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Autore: cartacciabianca    14/04/2009    4 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Angeli senza ali, umani






Erano dovunque.
In alto sulle montagne, ai piedi delle colline e attorno ai fiumi. Appostati sulle rovine, in marcia verso tutte le direzioni! Era un incubo: i Crociati di Corrado erano ovunque.
-Deve tenere molto alla sua vita- commentò Elena aggiustando le staffe.
Altair guardò in alto, ma non vi era traccia di Rashy. –Sì, non ne dubito- borbottò lui che scrutava a destra e a manca, ma non poteva girare lo sguardo che i soldati erano ad ogni angolo.
Altair fece indietreggiare la sua cavalcatura e le tornò affianco. –La vecchia Dimora dove sosteremo è nascosta poco più a sud di qui, oltre quel valico- indicò il posto di blocco controllato dai francesi. –Ma non c’è altro modo di raggiungerlo se non scalare a piedi quella montagna e poi scendere giù, magari con un salto!- ridacchiò.
-Maestro, se dobbiamo combattere io ne ho le forze- proferì fiera la ragazza.
L’uomo emise un gran sospiro e le volse un’occhiata triste e assorta in altri pensieri.
Elena assunse un’espressione confusa. –Maestro?- lo richiamò.
-Sì, scusami- si riscosse. –Se li aggiriamo potremmo colpirli alle spalle evitando di essere a tiro degli arcieri che, mica scemi, si sono posizionati lì-.
Elena seguì la linea dei suoi occhi. –Non vedo nessuno lì-.
-Fidati. Ci sono, ci sono- smontò dalla sella. –Dobbiamo fare piazza pulita e scappare prima che ricevano rinforzi o passi una ronda, sono stato chiaro?- le chiese mentre camminavano celati tra gli alberi.
La Dea annuì. –Va bene-.
-Nessuno deve riuscire a fuggire. Dovranno accorgersi di cosa abbiamo fatto quando saremo già a Gerusalemme. Ah, Elena- si voltò e i loro visi si trovarono l’uno poco distante dall’altro. Le poggiò una mano sulla spalla e si accovacciarono più nascosti dietro una felce. –Se qualcosa va storto- cominciò lui, e già quelle parole la mettevano a disagio. –Se qualcosa va storto- ripeté –quella è la direzione- indicò oltre il blocco crociato. –non esitare. Scappa, sono stato chiaro?-.
La ragazza annuì di nuovo. –Non vi deluderò, e niente andrà storto, ve lo prometto- sorrise.
-Non essere così allegra. Oggi rischiamo grosso- proferì malinconico carezzandole una guancia.
Elena arrossì spudoratamente, e il suo cuore accelerò a tal punto da farle male contro la cassa toracica.
Altair le sistemò al meglio il cappuccio a celarle il volto. –Usa tutti i pugnali da lancio che hai: non ci sarà altra occasione di utilizzarli. Dopo questo scherzetto, raggiungeremo Gerusalemme con la strada spianata- mormorò.
Oltre il cespuglio dietro al quale erano riparati, l’accampamento crociato era in preda ai preparativi per la partenza i massa verso la Città Santa. Gli uomini che indossavano la candida uniforme rossa e bianca della casata del Monferrato si spostavano in tutte le direzioni armeggiando con selle, lance, scudi e lame di tutti i generi. Da quell’angolazione, Elena riuscì a scorgere gli arcieri appostati tra le fronde del crepaccio che si gettava a picco sull’avamposto. La maggior parte delle tende, sparse confusamente sul pianoro, venivano smontate e caricate sui dei carri, mentre davanti all’ingresso di altre, sparsi gruppi di soldati chiacchieravano allegri e ignari.
-Pronta?- Altair sfoderò la lama corta e la ragazza fece altrettanto.
Un istante dopo erano già fuori dal loro nascondiglio.
Uno, due pugnali da lancio lasciarono gli astucci dello stivale del suo maestro, ed Elena bilanciò il peso in avanti estraendo da principio quelli sulla spalla.
Uno ad uno, i soldati colpiti si accasciarono al suolo, ma nessuno si accorse della loro comparsa. La Dea scartò in avanti e trafisse di soppiatto all’addome un crociato isolato dagli altri. Ci fu il tempo sufficiente di scagliare qualche altro coltellino, e poi l’allarme suonò.
-Assassini!-.
Centinaia di occhi rabbiosi si puntarono su di loro, una dozzina dei quali venivano di corsa, con le armi alla mano, verso i due incappucciati.
Lesto con il lancio, il suo maestro esaurì il suo ultimo pugnale nell’ammazzare l’uomo in testa alla mandria inferocita di soldati; ed ebbe inizio la vera battaglia.
Li accerchiarono, colpirono due o uno alla volta con alternanza a mosse di scherma e finte, assieme ad una miriade ininterrotta di frecce che si conficcavano al suolo per via della troppa distanza che vi era tra loro e i bastardi appostati sulla roccia.
Schiena a schiena, i due assassini piroettavano tra la massa di gente colpendo con minuzia e astuzia i punti mortali dei loro nemici, quali la gola, l’addome e il centro perfetto della fronte.
Sul terreno comparvero ben presto una serie di pozze scure che andavano crescendo di numero man a mano che un nuovo crociato si accasciava tra gli arbusti. Quanti lamenti strazianti di dolore e sangue represso si levarono al cielo? Elena perse il conto, ma non avrebbe avuto alcuna pietà pur di arrivare viva. Armata. Forte. A Gerusalemme, e di conseguenza, a Corrado.
Dilaniare i suoi uomini le diede un immenso senso di soddisfazione che pareva tanto una antipasto a quello che sarebbe stato il vero e proprio assassinio. Godeva nell’ascoltare quelle urla, godeva nello scagliarsi contro i suoi nemici che tentavano la fuga! Rideva, trovata tutto ciò quasi divertente, e i suoi sorrisi sfigurati lasciarono parecchio interdetto il suo maestro che, al fianco di lei, colpiva con quella sua solita maestria e nuda crudeltà, parecchio distaccato.
Quando gli avversari vennero a mancare, Elena si permise di rinfoderare la spada corta e appropriarsi di quella lunga, più malleabile e meno faticosa.
Gli insegnamenti di Leila li mise in atto solo nell’ultima parte dello scontro. Aveva isolato un gruppo di soldati che, disperati, stavano tentando di svignarsela ed uno alla volta non riuscivano a fare due passi oltre di lei senza prima venir ammazzati. Neppure in quel frangente ebbe pietà: Altair aveva esplicitamente richiesto che nessuno fuggisse dall’accampamento e che il lavoro fosse il più svelto possibile.
Il suo corpo aveva acquistato ogni flessibilità dedita ad una Dea, ed Elena ne andava fiera. Piroette, capriole, affondi, parate, stoccate, ruote e verticali. Cielo e terra si confondevano più e più volte nel momento in cui i suoi palmi toccavano il suolo e le sue ginocchia affondavano duri colpi agli avversari. Ogni parte di lei, braccio, testa o gamba che fosse, era un’arma inestimabile, ed era questo che Leila le aveva insegnato di tanto prezioso.
Tardatamene, la pattuglia di ronda composta di tre cavalieri non si fece attendere più di tanto, e i soldati a cavallo si rovesciarono sul pianoro con le armi alla mano.
-Dannazione!- sibilò Altair estraendo la lama dalla carne di un uomo. Si guardò attorno svelto e trovò la sua allieva che se la cavava intrepidamente con due abili spadaccini.
-Elena!- la chiamò.
La ragazza deviò il fendente avversario e scagliò l’arma dell’uomo lontano dalla sua portata. Quando il soldato, spaurito e disarmato, tentò la fuga, Elena gli diede addosso comparendo improvvisamente al suo fianco ed estraendo la lama nascosta. Penetrò nell’addome dell’uomo che si accasciò tra le sue braccia accompagnato da un gemito strozzato, ed Elena lo adagiò al suolo. –Sono impegnata, maestro!- ruggì lanciando un’occhiata in direzione del suo compagno assassino.
-Elena, i cavalieri! Va’ via!- le ordinò Altair sorpassandola di corsa.
Elena si voltò e osservò imperterrita ogni sua singola mossa.
Altair spiccò un salto e, nel bel mezzo del volo, fece scattare il meccanismo della lama che fuoriuscì dal suo polso. L’assassino si abbatté con violenza sul cavaliere conficcando la lama con maestria e precisione nella gote dell’uomo. Il Templare si rovesciò a terra, ma Altair, prima che questo potesse riposare in pace, gli sottrasse un piccolo pugnale dalla cintola e lo scagliò con milizia tra gli occhi del cavaliere vicino. Questo secondo Templare morì all’istante e scivolò giù dalla groppa della sua bestia, mentre il terzo ed ultimo si dirigeva a tutta velocità verso la giovane Dea.
Altair ebbe solo il tempo di cogliere un grido acuto diffondersi nell’aria tersa di sangue del pianoro e successivamente, correndo nella stessa direzione, si accorse con stupore di ciò che stava succedendo.
Elena si lanciò in groppa all’animale sorprendendo il Templare alle spalle; fece per pugnalarlo alla schiena con la lama corta quando, il cavaliere l’afferrò per un braccio e la gettò a terra ridendo.
Questo smontò dalla sella e impugnò con maggior il lungo spadone a due mani. Si avvicinò passo dopo passo a lei che, nel frattempo, era rotolata all’indietro e rialzata con incredibile agilità.
-Infami quei due bastardi, e stupido me che ti ho lasciato vivere troppo allungo! Adesso ci divertiamo, bambina!- le si avvicinò con un balzo, ed Elena schivò il colpo finendo sopraffatta dalla polvere del terriccio che alzarono i suoi stessi piedi.
Era lui: il cavaliere che le aveva risparmiato la vita a costo di farla stuprare dai suoi uomini. Non poté credere che fosse lì. Il suo ghigno crudele le metteva un’ansia della malora, la lama corta della ragazza non era all’altezza del robusto spadone, si sarebbe spezzata anche quella della sua spada normale.
Altair sfoderò la sua arma e si contrappose alla ragazza subendo al posto di lei un montante mal piazzato. -Va’ via, ho detto!- le ribadì Altair respingendo con fatica la spada avversaria.
-Maledetti assassini! Morirete tutti!- ridacchiò l’uomo girando attorno ai due.
Elena si sistemò al fianco del suo maestro. –È un solo uomo, possiamo…- provò a dire.
-Ubbidisci!- Altair si distrasse il tempo sufficiente perché il Templare potesse disarcionare la sua guardia e spingerlo al suolo con un calcio all’addome.
Elena si stanziò spaventata. Se non riusciva Altair, pretendeva di uscirne viva lei?
Il suo maestro si rialzò lentamente leggermente scosso. Allungò un braccio alle sue spalle e parò Elena dietro di esse. -Ti è rimasto qualche pugnale?- le mormorò indietreggiando, così che l’avversario non potesse udirli.
Dato la mano di Altair poggiata dolcemente sul suo fianco, la ragazza assunse un colorito più roseo visibile anche sotto al cappuccio. –Io…- balbettò.
-Che cosa confabulate, eh?!- ringhiò il Templare venendogli incontro, ma i due si spostarono all’unisono con un balzo alla loro destra.
-Due, maestro- rispose lei in un sussurro.
Altair strinse i denti vigile sulle mosse dell’avversario. –Lasciamene due e scappa, intesi?!- sibilò.
Elena obbedì a pieno: afferrò i due coltellini da lancio dalla sua cintura e gli infilò, lesta e attenta a non attirare l’attenzione del Templare, nei foderi vuoti che il suo maestro aveva alla vita.
-Avete fatto strage dei miei uomini, ma non vi permetterò di proseguire oltre!- il cavaliere si scagliò su di loro all’improvviso levando lo spadone al cielo. –Le vostre anime infette marciranno qui!-.
-VA’!- gridò, e Altair la spinse via.
Elena inciampò, ma riuscì a levarsi di lì prima che accadesse nulla di spiacevole.
Il colpo infierì di striscio sulla sua veste, e all’assassino scappò un lamento di dolore.
-Maestro!- la ragazza si voltò e portò la mano all’elsa della spada; fece per tornare indietro.
Sul torace dell’incappucciato si apriva uno squarto rossastro profondo; il sangue andò presto ad imbrattare il lembo scisso della tunica.
-No! Elena, no!- Altair estrasse la lama corta e contrattaccò aprendo un varco nella difesa dell’avversario. Il cavaliere indietreggiò schivando il colpo, ed un istante dopo rinvenne con un nuovo affondo.
La ragazza, combattuta tra l’ordine del suo maestro e l’adrenalina che la spingeva ad intervenire, rimase allungo immobile. Le dita strette attorno all’elsa della spada, pronta a partecipare. Quel Templare si stava mostrando parecchio pericoloso, e ad infierire sul combattimento dei due vi erano gli arcieri che assistevano imparziali. Probabile che avessero esaurito le frecce, si disse.
-Vattene, stupida!- ribadì Altair rotolando per evitare un colpo, e lo spadone del Templare lacerò una pianta, restando incastonato nel terreno arido.
-Mi occuperò della tua ragazza quando avrò finito con te, bastardo!- ridacchiò il cavaliere estraendo la lama da terra con una forza disumana.
In confronto alla brutalità di quell’uomo, Altair pareva tanto impacciato nei movimenti quanto inesperto. Indebolito dal taglio che perdeva sangue sul suo petto, sul quale aveva poggiato una mano per rallentare l’emorragia, il suo maestro stentava in parate azzardate e posticipate rispetto agli affondi avversari.
In conclusione: non stava andando affatto bene.
L’uomo scansò improvvisamente la sua lama corta e penetrò con un braccio teso nella sua guardia. Afferrò l’assassino per il bavero del cappuccio e lo avvicinò al suo volto. –Muori!- gli ringhiò in faccia, ed un istante dopo lo gettò con violenza a terra.
-Elena!- eruppe Altair allo stremo delle sue energie.
Prima che potesse assistere oltre, Elena girò i tacchi e intraprese una corsa sfollata verso la fine dell’accampamento. Una volta sul confine del posto di blocco si portò due dita alla bocca e fischiò con quanto fiato le restava. Rashy planò in picchiata tra le tende e volò radente al terreno raggiungendola. –No, non da me, stupida!- Elena si stanziò, ma la falchetta si avvinghiò al suo guanto destro. –Va’ da lui! Aiutalo!- gemé la ragazza cercando di staccarla dal braccio.
Rashy si levò nell’aria, ma accorse nella direzione opposta, indicandole la strada probabilmente verso la Dimora abbandonata.
Elena aguzzò l’udito, e il cozzare delle lame giunse fin da lei. Questo suono tacque del tutto quando una folata di vento le spazzò della terra negli occhi, ondeggiandole i lembi della veste, indirizzandola alla fuga; ed Elena fuggì, accorrendo al riparo nel boschetto di ulivi.

I muscoli delle sue gambe cedettero, inciampò innumerevoli volte in sassi, arbusti, radici e crepe; ma tutte quelle volte si rialzava, mentre sul suo volto si arrampicavano lacrime disperate. Non poté credere di aver abbandonato il suo maestro a quel destino, a quella sorte crudele. Avrebbe preferito di gran lunga morire al suo fianco, combattendo, e non scappando come una codarda. Non meritava di essere sua allieva: lui che le aveva offerto la vita invece di richiedere il suo aiuto in duello. Non meritava di avere Altair il grande come pari, non meritava i suoi sorrisi e le sue carezze affettuose che solo un padre avrebbe potuto esprimere più gioia nel farlo. La sua presenza, i suoi passi accanto a quelli di lei già le mancavano; nel cuore avvertiva un dolore straziante, come se fosse accanto a lui e stesse subendo la stessa pena, come se il Templare di quel duello stesse colpendo malamente lei e non il suo maestro. Si asciugò le lacrime con il collo del cappuccio che le era calato sulle spalle, e le sue gambe ormai viaggiavano da sole verso la destinazione, seguendo la scia della ombra di Rashy che vegliava su di lei dall’alto del cielo limpido.
Prima di tutto questo, gli aveva promesso che nulla sarebbe andato storto. Era una bugiarda, ecco cos’era. Non poteva promettere quello che non avrebbe mai potuto dare, e in quel momento si maledisse almeno un centinaio di volte.
L’insenatura che era l’ingresso della Dimora comparve d’un tratto al suo fianco, ed Elena arrestò la sua corsa inciampando subito dopo.
Si tirò su tutta dolorante e s’infilò nel sottile crepaccio, alternando il correre al camminare per riprendere fiato. Le mancava l’aria, si sentiva il cuore e i polmoni esplodere nel tentativo di assimilare la maggior quantità di ossigeno possibile.
Rallentò, fino a raggiungere un’andatura stanca e affranta, quando la casa nascosta dalla foresta comparve davanti ai suoi occhi.
Dall’esterno compariva tutto normale: c’erano dei cavalli legati ad una vecchia recinzione, le colombe che svolazzavano sopra la Dimora e si accovacciavano sul tetto, cantilenando la loro litania bassa e rumoreggiante. Il silenzio pervadeva il pianoro stretto da spesse pareti di roccia, e la stessa casupola era scavata in essa.
Una volta sull’ingresso, si addentrò in quella landa desolata, ammutolendo di fronte al paesaggio apocalittico: le finestre rotte, frammenti di vetro gettati al suolo, tappeti e cuscini sparsi sul pavimento, tavoli rovesciati, cesti di paglia rosicchiati e tagliati a fior di spada, frutta ammuffita sparsa negli angoli del locale.
I Crociati non avevano risparmiato niente, ma soprattutto nessuno: c’era il corpo di una donna, steso a terra dietro il bancone della sala.
Elena distolse lo sguardo ripugnante di quella vista. Trovò il telo di una tovaglia accartocciato vicino alla parete e coprì quello scempio.
Corrado avrebbe pagato tutto. Ogni singola vittima avrebbe fatto la sua parte nel momento in cui la lama nascosta che aveva al polso fosse penetrata nelle sue carni. Per quella donna, per il suo maestro, per sua madre e suo padre prigioniero ad Acri! Corrado sarebbe morto e guardando il volto della ragazza alla quale aveva rovinato la vita!
Si diresse al piano di sopra, cercando disperatamente qualcosa da bere, o da mangiare, ma tutto quello che raggruppò fu una mela mordicchiata dai topi e un vecchio fialone d’idromele.
Si sistemò in una stanza, in quella meglio tenuta della Dimora e si andò a rannicchiare in un angolo portando con sé l’idromele e una coperta.
L’indomani mattina avrebbe lasciato il Regno per l’entroterra di Gerusalemme, e da lì… dritte verso la sua preda. Da sola.
Chiuse gli occhi, e alla cieca si bagnò le labbra di quello che era fonte di liquidi. Un sorso alla volta, s’inebriò la mente di immagini sfuggenti delle ultime ore e, quando ascoltò il ruggito di Rashy levarsi nell’aria gelida della notte, colse il suono tonante di passi che venivano verso di lei.
Ecco gli uomini di Corrado che l’avevano trovata. Ecco che avrebbe raggiunto il cadavere di quella donna, si disse. Era giunta la fine, era spacciata, morta stuprata e magari lasciata marcire nuda come la frutta trovata sul pavimento del piano inferiore. Carne da macello, com’era destino che fosse fin dalla sua nascita.
Un’immensa e nera figura si stagliò dinnanzi ai suoi occhi, e questa allungò una mano verso di lei.
Elena si strinse sotto la coperta, spingendosi il più possibile contro la parete. Un gemito di paura le uscì dalla gola e strizzò gli occhi nel tentativo di spannarsi la vista.
Sentì le dita dell’uomo stringersi attorno ad una sua spalla, e a quel punto gridò di paura con tutto il fiato che le restava in petto.

Schiena a terra, Altair sollevò un braccio e lo spadone che calò su di lui dall’alto andò ad ammaccare le placche che aveva sul guanto della lama nascosta, provocando un’esplosione di scintille. Il filo della lama scivolò fino al suo gomito e gli aprì un taglio anche sulla manica della veste. Il dolore era sopportabile, così Altair scartò di lato e balzò in piedi. Riappropriandosi della lama nascosta sdrucciolata al suolo, si avventò con furia contro l’avversario, trovandolo alquanto spossato dato il contrasto improvviso.
-Non ti arrendi proprio, eh?!- sibilò il Templare indietreggiando alla serie di colpi ben piazzati che Altair menò ininterrottamente.
L’assassino piroettò su se stesso e comparve al fianco dell’uomo. Fece scattare il meccanismo della lama nel suo polso e tentò un approccio pulito all’addome, ma il cavaliere gli menò una gomitata che lo colpì alla mandibola, facendogli assaporare il suo stesso sangue in bocca.
Altair indietreggiò, mollò la presa sulla lama corta e si portò due dita all’angolo delle labbra.
-Non te l’aspettavi, stronzo!- ruggì e il suo avversario scagliando la sua arma lontano. Si avventò sull’assassino afferrandolo per la gola e spiazzandolo al suolo con un pugno in pieno volto.
-Questo è per i miei compagni!- strillava euforico il Templare, e cazzotto dopo cazzotto, Altair non riusciva a contrastare i suoi affondi diretti.
Ad ogni colpo, vedeva le stelle avvicinarsi sempre più e offuscargli la vista. Il cappuccio gli scivolò sulle spalle mostrando il suo viso per intero.
Le gambe dell’assassino cedettero e si rovesciò al suolo, ma in breve il Templare s’inginocchiò su di lui, l’afferrò per la collottola della veste e continuò coi suoi ganci destri poderosi.
-Siriano di merda! Cercherò quella ragazza di persona e non la presterò ad uno solo dei miei uomini! Quando avrò finito con te, ella non avrà abbastanza voce neppure per pensare per quanto l’avrò fatta gridare io!- digrignò.
Elena…
A quel punto fu troppo.
In lui scoppiò la vena che ospitava una quantità assurda di adrenalina che si rovesciò per tutto il suo corpo. Il solo ascoltare quelle perverse parole piene di rabbia e crudeltà, Altair trovò la forza di opporsi: frenò il pugno chiuso dell’uomo prima che potesse nuovamente colpirlo, stringendogli il polso. Sulle nocche del Templare c’era il suo sangue, il sangue di un Angelo della Morte.
Il cavaliere oppose una nuova resistenza prendendogli il mento tra le dita, ma Altair levò la testa e gli diede una di quelle craniate da spaccar le pietre.
Il Templare alzò gli occhi al cielo e un istante più tardi crollò a terra nel clangore dell’armatura.
Altair scattò in piedi e si allontanò tutto traballante e incerto sui suoi passi sconnessi. La testa gli girava, gli pulsavano le tempie e le diverse ferite del duello davano i loro frutti dolorosi.
Qualche secondo dopo, il cavaliere che credeva fosse morto, si alzò e riafferrò la sua spada. –Ah, non ti arrendi, mai. Peccato, stai solo rubando tempo a me e alla tua piccola…- la voce gli s’interruppe in gola, mentre dalle sue labbra proveniva un sibilo senza suono. L’uomo crollò nuovamente a terra in una posa innaturale. I due pugnali di Elena piantati nel cuore.
Le spalle di Altair si alzavano e si abbassavano senza una regolarità precisa. Quel duello l’aveva sfiancato, privato di ogni forza e della sua veste bianca, inzuppandola di sangue suo e non.
Si chinò sul cadavere e gli strappò dal petto entrambi i coltelli dal lancio. Sul suo volto, Altair, aveva la sua solita espressione anomala e pacata, distaccata. Un morto come un altro, si diceva: un crociato come un altro. Pulì il sangue dell’uomo rimasto sulle piccole lame sulla sua stessa veste, poi si alzò e si voltò.
Il crepuscolo era una macchia arancione all’orizzonte che avvolgeva il cielo. Il vento sollevava cumuli di terra, gli uccelli tacevano, la natura ostentava il suo muto silenzio di morte.
Altair s’incamminò a passo lento verso il bosco, raggiunse il nascondiglio ove avevano lasciato i cavalli e montò in sella. Infilando i piedi nelle staffe, avvertì una fitta intollerabile al petto e dovette piegarsi in avanti, sopraffatto dal dolore.
Pur di giungere a destinazione, si costrinse a tollerare quelle sofferenze. Attraversò tutto l’accampamento al passo, tirando con sé il cavallo di Elena. Giunse nei pressi del nascondiglio della Dimora solo a notte inoltrata.
Legò le bestie alla staccionata assieme alle altre e si addentrò nel salone d’ingresso della sede. Trovò la confusione e la desolazione che si aspettava di trovare. C’era un telo ripiegato a nascondere un qualcosa steso sul pavimento, ne sollevò un lembo ma un secondo più tardi distolse lo sguardo.
-Dio- sibilò incredulo. Pregò per quella donna e lasciò lì il suo corpo.
Si guardò attorno, abituando gli occhi stanchi alla poca luce dell’androne. –Elena!- chiamò, e si stupì della sua stessa voce incrinata dal dolore.
-Elena!- chiamò ancora salendo le scale.
Una volta nel corridoio controllò di fretta tutte le stanze, spaventato, terribilmente in pena. Perché non rispondeva? Possibile che la sua allieva non fosse giunta sana e salva fin lì? Stava impazzendo, le ombre dei mobili rotti gli giravano attorno intimorendolo e la mente gli si offuscava. –Elena…-.
Finalmente scorse una figura, rannicchiata in un angolo della camera più piccola tra tutte. Entrò, mosse qualche passo in avanti e si inginocchiò di fronte ad ella, che la guardava con terrore. Negli occhi della sua allieva ribolliva la paura, paura di lui? Si chiese. Forse era il suo aspetto malsano a spaventarla; da quando aveva lasciato l’accampamento, sul suo viso era rimasto impresso del sangue, e così sulle sue vesti.
-Elena- allungò una mano e le sfiorò una spalla, stringendo poi la presa attorno ad essa.
La ragazza gridò improvvisamente, ma Altair le tappò la bocca. –Elena, sono io…- la strinse con forza a sé, abbracciandola. –Sono io, Altair- le mormorò all’orecchio.
Le unghie della giovane penetrarono nella carne delle sue braccia, e la coperta scivolò via dal suo corpo. -Altair- sussurrò il suo nome.
-Sì, sì…- lui le accarezzò i capelli. -Sono qui, stai tranquilla, sono qui- ripeté più volte, e magari anche per rasserenare se stesso.
-Altair- ribadì la Dea, sollevando il mento e versando una, due, tre lacrime. D’un tratto, prese a tremare tutta come infreddolita da un vento freddo che non c’era.
Elena sentiva freddo, non percependo più alcun calore provenire dalle membra del suo maestro, che la teneva così stretta a sé. Altair era freddo, stanco, e privo di quel senso di forza che scorreva sempre in un lui. Tutte le sue sicurezze, le sue aspirazioni verso di lui si erano estinte, ma a buon fine: Altair non era più quel Dio al quale Elena doveva sostare sottomessa. Era finalmente come lei, spaventato, afflitto e debole. Finalmente… umano.
Il palmo del suo maestro riscese dai suoi capelli fino al suo collo, ed Elena lo anticipò.
La ragazza chiuse gli occhi e premette le labbra su quelle schiuse di lui. Fu un istante che durò un secolo, un bacio immobile, triste, rassegnato ma che avrebbe lasciato il segno.
La Dea chinò la testa da un lato, insistendo in quel contatto che pareva appena una carezza. Sentire il respiro di lui infrangersi sul suo volto, e immaginare soltanto cosa sarebbe successo dopo, la pervase di un senso magnifico di gioia, che riparò presto a tutte le tristezze passate nelle ultime ore.
E in fine, anche l’uomo che aveva di fronte socchiuse il suo sguardo perso nel vuoto e si arrese alle sue emozioni, acconsentendo quel bacio e accompagnandolo con passione.
Elena gli gettò le braccia al collo, e si avvicinò ulteriormente facendo combaciare perfettamente i loro corpi l’uno compresso contro l’altro; come tasselli di un puzzle le quali simmetrie perfette s’incastravano perfettamente.
Altair fece scorrere le sue mani alla cinta di cuoio che contornava il ventre di lei e, esperto con i diversi lacci della stessa, privò la sua allieva di quel fardello. Adagiò il tutto poco distante, cercando di essere il più silenzioso possibile.
Lei lo lasciò fare; entrambi vittime dei sentimenti e desideri umani, dediti solo a chi aveva da tempo perso le ali…
La spogliò dei lacci di cuoio che correvano dalla sua spalla al fianco sinistro, privandola degli astucci vuoti sia dei pugnali che della lama corta. Le sfilò dolcemente il cappuccio, ma una terribile mancanza l’avvolse quando le loro labbra furono costrette a separarsi per alcuni istanti. Però, nel momento in cui tornarono a condividere i loro respiri, c’era più foga di prima. La ragazza poggiò una mano sul suo petto, ove vi era quella ferita di guerra che scottava ancora. Ad Altair scappò un sibilo, ma non ci fu il tempo per lei di focalizzare che l’assassino la privò della fascia rossa attorno al suo ventre. Di seguito Elena perse la protezione dell’intera uniforme restando con indosso quei morbidi pantaloncini di cuoio che le arrivavano ad un terzo di coscia, assieme alla canottiera che terminava all’interno dell’elastico di questi.
Non c’era un filo di senno del perché stavano continuando, del perché i loro corpi nudi si attraevano a tal punto. Ma ciò che rimembrò Elena di quella notte, fu solo l’inizio e la fine di tutto.
Come inizio, c’era stato quel bacio.
Come fine…
In quel momento desiderava soltanto che niente di quella perfezione avesse fine. Che restassero in quella Dimora per sempre, avvinghiati, abbracciati. Il loro rapporto padre e figlia si era estinto per sempre nell’attimo in cui l’aveva sentito in lei, nell’istante in cui i gemiti del suo maestro le avevano riempito la testa di mille altri suoni confusi.
Era bellissimo… lui, il suo corpo, il suo viso e i suoi muscoli, tranciati da tagli che ormai le parevano invisibili e inesistenti. Tagli di quando aveva lottato per lei, per tornare da lei, per abbracciare di nuovo lei, per rivedere lei e lei soltanto.
Erano bellissimi… i suoi sussurri, i suoi movimenti perfetti anche in quel frangente. I suoi gesti dolci in un momento tanto delicato.
Erano bellissimi… insieme.

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...Prima di dire o pensare qualsiasi cosa, mi esonero da ogni vostra infuriata per quanto possa riguardare quest’ultima parte che, dirò soltanto, avevo in mente fin dall’inizio della storia. Ma poi, che è successo? Gli avvenimenti hanno preso delle pieghe più interessanti e inaspettate, e nel frangente “inaspettate” sono piuttosto brava… non ho idea di perché io abbia scritto una cosa del genere. O da quali vocabolari nella mia mente contorta abbia pescato certe parole, certe metafore… ma quello che so è una cosa sola: in questo capitolo i personaggi si muovevano da soli. Li vedevo davanti a me, mentre combattevano, mentre si guardavano, mentre collaboravano, e mentre provavano paura, sconforto, terrore… questo è un mio modo per ringraziargli. Sì, parlo di loro: Elena e Altair, che assieme sono una coppia che non potrebbe mai essere, ma che in questo aggiornamento è stata. Non aggiungo altro né per quanto riguarda Marhim e Adha; ma vi anticipo solo che, qualsiasi dubbio voi state architettando, qualsiasi domanda, avrà risposta nel prossimo post. Per tanto, ora vi chiedo un’ultima cosa…

Vi è piaciuto, eh? 

   
 
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