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Autore: rob_mpg2    05/06/2016    0 recensioni
Allooora. Salve a tutti! So che la settima stagione è uscita e bla bla bla. Non seguirò gli eventi specifici degli episodi già usciti, naturalmente(SPOILER tranne la morte di Rollins-Non-Rollins, che mi ha fatto sentire davvero bene). La storia è una specie di visione del futuro, ambientata parecchi anni dopo tutti gli avvenimenti. I protagonisti saranno i figli delle nostre Liars che, naturalmente, hanno ricreato le coppie iniziali. Quindi, se siete per le Emison e per Spaleb, potete anche saltare la storia, perché sono una Paily e Spoby convinta, pace e amore.
I ragazzi protagonisti saranno perseguitati da -A, che fa il suo ritorno in gran stile. Alcuni degli avvenimenti che accadranno sono delle "libere ispirazioni" a Pretty Little Liars, quindi, se alcune cose sembreranno simili, state tranquilli, perché l'ho fatto di proposito.
Non so con che ordine aggiornerò, ma spero di riuscirci.
Spero che la storia vi abbia interessato!
Buona lettura!
Genere: Drammatico, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Questo giorno è cominciato male.
Davvero male.
In realtà, è iniziato proprio come tutti gli altri e, molto probabilmente, finirà allo stesso modo.
Ieri sera sono andata a letto tardi, troppo tardi.
Quando May ha proposto a tutte quante di uscire, avrei risposto no, ma era così felice, che non ce l’ho proprio fatta.
Quindi, solita serata noiosa: cena in un locale rumoroso.
Grazie al cielo, ho una sorella con la patente e che sa mantenere i segreti.
L’ultima volta che ho chiesto a mio fratello di venirmi a prendere in uno di quei locali, ha spifferato tutto a mia madre, e il resto è storia.
Solo una parola: stronzo.
Tornare a scuola dopo tre mesi è distruttivo, soprattutto se la sera prima sei andata a dormire alle tre
Sento qualcuno bussare gentilmente alla porta e subito dopo entra nella stanza mia sorella Lucy.
È un angelo demoniaco, quella lì.
Tredici anni e dolce visino. Occhi verdi, capelli biondi e sorrisino innocente perennemente stampato sulle labbra.
Più di una volta, quando io e mio fratello avevamo nove anni e lei solo sei, dava la colpa di qualsiasi cosa facesse a Jordan. Mi sembra anche giusto, tra fratelli, ma lei era proprio crudele: se mia madre non le credeva, molto raro che succedesse, faceva in modo di ripetere l’accaduto e incastrare Jordan.
Maligna.
“La mamma dice di fare presto. Non l’hai sentita?”, dice.
“Come potrei non sentirla? Sta sbraitando.”
Appunto. Sbrigati, non ce la faccio più, ho mal di testa.”
Esco dalla stanza e mi dirigo verso le scale.
Appena uscita, sento mia sorella Cece dire a mia madre: “Avresti potuto fermarti con me. Sarei stata un’ottima figlia unica!”
Mi sento offesa.
“Ti voglio bene anch’io”, le dico mentre le passo accanto.
Scendo le scale e vedo mio fratello e Lucy – ma quando sono scesi? – uscire di casa.
Naturalmente quell’idiota di Jordan mi ha lasciato a piedi, accompagnando solo Lucy.
Di prendere l’autobus proprio non se ne parla. Chiederò un passaggio a Cece o a mia madre.
È proprio quest’ultima a scendere le scale e a guardarmi compassionevole. Sa che Jordan lo fa di proposito.
“Mi dispiace, ma non posso accompagnarti io a scuola”, mi dice.
“Andiamo nello stesso posto, perché non puoi?”, le rispondo.
Fa l’insegnante e siamo dirette entrambe a scuola. Non capisco.
“Mi sono presa un permesso, oggi non lavoro. Devo vedere una persona”
“Un permesso il primo giorno? Deve essere qualcuno di veramente importante…”
“Lo è”, mi dice con un piccolo sorriso che cerca subito di camuffare.
Perché sorride?
“Ti accompagno io. In fondo, spetta sempre a me”, sento una voce proferire queste parole dietro di me e salto in aria.
Mentre parlavo con mia madre, non mi ero resa conto che mia sorella era entrata in cucina.
“Okay, grazie”, le rispondo.
Mia madre, intanto, si avvicina a me e mia sorella e dà ad entrambe un bacio sulla guancia, per poi dire: “Ci vediamo stasera, vi voglio bene!”
Mi rivolgo verso Cece e noto che è ancora in pigiama.
Perché è ancora in pigiama?
“Non preoccuparti scricciolo, non farai tardi”, mi dice come se mia avesse letto nel pensiero.
Un momento… scricciolo?
“Continuerò a chiamarti così finché mi va, chiaro?”
Ma come diamine fa?
 
*Flashback*
 
Era tardi.
Oh, se era tardi.
Per questo odio Cece: è sempre in ritardo. Sempre.
Doveva passarmi a prendere a scuola per andare a casa.
Dovevamo preparare le ultime cose per il compleanno a sorpresa di Lucy, e Cece, l’unico giorno in cui doveva essere assolutamente puntuale, era in un fottuto ritardo.
Improvvisamente, sento suonare un clacson e vedo l’auto di Cece parcheggiata proprio di fronte alla scuola, lei appoggiata comodamente allo sportello.
Gliene avrei detto due, l’avrei fatto eccome!
Cominciai a camminare a passo svelto verso di lei, colma di odio.
Senza accorgermi dove andavo, inciampai e sentì delle braccia sorreggermi.
“Attenta scricciolo! Con tutta quella rabbia in corpo, rischi di cadere!”, a dirlo era stato un ragazzo, quello che mi aveva sorretto, probabilmente dell’ultimo anno. Aveva i capelli castani, lasciati lunghi poco sotto l’orecchio; gli occhi, anch’essi castani, mi guardavano con preoccupazione. Era alto e, quasi sicuramente era un atleta, perché quando mi rialzai, mi appoggiai alle sue braccia e, dio!, non erano di certo degli stuzzicadenti.
“Ti sei fatta male?”, mi chiese con le sopracciglia corrucciate e lo sguardo preoccupato.
Sono abbastanza sicura di essere arrossita e di aver sentito mia sorella – grandissima stronza – ridere.
“No”
Silenzio.
Mia sorella cominciò a ridere più forte.
Avrei tanto desiderato ucciderla, in quel momento.
Però, notato il mio imbarazzo, suonò un’altra volta il clacson.
Okay… magari prima di ucciderla l’avrei ringraziata.
Saltammo entrambi in aria e lui mi disse: “È tua amica?”
“No, è mia sorella. E se non fosse mia sorella, non sarebbe di certo mia amica”
Lui scoppiò a ridere e Cece disse, contrariata: “Ehi! Ti sento!”
“Lo so!”, le risposi.
Il ragazzo scoppiò nuovamente a ridere.
“Sai scricciolo, sei simpatica!”
Scricciolo?
Scricciolo a me?!
“Già. Adesso devo andare. Addio”
Mi voltai e cominciai a camminare nuovamente in macchina.
Una volta entrata, mia sorella scoppiò di nuovo a ridere.
No, non l’avrei ringraziata. L’avrei uccisa e basta.
“Ti sei fatta male? Eh, scricciolo?”, disse, scoppiando a ridere.
Di nuovo.
Con il tempo, Cece cominciò a chiamarmi “scricciolo” con affetto, senza più tono di scherno. Divenne il suo modo di dirmi “ti voglio bene, sorellina”.
 
*Fine flashback*
 
“Hai sentito quello che ho detto?”
“Cosa?”
“In quale meraviglioso paese eri finita, Alice?”, disse sarcastica.
“Quello in cui tu non ci sei”, le risposi. Odiavo quando mi prendeva in giro.
Cece mise su una faccia offesa e mi disse: “Scusa se esisto”.
Abbastanza credibile.
“Non ti sarai offesa davvero?”
“No, ma era una cosa cattiva, quella che hai detto”
“Lo so, l’ho detta di proposito”
“Ti diverti ad essere crudele?”
“Solo con te”
Dopo questa mia ultima uscita, lei si girò e continuò a prendere il caffè che aveva abbandonato sul tavolo poco prima.
“Che stronza”, disse borbottando.
“Grazie”, le dissi.
Finito il caffè, si alza dalla sedia e sale al piano di sopra.
Io la seguo, ho bisogno di parlarle sul serio.
Appena entro in camera sua, mi rendo conto che ci sono troppi libri.
Sulle mensole più in alto ci sono i libri che ha letto molto tempo fa. Su quelle più basse, quelli che ha letto da poco o che deve ancora leggere.
Sì, ancora.
È un’accumulatrice seriale di libri.
“Perché mi segui? Sei inquietante”, mi dice, entrando nel bagno.
“Ero seria, ieri sera. C’era qualcuno che ci osservava”
Lei mi risponde esasperata: “Di nuovo?! Basta! Non c’era nessuno lì fuori, Jess! Se invece c’era, beh, vuol dire che era un idiota e che aveva bevuto troppo. Non pensarci più!”
“A me non sembrava ubriaco”, le rispondo.
Non era per niente ubriaco, era lucido.
“Come fai a saperlo? Da come me l’hai descritto, sembra proprio che lui fosse fermo. Non potevi sapere se era ubriaco oppure no”
Appunto. Poteva anche non esserlo”
“Dio! Jess, basta!”
“C’era qualcuno che ci osservava, ti dico!”, rispondo ostinata.
Cera qualcuno. E quel qualcuno non era assolutamente amichevole.
“Okay – mi risponde Cece, ormai sconfitta -, va bene, c’era qualcuno. Com’era? Fisicamente, intendo. Com’era?”
Io le rispondo prontamente, non potrò mai dimenticarlo.
“Era interamente vestito di nero, con il cappuccio tirato sopra la testa. Non so se avesse qualcosa sulla faccia o se fosse causa dell’oscurità, ma non sono riuscita a vederlo in viso”
Appena finisco di parlare, vedo l’espressione di Cece cambiare all’improvviso: da strafottente e annoiata a… spaventata?
Perché dovrebbe essere spaventata adesso?
Ieri sera non sembrava avere paura, neanche credeva a ciò che dicevo. E adesso ha paura di una descrizione fisica?
“Cece? Stai bene?”, le chiedo preoccupata.
Lei mi risponde con esitazione: “Si. Certo. Andiamo o faremo tardi”
“Cece?”
“Ti ho detto che sto bene”
“Ma…”, provo a dire, però lei mi interrompe, improvvisamente alterata.
Andiamo, Jess.”
Ha un tono freddo. È strana.
 
 
Per tutto il tragitto stiamo in silenzio, la tensione si può quasi toccare.
“Cece – comincio, con calma -, sei sicura di stare bene?”
“Ti ho detto di si, Jessica”, dice, ancora con un tono freddo.
“A me non sembra…”
Allora, lei respira profondamente e mi risponde.
“Scusa. È vero, non sto bene. Ieri notte, prima che tu mi mandassi quell’ SMS, stavo sognando. Nel sogno mi trovavo in una stanza chiusa a chiave e buia. Dall’altra parte c’era un’ombra che si avvicinava. Qualcuno stava cercando di aprire la porta e quando c’è riuscita, quella persona si è accanita contro l’ombra. Prima di tutto questo, vidi che l’ombra, in realtà, era una persona. Era vestita esattamente come l’uomo, o la donna, che hai visto tu. Alla fine del sogno, l’ombra riuscì a scappare e vidi che…”
“…Che? Che cosa hai visto?”
Ero io. L’ombra ero io
Ero scioccata.
“Per questo, quando mi hai descritto quella persona, mi sono paralizzata: mi sono ricordata del sogno. Nient’altro. Puoi stare tranquilla”
Come facevo a stare tranquilla se mia sorella faceva degli incubi del genere, la notte?
“Ti capita spesso di fare questi sogni?”, le chiesi.
“Sei diventata una psicologa, ora? Devo chiamarti dottoressa?”, mi risponde sarcastica.
“Sono seria, Charlotte”
“Oh, anche il nome completo, adesso. Sono davvero colpita”
È sulla difensiva e sta cercando in tutti i modi di distrarmi.
La conosco.
Se fa così, vuol dire che la cosa va avanti da un po’ e non vuole dirmelo.
“Charlotte, davvero. Da quanto fai questi sogni?”
“Saranno due o tre notti, niente di che”, mi risponde.
Sta mentendo, lo so.
È un’ottima bugiarda, ma con me non può mentire.
Mi arrendo, comunque. Se arriva addirittura a dire una bugia, significa che non mi dirà mai la verità.
Arrivate a scuola, lei parcheggia la macchina e scendiamo. Mi dirigo verso di lei e le metto le braccia intorno alla vita, appoggiando il viso sul suo petto.
“Se farai un altro di quei sogni, me lo dirai, non è vero?”
Lei ricambia con dolcezza l’abbraccio, circondando le mie spalle.
“Certo”, mi dice con altrettanta dolcezza.
Mi stringo ancora di più nell’abbraccio, non voglio che stia male. Lei è mia colonna portante: se crolla, crollo anch’io.
“Ti voglio bene, scricciolo”, mi dice, lasciandomi un bacio sui capelli.
“Anche io”
 
 
 
_____________________
Allooora! Salve.
Tanta tenerezza e fluffagine(?) per queste due.
Che ne dite? Vi piace? Ho fatto tanti errori? Vi fa schifo?
Potete dirmelo, se vi va.
Al prossimo capitolo, si spera.
 
   
 
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