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Autore: Kazaha87    31/05/2016    1 recensioni
Durante un pomeriggio di un classico inverno del nord, a casa di Danimarca, un fiume di pensieri, rimpianti, rimorsi e risentimenti si impossessa di Islanda mentre, come d'abitudine, sente battibeccare Norvegia e Danimarca nella stanza accanto. Poi, che sia colpa dei bui inverni del nord o no, Norvegia prima e Danimarca poi vengono colpiti dalla stessa malinconia che aveva pervaso il loro fratello minore, e si abbandonano ai propri fantasmi.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Islanda, Nordici, Norvegia
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Triangolo
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Questa è la prima fanficion di Hetalia che scrivo, quindi ho deciso di farla su tre dei miei personaggi preferiti, dato che su di loro non c'è mai abbastanza e sicuramente c'è troppo poco: Norvegia, Danimarca e Islanda.

Questa storia è suddivisa in tre capitoli, il primo dal punto di vista di Islanda, il secondo di Norvegia e il terzo di Danimarca, e sono consequenziali.

Per quanto riguarda alcuni termini ho deciso di usare quelli in quelle tre lingue (e sì, ho usato google translate, quindi per eventuali errori dovete dare a lui la colpa XD). In pratica, in questa storia:

Ísland è Islanda in islandese;
bror è fratello in danese e norvegese, così come lillebror è fratellino e storebror è fratellone;
takk è grazie in norvegese e islandese;
Norge è Norvegia in norvegese e in danese, ma per l'islandese il google translate sembrava un po' confuso, quindi ho tenuto lo stesso anche per il capitolo dal punto di vista di Islanda;
stóri bróðir è fratellone in islandese, e bróðir è fratello, come era prevedibile;
Danmark è Danimarca in norvegese e danese, mentre è Danmörk in islandese... e con questo dovrebbe essere tutto.

Buona lettura! E lasciate commenti :D

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“Sei fastidioso!”, sentì provenire dal salotto. “Sei troppo vicino, bror! Sono sicuro che tu sia perfettamente in grado di sederti dritto, dannazione, perciò perché non puoi startene nella tua metà del divano senza invadere la mia, per una volta?!”

Poi, il solito rumore sordo di qualcosa di grosso e pesante – Danmörk – che colpisce quasi sicuramente il pavimento e che, molto probabilmente, avrà anche lasciato una bugna dove è caduto.

Ormai ci era abituato, anche perché questo scenario si riproponeva tutti i giorni, più volte al giorno, e per così tanti futili motivi che non sarebbe stato in grado di contarli…

Addirittura le frasi di Nor e Dan erano sempre le stesse…

Nei secoli era diventata una routine. Una immutabile routine: giorno dopo giorno, era sempre la stessa solfa tra quei due, e lui era così stufo!

Poi, come sempre, Norge lasciò il salotto e lo raggiunse in cucina, sedendosi al tavolo proprio di fronte a lui, e la sua espressione, come sempre, era imperturbabile, come se non fosse accaduto niente nell’altra stanza. Ma lui conosceva Norge, ed era in grado di distinguere l’irritazione dietro quella maschera di pietra.

Senza bisogno di chiedere se ne volesse, Ísland gli allungò una tazza fumante di grog: la bevanda preferita dell’uomo.

“Takk”, fu tutto ciò che questi mormorò in risposta a quel gesto.

Come sempre.

E come sempre lui non disse niente.

Lo fissò mentre sorseggiava lentamente il liquore caldo e notò come i suoi lineamenti si addolcirono appena nel mentre, lasciando spazio a quel che sapeva essere ciò che di più simile a un sorriso Norge fosse in grado di mostrare sul suo volto in circostanze normali – un’espressione che la maggior parte delle persone non avrebbe nemmeno riconosciuto come tale.

Ripensandoci, in più di un millennio l’aveva visto sorridere – un vero sorriso, non quell’ombra sbiadita di esso che Norge mostrava la maggior parte del tempo quando era rilassato – solo poche volte.

Succedeva sempre quando lo chiamava “stóri bróðir” – fratellone – e, per questa ragione, in passato aveva sempre provato una certa soddisfazione nel chiamarlo così, perché era qualcosa che l’aveva sempre fatto sentire speciale, in un certo senso, sicuro come solo un bambino può esserlo di essere l’unico in grado di risvegliare una simile reazione in lui.

Ma circa tre secoli prima, una volta – ed era abbastanza – aveva visto quello stesso sorriso gentile e affezionato addolcirgli quei lineamenti già per loro natura delicati e quasi femminei – la sola parte di lui che avesse un ché di vagamente femminile, in effetti – quando non avrebbe dovuto essere lì per vederlo, quando Norge sembrava essersi catapultato nella propria stanza, sicuro che sarebbe stato in un posto dove non l’avrebbe visto nessuno, dopo l’ennesimo battibecco – sempre che potesse essere definito davvero tale, dopotutto –  con bróðir Dan.

Quella volta aveva sperimentato sulla propria pelle, e forse per la prima volta in assoluto, cosa significasse odiare davvero qualcuno, anche se più tardi aveva scoperto che ciò che aveva provato in quell’occasione aveva un altro nome, un nome più appropriato: gelosia.

Tuttavia era piuttosto certo, anche dopo così tanto tempo, che quello stupido di Danmörk non avesse la minima idea del fatto che Norge provasse qualcosa per lui che andava oltre l’essere fratelli o amici. E questo, se possibile, glielo faceva odiare anche di più.

E tuttavia, lui viveva ancora con quei due quando poteva, a casa di Danmörk.

Nemmeno lui era in grado di dire con sicurezza perché, a dire il vero, eppure era lì, anche in quel momento. Anche se non lo sopportava.

Anche se faceva male.

“Mi manca l’estate”, Norge lo risvegliò improvvisamente da quel fiume di pensieri e entrambi sospirarono leggermente, anche se per motivi totalmente diversi.

Non che Norge se ne rese conto, comunque…

L’uomo era più vecchio di lui, eppure anche Norge, come Danmörk, poteva essere tardo su certe questioni, e sembrava che non fosse più in grado di capirlo.

A dire il vero si era chiesto più di una volta, negli anni, se Norge l'avesse mai capito davvero, e non aveva ancora trovato una risposta a quella domanda...

Dall’altro lato, invece, lui capiva benissimo perché Norge fosse praticamente ossessionato dal fatto che lui gli si dovesse rivolgere chiamandolo stóri bróðir e non Norge o Nor come invece faceva da tempo: da quell’episodio si erano allontanati, e lui sapeva che Norge non aveva mai capito come fosse avvenuto che, in pratica dalla sera alla mattina, la loro perfetta relazione si fosse deteriorata così tanto.

Sospirò di nuovo, maledicendo dentro di sé lui e la sua stupidità, e Norge, come a voler confermare la sua convinzione a tal proposito, ancora una volta lesse quella reazione nel modo sbagliato.

“Almeno qui c’è qualche ora di luce in questo periodo dell’anno.”, aggiunse e gli accennò un sorriso come a voler rincuorare il fratellino e, probabilmente, anche se stesso.

“Puoi sempre stare a Oslo. Non è così diverso da qui, dopotutto.”, commentò a quel punto lui piuttosto freddamente per nessun motivo apparente – almeno dal punto di vista di Norge – e infatti, davanti al tono delle sue parole, la nazione più grande trasalì leggermente a disagio, e per non più di un attimo si sorprese lui stesso del proprio inatteso imbarazzo più di quanto Ísland non mostrò di esserlo.

Una cappa di silenzio teso li avvolse, e entrambi ne sapevano il motivo, anche se lui era sicuro che Norge non si fosse reso conto che anche lui lo conosceva.

E ancora una volta: perché lui si trovava lì?

Ísland ci rifletté per la centesima volta da quando era iniziato l’inverno e giunse alla stessa conclusione a cui giungeva tutte le volte: per abitudine.

E tuttavia, nonostante questo, in un recondito angolo del suo cuore sapeva che, come la risposta di Norge a quella stessa domanda era Danmörk, la sua, in verità, era Norge e nessun’altra.

“Ehi, voi due!”, il terzo incomodo si intromise all’improvviso, entusiasta quanto irritante come sempre, lasciando la TV accesa nella stanza accanto e raggiungendoli in cucina. “Di che parlate?”, chiese avvicinandosi al tavolo e, quando notò che la tazza di Norge era ancora mezza piena, ci si fiondò nel tentativo di sfilargliela di mano. Ma senza successo, perché ogni volta era la solita storia e Dan era terribilmente prevedibile, e perché i riflessi di Norge erano sempre stati molto sviluppati. E un momento dopo bróðir Dan si ritrovò spiaccicato al muro dall’altra parte della stanza dal pugno di Odino.

Come sempre.

“Se ne vuoi, puoi fartelo da solo senza cercare di rubare il mio.”, spiegò Norge senza battere ciglio né tantomeno sentendo il bisogno di voltarsi verso di lui per rimproverarlo.

Come sempre, bróðir Danmörk cominciò a lamentarsi rumorosamente a distanza di sicurezza, ma, dopo meno di un minuto, era di nuovo addosso a Norge in ciò che non poteva essere che un insano impulso di stabilire un contatto fisico con l’uomo che quello stupido considerava il suo migliore amico e il suo fratello preferito: infatti, invece di andare a prepararsi il proprio grog, era tornato all’attacco pregandolo di dividere il suo con lui come se non fosse in grado di andare e prepararsene una tazza per se stesso.

“Melodrammatico…”, bofonchiò a mezza bocca Ísland di punto in bianco, esasperato, e scattò in piedi. Poi, prendendo il suo puffino con sé, li lasciò lì a guardarsi leggermente inebetiti nel vano tentativo di capire la ragione del suo sbotto e nella speranza che l’altro ne sapesse qualcosa di più.

E, come sempre, nessuno dei due aveva la benché minima idea del motivo che stava dietro la sua insofferenza. E, ancora come sempre, lui sapeva fin troppo bene che Norge avrebbe dato la colpa solo a ‘storebror Dan’ per quello sbotto improvviso, totalmente inconsapevole del peso delle proprie responsabilità a tal proposito, ben maggiori di quelle di quell’emerito imbecille di Danmörk.

   
 
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