Libri > Twilight
Ricorda la storia  |      
Autore: Ulissae    14/04/2009    8 recensioni
seconda classificata e storia più particolare al contest "Maternity" indetto da CallieAM
Jake odia rimettere apposto il solaio, è una cosa che lo disgusta, eppure lo deve fare, Billy ha metodi molto persuasivi. Sistema che sistema trova un quadernino molto interessante, e lo inizia a leggere.
Genere: Commedia, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Jacob Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ululati vari'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dal Diario Di Una Mamma
Lo sapevo io che non dovevo accettare questa missione. Lo sapevo bene. Eppure lo avevo fatto.
Avevo deciso di mettere a rischio la mia vita, la mia sanità fisica e mentale, tutto per onore, bhè, anche per qualcos’altro…
Privarmi di ore vitali con la mia piccola Nessie, magari non sarei più tornato…
Mio padre me lo ripeteva ogni volta, “E’ un tuo dovere Jake!” ed alla fine era riuscito a farmelo fare.
La peggiore cosa che un ragazzo, un adolescente, un licantropo! Potesse fare: svuotare la cantina.
Banale, direte voi, aspettate di salire in una cantina amministrata dal sottoscritto da circa quattro anni… affrontare un gruppo di vampiri pazzoidi e vendicativi vi sembrerà una passeggiata.
Lo devo ammettere, sono stato uno stupido, infognarmi in questa situazione per quanto? Venticinque dollari!
Ma i soldi mi servono, ne ho un urgente bisogno, fare un regalo a una bambina multimiliardaria è un’impresa assai ardua.
Così quel giorno, dopo essermi sistemato per andare incontro a tutto quel caos che mi pesava sulla testa, salii al secondo piano e titubante tirai giù la scaletta che conduceva al solaio.
Avevo creato un mostro.
Emisi un lamentio sommesso, cosa diamine avevo fatto?! L’idea di gettare le cose alla rinfusa si era rilevata una scelta pessima, eppure mi sembrava tanto geniale al momento: poco spreco di tempo, massimo risultato.
Sbuffai e mi diressi verso i primi scatoloni che mi accolsero sornioni, sì, ne sono sicuro! Quei maledetti cartoni risero sbeffeggiandomi!
Sarebbe stata una missione kamikaze, ne ero sicuro.

Passai dentro quel posto polveroso e buio per più di quattro ore, sì, avete ragione, ma io lo avevo detto che era un suicidio! Padre traditore! Lui e i suoi ricatti!
Ormai potevo essere considerato parte integrante del mobilio assai scarso, ero pieno di polvere! I capelli ormai erano diventati grigi, gli occhi mi bruciavano e le mani… sorvoliamo sul colorito dei miei polpastrelli: non vorrei scandalizzarvi.
Sospirai girandomi, dando appuntamento per il giorno dopo al mio piccolo inferno personale, ma proprio in quel momento notai una scatola che mi era sfuggita fino ad allora.
Era di colore giallo, che in passato doveva essere acceso, sbiadito, sui lati erano disegnate delle figure di persone stilizzate, mi avvicinai incuriosito e la tolsi da sotto un vecchio tavolo. Dentro era piena di giochi. Le due bambole di Beck e Rachel, con i bottoni al posto degli occhi,  i capelli di lana colorata, ed il vestitino perfettamente cucito, sembrava un capo di alta sartoria. Sorrisi malinconico e le posai nuovamente dentro, attirato da un altro oggetto: Puddy. Il mio Puddy. Il mio piccolo peluche, di quando ero bambino, il mio migliore amico, il mio orsacchiotto, non mi ero mai diviso da lui, non fino a quando non avevo incontrato Quil, devo ammetterlo, ricorda proprio un Teddy Bear.
Trattenendo una lacrima lo rimisi insieme agli altri ricordi, avevo intenzione di andarmene veramente questa volta, però… cosa era quel quadernino? Con la copertina arancione, e una foto davanti… troppa polvere lo copriva, lo pulii velocemente ed osservai la fotografia.
Smisi di respirare per degli attimi eterni.
Noi.
Papà, Rebecca, Rachel io e le… la mamma. Come mai si trovava qui? E soprattutto… cosa c’era scritto dentro? Lo aprii bramoso, la troppa foga mi fece strappare il primo foglio, imprecai sottovoce e lo rigirai tra le mani, cercando di farlo combaciare nuovamente con il resto… era datato 1982… precisamente il 16 Maggio. A circa un mese dalla nascita delle gemelle, che cosa strana, sembrava un diario.
Cosa feci? Ma logico! Iniziai a leggere! Con tutta la voglia di questo mondo.

La Push 16-05-82

Mi sembra di tornare a dodici anni, quando tenevo un diario con tutte le mie cotte, e gli amori del cinema, eppure eccomi qui a scrivere… L’idea che mi è balenata questa mattina ascoltando le gemelline scalciare nel pancione non si sarebbe placata finché non avessi iniziato a scrivere.
Vedermi ogni giorno allo specchio, notare come la mia pancia cresca, i dubbi, le domande di ogni momento, la paura, l’ansia di diventare mamma, il desiderio di avere una guida, mi fanno venire voglia di avere un libretto di istruzioni da consultare nei momenti di bisogno.
Purtroppo non lo ho. E lo vorrei tanto avere… Ma se le mie figlie invece avessero questa fortuna?
Ho la pazza idea di annotare qui ogni giorno, ogni momento, ogni istante in cui potrò dire di essere una mamma.

Fissai sconvolto il pezzo di carta, era… un vero e proprio diario, il diario di una mamma. Ansioso e bramoso mi misi a sfogliare: le prime pagine parlavano di come risolveva i problemi con il pancione, sorvolai con disdegno riguardo alle questioni private tra lei e papà, molto, molto imbarazzante.
Arrivai velocemente a pochi giorni dopo la nascita delle gemelle…

La Push 16-06-82
Sono tornata da una settimana dall’ospedale, stare a casa ora ha un nuovo senso. Il tabacco delle sigarette di Billy non si sente più, ormai è stato sostituito dal profumo delle bambine, dal talco…
Sorridiamo sempre, mi sembra quasi stupido. Ci guardiamo e le labbra non fanno che piegarsi all’insù, ci ripetiamo  che siamo l’uomo e la donna più fortunati del mondo: siamo mamma e papà, cos’altro possiamo desiderare?
Ho sempre pensato che il dolore e la felicità fossero due sensazioni ben distinte, due opposti che si guardano in cagnesco. Eppure mi sono dovuta ricredere, credo di non aver mai sofferto tanto quanto durante il parto:  pensavo di dover morire, le ore non passavano, lo scoccare di ogni minuto mi sembrava l’alba di un nuovo giorno; ma la gioia… quella sensazione di felicità infinita che si prova nel vedere il viso rosso e urlante delle proprie figlie, i loro capelli neri ed arruffati, gli occhi chiusi, i pugnetti stretti. Si completano. Arrivano insieme, l’una a scacciare l’altra.
Allegria, gioia, felicità… nonostante il dolore, ricordo solo quella…

Avevo una paura tremenda di tornare alla nostra casetta, all’ospedale ero sicura che per qualunque evenienza qualcuno mi avrebbe aiutato, perfino quel infermiera indisponente e truccata pesantemente, che tanto non sopportavo.
Billy era venuto a prendermi, tremava da capo a piedi, sembrava essere ritornato al nostro primo appuntamento. Quando parcheggiò nel nostro vialetto mi costrinsi di respirare profondamente, sentivo che una volta aperto lo sportello, posato il piede fuori dall’auto sarebbe iniziata una nuova vita, la nostra nuova vita. Fatta di nottate insonni, problemi, ma felicità, tanta, troppa felicità. Mi domandavo infatti se il solo vederle, le mie piccole gemelline, mi procurasse così tanta gioia… il sentirle parlare, l’osservarle crescere, mettere un piedino dietro l’altro, camminando impacciatamene… Sarei stata pronta per tutto questo? Dubbi, dubbi, unicamente dubbi. Fissavo la strada intensamente, stringendo forte la cintura di sicurezza, aggrappandomi a quella fascia di stoffa, credendo di potermi salvare. Sarei caduta?
Sospirai e mi mossi, Billy era ormai vicino all’entrata, teneva in mano una culla enorme, con dentro le due piccole, gli parlava con voce dolce e gentile.
Li raggiunsi in poco tempo, lui mi strinse a se con il braccio libero, aveva i piedi sopra il nostro zerbino, “Welcome”, i capelli corti e neri erano leggermente bagnati dalla pioggia che aveva preso per proteggere Rachel e Rebecca.
-Pronta?- chiese con un sorriso rassicurante baciandomi la fronte.
Avevo ancora le occhiaie per le notti passate a rimuginare sulle centinaia di future domande, e insicurezze.
-A cosa,  amore?- domandai di rimando sollevando la testa.
-Ad essere mamma!- esclamò divertito lui baciandomi la fronte leggero.
Inspirai nuovamente. Ero pronta? Poi pensai: ma qualcuna nasce veramente pronta ad affondare la più grande sfida della propria vita?
I gemiti delle bambine mi risvegliarono dal mio pensare, sembravano essere contente, mi convinsero.
Orgoglio, quanto ne provavo in quel momento.

…credo quindi che la festa abbia avuto un buon esito, Billy era riuscito a preparare tutto alla perfezione.

Il racconto dell’arrivo mi fece rimanere senza fiato, veramente una madre poteva provare tutto questo? Non veniva più… naturale? Stupito sfogliai nuovamente le pagine: le prime pappine, i disastri causati dalle gemelle recidive ad accettare la pappa, le smorfie di papà, e la dolcezza di mamma. Me la ricordavo così, però pensavo fosse una distorsione della mia mente, troppo infantile e manipolata dai sentimenti intensi che provavo per lei.
Mi fermai quando mi accorsi di una macchia di caffè, che copriva metà pagina rendendola più scura. La scrittura era confusionaria, veloce, quasi affrettata. Incuriosito lessi, rimanendo stupito.

Orlando 15-08-88
Credo di non essere mai stata tanto vicino alla morte quanto ieri. La paura che ho provato non l’ho mai sentita, quel adrenalina pura che mi scorreva per le vene, così pura da far male, colpirmi il cuore direttamente, bloccarlo per almeno un attimo, facendomi sentire finita.
Lo sapevo che non avrei dovuto mai, e poi mai dare il permesso a Rebecca di salire su quella macchina di morte…

Non siamo mai stati una famiglia molto ricca, il mio lavoro al giornale locale e la piccola officina di Billy ci davano il giusto per vivere felici senza stenti. Solitamente non andavamo in vacanza l’estate, ci recavamo ogni giorno, se il tempo permetteva, a First Beach, dove le gemelle si divertivano a prendere in giro le onde per poi farsi rincorrere. Quando amavo quei momenti, in cui tutto era perfetto, dove il sole un po’ coperto dalla nuvole cercava imperterrito di far fuggire i suoi raggi, che cadevano sui capelli bagnati delle piccole, facendoli risplendere. Come erano belle… delle volte mi sembravo stupida, credevo fosse impossibile pensare sempre la stessa cosa, così ossessivamente, eppure non riuscivo a non farlo. Quando esageravo arrossivo, borbottando poi tra me e me un rimprovero.
Quel anno però, per festeggiare l’ottima promozione di entrambe al primo anno delle elementari, avevamo deciso di esaudire un loro piccolo desiderio, una preghierina che ogni notte facevano ai piedi del loro letto, e che io, silenziosamente ascoltavo, cercandone qualcuna da poter realizzare.
Erano così dolci, quando chiedevano di poter essere brave a scuola, quando sussurravano alle loro manine giunte che io e mio marito continuassimo a stare bene. Sentivo il cuore sciogliersi, tutto per loro.
Ai primi di Agosto, quindi, decidemmo di portarle ad Orlando, a Disneyland, il loro piccolo sogno proibito.
Non sapevano nulla, pensavano che fosse l’ennesima gita fuori porta, al massimo a Seattle, ma quando notarono che non proseguivamo per il centro della città,  bensì verso l’aeroporto, cominciarono a fare domande.
Io e Bill non riuscimmo a trattenerci per molto, non potevamo resistere ai loro occhi scuri che ci fissavano supplicanti. Forse, però, sarebbe stato meglio. Alla notizia della nostra destinazione cominciarono a saltare sui loro sedili, lanciando urletti di gioia, si abbracciavano tra di loro, non riuscendo a formulare frasi di senso compiuto, ma solo parole scomposte che esprimevano tutta la loro felicità.
Sentii due braccine flebili e calde che mi strinsero da dietro, attaccandomi allo schienale, Rachy, che mi gridava tutto il bene che mi voleva.
-Oh! Mamma! Grazie, grazie, grazie!- esclamava ogni cinque minuti, ripetendo la scena.
Billy sbuffò sonoramente, mettendoli broncio mentre parcheggiava e tirava fuori le valige, che avevamo preparato di nascosto, sfruttando i due giorni di bel tempo che avevano allontanato le bambine da casa.
-Ed io? Chi sono?- mugugnò passando attraverso le porte.
Le bambine scoppiarono a ridere e lo rincorsero per abbracciargli le gambe, con improvvisa ilarità, per poco non cadde, perdendo l’equilibrio a causa di quelle pesti.
Vederli insieme, loro tre, mi rendeva la donna più felice del mondo. Di questo mio piccolo, magnifico, e personale mondo.

…partimmo in perfetto orario, e quando arrivammo nella città ci accolse il sole. Facendo comparire sul volto di tutti un sorriso entusiasta.

E così quei quattro non mi avevano portato a Disneyland! Tradtori! Ringhiai sommessamente, a me avevano sempre rifilato la scusa che non avevamo abbastanza soldi, e le solite stupidaggini, perfino per l’ammissione alle medie, e loro due? Per una promozione in prima elementare… a Orlando! Mondo crudele ed ingiusto.
Però non riuscivo a capire perché la mamma avesse avuto paura, cioè… sembra andare tutto bene. Cosa era successo per rovinare tutto? Lessi frettolosamente tutta la descrizione della giornata, fino a quando non notai un cambio di scrittura, molto più simile a quella dell’inizio. Mi fermai e sistemandomi la testa fra le mani, poggiate sulle ginocchia, ripresi a leggere.

…Se non avesse insistito per salire sul bunging jumping, non glielo avrei mai permesso. D’ora in avanti mi riprometto di non cedere mai più alle suppliche di Rebecca, mai più! …

La giornata era passata magnificamente, era favoloso vederle correre di qua e di là con i loro cappellini gialli, con le orecchie di Pluto che saltellavano insieme a loro. Non riuscivano a stare ferme più di un attimo, era più forte di loro. Ogni tanto però si bloccavano al centro della “via”, si voltavano e ci sorridevano, venendoci ad abbracciare.
Io le stringevo a me, il più forte possibile, sperando che questi attimi di gioia pura non finissero mai, li volevo conservare, metterli nel mio cuore, e fare in modo che non se ne andassero mai via.
Impressi indelebilmente nel mio animo, insieme a loro, la mia vita, le miei gioie.
Le lasciai, anche quella volta, e proseguimmo. Non lo avrei dovuto fare, no. Ancora adesso mi sento in colpa, in dannatissima colpa, eppure in quel momento non mi sembrava così sbagliato…
Superammo le montagne russe e ci ritrovammo davanti ad uno di quei gonfiabili, che io tanto odiavo. Avevo sentito di bambini che erano caduti, rimanendo poi paralizzati, così negai immediatamente, quando mi chiesero di poter salire.
Iniziarono a guardarmi un po’ rancorose, gli occhi che si inumidivano poco alla volta, fino a far scendere delle lacrime, completamente finte, lo so bene, ma una madre non capisce il confine che c’è tra dolore vero e quello improvvisato dai suoi figli: per lei è dolore. E non deve esistere.
Mio marito, inoltre, non mi fu di molto aiuto. Avrebbe fatto di tutto per essere considerato il padre perfetto, e soprattutto non riusciva a sopportare le lacrime di quelle due sgrinfie.
A malincuore, perciò, gli concessi il permesso di salire.
Mai farlo, mai e poi mai.
Salirono, togliendosi le scarpe. Erano felici come non le avevo mai viste, e così lo fui anche io, di conseguenza. Eravamo come uno specchio, loro il soggetto, io il riflesso. Non riuscivo a provare sentimenti che non fossero uguali ai loro, gioivo se trovavano una figurina mancante, soffrivo se la maestra esagerava con i compiti.
Non è vero che le madri sono mature, tutt’altro. Quando si partorisce si ritorna bambine, perché dopo tutto la maternità non è nient’altro che amore, e l’amore fa diventare tutti più piccoli. Iniziamo ad apprezzare nuovamente le piccole cose, vedere il mondo in modo diverso… Da mamme diventiamo anche figlie.
Le osservavo saltare allegramente da destra a sinistra, poi successe tutto in un attimo: la spinta troppo forte, la parte sbagliata,  e quegli interminabili secondi in cui Rebecca venne sbalzata fuori dal jumping.
Sentii il cuore perdere un battito, i polmoni smettere di battere, il mio corpo fermarsi di colpo. Come morto.
E lei era ferma, a terra, sul cemento, non parlava, non faceva nulla.
E’ finita, pensai, finita per tutti. La mia vita, quella della mia famiglia, perfino del mondo. Perché non riuscivo ad immaginare un luogo senza la mia bambina.
Mi gettai su di lei urlandone il nome, avevo la mente completamente fuori, stavo pensando a tutte le alternative nel caso in cui lei… non riesco neanche a pensarlo. Mi sarei uccisa, non avrei sopportato il dolore.
-Beck! Oddio parla- gridai, non dovevo toccarla, ne spostarla, potevo peggiorare la situazione nel caso di rottura.
Billy aveva gli occhi fuori dalle orbite, piano, piano un capannello di gente ci aveva circondato e sussurrava.
Rebecca respirava a fatica, aveva gli occhi sbarrati e guardava in alto.
Io ero in piena crisi isterica.
-BECK! BECK!- urlavo, senza ritegno, non mi importava nulla delle persone intorno a noi. Piangevo, sentivo la gola secca, la pelle formicolarmi.
Lei socchiuse la bocca ed in un soffio parlò, mai suono mi fu più caro, mai voce fu più gradita.
Era come ascoltare la più dolce poesia, invece era solo un nome: il mio.
-Mamma- sussurrò impercettibilmente, per tutti, tranne che per me.
-Oddio Beck! Parla! Ti prego di qualcosa!- pregai sfiorandole la guancia.
-N…non ci riesco- mormorò affranta.
Mi bloccai terrorizzata. Non poteva essere. Non doveva essere.
Aspettai altri interminabili minuti in cui l’immagine di Rebecca sulla sedia a rotelle mi tormentò, lo scricchiolio delle ruote sul nostro pavimento, immaginavo come sistemare la camera in modo più pratico, il suo sguardo triste mentre guardava le amiche giocare a campana.
E’ possibile che una madre pensi sempre il peggio? E per quale motivo poi? Non lo saprò mai.
Fu un istante e mosse la testa, lamentandosi un po’, aveva le guance rigate da numerose e sempre nuove lacrime, eppure dopo un po’ riuscì a mettersi seduta.
Avevo vinto. L’avevo raggiunta nuovamente, la mia vita, la mia esistenza. Non ho mai creduto nei miracoli, o almeno, non ne avevo mai provato uno in prima persona; ma il sorriso un po’ timido e impacciato, che allo stesso tempo cercava di consolarmi, era ciò che più si è avvicinato al paradiso.
Aveva ripreso a respirare regolarmente, si teneva una mano dietro la schiena dolorante e la testa bassa, come se non volesse guardarmi in volto.
Titubai ad abbracciarla, pensavo di poterle fare male. Bill la guardava con uno sguardo che sembrava appartenere ad un uomo che aveva appena visto Dio, indescrivibile.
-Mamma, scusa, mi dispiace- balbettò in difficoltà, sapeva bene che non l’avevo mai approvato quel gioco, che temevo sempre il peggio: questo.
Scossi la testa, mi asciugai velocemente le lacrime e scoppiai a ridere, senza però smettere di singhiozzare.
Felicità, quanto è vicino il suo confine con il dolore.

…ritornammo a casa dopo una settimana, Becks aveva passato i giorni dopo l’incidente privandosi dei giochi che sballottavano di più, non si fece mancare però le mille foto con i personaggi creati da Disney.

Sbattei le palpebre sorpreso. Possibile che una persona potesse provare tutti questi sentimenti? O meglio, io li provavo per Nessie, ma era un’altra storia, quello era Amore. Mi ritrovai a riflettere sul fatto che forse l’amore di una madre è veramente la cosa più forte ed indissolubile del mondo. Dopo tutto il mio era imprinting, qualcosa di eccezionale, che solo noi licantropi potevamo provare, invece questi erano dei sentimenti… comuni. Di tutti, anzi, di tuttE.
Le gemelle dovevano essere due pesti, tutte le pagine seguenti erano simili, riportavano danni e ansie di mamma, insieme alla mille e mille cure per bernoccoli, ginocchia sbucciate, e attimi di panico davanti a nasi sanguinanti.
Ma voi non sareste stati curiosi di sapere un po’ di più sulla vostra infanzia? Io sì. Così sfogliai rapido fino al 96, data della mia entrata alle elementari, e soprattutto della comparsa dei due miei migliori amici: quei due scapestrati di Embry e Quil.

La Push 05-06-09
Amo Jacob, lo amo con tutto il cuore. Amo il suo sorriso, le sue fossette sbarazzine, gli occhi neri che non erano mai fissi, ma sempre pronti a scattare su qualcosa di nuovo o interessante. Le mani perennemente sporche, o impiastricciate. Quell’aspetto birichino, dovuto anche al mento tondeggiante, che tanto mi piaceva.
Ed era per lui che facevo tutto questo. Io amo i bambini, sono tutto ciò che mi rende viva. Anche se delle volte, lo ammetto, mi sento stanca, e le loro urla, ed i loro schiamazzi mi fanno saltare i nervi.
Ma era per lui che facevo tutto questo, così mi ripetevo, era per lui che ogni settimana invitavo i suoi migliori amici, e facevo in modo che casa mia diventasse un campo da guerra…

Adoravo le risate dei bambini nel giardinetto dietro a casa mia, rapiti a giocare con il pallone colorato, oppure intenti a inseguire il cane dei vicini che attendeva come un martire questi momenti di svago.
In quei giorni, considerati di fuoco, le gemelle scappavano, se c’era il sole, cosa assai rara, uscivano semplicemente, nel caso di pioggia si recavano come povere esuli a casa delle amiche. Logicamente il giorno dopo l’invito era ricambiato, questo faceva sì che casa nostra non fosse priva di ospiti, di tutte le età; anche gli amici di Billy non scherzavano in fatto a visite.
Questo era però uno dei mille aspetti della vita nella riserva, ed a me, in fin dei conti, piaceva.
Visto che, sfortunatamente, nello stato dell’Oregon la pioggia è un’ospite poco gradita, ma sempre pronta a presentarsi, quel giorno i bambini dovettero accontentarsi di divertirsi a casa.
Era pomeriggio, e fuori soffiava il vento, nonostante fosse giugno, così avevo deciso di preparare ai piccoli una torta.
Quella al cioccolato, che tanto gli piaceva. Sorridevo facendola immaginavo già le loro facce sporche di panna, ricoperti fino al naso da uno strato di cacao, ridendo divertiti, ed io? Esattamente come loro, mi sedevo di fronte ai “tre moschettieri”, come li chiamavo, poggiavo i gomiti sul tavolo e li osservavo, ridendo senza ritegno.
Quel giorno erano in salotto, riusciti ad ottenere il Twister da Becks, si stavano divertendo a contorcersi sul tappetino di plastica a pois. Ogni tanto gli lanciavo delle occhiati ammonitrici, fingendomi severa, se esageravano con le urla, per poi ritornare in cucina, dove scoppiavo a ridere, silenziosamente certo. Recitare la parte della mamma bacchettona mi faceva sempre questo effetto, anche perché la faccia confusa e stupita di Jacob era la migliore delle barzellette.
Sentendo l’odore del dolce propagarsi per la piccola stanza mi piegai e lo tirai fuori dal forno, sorridendo orgogliosa. Ed esattamente in quel momento sentii il rumore.
Un sonoro, agghiacciante e  rumoroso crack.
Mi precipitai di corsa nella camera da pranzo, quello che vidi fu agghiacciante, Jake in piedi su una sedia, con in mano una palla, a terra dei cocci rotti e lui completamente coperto di polvere.
Ma quella non era semplice polvere, erano le ceneri di mia madre, defunta da pochi anni, riposte in un’urnetta di ceramica, che ora si trovava frantumata per terra, il coperchio da una parte e il resto frammentato sotto la sedia.
-JAKE!- urlai agitatissima, poteva essersi tagliato, fratturato, o chi più ne ha più ne metta! Mi fiondai su di lui portandolo giù velocemente dalla sua postazione da piccolo arrampicatore, i suoi due amici stavano dietro di noi, con un sorrisetto, anche se potevo notare la paura che potessi arrabbiarmi. Non lo feci. Non ci riuscii.
La testa mi martellava insistentemente, le mani tremavano, e sentivo il fiato corto. Dovevo assolutamente calmarmi, lo feci solo quando notai che non usciva sangue e che l’unica cosa che poteva essere pericolosa era la quantità spropositata di cenere sulla sua faccia, in particolare sul naso. Starnutiva, mi sembrava un pulcino spiumato.
Gli accarezzai dolcemente i capelli, spolverandolo letteralmente, poi sospirai e fingendomi più severa possibile gli ordinai di andare immediatamente a lavarsi.
Lo fece in poco tempo rapido come un razzo per essere pronto, come sempre, a nuove avventure con Quil ed Embry. Li spedii in camera di Jaky dove, per lo meno, se combinavano qualche danno si notava meno con il caos che regnava.

… La cosa che più mi ha colpito oggi è che io mi sono preoccupata per mio figlio, unicamente per lui. I resti di mia madre sono passati improvvisamente in secondo piano, qualcosa di superficiale in confronto a lui, il mio piccolo spruzzetto di sole. La paura che ho avuto per una stupidaggine mi ha fatto capire che… quando sei mamma non esiste un attimo di tranquillità, ma non certo per ciò che ti circonda, ma per loro. I compiti a scuola, i loro amici, i loro timori. E’ come se d’un tratto il tuo asse di orbita si sposta improvvisamente, ora sei tu che giri intorno a loro, e basta. Sono il tuo sole, la tua pioggia, il tuo riso, il tuo pianto, ciò che più ti rende felice, e ciò che più ti fa preoccupare.
Il tuo epicentro. Ecco.
Il tuo magnifico ed unico epicentro.

Scoppiai a ridere leggendo quel episodio, ricordandomi la paura improvvisa di quando il vaso mi era scivolato dalle mani, non ricordo di preciso il perché fossi salito, tutto ciò che mi ritorna in mente sono i suoi occhi colmi di terrore e di ansia. Le mani che mi accarezzavano ovunque cercando una ferita inesistente. Il sorriso colmo di sicurezza e gioia, così dannatamente materno.
Senza rendermi conto sentii due lacrime scendermi lente sulla guance, e cadere delicate sui fogli, inumidendoli, lasciando scappare l’inchiostro intrappolato da troppi anni. In pochi attimi le gocce di tristezza si trasformarono in un fiume in piena, il mio corpo era scosso dai singhiozzi.
Lei, la mia mamma, il MIO vero ed unico sole era morta. In un incedente banale, per un capriccio del destino.
Non ho mai pianto per la sua morte, ho sempre pensato che fosse una cosa… sbagliata, avrei tradito il suo desiderio: che nessuno, al mondo, piangesse. Ma ora, davanti ai ricordi, a quelle sensazioni che avevo deciso di accantonare per sempre in un angolo remoto del mio animo non potevo fare altro.
Con gli occhi offuscati dalle lacrime  continuai a leggere, il diario si interrompeva il 14 Marzo 2000, pochi giorni prima della tragedia.
Da ogni pagina trapelava l’amore che provava per noi, nonostante i disastri che combinavamo, le paure che le facevamo prendere, le bugie innocenti che le raccontavamo. Lei, semplicemente, ci amava.
Ora sapevo cosa sentiva una madre ad essere tale. Ma per me, cosa era?
Tutto.
Quando piangevo sentivo che lei sarebbe stata vicino a me, le sue dita, con quel anello d’oro tanto bello, avrebbero tolto le lacrime dai miei occhi, le sue braccia mi avrebbero stretto a se, il suo sorriso consolato semplicemente apparendo. Quando è morta io mi sono sentito finito. A soli dieci anni sentivo un peso massiccio sul cuore, lei se ne era andata.
Mi aveva salutato prima di uscire, trafelata, era in ritardo per il lavoro, colpa mia, avevo lasciato in disordine, un bacio sulla fronte e via.
Fortunatamente mi ricordavo ancora il suono della sua voce, il più dolce e melodioso, era come sentire mille campanellini suonare insieme, quando cantava si fermava tutta casa, pronti ad ascoltarla.
Alzai la testa, gli occhi arrossati, il piccolo oblò impolverato mostrava le nuvole tingersi di arancione, era il tramonto. Avevo passato tutto il pomeriggio qua dentro, a leggere, dato il marasma che ancora mi circondava. Con uno sbuffo esausto mi alzai, un colpo veloce di mano e le lacrime erano sparite, gli occhi rossi sarebbero stati facilmente giustificati con la polvere.
Uscii da quel luogo pieno di ricordi e portai giù i sacchi di cianfrusaglie che ero intenzionato a buttare, una per una, senza fretta iniziai a portarle fuori, dentro il bidone della spazzatura.
Al secondo giro spostai lo sguardo verso destra, mi dovetti bloccare, una figura piccolina si faceva pian piano più nitida, e non dovetti sforzarmi troppo per capire chi fosse: Leah.
Correva a velocità umana, anche se sembrava trafelata, agitata per qualcosa, quando me la ritrovai davanti stentai nel credere alla mia vista: sorrideva.
Non era un sorriso cinico, sarcastico o triste, era un sorriso… felice.
La fissai sospettoso, concentrandomi sugli occhi: brillavano eccitati.
Piegai leggermente la testa e notai solo in quel momento che teneva in mano una busta del supermercato, agitandola continuamente.
Si fermò davanti a me e mostrò il migliore dei suoi sorrisi.
-Sono arrivate!- esclamò portandomi davanti al naso il sacchetto. La guardai stranito, delle volte mi chiedevo se il fatto che lei parlasse solo con me fosse un segno… magari ero strano pure io.
-Chi, di grazia?- risposi scettico allontandomi un po’.
A quel punto, come per magia tirò fuori dalla sacca di plastica un pacchetto viola. Ancora più confuso spostai il mio sguardo dall’oggetto a lei.
-Ma come chi?! Le cose!! Quelle cose! Le mestruazioni, la settimana no, del ketchup,  ovulazioni, come diavolo le vuoi chiamare?!- mi ammonì ridendo. Sembrava veramente felice.
-Ti sono venute?- deglutii allarmato, se lei era nervosa in situazione di normalità, cosa potevo aspettarmi da una Leah in piena crisi ormonale?!
-Esatto!- un urletto di gioia uscì dalle sue labbra, non credevo che fosse capace di emetterlo come suono.
-Dio Lee-lee, promettimi che non mi scannerai- borbottai posando dentro il cassonetto la scatola stracolma.
Mi fulminò gelida aiutandomi con gli ultimi rimasugli: -Non provocarmi-
Risi e la feci entrare, fortunatamente non si era accorta che avevo pianto.
Mi gettai esausto sul divano e lei seguì il mio gesto con più grazia e portanza, wow, non credevo che una volta al mese, da quel giorno, sarebbe stata una gentile donzella.
Stemmo in silenzio per un po’, riflettevo su quello che avevo appena letto, il diario di mia madre. Con lei mi risultava facile stare così, semplicemente noi due, senza troppi problemi, dopo tutto quel caos con i vampiri italiani si era pian piano ripresa, certo, con gli altri si comportava sempre come la solita zitella scorbutica, ma con me era diversa. Più semplice, più Lee-lee.
Ad un certo punto si contorse sul divano, dolorante.
-Ai! Avevo dimenticato quanto facesse male- si lamentò portandosi una mano sulla pancia.
-Ti fa male?- chiesi incuriosito.
-Sì, parecchio- si strofinò il basso ventre, coprendoselo con un cuscino.
-E allora perché le volevi così tanto?- era una domanda banale, cioè, perché desiderare di soffrire per tutti i prossimi anni?
Lei non parlò, mi fissò sconvolta, poi scosse la testa rassegnata.
-Tu non puoi capire, sono cose da donna, io sopporto tutto questo per diventare mamma- spiegò semplicemente, con il tono pacato e tranquillo.
Mi bloccai mordendomi un labbro, il quadernino arancione stava sul tavolino, ero dannatamente tentato di prenderlo e leggerlo nuovamente.
-Ma è davvero così bello?-
-Non lo so, però ora è la cosa che più desidero, è …come sapere che alla fine della corsa ci sarà la vittoria, il sole alla fine della notte, non so di preciso come sarà, se mi piacerà, per ora lo voglio e basta- disse a bassa voce, stendendosi.
La sua faccia sognante e timorosa, quella paura che avevo percepito nelle prime righe scritte da mia madre, si incarnava nei gesti della mia amica, un po’ titubanti e insicuri, ma dettati da una forza primitiva, la più potente di tutti.
-Cosa hai Jake?- domandò curiosa tirandosi su con una smorfia.
-Tieni- avevo preso il diario ed ora glielo porgevo sicuro. Lei ne aveva molto più bisogno di me.
Mi guardò sbigottita, lo afferrò leggermente e lo aprì sulle sue gambe.
-Cosa è?- domandò sfogliandolo timida, come se avesse paura di romperlo.
-Un diario, credo ti servirà in futuro- spiegai con un’alzata di spalle.
Rimase così, leggendolo avida fino all’ora di cena, io l’osservavo in silenzio.
Avevo conosciuto molte mamme: mamme attive, mamme morte, mamme che sapevano amarti perfino attraverso pagine aride di un quadernino logoro; ma non avevo mai visto una mamma che doveva ancora nascere.
Forse sarebbe stato bello diventare madre, una cosa unica da come dicono tutte.
Un grido soffocato di Leah per il dolore del ciclo mi fece rabbrividire.
No, meglio lasciare il compito più difficile alle donne.
Non vorrei combinare guai.

Angolo autrice:
Ok, prendo fiato... Seconda classificata. Non ci credete? Nemmeno ioXD
Mi è piaciuto veramente tanto scrivere la ff, anche perchè sono tutti fatti realmente accaduti, o alla sottoscritta o ad amici^^
Non ho molto da dire, tranne che amo Sarah  alla follia, questa donna è la mia idolaXD
Basta stupidaggini, vi lascio al commento e vi chiedo come sempre di lasciare anche voi il vostro!




Seconda classificata: Princess of vegeta6 con Dal diario di una mamma
Livello ortografico: grammatica: (5) sintassi(5) 8
Lessico e stile (10) 8.5
Originalità (10) 9.5
Trama (10) 9.5
Personaggi IC (5) 5
Gradimento personale (5) 5

45.5/50

Giudizio: Partiamo dalla grammatica e la sintassi. Ho riscontrato qualche piccolo errore di battitura dovuto sicuramente alla distrazione, ad esempio: mettendoli broncio, asso di orbita, i suoi occhi colpi di terrore, allontandomi un po’.
Ho riscontrato anche alcuni errori sintattici e ad un certo punto dall’uso del singolare sei passata a quello del plurale.
Delle frasi sono difficili da capire cosa probabilmente dovuta a una correzione durante l’ultima rilettura e quindi poi non ricontrollata.
Ad un certo punto ho notato una parola che non ho mai sentito: sgrinfie. Magari ignoro io quel termine, ma sei sicura non sia una parola dialettale?
La storia è molto originale e il tema del contest è decisamente centrato.
Il fatto di parlare, però, di un personaggio a noi quasi sconosciuto, come Sarah Black, da un lato ti ha un po’ facilitato il compito, potevi più agevolmente delle altre scrivere un testo abbastanza introspettivo senza la paura di rendere i personaggi OOC.
Per questo, ho deciso di considerare la caratterizzazione di Sarah e non i personaggi di contorno.
Hai presentato il tutto molto bene e Sarah è semplicemente perfetta, grazie alla lettura del suo diario si riesce a comprendere, quasi in pieno, la sua personalità.
L’idea di far parlare prima Jacob, poi il diario ed infine la mamma l’ho trovato un punto a tuo favore, hai reso, così, la storia più convincente e l’’entrata in scena finale di Leah è stata semplicemente eccezionale(io adoro Leah e mi hai fatto sorridere con il dialogo tra lei e Jacob)
La tua storia mi è piaciuta molto, la trama è ben sviluppata, ma voglio chiederti una cosa che esula dal mio giudizio questa è semplice curiosità dovuta alla tua e-mail: quali degli avvenimenti che hai fatto raccontare a Sarah è successo realmente a te? Spero non quello di Rebecca XD
Comunque ancora complimenti^^
   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Ulissae