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Autore: Sofyflora98    03/06/2016    1 recensioni
Dal primo capitolo:
"Tutto era iniziato con un cadavere. Un uomo sui cinquanta, vedovo, che faceva una vita abbastanza tranquilla, senza avvenimenti degni di nota. Un bel giorno, di punto in bianco, era morto. L'avevano trovato riverso sui gradini di fronte alla porta di casa. Quando avevano cercato di identificare la causa del decesso, i dottori erano rimasti allibiti. Non c'era una causa. Niente che potesse spiegare come mai un uomo di mezza età perfettamente in salute fosse all'improvviso crollato a terra. Come se tutto il suo organismo si fosse fermato dolcemente, e basta.
Fino a che non colsero sul fatto l'assassino. Quello che fu presto chiarito era che non si trattava di un essere umano. Non del tutto perlomeno. Mangiava e respirava e dormiva. Solo che a volte assorbiva la vita dagli altri."
****
Johnlock
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Lei deve capire che la nostra non è un’esistenza facile: dobbiamo nascondere la nostra vera natura agli occhi degli esseri umani, e questo è per alcuni più difficile che per altri. Dobbiamo anche tenere in buone condizioni le Estensioni, perché un danno ad esse ormai è come un danno ad una qualsiasi altra parte del nostro corpo, e dobbiamo farlo senza recare offesa agli altri esseri umani, cosa su cui non tutti sono d’accordo.
- Noi, però, siamo nati umani, dottor Watson, e questa condizione per molti non è facile da sostenere. Eravamo cresciuti per i primi anni della nostra vita come persone normali, ed eravamo in fondo persone normali in tutto e per tutto. Abituarsi a questa nuova realtà, accettare la nostra nuova natura, non è stato da tutti. Inoltre, durante la nostra fuga dai laboratori di Baskerville, la maggior parte di noi si è aperta la strada uccidendo. Può immaginare benissimo da sé i sensi di colpa e l’odio verso se stessi che ne sono venuti. Qualcuno, nei primi tempi, si è tolto la vita per l’orrore di ciò che gli era accaduto o di ciò che aveva fatto per fuggire da quel luogo. Quelli che non l’hanno fatto hanno cercato di trovare un equilibrio. Non tutti ci sono riusciti, e chi ci è riuscito l’ha trovato in modi contrastanti tra loro. –
Mycroft fece una pausa, e tamburellò per qualche secondo sulla scrivania con fare pensieroso.
John, seduto dall’altra parte del mobile di legno, lo fissava in attesa che riprendesse a parlare.
- Ovviamente mi riferisco alle due fazioni, dottor Watson. – riprese Holmes. – Dopo quella che chiamiamo la “Fuga”, ci siamo dispersi, ma mano a mano piccoli nuclei si sono radunati per cercare di sostenersi a vicenda. Io e mio fratello vivevamo con altre due Creature in una casa a schiera, assieme ad una signora che per circostanza fortuita era venuta a sapere degli esperimenti sugli umani prima ancora che ci liberassimo, e che era riuscita a riconoscerci, essendo già una volta sgattaiolata nei laboratori senza farsi notare per vedere il tutto con i suoi occhi. E sì, dottore, la sicurezza non era poi così efficacie in quel posto. O almeno non lo era per chi voleva entrare.
- Quella donna ci ha aiutati molto, all’epoca, e tutt’ora lo fa con Sherlock. Come avrà già immaginato, si tratta della signora Hudson. Gli altri due individui con cui convivevamo erano ragazzini circa della stessa età di mio fratello. Jim Moriarty è il primo, che ormai avete già avuto modo di vedere. L’altro si chiama Victor Trevor, ma è piuttosto schivo al giorno d’oggi, e non credo che abbiate mai avuto l’occasione di incontrarlo, nonostante lui e Sherlock fossero molto legati fino a qualche tempo fa.
- Siamo riusciti a mantenere uno stile di vita abbastanza tranquillo per qualche anno. Poi, per farla breve, gli istinti violenti di Jim Moriarty hanno avuto la meglio sulla sua già di per sé scarsa capacità di autocontrollo, ed ha finito per assassinare un ragazzo. Le ragioni di quell’omicidio erano piuttosto puerili, ma lui non era uscito bene dall’incidente di Baskerville, e sembrava provare una sorta di malsana gioia nel fare del male. Sherlock ha scoperto il suo crimine, per sbaglio temo, e il giorno dopo Jim è sparito. Nel giro di qualche mese hanno iniziato a formarsi le due fazioni. Una attorno a Moriarty, che ha preso a sviluppare una rete criminale che si è estesa sempre di più, e l’altra attorno a me e a mio fratello. Poi Sherlock ha deciso che non gli importava dello scontro tra queste due, e ha cominciato a fare il consulente investigativo. Ovviamente non era vero: ha sempre finito per essere coinvolto nello scontro, e a dover prendere la nostra parte. In genere, però, se ne è stato per i fatti suoi. Poi le cose sono cambiate, però. –
John si appoggiò con gli avambracci al legno della scrivania, protendendosi leggermente avanti. – Come era coinvolta, di preciso, la signora Hudson? –
- Penso che fosse più che altro una curiosa, all’inizio. Avrà sentito qualche storia su gente scomparsa o su strani esperimenti, e si è intrufolata per vedere se fosse vero. Poi è diventata praticamente una di noi, ed è stata la prima umana pura a prendere parte alle fazioni. Non che ce ne siano molti altri, ad essere sinceri. Si tratta di rarissimi casi. –
Il dottore annuì. – Avevate una famiglia, prima che…? –
- Sì. – fu la risposta asciutta di Mycroft. – Ma non credo che Sherlock ricordi molto di quegli anni: era molto giovane, e Baskerville ha prevaricato sulla maggior parte dei suoi ricordi d’infanzia. Mentre io ero già un ragazzo maturo, quando è successo, lui era un bambino. I suoi ricordi della vita da umano sono talmente scarsi e remoti da poter dire che è una Creatura praticamente da sempre. –
- Ha detto che dopo le cose sono cambiate. In che modo? – lo sguardo di Watson era tremendamente serio.
Mycroft stava iniziando a pensare che raccontargli la verità non era stata solo una necessità. Sherlock sembrava non essersi sbagliato sul suo conto: poteva davvero essere adatto a stare vicino a suo fratello. Con quel suo carattere forte ed inflessibile, ma allo stesso tempo caloroso e premuroso, avrebbe potuto bilanciare perfettamente le tendenze autodistruttive di Sherlock.
- Lei non è il primo ad aver vissuto con Sherlock, e a cui è stata raccontata questa storia. Però, l’altra volta, non è andata bene come con lei, diciamo. È successo cinque anni fa, circa. –
 
 
 
Sherlock non ci poteva credere. Sapeva che non sarebbe stato facile accettare la sua vera natura, di questo era sempre stato consapevole, sin da quando era fuggito con Mycroft da Baskerville. Però aveva creduto, aveva sperato, che questa persona avrebbe capito, sarebbe stata in grado di ascoltare prima di reagire impulsivamente.
Aveva sbagliato.
Aveva dato un giudizio errato, nonostante i mesi che aveva già passato ad osservare il coinquilino da vicino. Si era fatto l’idea che fosse una persona pacifica e flessibile. E si era sbagliato clamorosamente.
Faceva male, un male così forte e lancinante che non riusciva a capacitarsi di come facesse ad essere ancora cosciente. Molto diverso da quello che aveva provato durante gli esperimenti di Baskerville. Si sentiva spezzato. Nel senso letterale.
E faceva male anche dentro. Ferito, tradito. Non riusciva a pensare a nient’altro.
Provò a muovere debolmente un braccio, mentre l’altro gli rivolgeva un ultimo sguardo agghiacciato prima di scappare a gambe levate, lasciandolo lì.
Oh, ora bruciavano anche gli occhi. Aveva la vista appannata da un velo di lacrime, ed era quasi sicuro che qualcuno gli avesse conficcato una lama in gola, da quanto gli doleva.
Il primo singhiozzo flebile che gli fuggì dalle labbra acuì ancora di più quel bruciore, e fu come una stilettata.
Avrebbe voluto inseguirlo, farlo a pezzi e urlargli quanto fosse lui ad essere un mostro. Trovare un angolino dove pianificare qualche vendetta. Trovare Victor per potergli piangere sulla spalla. Persino Mycroft sarebbe andato bene, in quel momento.
Ma non fece nulla di tutto questo. Non ne era fisicamente in grado, non riusciva nemmeno a muoversi.
Non riusciva nemmeno più a pensare, tanto era totalizzante e intenso il dolore.
Era a malapena cosciente quando, non sapeva bene quanto tempo dopo, la voce di Mycroft ruppe il silenzio dell’appartamento vuoto tranne che per lui. anche se non aveva capito cosa avesse detto, il tono concitato e spaventato addirittura, gli fece intendere che non si era aspettato questo nemmeno lui.
Il fratello era chino su di lui, intento a telefonare a qualcuno, quando infine perse conoscenza.
 
 
 
Victor, dopo averlo raccolto in quell’edificio abbandonato che era il suo rifugio, lo aveva condotto in un piccolo appartamento per una persona in una zona decisamente più fuori mano rispetto a Baker Street. Non era uno dei quartieri malfamati o degradati, ma un’area più anonima, piuttosto, dove era improbabile farsi notare o imbattersi in gente strana.
Avevano fatto un tragitto singolare, evitando tutte le strade dove avrebbero potuto essere visti da membri dell’altra fazione. Sherlock sapeva che da qualche anno, dopo uno sfortunato incidente che lo aveva messo seriamente a rischio di morire, Victor viveva quasi nascosto, spostandosi spesso e tenendo la sua residenza segreta anche a Mycroft. Sherlock sapeva che l’essere portato da Victor Trevor nella sua abitazione era un segno di fiducia totale ed incondizionata. Non sapeva come lo facesse sentire la cosa, se ne fosse lusingato, felice o inquietato: nessuno si era mai fidato in quel modo di lui.
Victor lo fece entrare dall’uscio per primo, indicandogli subito dov’era il bagno, così che potesse fare una doccia e togliersi il freddo dalle ossa. A volte era un po’ imbarazzante rendersi conto di quanto effettivamente Victor lo conoscesse e sapesse capire riguardo ai suoi stati d’animo o le sue emozioni.
Al contrario, Sherlock riusciva a dedurre poco o nulla riguardo l’amico. Solo qualcosa riguardo a dove era stato, più o meno, o piccoli dettagli di questo genere, ma non era in grado di analizzarlo come faceva con gli altri. Forse perché Victor era un po’ come lui, aveva sempre pensato.
Mentre era sotto al getto d’acqua calda, sfiorò la propria spalla, dove aveva sentito le dita tiepide di John la sera prima, prima che perdesse la testa e scappasse. Si diede dell’idiota impulsivo. Ora che ripensava a quanto delicatamente gli avevano sfiorato la pelle, si disse che era ovvio che non avesse avuto cattive intenzioni. Da quando era accaduto quell’incidente cinque anni prima, però, scatti di quel genere erano tutto tranne che insoliti in lui. La prima cosa che il suo istinto gli suggeriva era quella di difendersi da un’aggressione, da un attacco.
John non meritava una diffidenza del genere, pensò sconsolato, ma lui non era in grado di essere diverso da così. Non più. Erano successe troppe cose, perché potesse imparare a trattarlo come meritava. Dio, non voleva nemmeno ripensare a cosa aveva combinato quella notte!
Quando lavò via l’ultimo brivido gelato che gli increspava la pelle, uscì dalla doccia e si asciugò con un asciugamano.
Victor gli aveva prestato dei vestiti puliti, e Sherlock davvero non sapeva come mai Trevor avesse abiti della sua taglia con sé, ma non importava al momento.
Uscì dal bagno, iniziando finalmente ad osservare bene il luogo.
Era esattamente come si aspettava che fosse un posto abitato da Victor: semplice ma piacevole, ordinato e pulito, a differenza del 221B, e con messi in bella mostra oggetti che avevano per Victor un valore affettivo, vecchie fotografie e libri. Non libri di chimica e criminologia, ovviamente. Per la maggior parte erano romanzi, libri sugli animali e sulle piante, e qualche volume che parlava di mitologia.
Gli sfuggì un sorriso, quando vide che nonostante vivesse solo, Victor avesse un letto a due piazze. – Ti agiti ancora nel sonno, come quando eri bambino? – gli domandò quando lo sentì avvicinarglisi.
Victor ridacchiò. – Eccome, non sai quanto. Se dormissi in un letto singolo, finirei per cadere a terra due o tre volte in una notte. E in estate si sta meglio se si può allargare le braccia , invece che doverle tenere strette per non farle andare fuori dal bordo. –
Il Gatto si sedette sul materasso, dando un colpetto vicino a sé per invitare Sherlock ad imitarlo. Il detective non si fece pregare, accomodandosi immediatamente a fianco all’amico.
Amico, già. Un termine che aveva associato a qualcuno così raramente che avrebbe potuto contare i casi sulle dita di una mano.
- Allora, vuoi raccontarmi per bene cos’è successo? Ho sentito un po’ di storie su cosa stai combinando negli ultimi mesi, ma è solo a grandi linee. Sempre che tu voglia parlarne ora, ovviamente. –
Sherlock annuì, e si avvicinò di ancora qualche millimetro all’altro uomo.
- Ho trovato un nuovo coinquilino, qualche mese fa. Mi sono lasciato coinvolgere, e Moriarty ne ha approfittato per usarlo come leva contro di me. Mi ha lasciato delle minacce in cui, per farla breve, mi faceva capire che se non avessi smesso di intralciare la sua fazione indagando sugli omicidi compiuti da loro, o passando le informazioni che riuscivo ad avere a Mycroft, lo avrebbe ucciso. Mio fratello mi ha detto più volte che avrei dovuto dirgli di noi prima che lo scoprisse in altro modo, ma io non ci sono riuscito fino a quando Moriarty non gli ha mostrato le sue Estensioni. Quando gli ho raccontato la verità, ieri notte, ormai aveva già capito cos’ero. –
Victor gli avvolse le spalle con un braccio, e Sherlock lasciò che l’altro lo tirasse a sé fino a fargli appoggiare la testa sulla sua spalla. Non era normale per lui lasciare che qualcuno gli si avvicinasse così, che lo coccolasse, ma con Victor era sempre stato diverso che con gli altri. Victor poteva, quando nemmeno suo fratello aveva il permesso di toccarlo in quel modo.
- Come ha reagito? –
- Non lo so, in effetti. Non è scattato però. – ripensò al lieve tocco delle dita di John sulla pelle della sua spalla. – Dio, credo che possa anche averla presa bene, Victor! – esclamò, la voce all’improvviso spezzata. – Ma sono io, sono io che ho avuto un attacco di panico quando mi stava per toccare la spalla, e ho perso il controllo! –
Affondò il viso sul petto di Victor, che immediatamente gli circondò il busto con le braccia, lasciandosi andare all’indietro fino a trovarsi sdraiato sul materasso. Pian piano, portò una mano più in alto fino ad intrecciarne le dita con i riccioli scuri di Sherlock.
- Ti ha toccato la pelle direttamente? –. Il detective annuì, il naso schiacciato sulla camicia dell’amico. – Per “perso il controllo” intendi che hai accidentalmente creato la reazione chimica per assorbire l’energia dalle sue cellule, vero? –
Sherlock ripeté il movimento, e qualche goccia tiepida iniziava ad inumidire il tessuto su cui aveva premuto il volto.
- Si è trattato solo di pochi istanti, non dovrei avergli fatto niente a parte averlo indebolito, però… -
Victor sapeva qual era quel però. Sherlock aveva sempre avuto una paura viscerale di fare del male a qualcuno per via della sua natura di Creatura, e farlo perché perdeva il controllo delle proprie abilità peculiari era ancora più frustrante per lui.
- Di tutte le persone, lui è l’ultimo a cui avrei voluto creare problemi, Victor. – disse infine.
C’era una nota nella sua voce, una nota molto particolare che Victor ricordava di aver sentito pochissime volte. Ma sapeva, però, cosa significava. Solo pochi, pochissimi, potevano vantarsi di essere l’oggetto di un discorso in cui Sherlock lasciava scivolare quella nota dolce e malinconica tra le sue parole. Era quasi un privilegio, agli occhi del Gatto.
- Parlami di lui, ti va? – mormorò, girando il capo verso la Libellula.
- Si chiama John Watson. Era un medico militare, è tornato in Inghilterra dopo essere stato ferito in guerra, ed ora fa il medico generico. Ci siamo incontrati più o meno per caso. Mi ha trovato al Saint James’s Park una mattina. La sera precedente Moriarty mi aveva aggredito, e lui mi ha praticamente trascinato nel suo appartamento per curarmi le ferite. Quando siamo arrivato, ho scoperto che il suo appartamento in effetti era il 221B di Baker Street. –
Victor annuì. Aveva sentito a grandi linee questa storia da qualche Creatura della fazione di sotto che bazzicava in giro, di quelle che se ne stavano per i fatti loro e che spesso fornivano informazioni a lui o agli Holmes. Si chiese se fosse stato davvero un caso, perché la coincidenza era davvero sfacciata. Probabilmente c’entrava la signora Hudson, si rispose. Non sarebbe stata la prima volta che faceva in modo di far incontrare le persone che reputava compatibili.
- Alla fine, con il tempestivo intervento della signora Hudson, abbiamo finito per condividere l’appartamento. – proseguì Sherlock. – Mi ha seguito durante un caso, il giorno dopo avermi incontrato. E ha sparato al Rospo per salvarmi la vita. Non avrei mai nemmeno pensato che l’avrebbe fatto. –
L’emozione nella sua voce era palpabile. Victor pensò che se avesse allungato una mano in aria mentre Sherlock parlava l’avrebbe sentita sulla punta delle dita, come una vibrazione, o come del vapore molto denso.
- Mi ha seguito, Victor. Ti rendi conto? Mi ha seguito, senza esitare, quando mi aveva incontrato solo il giorno precedente in circostanze che normalmente avrebbero dovuto tenerlo lontano! Chiunque, dopo avermi aiutato, avrebbe cercato di starmi alla larga. Mi aveva trovato in condizioni pietose, avrei potuto essere un criminale rimasto ferito in uno scontro, o qualcosa del genere. Lui invece non l’ha fatto! –
Sì, si rendeva perfettamente conto. Si rendeva perfettamente conto del fatto che questo Watson stava diventando quello che lui stesso era stato anni addietro, se non anche più di quello che lui era stato, per Sherlock.
- E abbiamo vissuto assieme per mesi, ormai, senza che scappasse per i pezzi di cadavere in frigorifero come hanno fatto altri, o che si stufasse per via del mio carattere! Victor… – Sherlock si girò di scatto, guardando l’amico negli occhi, trepidante. – Victor, John non è come gli altri. Tu non puoi immaginare… lui ha qualcosa. È come se… non lo so, davvero. Mi parla come se fossi normale, capisci? Non come uno psicopatico insopportabile disadattato. –
E ancora una volta Victor capiva eccome. Forse capiva anche meglio di Sherlock cosa ci fosse di tanto speciale in John Watson, almeno ai suoi occhi.  Capiva anche cosa provocava questo in Sherlock. Ma come al solito, era Sherlock a non capirlo.
- Non credo che lo riuscirei a sopportare se dovesse andarsene, Victor. Non questa volta, sarebbe persino peggio dell’incidente di cinque anni fa. Se mai lui dovesse fare qualcosa di simile… - il turbamento adombrò nuovamente gli occhi acquamarina del detective.
- Non lo farà. – disse subito Victor. Quel poco su di lui che aveva sentito dalla bocca di Sherlock gli era più che sufficiente per capire questo. No, John Watson non era una persona ordinaria, e di sicuro non avrebbe abbandonato Sherlock.
E se mai l’avesse fatto, avrebbe dovuto pagarne il prezzo con lui.
Sherlock lo amava, questo era lampante. Victor era perfettamente in grado di capire i sentimenti dell’amico nei confronti delle persone, e non ricordava di aver mai percepito un’intensità simile nelle sue emozioni verso qualcuno, per questo sapeva anche che Sherlock aveva perfettamente ragione nel dire che non sarebbe riuscito a sopportare di perdere quell’uomo.
Non moriva dalla voglia di ripetere ciò che, assieme a Mycroft, aveva “fatto accadere accidentalmente” all’individuo coinvolto nell’incidente che aveva spezzato Sherlock cinque anni prima, ma non avrebbe esitato a farlo di nuovo se chicchessia avesse osato solo sfiorarlo con troppa forza.
- Sai che puoi rimanere quanto vuoi, vero? – gli mormorò all’orecchio.
- Ti ringrazio, Victor. –
E Victor seppe che era sincero e indifeso mentre gli diceva quelle parole, e si sentì un peso sul petto nel sapere quanto incredibilmente candida fosse l’amicizia che Sherlock provava nei suoi confronti. Nel sapere che non si trattava di ciò che lui, invece, sentiva.
John Watson era un uomo fortunato.
 
 
 
Mycroft, qualche minuto prima, aveva interrotto il suo racconto per far portare due tazze di tè, dicendogli che era meglio fare una breve pausa prima di continuare. John non ne era sicuro, ma gli era sembrato che quello che doveva dirgli, riguardo a ciò che era successo a Sherlock cinque anni prima, lo turbasse profondamente.
Attese che finissero di bere l’infuso bollente, prima di ricominciare a parlare, e anche a quel punto spese un minuto buono a studiare John, un po’ corrucciato. Il dottore non aveva mai visto tante emozioni leggibili nel viso del maggiore degli Holmes, solitamente del tutto imperturbabile, e la curiosità su cosa fosse accaduto cinque anni prima non faceva che incrementare ogni istante che passava. Non sapeva cosa avrebbe potuto turbare in quel modo Mycroft Holmes, e sperò che non fosse così difficile da sconvolgere quanto credeva.
- Anni fa mio fratello aveva avuto un altro coinquilino, dottor Watson. – riprese infine Mycroft. – Chi sia non è importante, era semplicemente uno dei pochi individui in grado di sopportarlo e di conviverci. Lo avevamo ritenuto una brava persona, a cui avremmo potuto rivelare il nostro segreto. Purtroppo ci eravamo sbagliati: per quanto normalmente avesse un carattere docile e pacato, non era stato in grado di ascoltare prima di scattare. E abbiamo scoperto che oltre quella facciata si nascondeva una persone violenta ed estremamente aggressiva.
- Quando Sherlock ha iniziato a raccontargli la stessa storia che ha raccontato a voi, quell’uomo aveva intuito subito dove voleva andare a parare. Sherlock non mi ha mai raccontato nel dettaglio cos’era successo, ma so per certo che era molto meno attento e pronto a difendersi di quanto lo deve essere stato con voi. Era più… ingenuo, oserei dire. Più fiducioso nei confronti degli umani. –
John riusciva quasi a vederselo davanti. Uno Sherlock più giovane, pallido ed esile, con quei due grandi occhi di zaffiro sgranati e curiosi, l’espressione enigmatica ma con un pizzico di innocenza e disinvoltura che raramente aveva mostrato da quando l’aveva conosciuto.
- Insomma, cos’è successo? – chiese, quando vide che l’altro uomo esitava a continuare.
Mycroft aggrottò le sopracciglia. – Avevo avuto il presentimento che qualcosa doveva essere andato nel modo sbagliato, quando non mi ha telefonato per confermarmi di aver detto la verità a quell’individuo. Ovviamente, avrebbe potuto essere semplicemente perché ne stavano parlando, ma comunque mi sono recato a Baker Street. E per fortuna l’ho fatto.
- Quando sono entrato l’ho trovato riverso a terra, in un lago di sangue, ferito alla testa e alla schiena, con due vertebre incrinate. A quanto pare, l’umano era andato nel panico e l’aveva aggredito. Sherlock all’epoca era molto più fragile di adesso. Era il 15 febbraio 2005. –
Quello che John provò nel sentire quelle parole, fu come una breve e piccola vertigine. Sbatte le palpebre più volte, le labbra dischiuse. Non sapeva che dire.
- Lei immagino possa capire bene il trauma subito da mio fratello. Da quel giorno è cambiato, naturalmente. È diventato molto più diffidente e freddo con le persone. Agli incubi su quella che lui chiama “la stanza bianca”, nei laboratori di Baskerville, si sono sommati anche quelli riguardanti quest’episodio. –
Ora si spiegava la sua reazione, quando gli aveva toccato la spalla. Doveva aver avuto un attacco di panico, aver creduto che stesse per fargli del male anche lui.
Solo sentendosela in testa, quell’idea gli pareva inconcepibile: come avrebbe potuto mai, lui, fargli del male? Lui che era sempre in ansia, al lavoro, chiedendosi se avesse mangiato qualcosa in tutta la giornata; lui che perdeva un battito ogni volta che l’altro rischiava di essere ucciso durante un’indagine. Era impensabile, per lui.
Ma evidentemente non lo era per Sherlock. Doveva essere terrorizzato, pensò, e a quel punto si sentì male.
- Lei non immagina nemmeno quanto bene ha fatto la vostra presenza a mio fratello, dottor Watson. – John sollevò la testa. – Da quando vi siete conosciuti, se posso dirlo, mi è sembrato quasi rifiorito. Sapete, negli ultimi anni sembrava aver perso ogni motivazione. Era cupo, schivo ed aggressivo più del suo normale. Mi porterebbe grande disappunto se voi decideste che non volete aver più a che fare con lui. –
- Non accadrà di certo! – esclamò il dottore immediatamente. – Se Sherlock ha bisogno che qualcuno gli stia vicino, può contare sulla mia presenza. –
Mycroft annuì, soddisfatto e, parve a John, anche sollevato. – Ve ne sono grato, dottor Watson. Anche perché sarebbe spiacevole dovervi comunicare cosa è… accaduto all’uomo che l’ha ferito. –
Assottigliò gli occhi, a quel punto, senza guardare nulla in particolare, immerso in qualche valutazione. John attese di sentire cos’altro avesse da dire, prima che si decidesse a cercare Sherlock come avrebbe cominciato a fare lui non appena fosse uscito dal Diogenes.
- So che sta pensando che dovrei darmi una mossa ad iniziare a cercare mio fratello, dottore. – disse a quel punto il maggiore degli Holmes. John si chiese se la telepatia fosse una dote comune all’intera famiglia, dato che sembrava essere condivisa dai due fratelli. – A dir la verità, ci sono pochi posti in cui si rifugerebbe in una situazione del genere, e se intende celarsi per molto probabilmente sarà entrato in contatto con uno dei suoi conoscenti. Può per favore descrivermi per bene cos’è successo ieri notte? Potrebbe aiutare a capire dove potrebbe trovarsi. –
John lo fece, gli raccontò dell’incontro con Moriarty, e del misterioso individuo che li aveva salvati, nascosto dalla sua vista. Gli disse poi del ritorno a casa, di come aveva intuito quale potesse essere la verità su di loro ma avesse preferito ascoltare l’intero discorso di Sherlock. E poi del momento in cui aveva provato a tranquillizzarlo, vedendolo tremare come una foglia, e di come il detective, invece, era fuggito come un lampo.
Mycroft, una volta che John ebbe terminato, annuì pensieroso. – La persona che vi ha tolto dai guai era quasi di sicuro Victor Trevor, che come le ho detto abitava assieme a noi poco dopo la fuga da Baskerville. Probabilmente Sherlock ora sarà con lui. –
- E lei sa dove quest’uomo potrebbe essere, Mycroft? –
- No, in effetti. – disse questi, cogliendo John completamente impreparato, abituato com’era al suo essere sempre a conoscenza di tutto. – Qualche anno fa c’è stato un piccolo incidente, e Victor se l’è cavata per un soffio. Da quel giorno è quasi impossibile da rintracciare, a meno che non lo voglia lui. Se è assieme a Sherlock, è stato lui stesso ad andare a cercarlo per portarlo con sé. Non ci resta che aspettare che uno dei due si faccia vivo, a questo punto. –. Evidentemente l’espressione contrariata di John doveva essere stata più che palese, perché aggiunse: - Stia tranquillo, dottor Watson. Credo che avremo loro notizie presto. Nel frattempo cercherò comunque di trovare mio fratello. Ma le consiglio di riposarsi: prevedo tempi duri per noi tutti. Tutti e quattro, intendo. –
 
 
 
- Non mi avevi assicurato che il Gatto non si sarebbe più fatto vivo, che non ci avrebbe più intralciato? – sbraitò Jim, quasi colpendo sul viso l’uomo che era intendo a disinfettargli il profondo striscio sul fianco della mano.
Quello sembrò trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo, quando l’altro emise uno squittio a causa del bruciore del liquido verdino sulla carne viva.
- Sì, l’avevo detto, capo. Non si espone mai, infatti, a scontri espliciti, e non ci ha più creato problemi da quando la sua identità e il suo ruolo nella fazione di sopra sono stati resi di dominio pubblico tra i membri della nostra fazione. Però credo che correrebbe il rischio di farsi trovare, se si trattasse della sicurezza della Libellula. Sapete che sono sempre stati molto legati, capo. -
- Terribilmente! – si lamentò di nuovo Moriarty. – Erano quasi rivoltanti, da piccini. Sempre aggrovigliati su una singola poltrona come due polipi. Il Gatto proteggeva il piccolo Sherlock come fosse la sua principessa in difficoltà, stupido illuso sentimentale! –
Sebastian Moran annuì, consapevole del fatto che quando il capo della fazione di sotto era in quello stato d’animo di lamentela infantile, era ancor meno il caso di contraddirlo che in una situazione normale. – Avete già in mente come procedere? –
Moriarty sembrò perdersi per un attimo nei suoi pensieri. – Ho in mente molte idee, Sebastian, ma nessuna che possa essere messa in pratica entro poco tempo. –
- Se posso permettermi, capo, la nostra fazione ha fatto già enormi progressi quando grazie allo scienziato siamo riusciti a estrarre l’energia che ci serve dai corpi delle persone morte da poco. Non credete che sarebbe meglio attendere che la tensione con l’altra fazione si allenti prima di attaccare uno dei due Holmes? -. Sherlock non aveva recato loro danni da molto tempo, da cinque anni per l’esattezza. Non capiva perché tutta quella smania di toglierlo di mezzo, quindi. E specialmente non capiva perché escogitare pianificazioni così sofisticate, quando avrebbero già potuto ucciderlo un milione di volte. Probabilmente il capo voleva screditarlo, o trasformare la sua uccisione in un vero e proprio ultimo atto da opera teatrale.
- Attendere, Sebastian? E perché mai? Farò la mia mossa il prima possibile, piuttosto: credo proprio che ora il piccolo Sherl sia esposto e vulnerabile, e non vorrei farlo sentire solo in un momento così delicato! – scoppiò in una risata pacata priva di gioia. – Mi basta solo aspettare un po’, quel che basta perché… -
Fu interrotto dal suonare del suo cellulare.
Sebastian evitò commenti sulla scelta della canzone, cercando piuttosto di concentrarsi sull’espressione esaltata che fece ingigantire gli occhi del suo capo quando lesse chi era il mittente della chiamata.
- Stavo giusto chiedendomi quando mi avresti chiamato per darmi tue notizie. – disse Moriarty, uno scintillio sinistro ad illuminargli lo sguardo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
****
Note:
Non ho nulla da dire, questa volta. Come sempre ringrazio le tutte le persone che leggono questa storia, che l’hanno inserita tra le seguite e che l’hanno recensita. Mi fanno davvero sentire che questa non è una perdita di tempo prezioso.
Kisses
Sofyflora98
   
 
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