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Autore: Thiliol    15/06/2016    1 recensioni
Galmoth non ha più nulla, nè onore, nè titolo, nè ricchezze, nulla se non la sua piccola nave da contrabbandiere e Laer, la figlia del suo migliore amico morto anni prima. Laer è giovane e ha la testardaggine di una ragazzina, ma non ha mai smesso di sognare i sogni di quando era bambina.
E poi c'è Silevril, il figlio di un amore morboso che vorrebbe solo andare per mare e che invece sconvolgerà le vite di entrambi.
Galmoth osservò con sguardo inquisitore l'elfo che gli stava di fronte:era nato e cresciuto a Dol Amroth e lì non era raro imbattersi nei Priminati e conoscerne anche qualcuno, ma quel Silevril aveva qualcosa di diverso, come un fuoco latente in lui. Non era come i Silvani che sempre più spesso salpavano da lì, diretti alle loro terre al di là del mare, riusciva a percepirlo chiaramente: riconosceva un elfo di alto lignaggio, quando lo vedeva.
< Dici che vuoi metterti al mio servizio? >
< Desidero solo il mare e la compagnia degli uomini, inoltre, la tua nave è meravigliosa. >
Galmoth rise, strofinandosi il mento sporco di barba non rasata.
< Sei un elfo ben strano, Silevril. >
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Finrod Felagund, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Narn o Alatariel ar Aeglos'
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Dedicata ad Hareth, che ha trovato il suo Aeglos e ne ha fatto suo marito. Mi raccomando, almeno tu non scappare di casa a intervalli regolari!

 

‘Til then I walk alone

 

 

Quando aprì gli occhi non riuscì subito a mettere a fuoco ciò che lo circondava e dovette sforzarsi, cercando di non pensare alla sensazione che il cervello stesse tentando di uscirgli dalla testa attraverso gli occhi e le orecchie. Sentiva dolore in ogni punto del suo corpo, gli facevano male le braccia, le gambe, persino i capelli sembravano attaccati al suo cranio con i chiodi.

Quando finalmente la sua vista si schiarì non riconobbe il soffitto, bianco e liscio, di semplice intonaco. Non era sulla Stella, questo era certo, e non era nemmeno nella stanza che aveva condiviso con Silevril alla locanda, o in casa di Finrod Felagund.

Non riusciva a ricordare esattamente cosa fosse successo, sentiva unicamente la vaga certezza che Rùth fosse l’ultima cosa che aveva visto. Il ricordo di quegli occhi, quelle labbra, quel corpo… Non poteva perdercisi, non quando il solo atto di ricordare acuiva il suo già terribile mal di testa.

Mosse lentamente un braccio, posato sul copriletto, e fu difficilissimo anche solo spostarlo di pochissimi centimetri.

Qualcosa gli impediva di muoverlo, qualcosa di morbido e caldo e pesante.

Una mano.

Abbassò lo sguardo e il cuore gli si strinse. Laer era addormentata, seduta su una sedia di legno, piegata in avanti, con la testa sul letto e la destra che stringeva la sua mano sulla coperta. Respirava piano, con la bocca leggermente aperta, i capelli che sfuggivano in modo disordinato dalla treccia e le nascondevano appena il viso.

Le lentiggini risaltavano come se fossero di fuoco sulla pelle pallida e le davano un’aria da bambina, così familiare che a Galmoth veniva da piangere.

Laer era lì, era viva, era con lui.

Rimase a fissarla, senza parlare, senza svegliarla, esattamente come aveva fatto tante volte quando era bambina, come faceva ancora sulla Stella, quando lei non lo vedeva. Assomigliava così tanto a suo padre che, all’inizio, Galmoth l’aveva guardata perché così riusciva a sentirsi un po’ più vicino a quell’amico perduto, ma man mano che la guardava, aveva iniziato a farlo solo per lei, per la sensazione di pace e calore che lo invadeva.

L’aveva vista cambiare da bambina a donna senza mai staccare gli occhi da quel viso e aveva rischiato di perderla perché era uno sciocco.

Strinse appena le dita attorno al suo palmo e quel movimento la scosse, svegliandola.

Appariva leggermente confusa, come se il sonno l’avesse colta di sorpresa, si mise seduta e infine vide Galmoth che la guardava sorridendo, sveglio e stanco.

< Galmoth! > esclamò, il sollievo ben udibile, < sono così contenta! Per tutti i Valar, credevo di averti perso! >

Gli si gettò letteralmente addosso, strappandogli un gemito.

< Mi dispiace > disse, ritirandosi, < ti ho fatto male? >

< Non c’è bisogno che sia tu a farmi male, > rispose Galmoth, la voce ancora impastata, < ho dolore in ogni singolo punto del mio corpo. >

< Come ti senti, a parte i dolori? >

< A parte i dolori sto bene… beh, sono stanco come se avessi camminato per miglia e miglia per poi essere calpestato da una guarnigione intera a cavallo, ma immagino che me la caverò. >

Laer gli fece un gran sorriso e il suo volto si illuminò.

< Credevo che fossi morto, quando ti ho trovato sul pavimento a casa di Finrod. Tutti quegli uomini accanto a te lo erano e tu… eri così freddo! > Rabbrividì.  < Rùth ti ha risparmiato. >

< Forse credeva di avermi ucciso. >

< No, se avesse voluto ucciderti lo avrebbe fatto. >

Rimasero in silenzio per un po’.

< Dove sono? > chiese infine Galmoth, < Cosa è successo? >

< Sei alle Case di Guarigione. Tre giorni fa Rùth si è liberata, ti ha quasi ucciso e ha attaccato la sala del trono. Silevril appena l’ha vista… non so che genere di potere quella donna avesse, Finrod ha tentato di spiegarmelo, ma io non so nulla dell’Antico Nemico, degli Anni Oscuri e di queste cose. Quello che so è che Silevril ha usato il potere del Tesoro di Ulmo per riversare il Mare nell’Anduin e inondare la Città. >

Galmoth sospirò. Lo aveva immaginato, aveva capito cos’era successo nell’istante in cui aveva aperto gli occhi. Non era stato in grado di fermarlo, aveva avuto paura dell’elfo, non avrebbe dovuto nemmeno permettergli di rimanere solo con Rùth.

< Non è colpa tua, > lo rimproverò la ragazza, come se gli avesse letto nel pensiero, < non è colpa di nessuno, se non di Rùth. Ed ora il Re è morto e decine e decine di persone sono morte nell’inondazione… e la Stella… >

Galmoth si sentì attorcigliare lo stomaco.

< La Stella cosa, Laer? >

< Tutte le navi che erano al porto sono state distrutte. >

La voce della ragazza tremava.

Riusciva ancora a ricordare di quando, subito dopo essere caduto in disgrazia agli occhi del Principe e aver perduto tutti i suoi averi, era andato al porto, con Laer che lo seguiva anche se era già grande abbastanza da poter avere una vita sua. Ricordava della nave, piccola e mal ridotta, attraccata accanto a quella per cui Laer stava contrattando. L’aveva vista e l’aveva amata di un amore immediato e viscerale, ignorando le parole del venditore, le parole di Laer che gli chiedeva se era pronto a chiudere l’accordo.

Aveva speso tutti i soldi che gli rimanevano per la Stella Marina, nonostante le proteste della ragazza, senza mai pentirsene.

Ed ora non esisteva più.

< L’equipaggio? > Aveva paura della risposta.

< Sono riusciti a salvarsi, > disse Laer e lui tirò un sospiro di sollievo, < anche se Conn si è rotto una gamba e probabilmente dovrà camminare con un bastone per il resto della sua vita. Forlond ha qualche graffio e Barry sta benone, lo hanno preso a lavorare qui, alle Case di Guarigione. >

Laer lo guardò, in attesa che lui facesse la domanda che sapeva di dover porre, prima o poi.

< Silvril? >

Aveva quasi paura a chiedere di lui. Non voleva pensare al viso dell’elfo, al nulla che aveva visto nei suoi occhi, alla voce tagliente che lo aveva fatto sentire come un bambino tremante. Aveva guardato dentro di lui e ci aveva scorto un’ombra che lo aveva terrorizzato nel profondo.

< Sta bene, > disse Laer, piano, < è tornato quello di sempre. >

Non rispose. Non riusciva a dire a Laer ciò che pensava veramente, cioè che Rùth non aveva rubato l’anima dell’elfo con un incantesimo, ma aveva semplicemente aperto una porta per permettere alla sua vera essenza di fuoriuscire.

Non poteva dire questo a sua figlia, così evidentemente innamorata di Silevril da non riuscire ad andare oltre l’immagine che ne aveva fatto nella sua mente.

< Sai, > disse lei, improvvisamente, < sono stata io. Silevril stava in piedi sulle mura, a distruggere tutto, a delirare di Uinen, di potere e chissà che altro, ed io sapevo che mi avrebbe ascoltata, sapevo che avrei potuto toccarlo. Gli ho preso la mano e lui è tornato in sé. >

Lo guardò, aspettandosi probabilmente che lui dicesse qualcosa, ma Galmoth rimase in silenzio.

La stanchezza era ormai parte di lui e faticava a tenere gli occhi aperti, mettere insieme una risposta per Laer era troppo difficile in quel momento.

< Ti lascio riposare, > disse, alzandosi di scatto e lasciando la stanza.

Il suono della porta che si chiudeva dietro di lei risuonò come un colpo di martello nella sua testa dolorante.

 

 

 

Non sapeva perché, ma si era ritrovato seduto al tavolo in casa di Finrod, con una tazza fumante di un qualcosa che non aveva mai assaggiato prima. “Tè”, lo aveva chiamato l’elfo che se ne stava di fronte a lui, in silenzio e senza guardarlo, gli occhi persi nella stessa bevanda calda.

Silevril ne prese un altro sorso: era amaro e intenso, gli provocava una strana sensazione nelle vene, come se piccole scosse lo attraversassero velocemente.

< Contiene al suo interno una sostanza eccitante, > disse Finrod, quasi casualmente, < ma per qualche strano motivo, io lo trovo estremamente rilassante. >

Non rispose e il silenzio si allargò tra loro fino a divenire quasi fisico.

Erano tre giorni che non vedeva l’altro e li aveva passati rimuginando, inquieto, finché non aveva preso il coraggio a due mani ed era andato a casa sua. Si maledisse mentalmente, perché ora era lì e non sapeva cosa dire, l’unica cosa certa era che staccare gli occhi da lui era impossibile.

< Voglio rimanere qui, con te. >

Finrod alzò di scatto la testa, piantandogli addosso uno sguardo severo. Silevril si mosse a disagio sulla sedia, ma il Noldo era implacabile, lo faceva sentire nudo.

< No. >

< Perché no? > la voce gli uscì come un lamento.

Finrod sospirò e posò la tazza sul tavolo, alzandosi e andandogli davanti. Prese una sedia e si sedette di fronte a lui.

Il suo volto era liscio e senza età, ma la fronte era aggrottata e tra i capelli si intravedevano sottili fili d’argento, quasi che la vecchiaia mortale lo stesse ormai raggiungendo. Il potere che emanava era pari solo alla fragilità che stava dimostrando.

< Odieresti rimanere qui, > disse e quando Silevril fece per controbattere lo zittì, < No, anche se adesso pensi che mi sbaglio, so che è così. C’è il mare in te, Silevril, ne hai un bisogno disperato e tenerti qui sarebbe orribile da parte mia. >

Si bloccò un attimo e gli mise una mano dietro la nuca, avvicinando le loro fronti. Con l’altra mano prese la sua tazza e l’appoggiò sul tavolo.

Silevril era come ipnotizzato da quegli occhi, dalla sensazione del suo respiro così vicino.

< Non riuscirei mai a lasciarti andare, se ora rimanessi qui. >

< Non puoi decidere per me. >

< Sì che posso, > sorrise appena, < sei giovane ed arrogante ed hai ereditato la mancanza di buon senso da entrambi i tuoi genitori. Deciderò io per te. >

Si sporse leggermente e gli posò un bacio sulle labbra.

Fu appena uno sfiorarsi, prima che Finrod interrompesse il contatto.

< Ho sempre amato chi non avrebbe mai potuto ricambiare > disse, alzandosi in piedi.

Qualcosa scattò in lui, come una voce che gli gridava di fare qualcosa, di non lasciare che quella sensazione svanisse. Avrebbe potuto dirgli che non era vero, che lo amava, che non lo avrebbe mai lasciato, ma sarebbe stata una menzogna.

Eppure aveva bisogno di Finrod, di saziare quel desiderio, di zittire quella voce, di cancellare una volta per tutte l’immagine dell’elfo che aveva avuto in testa fin dal loro primo incontro.

Non sapeva cosa provasse, né se provasse effettivamente qualcosa, sapeva soltanto che Finrod era lì e che non c’era altro da fare se non quello.

Gli afferrò il polso, tirandolo a sé con forza, poi quando fu vicino gli prese la casacca, attirandolo ancora.

Lo baciò, ma non fu come il precedente, non fu un tocco né leggero né breve.

Si spinse verso di lui, immobilizzandogli il volto, forzando le sue labbra ad aprirsi e, sorprendentemente, non trovò resistenza. Finrod sapeva di tè e miele e le loro lingue si accarezzavano.  Silevril gli mise una mano nei capelli e li tirò leggermente, l’altro gli afferrò gentilmente le guance per tenerlo fermo.

Avrebbe voluto rimanere così per sempre, ma non fu possibile. L’elfo lo allontanò bruscamente, ansimando come dopo una lunga corsa, lo sguardo un pozzo di sofferenza.

< Questo, > disse con voce rotta, < non sarebbe mai dovuto accadere. >

Lo fece alzare, quasi di peso, soffermandosi un momento di troppo prima di lasciare la presa.

Silevril avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma, così come era arrivato, il desiderio si era spento e tutto ciò che rimaneva era il fascino che quell’elfo, così antico e così mortale, esercitava su di lui.

Sentiva solo il vuoto dentro e Finrod sembrò capirlo subito.

< Te l’avevo detto, no? > gli sorrise, triste.

Cosa poteva aggiungere?

Si morse un labbro, mentre lo oltrepassava e si avviava verso la porta, lasciandolo da solo, le tazze di tè ancora calde sul tavolo, come una promessa.

 

 

Si chiuse la porta alle spalle, gli occhi che gli bruciavano per la fatica di trattenere le lacrime. Perché piangere? Era forse un bambino?

Non riuscì a farne a meno e si asciugò le guance con rabbia, avviandosi lungo la strada, verso la locanda in cui alloggiava.

Aveva davvero creduto… cosa? Che cosa aveva provato per Finrod? Una parte di lui voleva tornare indietro e costringerlo a tenerlo con lui, ma era flebile e stava svanendo.

Sentiva ancora il suo sapore in bocca.

< Se fossi rimasto, non avrei potuto sopportarlo, > disse una voce alle sue spalle.

Si voltò di scatto, sorpreso di trovare suo padre lì, come in agguato nell’ombra.

< Mi seguivi? >

< Naturalmente. >

Aeglos sembrava tranquillo, noncurante, mentre lo raggiungeva e camminava al suo fianco.

< Perché mi seguivi, Adar? Non lo sai che sono ormai un bambino grande? > Sorrise di sbieco, mascherando l’amarezza sotto una patina di ironia.

< Perché non potevo lasciarti fare ciò che volevi fare, > rispose laconico, < e non mi fido di Finrod Felagund su queste cose. Ho visto cosa c’è tra di voi, ho letto il desiderio nei vostri occhi. >

Gli afferrò un polso, fermandosi e costringendo Silevril a guardarlo in faccia.

Aeglos sembrava stanco come non mai, aveva delle escoriazioni su uno zigomo e le labbra pallide, ma gli occhi erano quelli di sempre.

< Finrod Felagund è intrappolato in un riflesso, > disse, < l’ombra di un amore che non potrà mai essere e tu, Silevril, sei innamorato del potere. >

< Non devi preoccuparti per me, > si divincolò bruscamente dalla stretta di suo padre, < era solo un’illusione. Ma non potrete controllarmi per sempre, non potere continuare così. Tu e Alatariel dovete lasciarmi andare! Perché siete qui? >

Tutta l’amarezza, la rabbia, la stanchezza di quei giorni gli si riversarono addosso in quell’istante. Avrebbe voluto colpire Aeglos, fargli capire che la sua presenza era come una corda che lo legava.

Ma Aeglos lo bloccò di nuovo, costringendolo in un abbraccio. Erano passati tre giorni e non si erano ancora toccati, non dopo quell’abbraccio disperato sulle mura, subito dopo che tutto era finito.

Come ogni volta, non riuscì ad evitarsi di ricambiare, perdersi nell’abbraccio rassicurante di suo padre.

< Ho temuto che fossi morto. >

< Ma non lo sono,ogni cosa è andata per il meglio. >

< Torna a casa, con me, con tua madre. >

Lo stava supplicando, quasi soffocandolo in quell’abbraccio disperato.

< Lo so che ti ho spinto ad andare via, che ho finto di appoggiarti, ma mentivo. >

< No, adar, non posso tornare nella vostra bolla di ossessioni e sensi di colpa. >

Aeglos si irrigidì.

< Sì, padre, non fingere di non capire, > disse Silevril scostandosi, < non capite che mi avete ucciso con il vostro amore? Cerco di fuggire e voi mi seguite fin qui, a Minas Tirith, perché credevate che fossi morto? Non vi avevo forse giurato che sarei tornato? Tu e mia madre vivete in questo vortice di amore malsano ed io non posso più farne parte. >

Guardò suo padre e per la prima volta in vita sua non riuscì a decifrarne l’espressione, sembrava una statua, lui che di solito era un libro aperto. Lo aveva ferito così profondamente?

Sentiva come mille lame nel petto. Sofferenza, in ogni parte del suo spirito.

Ma non poteva fare altro, non aveva nessun altro mezzo per potersi distaccare da tutto quello, non quando la lontananza fisica non era servita a nulla, non quando la cosa che desiderava di più era proprio ciò che suo padre gli chiedeva.

Era grato che sua madre non fosse lì, non sarebbe mai riuscito a dire a lei ciò che stava dicendo ad Aeglos.

Per un attimo desiderò rifugiarsi sotto lo sguardo potente di Finrod, ma poi quel pensiero svanì e sentì sulle labbra il ricordo delle labbra di Laer.

< Prendi tua moglie e vattene, Aeglos, > asserì infine, < torna a casa nostra, sulla scogliera. Io vi troverò lì, prima di attraversare il Mare, lo giuro, ma ora devo poter vivere. >

Gli voltò le spalle e se ne andò, lasciandolo come impietrito sulla strada, il ricordo della sua infanzia che sbiadiva al sole.

Le lacrime che aveva non erano abbastanza.

 

 

 

***

 

 

Avete avuto il bacio tra Silevril e Finrod, avete avuto un momento padre/figlio molto fluff e uno molto angst, insomma si può dire che ce n’è per tutti i gusti. Ci avviamo alla conclusione, il prossimo capitolo sarà l’ultimo di questa storia e poi epilogo, spero che prima o poi voi numeretti silenziosi vi farete sentire. Io comunque continuo a salutarvi e augurarvi lunga vita e prosperità!

 

P.S. il titolo è un famosissimo verso di “Boulevards of broken dreams” dei Green Day

 

   
 
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