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Autore: keska    15/04/2009    31 recensioni
Tranquilli è a LIETO FINE!
«Perché… anche la pioggia, sai» singhiozzai «anche la pioggia tocca il mio corpo,
e scivola via, non lascia traccia… non… non lascia nessuna traccia. L’unico a lasciare una traccia sei stato tu Edward…
sono tua, sono solo tua e lo sono sempre stata…».

Fan fiction ANTI-JACOB!
E se Jacob, ricevuto l’invito di nozze non avesse avuto la stessa reazione? Se non fosse fuggito? Come si sarebbe comportato poi Edward?
Storia ambientata dopo Eclipse. Lupacchiotte, siete state avvisate, non uccidetemi poi…
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Eclipse, Breaking Dawn
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'CULLEN'S LOVE ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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-Vieni, muoviti, non c’è nessuno- sussurrai a Edward mentre sbirciavo con fare circospetto fuori da casa copertina

Capitolo riveduto e corretto.

 

«Vieni, muoviti. Non c’è nessuno» sussurrai a Edward mentre sbirciavo con fare circospetto fuori da casa.

Lui sbuffò. «Ma guarda che se la tua vicina ti ha fatto gli auguri per il matrimonio non te li farà di nuovo» tentò di convincermi.

La mia vicina di casa mi aveva sorpresa - due giorni prima - mentre prendevo la posta, e mi aveva fatto gli auguri per il matrimonio, facendosi sentire da tutto il vicinato. Da quel giorno mi ero rinchiusa in casa. Uscivo solo per andare all’università o a casa di Edward, ed era proprio lì che stavamo andando adesso.

Lo guardai di sottecchi. «No che non me li rifarà, ma farà “Lo Sguardo”» dissi, decisa, arrossendo appena sulle guance. Lo sapevo che stava per prendermi in giro, ma non per questo avrei certamente cambiato idea.

Edward aggrottò le sopracciglia, perplesso. «Lo Sguardo?».

Sollevai gli occhi al cielo, esasperata. «Sì, Lo Sguardo…» sostenni con decisione. «Prima ti guardano in faccia. Poi, lentamente, fanno scivolare lo sguardo sulla mia pancia, e poi, di nuovo, velocemente, ritornano su, per non farsi scoprire quelle pettegole!» dissi, simulando il tutto, «non posso neppure ingrassare, capisci?!» esclamai, lievemente isterica, provando a far valere le mie ragioni per sentirmi meno ridicola.

«Bella» fece Edward, afferrandomi per le spalle e inchiodandomi con lo sguardo «secondo me stai esagerando».

«Nient’affatto!» protestai, incrociando le braccia sul petto e arrossendo. «Te l’avevo detto che tutti avrebbero pensato che fossi incinta!». E, solo per ripararmi dal suo sguardo accusatore e sentirmi meno ridicola, mi volsi ancora verso la porta, sbirciando.

Gli inviti del matrimonio, firmati tutti, ad uno ad uno - finché Edward non aveva deciso di salvarmi - di mio pugno, erano stati spediti ai nostri amici, rendendo l’evento di pubblico dominio. Ma mentre i miei amici - pur pensandolo, forse - non mi avevano fatto capire che credessero fossi rimasta “incastrata”, lo stesso trattamento non mi era stato riservato dagli altri compaesani. A partire dai vicini e i colleghi di lavoro di mio padre. Mia madre, poi, sulla scorta della sua esperienza personale, mi aveva fatto tutta una cultura su Lo Sguardo. Per questo adoravo rintanarmi in università, dove nessuno mi conosceva e tutti si facevano gli affari propri, o a casa Cullen, dove tutti conoscevano la verità - pur con Emmett pronto a sfottermi e Alice a usarmi come modella personale.

«Ah!» urlacchiai richiudendomi la porta alle spalle.

«Cosa?» fece Edward, sollevando un sopracciglio.

«La vicina…» sussurrai con gli occhi sgranati. Era uscita per prendere il giornale.

Sbuffò.

Afferrai degli occhiali da sole che mi aveva regalato Jessica, ringraziai il suo gusto estroso per averli presi così grandi, e il suo lato sconsiderato per avermi regalato degli occhiali da sole in una città perennemente annuvolata, e mi nascosi nel mio trench, coprendomi per bene la pancia. Trattenni il respiro, poi presi Edward per una mano e lo trascinai, o meglio, si fece trascinare, a passo svelto per il vialetto. Oltrepassai il cortile, dribblai il taglia-erba e mi precipitai al pick-up. Mi infilai dentro e espirai, lasciandomi andare sul sedile.

Lui, al mio fianco mi guardava di sottecchi.

«Bella» disse a mo’ di rimprovero.

«Mi ha vista?» sussurrai.

«Ma cosa vuoi che ne sappia… Cosa importa quello che pensano gli altri?».

Gli lanciai uno sguardo eloquente. Che lui fosse un centenario abituato alle consuetudini del suo secolo, dove sposarsi così giovani era normale, gli altri non lo sapevano, e io, soprattutto, non appartenevo a quel mondo.

Sbuffò. «No, non ti ha vista, contenta?» esclamò esasperato.

Gli rivolsi un’occhiata. «Edward» cominciai, «ne abbiamo già parlato. Io… mi vergogno, va bene?».

«Ti vergogni del nostro matrimonio» balbettò, e seppi di averlo offeso.

Un po’ pentita per il mio comportamento presi una sua mano fra le mie. «Per favore. Lo sai che non è così. Ehi. Io ti voglio sposare perché ti amo, e, ora…» deglutii «alla luce di quello che è successo, lo voglio più di prima, perché niente ci separi. Ma… la vicina mi guarda la pancia!» esclamai, isterica.

Sorrise a mezza bocca, voltandosi a guardarmi. «Sarebbe così orribile essere incinta di me?».

Inebetita, rimasi ferma a fissarlo. Non mi aveva mai posto una questione simile.

Scosse il capo, sorridendo appena. «Andiamo, Bella. Andiamo e basta».

Silenziosa, obbedii al suo ordine, troppo sgomenta e in imbarazzo per parlare. Infilai la chiave nella toppa e girai. Il pick-up emise un suono strozzato che andò a scemare. Girai di nuovo la chiave. Stessa reazione, con l’aggiunta di uno scoppiettio e un singulto. Poi più nulla.

«Questo doveva essere il suo ultimo sospiro» constatò Edward, mascherando in un accesso di tosse una risata.

Sgranai gli occhi. «Cosa?!» esclamai stridula. Per una delle clausole del matrimonio il pick-up andato equivaleva a una macchina nuova. Tentai inutilmente di farlo ripartire, ma questa volta non dava nessun segno vitale. «E’ morto…» sospirai esterrefatta.

Il sorriso di Edward, finora composto e pacato, si era trasformato in un ampio ghigno.

«Non è ancora detta l’ultima parola, possiamo provare a rianimarlo» dissi speranzosa, tentando in tutti i modi di non andare incontro a quella sorte funesta: farmi  comprare una macchina nuova fiammante a millemila cavalli da lui.

Mi fissò con uno sguardo innocentemente triste. «Credo non ci sia più niente da fare».

«No, no, e no!» mi intestardii.

«Bella, perché ti ostini? E’ morto. Ora del decesso 10:47» disse guardandosi l’orologio con aria solenne.

Lo afferrai per le spalle, nonostante io fossi piccola e minuta e lui uno statuario vampiro. «Non è morto, ok? Ha solo avuto un infarto. Ora gli facciamo una respirazione bocca a bocca, un massaggio cardiaco e vedi che riparte!» esclamai, cercando di convincere più me stessa che lui.

Passammo un’ora buona a tentare di riparare il mezzo. O meglio Edward tentava di riparare, io mi limitavo a estrarre pezzi dal muso del mio vecchio amico pick-up chiedendo “guarda?”, “forse è questo?”, “oppure questo qui”, “questo cos’è?”. Edward mi accontentava sempre, spiegandomi - inutilmente s’intende - tutto il funzionamento dei vari pezzi, e nonostante avrebbe preferito andare immediatamente a comprare una macchina nuova fiammante, controllava ogni aggeggio che gli mostravo.

«Non lo so Bella… Per me è completamente andato. Credo sia il motore» sospirò infine.

«Questo qui?» chiesi indicando un pezzo centrale abbastanza grosso e sporco.

«Sì, “questo qui”» fece Edward, trattenendo un sorriso, pulendosi le mani su una pezza. Nonostante la sua del tutto sovrumana capacità di non sporcarsi, ero riuscita, indicando e porgendogli pezzi, ad imbrattare sia la mia che la sua camicia.

«Non si può riparare?» chiesi speranzosa, per nulla incline a demordere.

Mi fissò affranto. Tanto lo sapevo che dentro di se era contentissimo, si poteva risparmiare la pantomima.

«Per favore, Edward. Fai finta che ti importi qualcosa. Lo so che è un catorcio, ma ci sono affezionata. È un regalo di mio padre».

Alzò gli occhi al cielo. «E va bene, portiamolo da Rose».

Tre ore dopo ero nel garage di casa Cullen e Rose, con una bella tuta attillata da meccanico, smanettava nel muso del mio pick-up.

«Bella, non vuoi venire a mangiare qualcosa?» mi chiese Edward accarezzandomi una guancia.

«No…» sussurrai imbronciata.

Rose sospirò, pulendosi le mani su un’asciugamani. Anch’io ero ancora più imbrattata di prima, ma in quel momento non m’interessava, visto che ormai le condizioni del mio mezzo si erano rese evidenti. «E’ morto» diagnosticò infatti «condoglianze».

Un brivido mi fece fremere dalla testa ai piedi. Avevo appena pensato che, se Jacob fosse ancora mio amico, avrebbe certamente trovato un modo per riparare il mio amato pick-up. Rosalie era abituata alle macchine sportive, e quando un pezzo si rompeva di certo non lo riparava correndo il rischio che si rompesse di nuovo: semplicemente ne comprava un altro. Ero sicura che lui, invece, quello che era stato il mio meccanico personale, avesse più confidenza con quel tipo di mezzi.

Avevo dunque nostalgia di Jacob?

No. Con mia sorpresa, constatai di no. Avevo malinconia di quello che era stato il mio vecchio amico, ma non speravo certo nella presenza di quello che era ora: era diventato come un cancro, come delle mie stesse cellule che, impazzite, mi si stavano ritorcendo contro, minacciandomi.

«Ehi» mi chiamò Edward, vedendomi silenziosa e pensosa «è morto di vecchiaia dopo una vita lunga e felice» scherzò, provando a farmi sorridere.

Scossi il capo, ricacciando indietro le lacrime. Sorrisi appena. «Certo. Sei contento, vero? Non è necessario che fingi di non esserlo».

«Sono dispiaciuto che tu sia triste per il tuo pick-up. Ma, sì. Sono contento di poterti regalare finalmente qualcosa».

Feci una smorfia. «Non possiamo aspettare dopo il matrimonio?».

Sollevò un sopracciglio. «E fino ad allora ti farai scortare dalla volante di tuo padre?».

Emisi un gemito al solo pensiero. «No, certo che no» ovviai «mi porti tu».

«E quando sarò a caccia? O quando ci sarà troppo sole?».

Mi morsi un labbro. «Perché, hai intenzione di lasciarmi sola?» mormorai, provando a scherzare e nascondere la paura che celavano quelle parole.

Sospirò, carezzandomi una ciocca di capelli. «No, certo che no. Ma un’auto ti serve, Bella. Avevi promesso».

Sollevai gli occhi al cielo, portandomi le mani a coprirmi il viso. «E va bene, dannazione» concessi, seppur riluttante.

Fu quando spostai le mani per guardarlo che scoppiò a ridere.

«Cosa?» esclamai, sorpresa.

«La tua faccia» sorrise, provando a trattenersi.

Mi guardai i palmi della mani, e capii: erano completamente unte di grasso.

Afferrò i miei polsi, allontanando le mani dal mio e suo corpo perché non facessi altri danni. «Bella, io direi che converrebbe fare una doccia. Che ne dici?».

Mi morsi un labbro, sorridendo e avvicinandomi alla sua bocca. «Vuoi dire che vieni con me?».

«Ah» sospirò, un mezzo sorriso trattenuto. Si avvicinò alle mie labbra «non saprei. Non avevamo un patto?» alitò sul mio viso.

Annullai quella distanza, baciandolo. «Tu sei troppo fissato, con questi patti» ansimai quando si staccò da me. «E nessuno ha detto che li infrangeremmo…».

Mi sorrise. «Mi piacerebbe, ma mi sembra che io abbia una commissione da fare».

Sgranai gli occhi. «Di già?! Cioè, intendi… ora?».

Sorrise euforico. «Certo, ora. Vai a fare quella doccia. Quando tornerai, avrai la tua bellissima nuova auto».

«Ma…».

«I patti sono patti».

«Se lo dici ancora una volta ti uccido» lo minacciai.

Rise. «Vedrai, ti piacerà».

«Non ne dubito» brontolai sarcastica, saltando giù dal tavolo su cui mi ero seduta. «Ah, Edward» lo richiamai, prima che potesse scomparire in un attimo dalla mia vista. «Solo una cosa, per la mia auto».

Sollevò un sopracciglio, sorpreso. «Dimmi».

«Finestrini oscurati. Se devo andare in giro con una macchina da Hollywood almeno che non possano chiedersi se che la guida è la provincialotta incinta!».

Mi fissò, con aria di sfida. «Ripeto: sarebbe così orribile essere incinta di me?».

Ma prima che potessi ribattere mi ero già strozzata con la mia stessa saliva, e Edward era corso via da me.

 

Bussai alla porta della stanza di Alice.

«Certo che puoi usare il mio bagno, ti ho già preparato dei vestiti puliti» disse rispondendo alla mia domanda non formulata e invitandomi ad entrare con un occhiolino.

Distogliendo velocemente lo sguardo dall’immane quantità di addobbi, pizzi, tovaglie, vestiti, merletti, fogli e inviti, mi feci uno spazietto nell’ingresso, chiudendomi la porta alle spalle. Adesso capivo Jasper quando mi diceva che l’avevo cacciato dalla sua camera. «Grazie Alice» balbettai, sforzandomi di sorpassare una montagna di tulle senza sporcarlo.

Mi sorrise. «Dovere. Ricorda che a pomeriggio dobbiamo provare il vestito, non puoi sporcarlo».

Sollevai gli occhi al cielo, facendo una smorfia a tutte quelle decorazioni. Il solo pensiero del mio matrimonio mi faceva venire la nausea. Lì non mi sarei affatto potuta nascondere da sguardi indiscreti.

«Senti, Alice…» cominciai, mordendomi un labbro, quando finalmente arrivai alla porta del bagno.

Scosse il capo, decisa. «No, Bella. Non posso dirti niente».

«Oh, ti prego. In nome della nostra amicizia. Cosa ti costa?».

Sollevò un sopracciglio. «Mi costa il fatto che, se ti do un qualsiasi dettaglio sull’auto, appena tornerà a casa mi farà a pezzi. E non lo dico in senso figurato. Avanti. Fai questa doccia e basta».

Sospirai, arrendendomi ai Cullen. Vampiri impossibili.

Il getto caldo della doccia sciolse per un attimo i nodi della mia tensione, facendoli venire a galla. Mi sentivo stressata, ma pensavo che fosse proprio di ogni sposa esserlo. Certo, non ogni sposa aveva la mia stessa avversione per il proprio matrimonio, né si sposava alla mia età, con la minaccia del suo ex amico licantropo a incombere su di lei.

E quelle parole di Edward, su un figlio…

Io ero troppo giovane per pensare di poter rimanere incinta. E forse, sì, non lo negavo, nella mia lunga esistenza - nonostante l’avversione che mia madre aveva provato a farmi crescere per quelle creaturine “tutta cacca e lamenti” - ne avrei desiderato uno. Ma con Edward. Solo con lui. E lui di certo non me lo poteva dare. Perché allora mi poneva una domanda che non aveva soluzione?

«Bella?» mi chiamò Alice da dietro la porta «hai finito?».

Sospirai, chiudendo il getto dell’acqua. «Sì, sì. Ho finito».

Mangiai nel soggiorno, mentre Alice prendeva le misure per il mio vestito. I giorni precedenti, Rose, un po’ in disparte, era rimasta a guardarci, sfogliando una rivista e dandoci ogni tanto il suo parere. Non che fossimo amiche, ma avevo apprezzato che non si dimostrasse più ostile nei miei confronti. Quel giorno invece Rosalie non c’era, e non mi era difficile immaginare dove fosse finita. Il mio umore nero, la prospettiva di una macchina nuova e la morte del pick-up rendevano tutto più pesante.

«Tesoro, sicura di non volerne più? Ti vedo sciupata» constatò Esme, osservando il piatto quasi integro di maccheroni al formaggio.

Scossi il capo. «Ho lo stomaco chiuso» borbottai.

«Bella» mi riprese Alice. «Esme ha ragione. Ho dovuto toglierti due centimetri dal bacino dall’ultima volta che abbiamo provato il vestito» fece, osservando il metro. «Per l’amor del cielo, mangia».

«Fammi mangiare in pace, allora» brontolai, liberandomi dalla sue mani e sedendomi al tavolo.

Sospirò. «Va bene, vado a sistemare l’abito. Appena hai finito sali su, noi due dobbiamo parlare» sottolineò eloquentemente.

Cincischiai nel mio piatto, mescolando la pasta. Non mi sarebbe piaciuto, ma forse era quello di cui avevo bisogno.

Esme mi sorrise, carezzandomi una guancia. «Sarai una sposa bellissima» sussurrò con affetto, provando così a tirarmi su di morale.

Arrossii, abbassando il capo. «Grazie».

Come preannunciato da Alice, appena tornai nella sua stanza volle parlare con me. Seduta su una sedia fra decorazioni, pizzi e merletti, me ne stavo a guardarmi i piedi, arrossendo.

«Bella?» chiamò la mia amica, provando a farmi parlare.

«Non so che dirti, Alice» borbottai, rifuggendo al suo sguardo.

Si abbassò sui talloni, pronta ad intercettarlo. «Sei stanca, stressata e nervosa. E un po’ lo capisco, perché ti stai per sposare e sono successe mille cose, in questi giorni. Ma, Bella. A me sembra che oggi tu sia più stressata del solito. E qualcosa mi dice che non riguarda la tua nuova auto. O meglio, non solo quella».

Scossi il capo, mordendomi un labbro. Gli occhi mi bruciavano.

«È così terribile?» chiese, prendendomi le mani fra le sue.

Scrollai le spalle. «È…» cominciai, la voce ridotta a un filo. «Edward ha detto…» balbettai, ma non seppi continuare. Come descrivere la fitta che mi aveva causato immaginare me e Edward con un bambino tutto nostro? Perché l’aveva detto? Forse, dopotutto, anche se io ero giovane, sciocca e traviata da mia madre, Edward aveva cent’anni, e proveniva da un’epoca in cui a far figli si cominciava molto prima. Lui… doveva averci pensato.

Alice mi sfregò le mani, passandomi un kleenex. «Non devi dirmelo per forza. Ma… se volessi io sono qui, ve bene?».

Annuii, sfregandomi gli occhi.

Mi sorrise. «Se vuoi il vestito lo possiamo provare un altro giorno».

Le regalai un sorriso bagnato, lanciandomi fra le sue braccia. «Oh, Alice» sospirai, piangendo.

Mi strinse fra le braccia. «Non ti preoccupare tesoro. Va tutto bene» mormorò, sfregandomi dolcemente la schiena.

Più tardi decidetti di provare, comunque, il mio abito. Volevo un modo qualsiasi per distrarmi da quello squarcio nel futuro che Edward mi aveva aperto.

«Rilassati, Bella» sussurrò Alice al mio orecchio, mentre mi faceva passare il bustino dalla testa, «pensa a un posto bellissimo, dove ti piacerebbe essere in questo momento. Non pensare a tutti i problemi che ci sono nella tua testa. C’è solo Edward. Tu, e Edward. Un posto bellissimo in cui ci siete solo vuoi due. Pensaci. Questo è il tuo rifugio felice».

Sorrisi, chiudendo gli occhi. Niente. Non mi serviva nient’altro che Edward, per essere felice. Una felicità immediata, forte, perfetta. E così sarebbe stato per noi, per l’eternità. Avremmo vissuto insieme la nostra incorruttibile felicità perfetta, che non bisognava di nulla che di noi due. Saremmo stati, entrambi, sempre contenti. Forse.

«Non dire niente a Edward, per favore» sussurrai ansiosa, riaprendo gli occhi.

Mi sorrise, complice. «Niente. Qualcosa in più da tenergli nascosto» disse, facendomi un occhiolino.

«Che cosa mi devi nascondere?» chiese Edward dall’altro lato della porta.

Sgranai gli occhi, terrorizzata.

«Edward, scompari! Stiamo provando il vestito!» ordinò velocemente Alice, aiutandomi a liberarmi di quell’abito ingombrante.

Mi aspettava ai piedi delle scale. Aveva cambiato la camicia, dopo che io gli avevo sporcato quella bianca e immacolata che portava la mattina. Ora ne aveva una beige con i pantaloni in tessuto, neri. Era raggiante.

Sollevai gli occhi al cielo. «Vediamo quest’auto nuova».

Sorrise, ghignando. «Potresti fingere entusiasmo».

«Non chiedere troppo, Edward».

Sospirò. «Lo sapevi che prima o poi il pick-up si sarebbe rotto».

«Sì, ma non potevo immaginare che lo facesse così in fretta!». Quando avevamo raggiunto il nostro zoppicate compromesso avrei potuto sospettare la carta di credito di platino, il nuovo televisore, gli abbonamenti alle riviste, il nuovo corredo, forse anche la nuova università, ma pensare che il mio pick-up desistesse tanto in fretta, mai e poi mai!

Mi condusse alle soglie del garage, un bel sorriso e gli occhi luccicanti. Qualcosa che mi faceva credere che il suo viso mi sarebbe bastato per darmi gioia per l’eternità. Mi lasciò all’ingresso e si infilò dentro con un “torno subito”. Infatti, sei secondi più tardi, le porte del garage si spalancano.

Al centro dell’enorme stanza troneggiava una macchina bellissima, sportiva, con la carrozzeria nera e tirata a lucido. I finestrini erano oscurati - almeno quello - e da quanto ne sapevo di macchine, leggendo il marchio doveva essere una Mercedes. Dava l’aria di essere piuttosto sicura. Tutti i vampiri le stavano intorno e la guardavano con aria di deferenza. Tutti, persino Esme, il che mi faceva pensare dovesse essere davvero un’auto fantastica.

«Ma è una Mercedes Guardian!».

«Guarda i cerchi in lega!».

«Quanti cavalli ha il motore?».

Edward, al mio fianco, mi osservava speranzoso.

Abbozzai un sorriso. «Emm…grazie…» balbettai arrossendo, incapace di dimostrare un migliore entusiasmo.

«Ti piace?» mi chiese, ansioso.

Mi affrettai ad annuire. «Mh… fantastica» feci, provando a scegliere l’aggettivo più adatto. «Cioè, ecco… io non me ne intendo di auto, ma credo che questa sia proprio… carina».

«Carina?» fece Emmett, sgranando gli occhi.

«Ha detto carina» lo rimbeccò Rosalie, ridendo sotto i baffi.

Emmett scoppiò a ridere. «Ti prego, dimmi che la tua fidanzata non ha appena definito una Guardian “carina”, o sarò costretto a sopprimerla».

Edward ghignò. «Credo che dovresti lasciare in pace la mia fidanzata ignorante di motori, oppure sarò io quello che dovrà sopprimere qualcuno. Carina va bene» fece, rivolgendosi a me con un occhiolino «era più di quanto mi aspettassi».

«Avevi aspettative molto basse, allora» scherzò Jasper, accarezzando la carrozzeria fiammante.

Arrossii, abbassando il viso. «Almeno adesso non mi guarderanno tutti» balbettai, sorridendo appena a Edward.

«Perché, tesoro? C’è qualcuno che ti infastidisce?» domandò Esme preoccupata, prendendo la mano a suo marito.

Alice mi lanciò un’occhiata, come a chiedermi se fosse quella la causa del mio malumore.

Scossi il capo, sentendomi terribilmente in imbarazzo.

«Non è niente» fece Edward «sono solo supposizioni di Bella».

«Beh, non sono solo mie supposizioni» sbuffai «tu leggi le loro menti, sai quello che pensano».

«Bella, credimi. Non ti interessa tutto quello che pensa la gente».

«Edward» lo riprese Carlisle «forse c’è qualcosa che la turba» fece, lanciando un’occhiata a Jasper. Questi sollevò un sopracciglio, osservandomi.

Mossi le mani davanti al viso. «No, no, davvero. Niente. Basta parlare di me. E… Edward ha ragione, sono solo mie supposizioni. Allora» feci, provando ad allontanare l’attenzione da me. «Ci posso fare un giro?».

Edward mi sorrise. «Certo».

«Prendi, sorellina» fece Emmett, lanciandomi oggettino piccolo e luccicante, che anziché atterrare fra le mie mani rimbalzò sulla mia fronte.

«Ahia!» protestai, sfregandomi il punto leso.

«Emmett» lo rimproverò Edward, sostituendo la sua mano alla mia «lo sai che non ha la coordinazione mano-occhio!».

«Ehi» mi lamentai, tirandogli una gomitata.

Mi fermò previdentemente. «Non ti vorrai fare male di nuovo» mi schernì con un mezzo sorriso.

«Te la farò pagare quando sarò una vampira» lo minacciai scherzosamente.

Rise. «Sì, ma nel frattempo pensa a rimanere in vita. Vieni, facciamo un giro» disse, trascinandomi verso l’auto.

In quel momento notai che in un angolo del garage c’era un telo che copriva una cosa che, a giudicare dalla forma, doveva essere un’auto.

«Cos’è?» chiesi, indicandola.

Edward sembrò dissimulare. «Nulla di che…» mormorò casualmente.

Sollevai un sopracciglio.

Mi fissò per qualche istante. Poi sospirò, riluttante. «Quella è l’altra tua macchina».

Aprii e chiusi la bocca, sgomenta. «Cosa? Cosa?!» strillai.

«Bella, calmati, non c’è motivo di agitarsi» fece, provando ad ammansirmi.

«Non c’è motivo di agitarsi? Non c’è motivo di agitarsi?! Mi hai comprato due auto! Due!».

Mi mise entrambe le mani sulle spalle. «Bella. Calmati. Respira mh?!».

Sospirai, incrociando le braccia al petto.

«Questa è l’auto del “prima”» disse, indicando la Mercedes nera «quella è l’auto del “dopo”, ma la riceverai solo quando avrò restituito questa, che è l’auto del prima, va bene? Quindi in sostanza la macchina è una».

«Prima e dopo cosa?» chiesi più calma.

Sul suo viso di allargò un sorriso. «Lo scoprirai».

 

   
 
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