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Autore: Bianca Wolfe    11/06/2016    3 recensioni
Sono passati quarant'anni dall'ultima volta che Takao Kinomiya ha combattuto una battaglia a Beyblade. Da allora, molte cose sono cambiate, la disfatta è stata inevitabile. Quattro bladers hanno il destino di questo glorioso sport nelle proprie mani. (Attenzione! La storia è un rifacimento.)
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Dal terzo capitolo:
Max lo prese per un braccio, bloccandolo. «Aspetta, Tyler! Io non ci ho capito niente. Dove vuole portarci? Possiamo fidarci?»
«Secondo logica, non dovremmo… Ma io mi fido.»
«Come?» Chiese a quel punto Ray.
«Lo- lo sento e basta. Voi no?»
In effetti, c’era qualcosa di estremamente familiare nel volto del professor Kappa, anche Ray e Max dovevano ammetterlo a se stessi. Dopo un momento di esitazione, anche gli altri due si alzarono e seguirono il gruppo. Una sensazione strana aleggiava tra di loro, come se quel percorso l’avessero fatto insieme già tante altre volte, seppure si fossero appena conosciuti.
[...]
Appena entrati, fu Max a rompere il ghiaccio. «Dove stiamo andando, professore?»
«In un posto dove il Beyblade è ancora uno sport.»
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Professor Kappa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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VI.
 
 





«La BBA ritornerà al suo antico splendore! Bisogna solo rinnovarsi un po’, apparire sui media in modo da riemergere dalle ceneri e – soprattutto – convincere le autorità mondiali che vale la pena istituire nuovamente un torneo di Beyblade.»
            Il professore spiegò tutto ciò con ritrovata energia, fiero di poter ridar vita a una delle più importanti società sportive di tutti i tempi. Era un sogno che aveva covato per troppo tempo, e ora lo vedeva realizzarsi davanti ai suoi occhi.
            «Per fortuna abbiamo già una squadra. Avete solo bisogno di allenarvi con i nuovi beyblade, entrare in confidenza con loro e-»
            Kay si raddrizzò improvvisamente, interrompendo lo sproloquio di Kappa in malo modo. «Non si era mai parlato di squadra.» Con quelle parole, si avvicinò alla porta a grandi passi. Aveva già la mano sulla maniglia, pronto a uscire, quando l’anziano lo bloccò, ponendogli una domanda importante: «Capisco i tuoi dubbi, ragazzo. Ma vuoi davvero rimanere solo per tutto il resto della tua vita?»
            Il blader restò lì, fermo, la porta aperta a metà. «Finora mi sono trovato bene.» Fu un sibilo quasi impercettibile, quello che pronunciò a denti stretti.
            «Se ti fossi trovato davvero bene, non saresti nemmeno venuto a questo appuntamento. Kay, devi fidarti di me… Di noi. Se il progetto va in porto, dovremo essere come una famiglia. Non l’hai mai desiderata, una famiglia?»
            Il diretto interessato si voltò a fissare l’uomo con sguardo feroce. Aveva toccato un tasto dolente: vivere in quello sporco tugurio non era proprio il massimo… Ma, dopotutto, che alternative aveva? Nessuno aveva mai preso a cuore la sua situazione; nessuno si era mai dimostrato gentile nei suoi confronti; a nessuno era mai importato. Era sempre stato solo, sempre. Rimase immobile e in silenzio, gettando occhiate di fuoco. Per la prima volta da tanti anni, qualcuno aveva instaurato il dubbio, dentro di lui.
            Nessuno parlò, mantenendo viva quella cappa di silenzio che pesante era calata su tutti i presenti. Fu Kay il primo ad abbassare lo sguardo: non aveva idea di cosa fare… Il suo lato orgoglioso gli diceva di andarsene da quella stanza, di fuggire e tornare alla sua fortezza di carta senza dare spiegazione alcuna. Eppure c’era anche un’altra parte di lui, quella fragile che reprimeva in continuazione, che gridava. Gli intimava di restare, di cogliere al volo quell’occasione, perché forse il professore aveva ragione: poteva avere una famiglia, quelle persone potevano imparare ad accettarlo e viceversa. Ma era tartassato dai dubbi… Non riusciva a cambiare il suo io più profondo, quel suo rimanere in disparte, allontanando gli altri. Se fosse rimasto lì, gli altri dovevano farsene una ragione e lasciarlo in pace. Avrebbe tentato, ma solo per se stesso, per provare che il suo modo di vivere andava bene, nonostante tutto. E poi la prospettiva di un torneo di Beyblade era interessante. Avrebbe provato a tutti di essere il più forte, no?
            Lentamente, si avvicinò alla poltroncina accanto a Max, quella che prima aveva rifiutato, e si sedette.
            Il professore non poté che sorridere. «Perfetto, sono sicuro che sarà un successo!» Non aggiunse altro, guardandoli tutti e cinque, lì seduti sotto il suo sguardo pieno di lacrime di gioia. Era qualcosa di grandioso, quello; qualcosa che gli dava la carica per proseguire nel suo intento.
 
Parlarono soprattutto di come si sarebbe dovuto organizzare il torneo mondiale che avrebbe sancito il ritorno sulle scene della BBA. Ovviamente, sarebbe stato a carattere mondiale: il maggior numero di bladers avrebbe potuto meglio riportare alla gloria quello sport, facendo appassionare nuovamente tanti tifosi. Le squadre sarebbero state formate da almeno quattro elementi – come avevano fatto per molti tornei in passato: tre titolari e una riserva come minimo; il massimo sarebbe stato di sei componenti per squadra. Il problema principale, però, rimaneva quello di convincere le autorità a permetterlo, il torneo…
            I cinque ragazzi si congedarono dal professore e dal suo assistente, ritrovandosi fuori dall’edificio. Kay, senza pronunciare una parola, camminò via con passo deciso.
            «Che scorbutico!» Commentò Tyler a denti stretti, l’indignazione che gli deformava il volto.
            Leila guardò la figura allontanarsi lentamente verso il tramonto. «C’è qualcosa che lo turba…»
            «È un tipo a cui piace starsene da solo. Meglio lasciarlo stare per il momento, almeno finché non si scoglie.» Spiegò Ray con una scrollata di spalle.
            «Se si scoglie.» Aggiunse Max.
            «Sentite, io ho fame – e me ne andrò a mangiare con o senza quel tizio.» Tyler sembrava essersi ripreso pienamente dalla batosta del giorno prima. «Voi venite con noi?»
            Memori della promessa che avevano intenzione di mantenere (anche perché Max e Tyler davano l’aria di due tipi proprio simpatici), Ray e Leila si guardarono un momento negli occhi per capire se per l’altro andava bene oppure no, unirsi al duo di amici. Quindi, in coro risposero: «Certo!»
            «Perfetto! C’è una pizzeria in un vicolo di Times Square che è la fine del mondo. Ha un milione di gusti e-»
            Il moretto esibiva un sorriso smagliante, e parlò di condimenti di pizza per tutto il tragitto verso il locale. Era proprio contento che Ray e Leila venissero con loro: quei due gli piacevano, seppure non avesse ancora avuto modo di conoscerli per bene. Ma sentiva, in cuor suo, che poteva nascere una bellissima amicizia duratura.
            Arrivati in pizzeria, passarono la serata piacevolmente, tra chiacchiere, risate e scherzi. Tyler se la spassò a far divertire gli amici, gettando il salame della pizza di Max (perché il suo era sacro e nessuno aveva il permesso di toccarlo) contro coppiette snob e con la puzza sotto il naso. Si divertirono persino quando il blader ricevette una strigliata da una signorina la cui camicetta bianca era stata macchiata di sugo. La serata sembrò finire troppo presto, ma si era fatto tardi e la stanchezza iniziava a farsi sentire. In più la mattina seguente dovevano svegliarsi presto per andare alla sede della BBA: i primi allenamenti li aspettavano! Anche Leila era stata invitata da Kappa, anche se il motivo le era ancora ignoto.
            «Non siamo molto lontani da casa, quindi penso ci faremo una bella camminata per digerire.» Disse Max mentre uscivano dal locale.
            Tyler batteva allegro le mani sullo stomaco, segno che aveva fatto davvero una bella scorpacciata. Guardò poi con sguardo più serio i due nuovi amici, portando in un gesto imbarazzato la mano destra alla nuca. «Scusatemi per il mio comportamento di ieri, ragazzi. In realtà non sono quello. Di solito reagisco meglio a una sconfitta.»
            «Non preoccuparti. È comprensibile che fossi giù di corda.» Ray sorrise rassicurante, mentre Leila annuiva con vigore.
            Un taxi giallo sgargiante si fermò accanto a loro. «È il nostro.» Annunciò la ragazza rivolta a Ray. «Ci vediamo domani, ragazzi!»
            I due sparirono all’interno della vettura, salutando dal finestrino l’inseparabile coppia di amici, i quali s’incamminarono verso casa di Tyler. Avevano deciso che Max sarebbe rimasto da lui, quella sera; nonno Joe sicuramente aveva già preparato la stanza per gli ospiti.
            «Secondo te, diventeremo mai come loro
            La domanda si formulò all’improvviso sulle labbra del biondo. Tyler si voltò verso di lui, perplesso. Evidentemente non aveva capito a cosa si riferisse l’amico.
            Allora l’altro cercò di spiegarsi meglio: «Come i Bladebreakers… Saremo mai come loro?»
            A dirla tutta, stava ponendo quella domanda perché non si sentiva affatto all’altezza della situazione. Aveva paura di sbagliare, di non rendere onore a Max Mizuhara, di essere un completo e inesorabile disastro.
            Tyler si fermò, una mano avvolgeva il braccio dell’amico. Gli posò poi una mano sulla spalla, proprio come Max aveva fatto giusto il giorno precedente. «Lo siamo già.» Affermò il moro con un sorriso rassicurante. «Se così non fosse, perché il professor Kappa ci avrebbe cercato? Perché non altri? Vorrà pur dire qualcosa!»
            Max ricambiò il sorriso del suo migliore amico, e – senza aggiungere altro – i due continuarono a camminare per la loro strada.
 
Nel frattempo, Ray e Leila avevano abbandonato il taxi qualche isolato prima del loro arrivo per ripetere l’esperienza del giorno precedente: dopotutto, una passeggiata era il modo migliore per chiacchierare in privato, lontano dalle orecchie indiscrete del tassista. Stranamente, trovavano piacere l’uno nella compagnia dell’altro. Sentivano di potersi confidare a vicenda senza remore, senza la paura di essere giudicati.
            «Allora? Mary si fa ancora sentire?» Chiese Leila, animata da un particolare interesse (di cui non conosceva le cause) per quell’argomento.
            Ray sbuffò. «Sì… Il messaggio di stamattina è stato il peggiore tra tutti. Diceva che era urgente, che dovevo richiamarla al più presto. Non so più che fare!»
            «Forse dovresti ascoltare ciò che ha da dirti, valutare le sue parole e poi dirle quello che pensi.» Suggerì la ragazza, nonostante la visione di una Mary perfetta e bellissima si stagliò nella sua mente. Correva incontro a Ray, saltava tra le sue braccia… Era forse gelosia quella che invase all’improvviso il suo intero essere? Possibile?
            «Il problema è che non puoi mai sapere cosa accadrà, con lei. Non so come comportarmi… E se mi saltasse addosso? Non- non mi sentirei a mio agio. E poi il fratello è così protettivo, mi ucciderebbe! So difendermi, ma credimi… Quello è una furia.»
            Leila non rispose. Si strinse nelle spalle, avvertendo una fresca brezza accarezzarle la pelle scoperta: nonostante fosse estate, quella sera a New York faceva abbastanza freddo, e lei non si era portata nemmeno una felpa. Notando il quasi impercettibile movimento della ragazza, Ray le cinse le spalle con le braccia, in mancanza di una giacca. Leila rimase immobile, non osando voltarsi verso l’altro, il suo corpo s’irrigidì. I piedi dovevano muoversi da soli, perché lei non avverti il proprio cervello dare il comando. Pensò, anzi, di essere andata in blackout! Lui sembrò capire la tacita domanda che l’amica si stava ponendo mentalmente, al che disse: «Non voglio che tu prenda freddo.»
            La diciassettenne sorrise fra sé e sé, sciogliendosi un po’ tra le forti braccia del ragazzo. Doveva ammettere che era una sensazione piacevole, quella, Ray le trasmetteva calore… Una vocina, nella sua testa, le intimava di buttarsi, di non perdere tempo; ma Leila scosse la testa, come per scacciare via quel grillo fastidioso.
            «Tutto bene?» Chiese Ray, leggermente preoccupato da quella reazione improvvisa.
            Leila deglutì, dicendosi stupida in mente propria. «S- sì, tutto bene. Scusa…»
            La ragazza fu lieta di vedere il portone di casa propria, sentendosi in salvo almeno per quella volta.
            «Buonanotte.» Annunciò il blader, fissandosi i piedi in un gesto imbarazzato, lasciando che le braccia gli ricadessero lungo i fianchi. Quando alzò lo sguardo, lo posò sul vetro trasparente del portone, incapace di soffermarsi su quei profondi occhi nocciola che in quel momento lo stavano guardando. Attendeva qualcosa? Chissà, tutto ciò che Ray sapeva era che, se avesse intrecciato il proprio sguardo con quello di Leila, non si sarebbe trattenuto.
            Fu in quel preciso istante – mentre il ragazzo pensava e ripensava a come poteva fuggire da quella situazione – che avvenne: senza nemmeno pensarci, Leila lo baciò sulla guancia. Durò pochissimo, giusto quell’attimo per far sì che Ray si rendesse conto di ciò che stava accadendo. Ma mentre il suo cervello elaborava il nuovo dato, era già tutto finito.
            La ragazza biascicò un rapido “buonanotte”, per poi sparire all’interno dell’edificio e su per le scale. Non riusciva a respirare, mentre afferrava con mani tremanti le chiavi di casa. Nonostante fosse stato soltanto un breve bacio sulla guancia, quel contatto aveva suscitato un’emozione… Un’emozione… Non sapeva cosa fosse. Un desiderio, forse, che aveva paura di esaudire.
 
Mentre tornava al locale, le parole del professor Kappa continuavano a ripetersi nella testa di Kay, un loop infinito che lo infastidiva. Avrebbe volentieri percosso la propria testa contro un muro, se fosse servito… Ma non era ancora diventato così stupido. Entrando nella stanza, la porta cigolante che opponeva resistenza, sperava che il discorsetto propostogli dall’uomo svanisse nel nulla, come se non fosse mai accaduto. Niente di più lontano dal vero; anzi, la voce che rimbombava nella sua mente aveva alzato il volume.
            Era perché aveva accettato, vero? Era perché aveva detto di sì ai sogni stupidi di un vecchietto. Certo, in cuor suo – molto a fondo – voleva davvero far parte di una squadra, essere “normale”, avere una vita qualunque. Ma ne valeva davvero la pena? La sua esistenza era sempre stata un susseguirsi di cattivi eventi. Era un solitario, un vagabondo, senza casa e senza amici.
            E se quella fosse stata la sua occasione per cambiare le carte in tavola?
 
Una volta ritrovati tutti nell’ufficio di Kappa, il giorno seguente, l’uomo li guidò attraverso vari corridoi dell’edificio, finché non furono davanti a una porta bianca. Una volta aperta, si stagliò ai loro occhi un’immensa palestra, ricca di attrezzi di ogni genere adatti appositamente all’allenamento per bladers professionisti.
            Tyler, ovviamente, fu il primo a buttarsi. «Avanti! Chi vuole combattere?» Chiese mentre si avvicinava a una delle tre arene standard a loro fornite, la sua solita energia che sprizzava da tutti i pori. Con una risata, Max si avvicinò al beystadium, posizionandosi di fronte all’amico: una sfida amichevole sarebbe stata interessante, dopotutto.
            «Usate tutti gli attrezzi che preferite!» Annunciò il professore a voce alta, in modo da farsi sentire sia da Kay e Ray che da Max e Tyler. «Mi raccomando, però – attenzione. Non vorrei che vi faceste male proprio il primo giorno di allenamento! Per quanto riguarda te, Leila, seguimi. Ho una cosa da mostrarti.»
            I due abbandonarono la palestra, chiudendosi la porta alle spalle. Intanto, Kay e Ray si avvicinarono all’altra coppia per assistere all’incontro, sotto l’occhio vigile di Jordan – il quale era lì per raccogliere i primi dati.
            «Non vedo l’ora di provarlo!» Esclamò Tyler, cacciando dalla tasca dei pantaloni il suo nuovo bey. Il disco d’attacco di Dragoon emanò un certo bagliore, alla luce al neon della sala. Per Tyler, che aveva passato la nottata a esaminare l’oggetto in ogni suo minimo dettaglio, quel beyblade era semplicemente perfetto: era sicuro che con un compagno simile al proprio fianco, avrebbe sconfitto tutti i suoi avversari.
            «Hey, non sei l’unico!» Replicò Max, impugnando tra le mani il dispositivo di lancio, il bey già carico. Era pronto alla gara.
            «Tre…» Contò Tyler.
            «Due…» Continuò Max.
            «Uno…»
            «Lancio!» Gridarono i due sfidanti all’unisono, e le trottole invasero l’arena sottostante.
 
Il professore e Leila, intanto, stavano percorrendo l’ennesimo corridoio, diretti alla loro “riservatissima” destinazione.
            «So che non hai notizie della tua famiglia, ma… Tuo nonno? Sai come sta?»
            La domanda di Kappa era stata calcolata –  la ragazza se l’aspettava da un po’, a dire il vero. Sorrise sommessamente: dopotutto, suo nonno le aveva parlato (anche se solo per cenni) della sua esperienza ai mondiali di Beyblade, dove aveva per l’appunto incontrato il professore. «L’ultima volta che ho controllato, stava bene.» Rispose dunque, in maniera alquanto distaccata. In realtà, Leila controllava quasi tutti i giorni come stesse suo nonno Raul, e lui era forse l’unico membro della sua famiglia con cui parlava ancora… L’unico che la capisse, che non giudicasse la sua passione per quello sport. Lui e zia Julia – ma lei si era trasferita da anni. Non aggiunse altro e i due proseguirono senza scambiarsi neanche un cenno.
            L’uomo si fermò davanti a una piccola porta ingrigita. L’aprì senza remore, introducendo la ragazza in una stanza molto simile a quelle di sorveglianza che si vedono nelle serie tv: c’erano schermi dappertutto, grandi e piccoli, e macchinari, dei quali lei non aveva la benché minima idea di cosa potessero fare. L’anziano uomo la fece accomodare su una sedia girevole, mentre lui si avvicinava a uno scompartimento.
            «Voglio darti una cosa.» Annunciò, afferrando qualcosa dal mobile.
            Leila rimase ferma al suo posto, aspettando, finché il professore non si voltò porgendole un computer portatile dall’aria piuttosto vecchia, ma ben mantenuto. Non era molto grande e aveva una telecamera ad alta definizione incorporata. Fissò l’uomo con aria interrogativa.
            «Questo è il mio fidato computer.» Spiegò allora Kappa. «Qui c’è tutto, dagli inizi fino… All’incidente.»
            Fu in quel momento che Leila capì del cimelio che aveva tra le mani, e sgranò gli occhi dallo stupore: quel computer aveva circa settant’anni, e conteneva l’intera storia dei Bladebreakers. Ma perché il professore lo stava dando a lei? Non riusciva a formulare una frase di senso compiuto, guardava il computer ammaliata: voleva aprirlo, davvero; ma una parte di sé le sussurrava che non era giusto togliere un pezzo di vita così importante a quell’uomo. «Io- io non posso accettare.»
            Il professore le regalò un sorriso, come quello che un padre riserva alla figlia appena muove i suoi primi passi. Quella ragazza poteva apparire scontrosa, impulsiva e caparbia come la zia… Ma, in realtà, possedeva la modestia e la gentilezza del nonno. E in qualche tratto di questo suo carattere così vario… , Kappa riusciva a vedere anche se stesso. «Ieri mi hai chiesto se servivi solo per trovare Kay, ricordi?» Quando la ragazza annuì, proseguì il suo discorso: «Ti ho risposto che servivi a ben altro. Bene… Sappi che esiste anche una mia controparte. Qualcuno che mi assomiglia tanto e che ho bisogno in squadra, per completarla.»
            «Ah. Vuole che aiuti a trovarlo, non è così?» Sembrava delusa. Era decisamente delusa.
            «Leila… Leila, sei tu.»
            La diciassettenne si sentì sciogliere sulla sedia, le cui rotelle scricchiolarono. Inavvertitamente, si era mossa all’indietro e quasi stava cadendo, perdendo l’equilibrio. Puntò i piedi per terra e strinse forte il computer al petto, guardando Kappa come se fosse impazzito. Lei non poteva essere il suo… Il suo… «S- sa, avevo pensato che ci fosse qualcuno… Beh, come lei. Ma credevo sarebbe stato un maschio
            Il professore rise. «Oh, credo sia meglio così. Una ragazza in squadra è sempre meglio che cinque adolescenti pieni di testosterone che si fanno la guerra. Sono sicuro che riuscirai a tenere i piedi di quei ragazzi ben piantati per terra. Ma adesso, bando alle ciance! Iniziamo con la tua primissima lezione di teoria del Beyblade. Sono sicuro che sarai un’ottima allieva.»



Angolo dell'autrice:
Ci siamo! La squadra è al completo ora, non trovate? Leila alias di Kappa... Uno shock o una buona idea? Ah, se ve lo stavate chiedendo: sì, nonno Raul e zia Julia sono esattamente chi pensate voi - i mirabolanti gemelli Fernandez.
Ho deciso di giocare un po' con gli alberi genealogici, in questa versione della storia.
Un'altra cosa che volevo chiarire è quella delle età delle controparti, perché ho trovato di essere stata un po' confusionaria al riguardo. Per chiarirci: Kay e Ray hanno diciotto anni; Tyler e Leila diciassette; Max sedici. Sì, Max è il bambino del gruppo... Ma forse è anche il più maturo e posato, il più delle volte.
D'accordo, vi ho preso fin troppo tempo con questo mio straparlare! Ci vediamo al prossimo capitolo ;)

Bianca

   
 
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