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Autore: nikita82roma    08/06/2016    4 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Prima di tornare in ospedale aveva chiamato anche il suo amico Philip, il Food & Beverage Manager dell’hotel dove risiedeva ormai da qualche settimana. Si era fatto dare dall’ospedale tutte le indicazioni su quello che Kate doveva mangiare in quei giorni e le aveva girate a lui, insieme alle sue aggiunte su quelli che erano i suoi cibi preferiti. Avrebbero pensato loro a preparare i pasti a sua moglie e a portarglieli agli orari stabiliti. In ospedale non erano stati inizialmente troppo entusiasti di questa sua trovata, ma dopo che aveva parlato con uno degli amministratori delegati e promesso una generosa donazione, non c’era stato nessun impedimento alla sua richiesta. Ormai non si stupiva più di come con i soldi si potesse comprare tutto, o quasi, perchè se fosse così, avrebbe speso il suo intero patrimonio per comprare un po’ di serenità per lui e Kate, per vivere quella vita normale che aveva sempre sognato per loro e che, fino ad ora, non avevano mai avuto, se non per qualche raro momento che intervallava una situazione critica ad un’atra. Non poteva arrendersi al fatto che il loro destino sarebbe stato quello per sempre.

Aveva parlato con Burke per molto più tempo di quanto avesse pensato. Voleva chiedergli soprattutto di Kate, aveva finito per parlare per lo più di se stesso, di come si sentiva e delle sue paure. Ne aveva bisogno, gli sembrava che nessuno dei suoi amici o parenti riuscisse a capirlo. Aveva passato un mese a preoccuparsi delle condizioni di sua moglie che non riprendeva conoscenza, ma tutti si preoccupavano solo delle sue ferite fisiche, senza capire che quello che lo faceva stare male realmente era la situazione di Kate. Il dottore, infine, gli aveva detto che se voleva poteva andare nel suo studio per parlarne in maniera più approfondita, oppure potevano vedersi da lui. Castle lo ringraziò ma tornò al punto centrale di tutti i suoi problemi: Kate. Come doveva fare? Burke gli disse quello che forse già sapeva, che non c’era un modo migliore di un altro e nessuno sapeva come realmente avrebbe potuto reagire, ma di ricordarsi che, sebbene lei non ricordasse coscientemente gli ultimi anni della sua vita, se non aveva subito lesioni come gli avevano detto, nel suo inconscio erano presenti le stesse paure che l’avevano sempre attanagliata, solo che non ne era consapevole, ma l’attacco di panico che gli aveva descritto, era un sintomo. Gli consigliò, infine, di parlare con lei e di dirle che se voleva, potevano incontrarsi, ma doveva essere una cosa che nasceva da lei, lui non poteva imporre la sua presenza e nemmeno Castle forzarla a parlare con qualcuno. 

Aveva poi chiamato un taxi e si era fatto accompagnare al loft. Non c’era più rientrato, non aveva con se nemmeno le chiavi e sperava che ci fosse qualcuno: aveva agito d'impulso, senza avvisare nè Alexis nè Martha. Bussò alla porta, attese e poi gli aprì un uomo. Era biondo, robusto, capelli a spazzola, sporco di vernice e segatura. Era uno degli operai che stavano ristrutturando la sua cucina. L’uomo lo guardò con circospezione. Si presentò, disse di essere Richard Castle, il proprietario di casa, ma aveva dimenticato le chiavi. Il suo sorriso ed il suo charme non riuscirono a conquistare l’uomo che non aveva nessuna intenzione di farlo entrare e lui sentiva di star perdendo troppo tempo sulla soglia di casa sua, tempo che avrebbe volentieri dedicato a Kate. Proprio mentre stava per chiamare Edward, il suo architetto, sentì dei passi più leggeri scendere le scale, si sporse con la testa verso l’interno e vide sua figlia.
- Mi sembrava di aver sentito la tua voce papà! Dai entra! - Alexis fece cenno all’operaio di spostarsi per far entrare suo padre.
Mosse i primi passi incerti dentro la casa e fissò la zona della cucina. Non c’erano ancora i mobili, ma il pavimento era nuovo, le mura ridipinte e poteva vedere sul muro le tracce di dove sarebbe stato collocato il nuovo mobilio.
- Sta venendo bene, che ne dici? - Chiese ad Alexis.
- Credo di sì, se per te è importante.
- Lo è, moltissimo. - Chiuse il discorso, pentendosi della domanda. Evidentemente non riuscivano a capirlo.
- Come mai sei qui? Kate sta bene? 
- L’ho lasciata riposare, è ancora debole. Sono venuto a prendere alcune sue cose, dei vestiti e altre cose che penso le farà piacere avere.
- Ci voleva Kate per farti tornare a casa! - Alexis non si rese conto di quello che aveva detto fino a quando lo sguardo di Rick non la fulminò. Non si era mai sentita guardare da suo padre in quel modo. - Scusa papà… - ma da Castle nessuna risposta mentre andava in camera.
Prese una borsa e dentro ci mise alcuni cambi per Kate, il suo cellulare e poi aprì il suo cassetto per cercare qualcosa di più importante. Si sentiva a disagio a frugare tra le cose di sua moglie, non era sua abitudine invadere la sua privacy. Non voleva curiosare più del dovuto, ma quando vide il cartoncino di un bicchiere di caffè ripiegato ebbe un tuffo al cuore. Non sapeva che lei lo avesse tenuto tutto quel tempo, non sapeva fosse lì. Erano i primi tempi che stavano insieme, quando ancora al distretto non lo sapeva nessuno e loro si dovevano comportare come sempre, da buoni amici, nulla più. Un giorno, mentre lui era seduto alla sua scrivania e lei compilava i soliti rapporti di fine caso, prese il cartoncino del caffè che le aveva portato la mattina e scrisse dentro “I love you”. Ricordava ancora il suo sorriso imbarazzato quando lo aveva visto, gli occhi bassi e come era diventata rossa. Lei lo nascose nella borsa, preoccupata che qualcuno avesse potuto sbirciare anche lì. Adorava farla imbarazzare così. 
Andò oltre, trovò la scatola che cercava, l’aprì e prese il suo prezioso contenuto. Lo mise in tasca e richiuse senza indugiare oltre in altre cose cariche di ricordi. 
- Papà, posso accompagnarti? Pensi che potrò salutare Kate?
- Va bene andiamo, glielo chiederò.

Rick arrivò in ospedale accompagnato dalla figlia. Le chiese di aspettare fuori, voleva prime chiedere a Kate se se la sentisse di incontrare Alexis. Quando entrò nella sua stanza la trovò con il suo libro appena richiuso vicino al letto, ma quello che lo colpirono furono i suoi occhi, gonfi e rossi. Aveva pianto e lui si malediceva per non essere stato lì con lei. Era stato troppo al parco, troppo al telefono, troppo al loft. Rick non pensava minimamente che, se lui fosse stato lì, Kate avrebbe fatto di tutto per non lasciarsi andare ancora alle emozioni che faticava a trattenere e dava la colpa a questa strana situazione, senza sapere che oltre a quello c'erano anche i suoi ormoni che stavano impazzendo.
- Ehy Beckett, come stai?
- Uno schifo Castle, grazie, tu? 
- Io ora bene, grazie. - Kate non capì che quello voleva dire che stava bene perchè era con lei, dovevano ancora sintonizzarsi su quella lunghezza d'onda che li faceva capire senza parlare: le loro frequenze erano ancora disturbate.
- Che fai, rimani lì sulla porta, oggi? 
- No, è che vorrei presentarti una persona, se te la senti, fa parte della nostra famiglia.
A Kate si gelò il sangue nelle vene. Non è che avevano anche un figlio? Se erano sposati poteva essere, erano adulti, non sapeva ancora da quanto stavano insieme, ma poteva essere, no? Era madre senza saperlo? Si poteva dimenticare anche di quello? Rick notò il suo cambio d'espressione e si precipitò a precisarle che se non voleva non doveva preoccuparsi, ma lei a quel punto, paura o no, voleva sapere.
- Ok Castle, va bene.
Rick aprì la porta e fece cenno ad Alexis di venire. Quando entrò nella stanza e vide la giovane donna, Kate si rilassò, chiunque fosse era troppo grande per essere sua figlia. I due Castle si avvicinarono quindi a Kate, lasciando la borsa con le sue cose in fondo al letto.
- Beckett, lei è Alexis, mia figlia. 
Kate notò il tono orgoglioso di Rick nel presentarle la ragazza che aveva gli stessi occhi azzurri del padre.
- Una delle tue chiome rosse, Castle! - disse senza pensarci.
- Come hai detto Beckett? - Alexis e suo padre si guardarono per poi volgere lo sguardo alla donna.
- Una delle tue chiome rosse? - ripetè dubbiosa. Da dove le era uscita quel l'espressione?
- Chi è l'altra, Beckett? - la incalzò Rick
- Io... Io... Non lo so.
- Ok, Kate, ok... Va bene così, è... È straordinario cioè, tu hai ricordato qualcosa, piccola, però qualcosa. Le chiamo solo io così... È grandioso, no? - Castle era pieno di entusiasmo per quella piccola cosa e fece sorridere le due donne. Kate da parte sua era contenta ma non riusciva a condividere il suo entusiasmo per una cosa così, a parer suo, insignificante: lui invece sembrava un bambino che avevano appena portato alle giostre. Alexis si trattenne con loro qualche minuto e poi se ne andò lasciandoli soli. 
- Ti ho portato delle cose da casa, qualche cambio e il tuo cellulare. - le disse Rick indicandole la borsa e dandole l'apparecchio. Kate lo guardava stupita, in effetti anni fa gli smartphone era un po’ diversi anzi, a dire il vero non si ricordava nemmeno se ci fossero nella memoria di Kate, sapeva cosa erano? - è un iPhone, un modello nuovo, uscito da poco, ti serve una mano?
- Ehm... Sì grazie. 
Rick accese l'apparecchio e digitò il codice di sblocco, che per fortuna sapeva, ma era uguale al suo, la data del loro matrimonio.
- È 1110 le disse. Te lo devo scrivere?
- No, penso di ricordarmelo - sorrise - per quanto riguarda il presente credo di avere ancora memoria. - si fece mentalmente i complimenti da sola per essere in grado di ironizzare su se stessa. - vuol dire qualcosa?
- 10 novembre, la data del nostro matrimonio. È lo stesso codice mio.
- Non è necessario che mi dici il codice del tuo telefono Castle.
- Non ho nulla da nasconderti e poi lo sapevi. - Non era vero. In quel momento una cosa gliela stava nascondendo ed avrebbe dovuto dirgliela il prima possibile.
Kate prese il telefono e, come prima cosa, si fermò ad osservare lo sfondo. Erano loro due, abbracciati, non vedeva i loro volti ma riconosceva la sua figura ed anche quella di Castle. Era sicuramente del giorno che si erano sposati. Provò strane sensazioni a vedersi. Era così intimo, le sembrava di sbirciare nella vita di qualcun altro, ed invece era lei. Osservava le loro mani, come si abbracciavano e si stringevano. Si stava emozionando a pensare a quelle sensazioni che non ricordava eppure a vedere quella foto le sembravano molto profonde.
- Ce l'ha scattata Alexis senza dirci nulla. Eravamo solo noi, mia madre e tuo padre. Non abbiamo molte prove fotografiche, mi dispiace.
- È molto bella. Romantica.
- Sì è stato tutto perfetto. - Poteva leggere nostalgia e tristezza nello sguardo di Rick, che poi tornò a spiegarle le funzioni base del telefono. Come leggere i messaggi, rubrica, chiamate preferite, foto, video, musica... - se mi devi chiamare mi trovi sotto la C, Castle, ma sono anche il primo dei preferiti!
- Grazie Castle.
- Ecco poi c'è un'altra cosa che vorrei darti... So che ci tenevi molto e prima la portavi sempre con te... 
Kate a quelle parole capì a cosa si stava riferendo, si toccò istintivamente il collo e proprio in quell'istante Rick tirò fuori la collanina con l'anello di Johanna, mettendolo tra le mani di Kate che lo strinse lasciando scendere qualche lacrima. Allungò la mano cercando quella di lui e gliela strinse. Rick rimase sorpreso da quel contatto cercato da lei, ma poi subito strinse a sua volta la mano di lei.
- Grazie ancora.
- Non devi ringraziarmi per ogni cosa. Facciamo che mi dici un grazie generico che vale per 10 cose? Non ti preoccupare tengo io il conto e quando li hai finiti ti avviso così me ne dici un altro, ti va?
- Ok! - si chiese come gli venivano in mente certe cose, ma doveva aspettarselo, era la sua fantasia di scrittore.
- Castle, perché non lo portavo più? Hai detto che prima lo portavo sempre con me, ora non più?
- No. Da qualche anno non lo portavi più. Da quando lo hai arrestato Kate.
- Ho arrestato l'assassino di mia madre? 
- Il mandante sì, lo hai arrestato.
- E l'esecutore?
- Lo hai ucciso tu. Per... Per salvarmi la vita. Mi stava per sparare e tu lo hai preceduto sparandogli.
- Chi era?
- Ne possiamo parlare in un altro momento Beckett? Ti racconterò tutto, tu sei stata grande, l'orgoglio di tutti, ma per oggi credo che sia sufficiente quanto hai saputo, no?
Kate voleva conoscere di più della sua storia, di come aveva risolto l’enigma dell’omicidio di sua madre, ma sapeva che aveva ragione lui. Sentì nelle sue parole e nel suo sguardo lo stesso orgoglio di quando le aveva presentato sua figlia. Questa sensazione la fece stare bene. 
- Ok... Castle, quante volte ti ho salvato la vita in questi anni?
- Molte, ma secondo i miei conti sono sempre in vantaggio io.
- Tu che hai salvato la vita a me più di quanto ho fatto io con te? Nei tuoi sogni forse!
- Nei miei sogni non mi salvi la vita, o forse sì ma in altri modi! 
Kate si accorse che si stavano, ancora, tenendo per mano e le osservò stupita del gesto: se ne accorse anche Castle e subito allentò la presa, per permetterle di ritrarsi. 
- Castle, ti posso chiedere un favore?
- Quello che vuoi, Beckett.
- Uno specchio.
- Non ne hai bisogno, sei bellissima
Arrossì ed abbassò lo sguardo. Rick voleva proprio questo e la osservò incantato. 
- Seriamente, Castle. Vorrei uno specchio, vorrei vedermi dopo tutti questi anni... 
Non la fece finire di parlare, uscì lasciando la porta socchiusa, andando a parlare con le infermiere. Nel silenzio dell'ospedale riusciva a riconoscere la voce di lui che si stava alterando. Rientrò poco dopo a passo svelto con il broncio di un bambino a cui non hanno comprato il regalo che voleva.
- Non ce l'hanno. Te lo vado a comprare.
- Non fa nulla, me lo porti domani.
- No, aspetta. - si infilò nel bagno e lo sentì fare molto rumore. Ne uscì poi con in mano lo specchio a muro che aveva divelto. Kate lo guardava perplessa e sorpresa: aveva smontato lo specchio del bagno perchè lei aveva detto che ne voleva uno? Realmente?
- Castle, ma tu fai sempre così?
- Così come?
- Non dai mai ascolto e fai sempre tutto di testa tua fregandotene delle conseguenze?
- Ehm... Sì, più o meno.
- Ed io ti sopporto così?
- Uhm... Sì, direi di sì...
Kate roteò gli occhi verso l'alto e scosse la testa.
- Allora ti vuoi vedere? Disse avvicinandosi con lo specchio sul quale dietro c'era ancora qualche pezzo di intonaco.
- Sì. Gr...
- Shhh Beckett! Non lo dire! Te ne rimangono ancora altri 8, ricordi?

Castle le tenne lo specchio sollevato davanti a lei, mentre Beckett prendeva confidenza con la nuova immagine di se. Vedersi e non riconoscersi. Kate aveva un altro ricordo di se stessa, con i capelli più corti e scuri ed un’aria più da ragazzina. Nello specchio vedeva una donna, con qualche segno del tempo in più sul viso, fece qualche smorfia per controllare se avesse qualche ruga di troppo, ma potè notare solo l’eccessiva magrezza, dovuta anche all’ultimo mese in ospedale, le profonde occhiaie ed un colorito veramente poco sano. Passò una mano tra i capelli e pensò che forse corti erano più pratici e che desiderava tanto fare una doccia, anzi un bagno, un lungo bagno, con tanta schiuma.
- Castle come fai a dire che sono bellissima? - Gli chiese scoraggiata
- Per me lo sei, sempre. - Rispose lui convinto. Kate avrebbe pensato che una risposta del genere potesse essere una presa in giro, detta da qualunque altra persona, ma sentì nella sua voce una sincerità che la spaventò. Lui lo pensava veramente. Per lui, lei era veramente bellissima anche in quello stato in cui faticava anche a vedere la sua immagine e se la sua parte più femminile ne fu lusingata, quella più razionale aveva paura di un sentimento tanto forte da parte di quell’uomo che era lì, per lei, nonostante tutto. 

Quando bussarono alla porta Kate non si aspettava che entrasse un giovane ragazzo pieno di buste e non capiva cosa facesse lì, credeva fosse una delle tante infermiere per una medicazione o altri accertamenti.
Castle le spiegò che era la cena. Beckett, passando il resto del pomeriggio a conversare, non si era accorta del tempo che era trascorso. Nonostante tutto era stata bene con lui, meglio di quanto poteva immaginare quella mattina quando lo aveva conosciuto.
Quello che aveva davanti sul vassoio, era certamente meglio di qualsiasi cosa avesse visto negli ultimi due giorni, ma probabilmente anche meglio di molti ristoranti in cui era solita andare.
Il logo sui piatti e le posate indicava la provenienza del cibo e quando guardò Castle in attesa di spiegazioni, si stupì nel vedere che anche lui aveva un vassoio del tutto uguale al suo appoggiato su un tavolino vicino al letto. Aveva pensato a tutto. Il ragazzo salutò, dicendo che avrebbero provveduto a portare via il tutto, il giorno seguente quando avrebbero portato il pranzo e in quel momento Kate capì che non era un’eccezione quella cena.
- Castle, seriamente? Mi fai preparare i pasti dal catering di un hotel a cinque stelle?
- Ci faccio preparare i pasti. - Le indicò anche la sua cena.
- Perchè? 
- Punto primo devi mangiare e quella roba che ti hanno portato oggi non era per niente invitante e infatti non hai mangiato quasi nulla. Punto secondo non mi piace vederti mangiare da sola e nemmeno a me piace farlo. Quindi se non ti dispiace, faccio preparare per due, così mangiamo insieme.
- Non vai a mangiare a casa con tua figlia?
- Non sto a casa, al momento. Ho preso una camera in questo hotel da quando sono uscito dall’ospedale. Così potevo starti più vicino, venire più facilmente. E poi tornare a casa da solo quando non sapevo se e quando ti saresti svegliata… Non ce l’avrei fatta.
Non gli rispose, guardò in basso sul suo piatto. Era la prima volta che le parlava di se e di quello che aveva provato, avrebbe voluto dirgli qualcosa per fargli coraggio, ma non sapeva proprio cosa. Cominciarono a mangiare e presto quel silenzio fu sostituito da nuove chiacchiere sul cibo che era veramente buono e Castle aveva cominciato a raccontare storie buffe sul cibo dell’ospedale e la sua probabile provenienza aliena per forma e colore, raccontando ogni pietanza da quale pianeta dovesse venire in base alla sua consistenza.

Quando Jim la sera tornò a trovare la figlia li trovò così, a mangiare e ridere insieme. Pensava che sarebbe stata una strada lunga e difficile, ma almeno avevano fatto qualche passo.

   
 
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