Marchio
Già prima che Hiraikotsu cadesse a terra, Sango aveva sguainato la katana e ora studiava le mosse del suo avversario.
Lui non accennava ad un attacco, la kusarigama tesa a proteggere il suo volto, la catena arrotolata nella sua mano sinistra.
Neppure lei cercava lo scontro. Ciò che voleva era parlargli.
Kohaku sembrava lontano, inaccessibile dietro la lama affilata, che aveva imparato ad usare con tanta abilità.
D’impulso, lui abbassò l’arma, come colpito da una luce che era apparsa nello sguardo della ragazza contro cui combatteva.
Lei studiò i suoi gesti, la mano che mollemente giaceva al suo fianco ancora stretta all’arma, poi con un sospiro si girò.
Suo padre l’aveva istruita a non voltare mai le spalle a un nemico, non ad un fratello.
“Quello…cos’è ?”
La voce di lui esitò quanto bastava a commuoverla. Si girò, stordita, mentre lui indicava la sua schiena.
Sango si accorse dello squarcio nella tuta che rivelava lo sfregio sotto la sua clavicola. Era curioso che la cicatrice fosse alle sue spalle, come per non ricordare a lei le circostanze in cui si era ferita, quando invece ciò che voleva era proprio ricordare. Gli altri la notavano subito. Questo lei non lo voleva.
Fissò lo sguardo sul fratello, e per un attimo lo sconcerto si disegnò su quei lineamenti ancora infantili, mentre il cuore di lei si espandeva caldo di speranza. Lo sconcerto lasciò il posto alla neutra indifferenza, e lei si riprese dolorosamente.
Con un braccio toccò i lembi di pelle, delicatamente, come per nasconderla.
“Non è nulla…”, spiegò.