Giochi di Ruolo > Heaven’s Door Yaoi GDR
Segui la storia  |       
Autore: Lunemea    09/06/2016    0 recensioni
[Heaven’s Door Yaoi GDR]
«Il Kintsugi, letteralmente significa "riparare con l'oro". È una pratica giapponese che consiste nell'utilizzo di oro o argento liquido per saldare assieme frammenti di oggetti in ceramica, rotti o spaccati. Ogni oggetto riparato oltre che prezioso, diventa unico e irripetibile, proprio per la casualità con cui la ceramica può frantumarsi. Questa tecnica in se nasconde una filosofia: non importa quante ferite si possono avere nel passato, ci sarà sempre un modo per rimettere insieme i pezzi e rendere quella storia una linea preziosa per il proprio presente. Sinceramente? Ho sempre pensato che fosse una cazzata orientale. Poi, ho trovato l’oro.»
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lemon, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

26 anni

- Insert Coin -



Saranno le otto di mattina, del giorno prima di capodanno. Ho un’ora e mezza di tempo per aprire il negozio e mettermi a lavorare. Mi giro dall’altra parte, affondando la testa nel cuscino. Mi sento troppo rincoglionito per pensare di farmi un caffè, figurarsi alzarmi dal letto e metter la macchinetta sul fornello. No, quasi quasi mi rimetto a dormire un’altra mezzoretta. So già che è facilissimo: basta chiudere gli occhi, pensare a poco e niente e già posso immaginare di stare altrove. Il mondo diventa lontano, il rumore delle automobili si confonde assieme al sale sparso per le strade…
«Uooooo! Uooooo! Uooooo!» sento urlare, un verso così carico che mi fa letteralmente saltare seduto sul materasso.
«Cazzo… cazzo!» che diamine è? Mi guardo intorno e ho tutti i capelli davanti alla faccia, quindi vedo solo una marea rossa di ciocche che mi copre la visuale. Li sposto come una tendina e osservo Totem in un frullo d’ali che si agita per la stanza.
«Uoooo! Uoooo! Glglglgl…»
«Dei, Totem! Sei proprio… » alzo le mani e mi tocco gli occhi con i polsi. Li stropiccio. «Sei proprio uno stronzo»
Odio quando quel maledetto uccello mi sveglia così. Ma ha fame, lo so. Che altro può fare se non buttarmi giù dal letto in questo modo? Rannicchio le spalle e continuo a stropicciarmi gli occhi e poco dopo striscio fuori dal letto, toccando con i piedi nudi il pavimento. Mi alzo in piedi e mi stiracchio. La schiena si tende piacevolmente e chiudo gli occhi godendomi quella sensazione. Poco dopo un rumore mi avverte che Totem è lì vicino a me, a mezz’aria, aspettando di posarsi da qualche parte. Mi fermo e le sue zampette mi toccano una spalla. Ha le piume tutte arruffate per il volo, ma hanno ancora quel colore splendido e quella lunghezza tipica della sua razza. Un Uccello del Paradiso, testa dorata e coda bianca.
«Hai finito?» allungo un dito e lui me lo pizzica con il becco, emettendo un gorgoglio. «Ok, ti do da mangiare. Ma torna nella teca, mi sembro Cenerentola» mi tira i capelli, passandoci il becco all’interno. 
Mi sta sfottendo, ne sono sicuro.
Cammino verso la lunga lastra di vetro, incassata nel muro, che costeggia un lato della scrivania, apro la porticina e lascio che Totem vi passi all’interno, mettendolo al sicuro. Gli do da mangiare della frutta, sistemandola su un lato, poi chiudo tutto e penso a me.
Metto su il caffè grazie al piccolo cucinino che possiedo nel Magazzino e intanto vago alla ricerca dei vestiti nei cassettoni che uso come deposito alternativo a quello del mio appartamento. Ne recupero un paio piuttosto sgargianti, scegliendo una maglietta a maniche lunghe giallo limone e dei pantaloni a quadri verde mela, riempiti di spillette raffiguranti i simboli delle terre Magic. Gli stivaletti neri andranno bene, poi il tocco finale me lo darà la divisa dell’Insert Coin: arancione, con il logo stampato sul taschino e la scritta “Stuff” ad arco dietro la schiena. 
«Perfetto. Potrei accecare un pilota su uno shuttle» questa sì che è soddisfazione. 
Non appena l’odore del caffè si fa invitante, spengo tutto e riempio una grossa tazza. La caffeina fa il suo dovere e entro pochi minuti sono già sotto la doccia della stanza accanto, il classico WC dei negozi con qualche miglioria per me. Sistemato completamente, sono pronto per aprire l’attività: non ci vuole molto, basta che scenda le scale a chiocciola e alzi la serranda, poi sono già operativo. Ieri sera il raid su WoW è stato lunghissimo, ma lo sapevo. Ecco perché sono rimasto a dormire al Magazzino, la mia seconda casa, sebbene il pc che ho qui non possieda la stessa potenza del fisso del mio appartamento e la connessione sia decisamente più lenta, anche se sopportabile. Diciamo che è simile a quella dei comuni mortali che non ci capiscono molto di prestazioni.
Accendo luci e condizionatore, pulisco il pavimento, controllo le mail e le consegne. Lavoro di routine, dopo di che mi concedo la prima sigaretta della giornata.
Recuperando il pacchetto di Lucky Strike e lo zippo di Captain America ritrovato, esco fuori dal negozio. Rabbrividisco. ‘Fanculo a Dicembre. 
Mi sistemo sul muretto che costeggia una parte del negozio: L’Insert Coin è all’angolo di un altissimo palazzone, quindi ha due ingressi: uno con delle scale e un altro con una rampa per chi non può camminare o per chi è fondamentalmente pigro. Il muro che ripara questa rampa è l’ideale per farne un trespolo che permette di controllare entrambe le entrate tenere d’occhio la zona circostante. La strada è trafficata, perché immersa nella zona commerciale di Narita: buona nei giorni normali, ma stancante e infernale nei giorni di festa o di saldi. Per fortuna sono uno a cui piace molto lavorare.
Mi accendo la sigaretta e attendo che il fumo mi riempia i polmoni e li ingrossi di nicotina. 
Oh. Ora sto meglio.
Socchiudo gli occhi e consumo il tabacco in grosse e lente boccate, mentre controllo il via vai della gente. La mattina in un negozio come il mio si lavora sempre poco, perché i ragazzini sono a scuola o impegnati in altre attività. Di norma è il pomeriggio che c’è il vero casino, ma non è mai così eccessivo da impedirmi di respirare.
Sono a metà sigaretta quando arrivano i primi clienti: due bimbetti che con molta probabilità sono in vacanza. Ecco. Il lavoro chiama sempre durante una delle poche pause che mi prendo. Che palle. 
Scuoto la testa e spengo la sigaretta sul muretto, gettandola dentro la solita grata fognaria che ho adibito a mio cassonetto personale.
Scendo dal mio trespolo e li seguo. Giornata iniziata.

 
***

«Lo immaginavo più piccolo, visto da fuori»
Una frase mi strappa dalla lettura della Guida Strategica di Skyrim e mi fa girare completamente verso uno degli ingressi del negozio. Ci trovo Kacey, il Gatto impudente. La sorpresa di trovarlo qui scavalca di poco quella che ha suscitato il fatto di ricordarmi il suo nome.
«Il cartello non ti ha minimamente fermato, vero?» domando neutrale, lanciando un’occhiata di traverso proprio al ragazzino, che ovviamente non avrà visto la scritta “Torno Subito” appesa di fuori.
«Quale cartello?» è stupito, perciò si volta verso l’ingresso «Ah, questo?» e allungando una mano gira proprio quel pezzo di plastica, impostandolo su “Aperto”. «Mi sembrava ci fosse il via libera…» sorride strafottente.
Ma tu guarda questo…
«Sono sicuro che fino a qualche secondo fa il messaggio diceva: “Sono in pausa pranzo, quindi ragazzini… girate a largo”»
«Davvero? Se fosse stato così antipatico, gli avrei detto qualcosa di altrettanto antipatico»
Sospiro, evitando di continuare quel battibecco. Decido di chiudere definitivamente la mia lettura e badare che questo ragazzino non tocchi niente. Non ha mutato le orecchie. Le ha leggermente a punta, ma diciamo umane. Non sapevo che i Mezzianimali potessero trasformarsi anche parzialmente. La coda, infatti, l’ha invariata e gli spunta da dietro i jeans. 
Certo che è strano. Possibile che tra tutti i negozi di Narita, sia capitato a caso proprio nel mio?
«Cosa ci fai qui?»
«Indovina?» ride, come se avessi fatto una domanda stupida. Si è avvicinato a un grosso scaffale di giochi per pc.
Ritento, mantenendo un tono calmo. «Non sei per niente sorpreso di trovarmi qui dentro…»
«Sì. E allora?»
«E allora se pensi che sia scemo, non ti faccio nessuno sconto»
Ride di nuovo «Dai, sì. La sera di Natale ti ho seguito. Ero curioso di sapere dov’eri diretto e anche perché… boh! Mi è sembrato naturale.» Naturale? M’inquieta «All’inizio era per gioco, ma quando ho visto questo negozio, ho pensato: “fiiigo”» e sgrana gli occhi divertito, guardando tutta l’ampiezza colorata e videoludica dell’Insert Coin. Ci sono scaffali di giochi per ogni tipo di console, gadget, peluche impilati e un piccolo reparto per i collezionisti. Ogni cosa è sgargiante, colorata e illuminata da neon. Persino il pavimento è disegnato, in uno stile pixel art che ricrea una sorta di albero stilizzato; le radici, raggiungono ogni scaffale organizzato in tutto l’ambiente.
Sì, quello che gli vedo in faccia è l’effetto che farebbe a me se avessi la sua età. Alla mia, invece, si comprano proprio questo tipo di negozi e se ne diventa proprietari.
«Perciò sono tornato» conclude, guardandomi sorridente.
Me lo ricordo quel sorriso. Ha una spontaneità davvero apprezzabile, ma tento di non farmi distrarre da quella faccia da schiaffi.
«Quindi i tuoi impulsi da stalker erano fondati»
«Non che fosse difficile seguirti o ritrovarti in mezzo al casino del centro, con quei capelli» ribatte, afferrando uno dei giochi dallo scaffale. «Però no, in realtà… credo di aver voluto seguire il tuo odore. C’era una cosa che mi incuriosiva»
L’inquietudine aumenta.
«Ah, sì. Beh. Non ho idea di cosa tu stia dicendo, ma se sei qui per comprare posso anche dedicarti parte della mia pausa pranzo. Che poi… a quest’ora non dovresti essere a scuola? O a una delle vostre attività scolastiche del pomeriggio?»
«No, lezioni finite per via delle feste. E oggi non ho gli allenamenti di basket»
«Basket?» domando, guardandolo un po’ troppo sfacciatamente. Mi dice “basket”, ma non sarà nemmeno un metro e settanta. È un piccoletto. Che ruolo mai avrebbe? Quanto mi viene voglia di sfotterlo…
«Non pensare nemmeno per un attimo a prendermi in giro» mi avverte, improvvisamente.
«Lo dici perché hai capito cosa sto pensando o perché è una cosa che succede tutti i giorni?» non ho saputo trattenermi e a giudicare da come mi sta guardando, anche lui sta perdendo la lotta interiore sul tirarmi o meno addosso qualcosa.
«Guarda che le cose “lanciate” vanno comprate» mi premunisco. E rimette subito a posto il gioco che aveva in mano.
«Sono un playmaker e per quel ruolo non bisogna essere alti, solo bravi a organizzare la squadra. E comunque si cresce fino a ventotto anni e io sono ancora in via di sviluppo»
«Ah, sì. Se nel tuo caso credi nei miracoli…» dissimulo il mio divertimento riaprendo la guida strategica del videogioco.
«Spilungone del cavolo» borbotta, prima di dirigersi verso lo scaffale dove appesi ci sono diversi portachiavi. Il tintinnio mi fa capire che li sta toccando o esaminando quindi, con la coda dell’occhio, lo spio. Mi soffermo proprio sulla sua coda, che oscilla lentamente dietro la sua schiena. È una linea lunga e sinuosa nell’angolo del mio sguardo. E mi distrae. In effetti chissà quale deve essere la sensazione di averla; che prolungamento di arti può significare? Il cervello la muove inconsapevolmente, oppure no? Sarebbe interessante provare una sensazione del genere…
«Ehi, hai un portachiavi tipo questo?»
La sua domanda mi riscuote e mi fa abbandonare i miei pensieri sulla coda. Sbatto le palpebre un paio di volte, mentre controllo a cosa si stia riferendo. Mi mostra un portachiavi di un Sackboy, quei piccoli affarini personalizzabili nel gioco di Little Big Planet. Il suo è un po’ consumato, ma ha ancora il suo sorriso sgargiante.
«Sì, ma non con quell’espressione…» mi alzo dallo sgabello e mi muovo verso gli stand che contengono i vari portachiavi. Gli passo accanto, aspettando che si faccia da parte per piegarmi e cercarlo nella penultima fila, in basso. Lui si china assieme a me, raggruppando le ginocchia tra le braccia. La coda alta e quella posizione lo rendono più gatto che umano. «Eccolo. Ce l’ho imbronciato. Oppure così, più grosso, ma già vestito. Cappellini, parrucche… insomma, quella roba là»
«Ce ne hai uno con i tuoi capelli?» domanda divertito e io lo guardo alzando un sopracciglio sotto la frangia rossa.
«Tzè. I miei capelli non sono una particolarità per tutti…» e per dispetto prendo proprio uno dei portachiavi e glielo agito davanti, stuzzicando i suoi istinti felini.
Questi mi danno la giusta risposta, perché cerca di afferrarlo allungando una mano e io dispettosamente rispondo togliendoglielo da davanti. Si acciglia.
«Ehi, questo è un colpo basso!» mi rimprovera e io alzo le spalle innocente, così continua «Posso graffiare, sai? E anche mordere. Stai in guardia» e sorridendo mi mostra i canini. 
Trovo la cosa di nuovo affascinante. Non ho mai avuto molto a che fare con i Mezzianimali e quando ero giovane li ignoravo, inoltre tra le mie conoscenze c’erano più umani che razze particolari. È un po’ tutto nuovo per me. Anche i loro comportamenti.
«Che belva feroce…» minimizzo di proposito il suo atteggiamento, abbassando lo sguardo e alzando il viso. In questo modo dovrò sembrargli molto più alto, nonostante stiamo entrambi piegati e in ginocchio. Aah. Sensazione di superiorità, mi sei mancata. 
«…Comunque il portachiavi sorridente dovrei averlo nel Magazzino. Posso recuperartelo appena sto per chiudere il negozio, di sicuro non posso assentarmi ora e lasciare tutto così»
«Intendi lì sotto?» indica, alzandosi definitivamente dalla sua posizione accucciata. Osservo la direzione del suo dito, rimanendo ancora seduto sui talloni. Sembra che indichi il piano sotterraneo verso cui continuano le scale a chiocciola. Stringo gli occhi. Sento odore di “curiosità”.
«No. Quello è un posto inagibile, ancora. Parlavo del piano di sopra. È lì che tengo gli scatoloni delle consegne… ehi, guarda su!» noto subito come il ragazzino non abbia staccato gli occhi un attimo dal piano sottostante. La semplice “curiosità” sta diventando molesta.
«Perché? È un posto segreto? È inagibile? Non sarai mica una spia?» mi sommerge di domande, con gli occhi che brillano per l’emozione. Domande, peraltro, che non hanno alcun senso. Eppure la cosa mi diverte, mi viene quasi naturale scherzarci su.
«Beh, ti basti solo sapere che nel caso tu lo scoprissi, poi dovrei ucciderti. O trovare il modo di non farti parlare»
«Così mi fai venir ancora più voglia di capire cosa c’è di sotto»
«Lo so. Ma non lo saprai mai, se non a tempo debito»
Grugnisce la sua disapprovazione, ma alla fine si arrende. Contento di aver vinto, alla fine mi alzo in piedi e torno dietro al bancone. Guardo i due ingressi del negozio e noto come un paio di ragazzine sono lì davanti in attesa di qualcosa. Guardano la vetrina, o almeno credo. Non gli metto pressione, rimango al mio posto in attesa che si decidano.
«Avete recuperato il vostro amico?» domando a Kacey mentre metto via la guida strategica. 
«Chi, Netsu? No. O almeno non io. Non mi metto a inseguirlo tutte le volte che se la prende con qualcuno o fa l’asociale»
«Non è la prima volta che scatta in quel modo, immagino»
«Immagini bene» Kacey alza le braccia e si stiracchia la schiena. A quel gesto vedo le due ragazzine ridacchiare. 
Il ragazzo si avvicina al bancone e appoggiando i gomiti si sistema praticamente di fronte a me. 
Mi faccio indietro. Il mio istinto di conservazione ha sempre la meglio. 
Kacey non sembra notare la cosa e continua a parlare tranquillo «Ha litigato con me anche la prima volta che ci siamo conosciuti. Poi ha azzannato un paio di passanti nel parco, una volta» solleva lo sguardo azzurro e sembra riflettere. «Non è propriamente colpa sua. In realtà è più “animale” che “umano”. Suo padre era una volpe vera e propria»
Ah, questa poi. È possibile che i Mezzianimali possano fare figli con animali della stessa razza? Non capisco se la cosa mi affascini o mi faccia rabbrividire.
«Ho capito. In effetti si vede dal suo aspetto selvaggio che non è affatto un tipo facile. Oltre al ringhiare e al tirare fuori le zanne…»
«E quello è il minimo» esclama lui ridendo, poi stende le braccia e si allontana dal bancone. «Comunque non l’ho inseguito anche perché Touya ha una cotta per lui. Non volevo mettermi in mezzo»
Chi? «Touya?»
«L’altro ragazzo che era con noi…» dice velocemente Kacey, aggrottando le sopracciglia come se la mia domanda fosse strana. Ah, intende il ragazzetto dai capelli grigi.
«Scusa, non sono uno che si ricorda facilmente i nomi»
«Il mio te lo ricordi?» 
«Certo: tu sei il “Gatto dai capelli blu”» mento, scoprendo attiva la mia voglia di vederlo sorridere in quel modo furbo.
«Kacey» ripete, anche se non ce n’era bisogno.
«Beh, non è simile?»
Evito di chiedere curiosità sui gusti di Touya, fingendomi disinteressato alla cosa, anche se l’avevo capito perfettamente. Persone con “gusti” del genere, si riconoscono al volo. Anzi. Noi, li riconosciamo al volo.
Certo, poteva sceglierselo un po’ meno stronzo.

 
***

Le due ragazzine all’ingresso, decidono di entrare e io mi metto subito a loro disposizione. Osservano me e Kacey con una certa assiduità, ma io sono abituato a quel tipo di sguardi, il Gatto invece pare proprio non farci caso. Se ne sta educatamente in disparte e mi lascia fare il mio lavoro, senza mettersi in mezzo. Una cosa che apprezzo.
Entrambe mi chiedono un gioco uscito recentemente per la console portatile, tipica della loro fascia d’età. A guardarle avranno più o meno quindici anni e mettendole a confronto con Kacey, dimostrano un aspetto molto più infantile. Anzi, a pensarci bene, Kacey in confronto ai tipici giapponesi sembra molto più adulto dei suoi coetanei. Saranno i lineamenti occidentali? Boh.
Terminato l’affare, mi dirigo alla cassa per digitare l’incasso e nel farlo vedo una delle ragazze persa completamente nello sguardo sorridente di Kacey. Lui è appoggiato su un lato del bancone e si tiene il viso su un palmo. Ha gli occhi stretti in una linea maliziosa e sta sorridendo in sua direzione.
Un momento… Stanno flirtando nel mio negozio?
«Quant’è, signore?» dice una vocina femminile che ignoro.
La ragazzina ride e Kacey si acciglia leggermente e abbassa lo sguardo. Non riesco a capire se stia facendo solo il gentile o se ci stia provando.
«Ehm…» quella voce ritenta.
«Sì, scusa. Sono cinquecento yen»
Mi affretto a rispondere e la ragazzina di fronte alla cassa, timidamente, mi allunga la cifra richiesta. Nella fretta prendo direttamente dalle sue dita il mazzetto di soldi e appena la sfioro per errore, questa emette un gridolino sorpreso, ritirando la mano e avvampando. Dea madre! Non gli ho di certo toccato una tetta! La guardo con poco stupore, ma è indubbio che la cosa mi abbia ammutolito; così anche la sua amica e Kacey stesso.
«M-mi scusi» e sorride, imbarazzata.
«No, scusami tu. Ecco» e le porgo il sacchetto contenente il gioco.
Giapponesi. Li tocchi o invadi il loro spazio personale e li hai in pratica violentati. Ma chi ha inventato la loro cultura? Mah.

 
***

Le due ragazzine escono dal negozio e io le vedo parlottare fino a che non spariscono oltre le vetrine. Scuotendo la testa sistemo i soldi nella cassa e la chiudo con il solito codice.
«Stava praticamente sbavando per te…»
Kacey parla e io mi ricordo all’improvviso che è ancora lì. Lo trovo ancora piegato con i gomiti sul bancone, che mi guarda sorridente e con gli occhi socchiusi. Dietro di lui la coda si agita in modo divertito.
«Ma chi?»
«La ragazzina di prima!» ride incredulo e io non capisco dove voglia arrivare. Sinceramente non ho visto niente di simile, piuttosto il contrario.
«Non dire assurdità»
«Non hai visto l’emozione nei suoi occhi?» il tono è fintamente teatrale.
«Voi adolescenti ampliate le cose per il puro gusto di farle sembrare importanti»
«Sembra quasi che tu non accetti l’idea di poterle piacere»
Mi ammutolisco improvvisamente, stringendo gli occhi. 
«È scattata perché le ho sfiorato la mano e visto la fantasia delle ragazze giapponesi, le sarà sembrato che la volessi prendere e farmela sul bancone. Preferisco non avere rapporti con conseguenze del genere» 
Forse ho parlato troppo irritato, ma Kacey sembra nascondere qualcosa nello sguardo divertito. Una cosa prettamente maschile, tipica degli adolescenti che hanno impulsi più fisici di quelli che posso avere io a ventisei anni.
«Sarebbe figo farlo su questo bancone…»
Da una parte mi stupisce, dall’altra no.
«Placa le tue fantasie, stalker maniaco. O non ti ci faccio nemmeno appoggiare»
Alza una mano «Va bene, va bene…» e ride. 
Preferisco non avventurarmi in discorsi simili, quindi cerco di deviare completamente l’argomento usando Kacey come centro.
«Piuttosto potresti andare e inseguire la sua amica» faccio perno su quest’idea, magari decide di seguirla e io posso continuare a lavorare senza distrazioni. «Ho visto gli sguardi tra voi due. Se esci ora fai in tempo a trovarle. Non so, segui l’odore… le tracce. Qualcosa di simile»
«Ehi! Non sono un cane» replica in fretta, quasi offeso.
«Poco fa hai detto che mi hai seguito per l’odore. Hai grossi complessi sulla tua razza…»
«Era diverso» ribadisce, mantenendo il broncio.
Mah. Tutta questa differenza io non la vedo. Decido di lasciar ai Mezzianimali i loro bizzarri comportamenti e insisto sul punto delle due ragazzine.
«Comunque odore o non odore, puoi sempre seguirle. Magari ci rimedi una fidanzata. O due, se vuoi fare l’ingordo»
«Non m’interessano le ragazzine e non avevano nemmeno la mia età. Preferisco star qui, in un negozio come questo, ad aspettare il mio sackboy che ride felice» risponde perentorio, sapendo benissimo di farmi dispetto. Sospiro, guardandolo stancamente. 
Per oggi, non penso proprio che riuscirò a liberarmi di questo Gatto molesto.

 
***

Ho voglia di fumare, ma Kacey è ancora qui. È da tutto il pomeriggio che è qui ed è da tutto il pomeriggio che non tocco una cazzo di sigaretta. Ha giocato più o meno sempre alle demo messe a disposizione per i clienti, ma tra una vendita e l’altra abbiamo chiacchierato un po’. Gli ho detto da dove vengo e delle mie origini Indio-Americane. Lui invece mi ha spiegato qualcosa della sua razza che avevo solo sentito dire: fino a trent’anni fa dei Mezzianimali non si conosceva praticamente nulla e vivevano nascosti con tutti i loro segreti, nonostante si pensi che siano esistiti da sempre. Poi all’improvviso c’è stato il “boom” e si sono centuplicati in giro per il mondo, come i mutanti degli X-men. Da qui è partito un acceso dibattito su chi tra di loro abbia il potere più interessante e utile, per poi finire a convincerlo che no… Wolverine non è affatto un Mezzoanimale Gatto, dallo scheletro di adamantio.
«Ma ha gli artigli!»
«Come un lupo, Kacey»
«I lupi non hanno gli “artigli”, quella è una prerogativa dei felini» risponde convinto.
«Li hanno, sono solo più tozzi e meno appuntiti» sospiro.
«Quindi non sono artigli…» continua a sostenere, con una tonalità nella voce piuttosto convinta. Poi si avvicina e io alzo gli occhi dalla guida strategica che ho tentato - invano - di tornare a leggere per distrarmi dalla voglia che ho di fumare. Improvvisamente mi para la mano davanti al viso, come per mostrarmela nella sua semplicità. Io non mi faccio indietro e guardo il suo braccio scendere per posizionarsi sul bancone, palmo rivolto in su. Kacey si alza la manica della camicia bianca ben oltre il gomito ed espone l’arto nudo. Noto, per assurdo, che ha un paio di braccialetti di cuoio sul polso.
In quel silenzio, all’improvviso sento uno sgradevole rumore di ossa, che mi fa stringere gli occhi e aggrottare le sopracciglia al centro: il massimo della mia espressione. Vedo piano piano le sue dita contrarsi e irrigidirsi, comprendendo che il rumore proviene proprio da quel movimento interno. Il sangue gli ha colorato i polpastrelli e questi, in cima, ora presentano cinque lame aguzze. Una per ogni dito. E la cosa… è incredibile. Avrei voglia di toccarle e sentire quanto siano vere.
Rialzo lo sguardo e incrocio il suo azzurro, notando come le sue pupille si siano allungate in un taglio felino; persino le orecchie a punta semi-umane sono scomparse e al loro posto se ne muovono due grosse da gatto nero, pelose e all’apparenza morbide. Serve una grossa battaglia contro la mia virilità per evitare di concludere quanto siano decisamente “carine”.
«Questi sono artigli» dice a voce più bassa, ruotando la mano e mostrandomela più da vicino.
Probabilmente ha cercato d’impressionarmi, ma non c’è riuscito. O meglio sì, ma la soddisfazione di farglielo vedere non riesco a dargliela. E nemmeno voglio, per la verità.
«Lo sai? Non sono uno che si scandalizza» rispondo, mantenendo fisso il mio sguardo assente nel suo. Alzo il mio braccio e lo ripulisco dalla felpa arancione, scoprendo anche la mia pelle. Gliela propongo abbandonando tutto l’arto sul bancone, davanti a lui. Scosto i bracciali liberando il polso e aspetto pazientemente che mi faccia sentire la pressione di quelle artigliate. Rimango in silenzio. Kacey, risponde al mio sguardo con una domanda silenziosa, poi coglie la mia richiesta e passa le dita lungo tutta la mia pelle. 
Sono artigli veri. Li sento scorrere lentamente, con un calore decisamente diverso dalle classiche zampe d’animale. Kacey li lascia scivolare senza troppa pressione, evitando di ferirmi o lasciarmi segni di qualsiasi tipo. Io dal canto mio non faccio movimenti bruschi, memore dei danni che portano questo tipo di gesti sotto gli artigli di un animale. Aspetto che quella sensazione finisca e che i brividi cessino di muoversi dietro la mia schiena, prima di ricoprire il braccio e tornare a guardarlo. Lo scopro ancora sorridente e nell’insieme della trasformazione, quell’espressione ha qualcosa di estremamente selvaggio. 
E cazzo. Mi è anche piaciuta.
«Lo sei davvero» risponde dopo un po’, sciogliendo quel silenzio creatosi per la mia curiosità «Ma l’avevo capito quando ci siamo visti al parco a Natale. Netsu non ti stava per nulla spaventando»
«Ho visto di peggio. Un cane rabbioso è solo un cane. O una “volpe” nel suo caso» mi stringo nelle spalle, tornando alla mia lettura, anche per evitare di sentire quello strano campanello d’allarme che mi è partito in testa.
Per un po’ non lo guardo, ma continuo ad avvertire la sua attenzione addosso. Probabilmente sta solo cercando di capire se faccio finta ad essere così calmo, oppure no.
«A che ora chiudi?» mi domanda di nuovo, tentando di sovrastare con quella frase il discreto rumore di ossa che rimette a posto gli artigli.
«Uhm…» do un’occhiata all’orologio del cellulare. «Fra un quarto d’ora. Anzi, inizio a chiudere cassa. Poi andiamo su a recuperare questo benedetto Sackboy»
E all’improvviso è diventato un ragazzetto felice, dall’entusiasmo adolescenziale. 
Dei, meno male. Per un attimo ho temuto di scordarmi la sua età.

 
***

Chiusa cassa e abbassate per metà le serrande dei due ingressi, siamo pronti per salire al piano di sopra. Gli faccio strada e mentre salgo gli scalini a spirale, c’è l’ennesimo intervento di Kacey. Dopo un’intera giornata con lui, ho capito che gli piace tanto - ma tanto - parlare.
«Non offenderti, ma sei sicuro che non sei un kemonomimi pollo o uccello…?»
Ma che sta dicendo?
«Sì, sono abbastanza sicuro della mia umanità» dovrei suonare sarcastico, ma puntualmente non ci riesco.
«C’è un odore che proviene dai tuoi vestiti. Sembra appartenere a qualche tipo di volatile…» lo sento respirare rumorosamente dietro di me.
Questa volta mi fermo, rimango sul pianerottolo che divide il WC dall’ingresso del Magazzino. Un momento. Io so cosa ha sentito.
«È Totem» ovvio che è lui.
«Totem?»
«Se mi prometti di non saltargli addosso, potrei anche fartelo conoscere…» non si sa mai cosa gli istinti felini decidano di ignorare nel cervello umano.
«So trattenermi. Alle volte…» si corregge verso la fine. Sicuro ha intercettato il mio sguardo leggermente scettico.
«Non ti avvicinare troppo, comunque. O gli farai venire un infarto» dico mentre apro la porta del Magazzino e rivelo quello che è il mio piccolo rifugio, oltre che ambiente indispensabile per la raccolta della merce. Respiro. Mi piace quest’odore, è quasi più accogliente del mio appartamento. Solo che è indiscutibile la frase “dove c’è internet più veloce, c’è casa”.
«Che… meraviglia» esclama dietro di me Kacey e dentro, in fondo, sento una grande soddisfazione.
Sì, è un po’ in disordine, ma giusto perché è un Magazzino. Però oltre i grossi scatoloni, i documenti sparsi e le librerie riempite di vecchie edizioni, c’è anche un letto, una scrivania munita di ben tre schermi piatti con un computer e un angolo cottura dove tengo credenze, cucina e minifrigo. Insomma, ci si vive tranquillamente, sebbene sia un po’ angusto.
«Ci vivrei anch’io qua dentro!» dice Kacey, che probabilmente ha seguito lo stesso giro dei miei pensieri. «Tu abiti qui?»
«No, non proprio. Ogni tanto mi capita di rimanerci per comodità, ma ho un appartamento a qualche autobus di distanza»
«Però…» apprezza di nuovo.
Totem ci accoglie con un frullo d’ali e un gorgoglio, ovattato dal vetro della teca. So bene che con quello sguardo bieco sta tenendo d’occhio Kacey; le sue piume si sono tutte arruffate e il suo nervosismo lo ritrovo nelle zampette strette al ramo su cui è appollaiato.
«Lui è Totem? Ma è stupendo!» entusiasta, Kacey si precipita verso la teca, ma io tento di fermarlo con le parole. Con le mani è stato impossibile, mi è sfuggito prima ancora che potessi formulare la mossa con il cervello.
«Ehi, non avvicinarti troppo. Non gli piacciono gli estranei e tu oltre ad esserlo, sei anche un suo nemico naturale»
Kacey ridacchia «Ma non voglio mica mangiarlo!» e agita la coda dispettoso, sollevando la mia inquietudine.
«Sarà, ma tieniti a distanza»
«Oook…» si arrende, alzando le mani e rimanendo nei pressi della teca, senza avvicinarsi. Uhm. Bravo ragazzino. 
Controllando che continui a comportarsi bene, mi dirigo verso uno degli scatoloni per cercare quel benedetto portachiavi.
«Di che specie è? Sembra esotico…» interviene di nuovo, confermando la sua indole di chiacchierone.
«È un Paradisaea Minor» rispondo, continuando a sollevare oggetti e oggettini. «O altrimenti detto Uccello del Paradiso minore. Proviene dall’Australia»
«Ti facevo da animali del genere. Anche se pensavo più a un’iguana o a una Tarantola»
«Li ho, in effetti. L’Iguana PiumaVerde è rimasta con mia madre, in America. La Tarantola ManiPelose, invece, l’ho persa qualche giorno fa da queste parti»
Kacey si gira lentamente, con gli occhi dilatati dal panico.
«Sto scherzando» adoro quando la gente casca in queste stronzate.
«’Fanculo!» dice ridendoci sopra.
Continuo la mia ricerca, fregandomene dell’insulto - meritato - e vado ad aprire un altro scatolone. Sto trovando altri Sackboy e questa è una buona notizia. 
Arrivo mia piccola sigaretta! Arrivo!
«Vivi da solo nell’appartamento?» e la voce di Kacey mi ritrascina di nuovo indietro. L’immagine mentale della sigaretta, svanisce. Sospiro.
«Sì»
«Non ti piace essere toccato, vero?»
Mi fermo improvvisamente e guardo dalla sua parte. Mi sta fissando, appoggiato alla scrivania e con le braccia strette sotto al torace. Sorride a labbra chiuse e sembra fregarsene di aver appena fatto un commento così rischioso. 
«L’ho dedotto da alcune piccole cose» continua, visto che non rispondo «Un’iguana, un uccello e una tarantola, sono tutti animali che non hanno bisogno di contatto fisico per stare bene e poi… qualche volta, quando mi sono avvicinato ti sei fatto indietro» conclude.
A questo punto, sento che devo specificare.
«Non è che non mi piace, solo che preferisco decidere io quando permetterlo e quando no»
«Come nel caso degli artigli?»
«Come nel caso degli artigli» ripeto, confermando.
Kacey mi guarda un po’ più a lungo e alla fine annuisce, girandosi di nuovo verso Totem. Cosa sta pensando, ora? Dovrei chiedermelo? No. Chi se ne frega dell’impressione che ha.
«Ecco il tuo portachiavi» tiro fuori l’oggettino da una bustina assieme a tanti altri suoi fratellini e mi avvicino al ragazzo, consegnandoglielo.
«Finalmente! Grazie!» e gli ritorna la spontaneità del suo sorriso. Sono soddisfatto. «Quanto ti devo?»
«Nulla. Ho già chiuso cassa»
«Sei sicuro?»
«Mi offrirai un caffè. No, anzi. Direi cinque caffè, se consideriamo il rapporto quantità e prezzo»
«Quindi posso tornare?»
Questa domanda mi spiazza. Oh, porca miseria. Ha ragione! In pratica gli ho detto che può tornare a trovarmi! Ma che mi è saltato in mente?
E un secondo. Perché dovrebbe essere tanto strano? In fin dei conti potrebbe trasformarsi benissimo in un cliente. Sì. Sì, ovvio che la vedo così. Il motivo di quella mia affermazione è sicuramente questo. Sono un bravissimo commerciante, non c’è che dire.
«Certo. Basta che compri sempre qualcosa»
Kacey sorride di nuovo, mettendoci anche qualcosa come la malizia. La sensazione di trovarlo da subito simpatico inizia a creare qualche tipo di fondamento. Ma sì. Perché no. In fondo abbiamo parlato bene e non è così fastidioso come ogni tanto mi viene da pensare.
«Hai qualcosa da bere?» 
Ritiro quello che ho pensato.
«Ma non è tardi per te? Non hai una famiglia da cui tornare?»
«Domani è festa e i miei genitori non sono così apprensivi. E poi posso chiamare e dire che dormo da un amico»
“Amico”? 
«Ehi, genio. Non pensare che ti faccia rimanere qui»
«Non qui, intendevo sul serio da un amico. Qui al massimo avremmo potuto bere e giocare alla Play» e a quell’idea le sue pupille feline scattano verso la console che ho attaccato a uno dei tre schermi sulla scrivania. Mi metto in mezzo a quella linea immaginaria, giusto per interrompere la formazione di quella visione malsana.
«La prossima volta, magari. Ok? Ora vorrei chiudere e fare gli ultimi doveri da commerciante» e fumare quella fottuta sigaretta.
«Uff… Ok» sbuffa e inizia a muoversi verso l’uscita del Magazzino. «Come alzo la serranda? In me c’è sangue di Wolverine, non di Hulk»
«Con il pulsante, genio» sospiro nel vedere la sua faccia incerta «Fa nulla, ti accompagno»

 
***

Scendiamo di sotto e dopo gli ultimi saluti Kacey va via. Mentre l’osservo svanire in una strada più buia di quando è comparso, devo ammettere che la sua compagnia non mi è dispiaciuta affatto. In fondo è un tipo discreto, anche se tende un po’ troppo a chiacchierare. Ha degli ottimi gusti in fatto di videogiochi e di fumetti, quindi come cliente potrei coltivarmelo. Altro? Altro… non ne sono sicuro. Non è andata molto bene l’ultima volta che ho tentato di essere “amico” di qualcuno.
No. Decisamente non è andata bene.
Smuovendo la piantina posta in un angolo all’entrata, spingo il pulsante di chiusura e la serranda si abbassa definitivamente. Chiudo gli occhi. Se mi concentro sul rumore, magari non torno troppo indietro con i pensieri. Cerco di avere qualcosa di più recente su cui aggrapparmi e mi torna in mente la faccia in panico di Kacey quando ho fatto quella battuta su ManiPelose.
Che scemo. Come ha potuto crederci veramente?
Ad un tratto mi sento più leggero e mi viene anche da sorridere. Mi mordo il labbro ed evito. 
Penso a qualcosa di più desiderabile: «Sigaretta…»
Oh, dannazione. Sì.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Heaven’s Door Yaoi GDR / Vai alla pagina dell'autore: Lunemea