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Autore: Crilu_98    12/06/2016    3 recensioni
Primo capitolo de "THE WALKER SERIES"
Wyoming, 1866.
Russell 'Colt' Walker sa bene cosa significa sopravvivere: da quando la Guerra Civile è finita, lasciandogli in dono ferite più o meno visibili, non ha fatto altro. E come lui molti altri dipendenti della Union Pacific, una delle due compagnie incaricate di costruire la First Transcontinental Railroad, la ferrovia che unirà le due coste dell'America. Un progetto grandioso che si scontra con la povertà, i soprusi, la fatica e le malcelate ostilità dei numerosi e variegati lavoratori.
La vita di Russell subisce una decisiva svolta quando gli indiani Cheyenne, decisi a difendere i propri territori, scendono in guerra: tra loro c'è una ragazza che, oltre a far riaffiorare ricordi che credeva perduti, scatena in lui anche un forte istinto di protezione e qualcosa simile all'amore. Ma mentre il loro legame si stringe sempre di più, la situazione tra indiani ed uomini bianchi precipita... Quanto è disposto a rischiare per proteggerla?
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento, Secessione americana
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- Questa storia fa parte della serie 'THE WALKER SERIES '
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Dopo una settimana di notti insonni e di scatti improvvisi al minimo rumore sospetto, Abraham mi prese da parte e mi chiese a muso duro:
-Si può sapere che ti prende? La tua mano scivola verso la pistola molto più spesso di quanto dovrebbe, Walker!-
Mi guardò con severità: sebbene fosse abituato alla violenza, il mio amico la aborriva con tutto sé stesso ed era uno dei pochi che la domenica presenziava con costanza alla messa.
-Dimmi un po', non penserai davvero di uccidere King?- domandò poi abbassando la voce.
-Ma come ti viene in mente?- sbottai, poi sospirai:
-Ho visto degli indiani, l'altra notte.-
-Cazzo! E cosa aspettavi a dircelo!?-
-Erano lontani, Abe, sulle colline, ed erano solo in tre. Forse erano stati mandati in avanscoperta, forse si erano allontanati per cacciare... Quel che è sicuro è che adesso sanno che siamo qui e non ci metteranno molto a scendere sul piede di guerra.-
Abe si grattò la barba, pensieroso, e non rispose subito.
-Non puoi comunque ridurti così. Se continui a logorarti nell'attesa di veder arrivare il pericolo, quando sarà il momento i pellirossa ti coglieranno di sorpresa. E poi non è detto che non cerchino prima una soluzione pacifica: non gli conviene attaccarci, se non vogliono tirarsi addosso l'ira della popolazione americana!-
Io annuii e promisi che mi sarei rilassato almeno un po', ma non ci contavo molto: da quando la guerra era finita il senso di allerta non mi aveva mai abbandonato e di certo non sarei riuscito a tenerlo sotto controllo ora che prevedevo un attacco imminente.
Quella sera, con l'intento appunto di farmi rilassare, Lee e Chuck mi trascinarono nel bordello. Attorno al campo si muovevano centinaia di individui che con la ferrovia non c'entravano affatto: prostitute, preti, fuorilegge, perdigiorno... Tutti erano attratti da ciò che l'accampamento poteva offrire e si accampavano, chi da una parte, chi dall'altra, fino a formare la versione malandata di una città. Probabilmente se gli investitori di Chicago e di Washington avessero visto che razza di gente aveva in mano il destino della loro preziosa ferrovia sarebbero inorriditi.
L'obiettivo di Lee e Chuck era far conoscere al timido ed inesperto Javier le meraviglie dell'universo femminile e, al tempo stesso, spendere lì quei pochi soldi che non avevano dilapidato in whiskey. A differenza di Abraham, che considerava la prostituzione alla stregua della schiavitù, io apprezzavo la compagnia di quelle ragazze dalle forme generose ed invitanti, che potevano appagarmi anche per tutta la notte; il problema sorgeva quando iniziavano a fare domande. Al campo ero famoso come "Colt" e la mia reputazione di tiratore si era sparsa in fretta da quando, per scommessa, avevo centrato una bottiglia posta a sette iarde* di distanza, ma avevo cercato di mantenere un basso profilo per quanto riguardava la mia ferita. L'avevo vista con i miei occhi una volta sola, ma avevo percorso il suo bordo frastagliato migliaia di notti e diventavo nervoso se una puttana la sfiorava o, peggio, iniziava ad accarezzarla: sapevo che doveva essere orribile a vedersi e gesti del genere mi davano la nausea. L'ultima volta mi ero rialzato e rivestito in fretta, pagando però quanto avevamo pattuito ed ero uscito, respirando a pieni polmoni l'aria fresca della notte, mentre le mie mani si contraevano nervose sopra la Colt che portavo con me.
Per questo mi rifiutai di entrare nel bordello con i miei compagni e bighellonai verso i limiti del campo, seguendo le rotaie che erano già state posizionate. Avevamo percorso molte miglia dalla prima posa ad Omaha, Nebraska: le rotaie all'orizzonte convergevano in un'unica linea e scintillavano argentee nell'oscurità. Un fruscio e un'ombra acquattata nei cespugli risvegliarono i miei sensi: senza neanche pensare impugnai la pistola e la puntai verso gli alberi, ringraziando poi il Signore che avessi l'abitudine di portarla sempre carica e pronta all'uso. In quel momento non avrei avuto tempo, infatti, di infilare la polvere nella canna.
-Ho sei colpi in canna e sono pronto a scaricarteli addosso se non ti fai vedere subito!- ringhiai, sperando con tutto il cuore che fosse un operaio ubriaco attardatosi in mezzo alle frasche. Invece la figura che sbucò dalla boscaglia mi ghiacciò il sangue nelle vene. Non perché la ragazza che mi osservava con curiosità e paura fosse spaventosa, no, tutto il contrario: ma anche alla luce scarsa della luna potevo notare la tunica in pelle di bisonte, la pelliccia di lupo che le copriva le spalle e le piume che portava infilate nei capelli. Era un'indiana.
Dopo il primo momento di sconcerto la osservai meglio e capii che c'era qualcosa di strano in lei: sebbene la carnagione scura, i capelli neri e lisci e l'abbigliamento non lasciavano dubbi sulla sua appartenenza ad una tribù indiana, i suoi lineamenti non erano schiacciati ed allungati come quelli di molti nativi americani, ma più simili a quelli degli europei. Quando incontrai il suo sguardo, poi, rimasi sbalordito e la mia presa sulla pistola tremò: quella donna aveva degli occhi azzurri che brillavano inconfondibili nell'oscurità! Rimanemmo a fissarci in silenzio per qualche altro istante, poi chiesi:
-Chi sei?-
Lei scosse la testa, facendo segno di non capire. Mi scrutò a lungo, piegando la testa di lato, così che io potei vedere una macchia scura sul collo, sotto l'orecchio sinistro.
"Un tatuaggio." pensai, ma da quella distanza non riuscivo a capire cosa rappresentasse.
-Chi sei?- chiesi di nuovo, incuriosito -Cosa ci fai qui?-
La ragazza sembrò riscuotersi da una sorta di torpore e spalancò gli occhi azzurri, puntando la sua attenzione sulla mia Colt. Non feci neanche in tempo ad abbassarla, che lei era nuovamente sparita tra gli alberi.
Tornai al campo scosso, girandomi a controllare ogni due passi per paura di essere sorpreso alle spalle. Lee, Chuck e Javier non erano ancora tornati, mentre gli altri dormivano profondamente: se li avessi svegliati per raccontare del mio incontro con una ragazza indiana dagli occhi azzurri mi avrebbero creduto ubriaco e dopo avermi insultato si sarebbero rimessi a dormire. Perciò rimasi seduto davanti alla mia tenda a riflettere, come instupidito. Cosa ci faceva quella ragazza lì? Era forse il segno che gli indiani erano più vicini di quanto pensassimo? Ma no, non si sarebbero mai portati dietro una donna, se avessero voluto attaccarci. Ma allora perché? E perché aveva gli occhi azzurri?
Il pensiero di quelle iridi limpide e vivaci mi rendeva inquieto, era un'anomalia che non mi riuscivo a spiegare. Per la verità, tutto l'incontro mi sembrava irreale, e iniziai a pensare di essermelo sognato.
"Eppure stasera non ho bevuto neanche un goccio di whiskey!"
Con pensieri simili, mi appoggiai al palo della tenda e mi addormentai.
 
La mattina dopo mi svegliai indolenzito e di cattivo umore: la schiena mi doleva per la scomoda posizione in cui avevo dormito e la giornata di lavoro si prospettava pesante ed interminabile.
Mi stavo dirigendo verso gli scavi, quando Eric Collins si avvicinò scuro in volto: aveva una folta barba bruna e portava sempre un cappello malandato, perciò nell'insieme il suo aspetto era poco rassicurante.
-Che succede, Collins?-
-Gli indiani. Sono arrivati e vogliono trattare.-
In breve tempo ci radunammo tutti vicino alla ferrovia, dove il generale Dodge, con l'uniforme trasandata e la barba non fatta per il brusco risveglio, stava soppesando la delegazione indiana.
Erano sette uomini in tutto, tre anziani con i copri capi di piume di corvo e quattro giovani guerrieri dal corpo dipinto. Accanto al cavallo di uno di loro sostava la ragazza che avevo incontrato la sera prima: accarezzava dolcemente il muso dell'animale e osservava gli uomini bianchi davanti a lei senza timore, anzi, sosteneva le nostre occhiate con fierezza.
Uno dei capi si fece avanti con i palmi aperti verso l'alto, in segno di pace, e lei si affrettò a seguirlo: quando egli iniziò a parlare, infatti, fu lei a fargli da interprete. Nell'udirla parlare in inglese mi sfuggì uno sbuffo innervosito:
"Quindi ha fatto solo finta di non capirmi!"
-Lui è Viho, uno dei saggi della nostra tribù. Viho vi chiede cosa state facendo alla nostra terra.-
Dodge sembrava in difficoltà, ma rispose con il massimo della fermezza:
-Stiamo costruendo una ferrovia, dillo al tuo capo: porterà grande fortuna al popolo dei Cheyenne.-
Lei si voltò e riferì perplessa all'anziano.
-Non sappiamo cosa sia questa... Ferrovia. Ma se l'uomo bianco dice che porta fortuna, significa che porterà molto oro all'uomo bianco e molta sventura ai Cheyenne, perché così è per le cose che l'uomo bianco costruisce. E i nostri padri hanno stretto un accordo con gli uomini bianchi: queste terre appartengono al nostro popolo finché l'erba continuerà a crescere e l'acqua a scorrere!-
Sentir risuonare nella voce di quella ragazzina le parole del trattato che garantiva ai nativi il possesso di gran parte del Kansas e del Nebraska fece perdere del tutto la pazienza al generale.
-Questa è la strada più veloce per far passare il treno quindi continueremo il nostro lavoro, che vi piaccia o no! Ho degli ordini da rispettare e una ferrovia da costruire... Perciò ora andatevene!-
Nell'ascoltare quelle parole cariche d'ira il vecchio Viho chinò il capo, mentre i guerrieri si agitavano irrequieti sui cavalli; quando il saggio riprese a parlare, la sua voce vibrava di minaccia. La ragazza fissò Dodge con uno sguardo di ghiaccio che lo mise a disagio e scandì bene le ultime parole:
-Avete mancato di rispetto alla vostra parola e al popolo dei Cheyenne. Tutto quello che ora accadrà ve lo siete procurato con il tradimento e la menzogna.-
La tensione era palpabile ed io strinsi di riflesso le dita sulla Colt che tenevo nascosta sotto la giacca. Ma dopo qualche istante di silenzio la ragazza salì sul cavallo di uno dei guerrieri e il vecchio Viho montò a fatica sul suo pony; la delegazione si allontanò ignorando i fischi e le urla di scherno degli operai e in breve tempo sparì oltre gli alberi.
Il lavoro riprese in fretta, visto che eravamo già a metà mattinata e mentre picconavamo l'argomento della discussione erano, ovviamente, gli indiani.
-Pensate che ci attaccheranno subito?- chiese Chuck, imprecando nel tentativo di smuovere un masso incastrato nel terreno.
-Il tempo di radunare la tribù e ce li troveremo addosso, ve lo dico io!- sbuffò Lee. -E l'esercito troverà i nostri scalpi!-
-Lee, stai spaventando il ragazzo!- lo rimproverò Abraham, indicando con il piccone un pallidissimo Javier.
-Fa bene ad essere spaventato, cazzo! Anche io lo sono! Avete visto come digrignavano i denti quei selvaggi? Morivano dalla voglia di saltarci addosso!-
-Secondo voi chi è quella ragazza?-
Ci fermammo tutti un istante, stupiti, rischiando di attirarci l'ira di King: Kasper Nowak rispondeva sempre a monosillabi, tanto che spesso ci eravamo chiesti se sapesse parlare l'inglese. Non era mai successo che intervenisse spontaneamente nei nostri discorsi. Il primo a riprendersi fu Bryan Linch, che si grattò il mento pensieroso:
-Bella domanda, Nowak... Forse è una ragazza europea che hanno rapito!-
-Ma sei scemo?- lo apostrofò suo fratello John, dandogli uno schiaffo sulla nuca per incitarlo a riprendere il lavoro -Non hai visto la sua pelle? E i capelli? Ha sangue indiano nelle vene!-
-Forse è una delle loro streghe, allora!- esclamò Jacob, quasi facendosi il segno della croce.
-Non ti ci mettere anche tu, Fano!- sbottò Abraham -No, quella ragazza mi ricorda qualcuno...-
-Chi?- chiesi, incuriosito. Fino a quel momento non avevo voluto intervenire per non tradirmi ed essere poi costretto a raccontare del mio incontro con l'indiana... Quel pensiero, non so perché, mi ossessionava. Abe sospirò:
-Nel Sud gli schiavi si dividevano in due tipi: quelli che stavano in casa e quelli che stavano nella piantagione. Le donne di casa, beh, non era raro trovarle nel letto del padrone! E nella fattoria dove lavoravo io c'era una bambina che aveva i lineamenti dei neri, ma la carnagione più chiara della nostra e due occhi verdi, tali e quali a quelli del padrone!-
-Stai dicendo che è una mezzosangue?- chiesi, affascinato.
-Sì, io credo di sì. Questo spiegherebbe anche perché sa parlare l'inglese...-
-Parlare, bah! Sa qualche parola, ma non credo che riuscirebbe a sostenere un discorso con noi!-
Gli indiani furono motivo di preoccupazione e discussione per qualche giorno, poi la nostra attenzione fu assorbita dal percorso da tracciare, e non se ne parlò più. Almeno fino a quando, qualche settimana dopo, non fummo svegliati dallo sbraitare del generale Dodge, che bestemmiava ed imprecava in tutti i modi sconosciuti.
-Ma che ha da urlare in questo modo?- chiesi ad una prostituta che fermai per la strada.
-I Cheyenne hanno attaccato i carri del rifornimento. Sono morti tutti.-
"E così è questo il loro piano." pensai "Non attaccano il campo, preferiscono prenderci per fame e per disperazione!"
E senza quasi rendermene conto, iniziai a pregare il Signore affinché l'esercito si desse una mossa ad arrivare in nostro soccorso.
   
 
* una iarda è un po' meno di un metro... Sono totalmente ignorante in fatto di armi da fuoco, perciò chiedo scusa in anticipo se la distanza è esagerata o, al contrario, troppo piccola.
 
 
Angolo Autrice:
Gli indiani sono arrivati, e Russell ha incontrato da vicino un membro molto particolare della loro delegazione... Cosa succederà ora che le contrattazioni pacifiche sono saltate?
Ho due piccole precisazioni storiche da fare.
Quando Russell dice di non avere tempo di caricare la pistola con polvere da sparo è perché fino al 1873 le pistole erano "ad avancarica", ovvero la polvere andava infilata nella canna e non nel cane. Ciò rendeva il loro utilizzo più difficile (specie con le mani bagnate) e più lento, sebbene i modelli che disponevano di più colpi in canna (come la Colt in questione) permettessero comunque una certa autonomia durante lo scontro.
Il generale Dodge, poi, è una figura storicamente esistita e il cui contributo è stato fondamentale alla Union Pacific; purtroppo le notizie su di lui sono molto scarse (su Internet ho trovato giusto il nome e una sua foto) e quindi per la mia storia lavorerò di fantasia.
Che ne dite del secondo capitolo? Aspetto le vostre recensioni e nel frattempo ringrazio OldKey che ha già recensito il primo capitolo :)
A presto
 
Crilu  
   
 
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