver cenato fuori, ed ero in anticipo, mentre Aria era da una sua amica a dormire. Li sentii urlare da fuori della porta di casa. Non entrai nemmeno, rimasi all'esterno, seduta sul portico. Ascoltai la discussione, le grida, il rumore di qualcosa che andava in frantumi -il giorno dopo mi accorsi di una tazza mancante. Aspettai quasi un’ora a piangere lì fuori, finché non calò il silenzio. Credevo che fosse finita, poi la porta si spalancò ed uscì mio padre a passo spedito, diretto verso l’auto. Mia madre gli urlava con tutto il fiato che aveva in gola di non tornare. Lei era in piedi a mezzo metro da me, ma io ero nascosta dalla porta e così nessuno dei due mi vide. Fu la prima notte che mio padre dormì fuori casa. Pregai che si voltasse, almeno una volta, mentre se ne andava. Ma non lo fece. Mi spezzò il cuore»

Le si era davvero spezzato il cuore, quel giorno. 

Fino a quel momento aveva potuto continuare a fingere che quelle prove fossero solo circostanziali, che non significassero niente, che le cose andassero ancora bene. Aveva potuto sperare che il diario sparisse, sognare di svegliarsi una mattina e accorgersi che era tutto un brutto sogno. 

E le era sembrato che sarebbe davvero potuto succedere perché, quando li vedeva insieme, i suoi genitori, continuando a recitare, sembravano felici. 

Ma sentirli litigare aveva reso tutto reale. Le parole, che fino a quel momento erano state solo degli svolazzi d'inchiostro da poter dimenticare e ignorare, avevano preso vita e l'avevano attaccata. Chris aveva visto le sue speranze, seppur ingenue, di tornare ad essere una famiglia normale frantumarsi. Avrebbe voluto provare a raccogliere i pezzi e rimetterli insieme, ma era troppo tardi. L'illusione era svanita, il mondo le era crollato addosso. 

Non riusciva più nemmeno a guardare in faccia suo padre e sua madre, né se stessa allo specchio.

«Un giorno, non moltissimo tempo fa in realtà, ho deciso di affrontarli, e spiegare che sapevo tutto. Oh, se erano sorpresi. Come due bimbi colti nel bel mezzo del guaio che stavano combinando. All’inizio si sono arrabbiati, tanto per cambiare, poi devo avergli fatto un po’ pena e ci sono state un sacco di quelle frasi fatte da genitori prossimi al divorzio tipo “ma tu resti la cosa più bella che abbiamo fatto” e “sarai sempre mia figlia” e bla, bla, bla. Come se me ne importasse qualcosa! Potevo comprarmi un libro di Sparks e un pacco di Baci Perugina e avrei avuto le stesse risposte» gridò.

«Non avevo concluso niente, parlandoci, tranne di aumentare lo screzio tra loro due, che, tra l’altro, avevano deciso di abbandonare parte della farsa visto che comunque io avevo scoperto la verità. Certo, a questo punto, tanto valeva mandare tutto a puttane. Ed è andata avanti così, fino adesso. Li coprivo, con Aria, per evitare che scoprisse tutto. Poi le cose sono peggiorate. Papà ha tradito mamma, mamma ha tradito papà. Forse non era nemmeno la prima volta. Ma ha fatto più male a me che a loro, soprattutto sapere che mio padre... lui era il mio eroe. I papà sono sempre gli eroi dei loro figli, e lui ha...»

Chris soffocò un singhiozzo coprendosi la bocca con la mano, mentre lo sguardo rimbalzava disperatamente da un punto all’altro della stanza alla ricerca di un punto fermo a cui aggrapparsi.

«Non ho più cercato di capirci qualcosa. Loro hanno smesso gradualmente di parlarsi e adesso quando lo fanno è per litigare. Non so, ho abbandonato il tentativo di capirci qualcosa. E ora papà dorme fuori casa una notte no e tre sì»

Restò in silenzio per un po’ e si soffiò di nuovo il naso. Aveva la voce roca e tremolante, ma voleva concludere il suo discorso.

«E sì, mi sono chiusa a riccio. E sì, l’ho costruita, una casa di mattoni. L’ho costruita con me stessa, per lasciare fuori tutti gli altri. Perché non volevo, non voglio avere bisogno di nessuno per essere felice, voglio stare sola. E forse non so nemmeno che cosa sia, l’amore, ma non voglio che mi distrugga. Non voglio che mi succeda quello che è successo ai miei genitori. Non voglio innamorarmi di nessuno, non voglio fidarmi di nessuno, mai più»

Dopo qualche istante di silenzio Ashton si avvicinò di poco, più lentamente di prima, con cautela, come si fa per non spaventare gli animali selvatici. Non voleva dirle che gli dispiaceva. Era scontato e non avrebbe fatto nessuna differenza, di certo non avrebbe lenito il suo dolore. Inoltre, ancora una volta, quelle due parole non sarebbero bastate ad esprimere quello che provava. Era molto più di un “mi dispiace”, lui soffriva davvero e stava male al pensiero di quello che Chris aveva dovuto passare.

«Lo pensi veramente?» sussurrò, incapace di dire altro.

Lei lo guardò negli occhi. Voleva dirgli di no, che non lo pensava, che sperava che per lei le cose sarebbero andate diversamente e che moriva dalla voglia di essere felice con qualcuno, con lui, di innamorarsi, di lui. 

«L’ho pensato per anni e lo vorrei ancora, vorrei essere felice solo con me stessa. Ma adesso sto venendo meno a tutte le promesse che mi ero fatta, ti ho praticamente tirato addosso le chiavi della mia fottutissima casetta di mattoni e ne sono terrorizzata. Ed è tutta colpa tua. Ti odio» gli tirò un pugno sul petto, arrabbiata e ancora in lacrime.

«Se credi che saresti più felice da sola e vuoi che le cose tornino com’erano prima che ci incontrassimo mi dispiace, e molto. Ma se è questo che vuoi, va bene» tuttavia, non indietreggiò di un passo.

«Ti odio»

«L’hai già detto. Vuoi che me ne vada?»

«Sei a casa tua, Ashton»

«Dalla tua vita»

Chris si passò per l’ultima volta una mano sugli occhi, per poter guardare Ashton senza vedere i contorni sfuocati.

«No. Ed è per questo che ti odio. Ti odio, perché sto dannatamente bene con te» 

Lui le sorrise leggermente e si avvicinò ancora, posò le mani sui fianchi di Chris per attrarla a sé. Lei scivolò tra le sue braccia e nascose il viso contro il suo petto. 

«Chris, tu davvero non credi nel per sempre?»

«Vorrei crederci»

«Vorresti? E perché?»

«Perché forse mi sto innamorando»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SBABAM SONO STATA ANNI A SCRIVERE QUESTO CAPITOLO MA FINALMENTE L'HO CONCLUSO e spero che non ci siano errori e in realtà ci sarebbero altre cose che potrei aggiungere ma sono stufa e lo posto così com'è.

mi dispiace che dia poco spazio a ciò che pensa ashton, ma amen

diciotto pagine stavolta, minchia. 4576 parole.

è praticamente giugno e qui diluvia e ancora non ho mai visto il mare né sono andata a prendere il sole ma che stagioni di merda

btw voi come state? avete finito verifiche/interrogazioni? a me manca solo un’interrogazione di matematica (forse sì forse non la faccio idk) e poi do fuoco ai libri YEAH (e ricomincio a scrivere e leggere ogni volta che voglio alleluiaaaa)

oh ma seriamente qui diluvia in modo scandaloso 

per quanto riguarda questo capitolo è molto aw ma anche lacrimoso (vi ho già detto che i miei angoli autrice fanno davvero pena HAHAH scusate) e perché no, anche petaloso

che dite, si baciano ora? 

invia si (=ora limonano male e chris gli salta addosso e hehehe) o no (= non credo proprio bc chris ora si richiude a riccio e fugge dalla finestra) al 48480

il televoto è aperto! (ma voto del pubblico non influirà davvero sul corso della storia ahaha)

 

 

ps vi consiglio vivamente di ascoltare le canzoni di inizio capitolo, se non le avete mai sentite (a parte quelle di natale che boh okay ahaha ma tipo family portrait è stupenda)

 

  
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