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Autore: Daleko    16/06/2016    1 recensioni
Alla fine mi sono trasferito in Francia, a Montpellier. I sensi di colpa mi attanagliano ogni volta che quei ricordi mi sovvengono alla mente e forse mi riterrete un pazzo per essere venuto qui; probabilmente la pazzia mi muove sin da quando ho cominciato a scrivere questi diari, più di due anni fa, ma non riesco a liberarmi dei miei demoni attribuendoli a qualche tipo d’insanità mentale; no, quelle sono faccende da arcaico simbolismo russo e di certo non tangono me, stupido venticinquenne di provincia troppo impegnato a crogiolarsi in realtà passate per agire nel presente. Se voglio confessare tutta la verità, mio malgrado, devo ammettere d’agire in modo insensato più che disattento: e così, nella mia giovanile noncuranza verso il rischio e la stoltezza che mi muovono, m’è d’uso ormai farmi chiamare John.
Attenzione, Questo racconto è il seguito di "Queste non sono le mie memorie". Non dovrebbe comunque essere difficile comprendere la storia in quanto ci sono dettagliate ricapitolazioni riguardo i precedenti avvenimenti, tuttavia questo racconto risulta essere, ovviamente, molto più gradevole se letto in seguito al primo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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- Questa storia fa parte della serie 'Diari'
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"Il guaio è che quando si è sobri non si ha voglia di veder nessuno, e quando si è sbronzi nessuno ha voglia di vedere noi".
F.S. Fitzgerald

È stata una pessima idea.
Dovevo semplicemente rifiutarmi di vederla, rifiutarmi di aiutarla. Rifiutare quei suoi occhi penetranti come aghi, cercare un modo per sfuggirle... Invece mi sono ritrovato a piegare nuovamente la mia volontà al desiderio di riempirmi l'anima di lei, della meraviglia che scatena in me. Quella passeggiata terminò con una promessa che ieri ho dovuto onorare, colmo di rimorsi e paure anche se non completamente infelice. Temo che sia proprio la mancanza d'infelicità a scatenare questo disgusto verso di me che ogni tanto, a fiotti, mi riempie fino alla nausea.
Di seguito, la cronaca destinata ai posteri delle angoscianti ore seguenti il meriggio, narrata dal me più turbato e reale.
 
*
 
"S'il vous plaît, je voudrais étudier ton auteur préféré" domandò con garbo, compita e beneducata. La osservavo in quella poltrona rossa che usualmente non ospitava altri che me; l'idea di ritrovarvi il suo profumo mi confondeva in modo terribile. Decisi di rispondere a mia volta in francese. "Mon auteur préféré, en ce moment, est trop compliqué pour toi. Commençons par quelque chose de plus simple" ribattei piccato. "Je voudrais étudier John Steinbeck" mi provocò con un'ombra di malizia nella voce; seduto alla scrivania, ugualmente a ora, m'irrigidii. "Non" scandii gelido. "Aucun de la génération perdue, pour le moment" precisai, scatenando una smorfia di dispiacere sul suo candido viso. "Ce que je vais étudier?" chiese ancora; il labbro inferiore, roseo e spinto verso l'esterno in un fanciullesco capriccio, mi distrasse. "Alexandre Dumas" risposi infine. "Padre" anticipai la sua domanda tornando a parlare in italiano. Lei si limitò a sospirare con mestizia mentre io, alzatomi dalla seduta e direttomi alla pesante libreria, sceglievo un tomo dalla copertina d'un intenso porpora. "Non sono una bambina" si lamentò mentre le gambette nude dondolavano avanti e indietro; non perdeva il vezzo d'indossare quelle vesti colorate, almeno non in mia presenza. Sospirai, poi mi voltai nella sua direzione e la raggiunsi in pochi passi. "Leggi" ordinai in tono neutro. Le sottili mani di Marie sfiorarono le mie, quasi tremanti, e portarono il libro sul grembo della ragazzina. "Les trois Mousquetaires?" lesse con voce delusa; io avevo ritrovato il mio posto sulla sedia mogano al di qua della scrivania, e le scrutavo il viso corrucciato in un'espressione che non l'abbelliva. "Avanti, Marie. Sei stata tu a chiedermi lezioni" la incoraggiai trattenendo a stento il mio impulso d'abbracciarla, renderla felice, farle leggere tutto ciò che desiderava. Continuavo a ripetermi: "Calma, Federico. Ora non sei più John, ora sei solo un professore"; ma era estremamente difficoltoso mantenere quel ruolo con dignità. "Tu non credi che io sia capace" mormorò mestamente Marie. Aveva rialzato i suoi grandi occhi da cerbiatta. "Je connais les novellas de Steinbeck! Je les connais par coeur!" esclamò improvvisamente; sembrava ferita. Sospirai e tentai di risponderle con calma. "So che le conosci, Marie..." e non mettevo in dubbio il suo poterle conoscere a memoria, ma venni interrotto nuovamente. "Je les ai lues pendant des années!" scandì. Rimembrai la sua attenzione per un libro dalle dimensioni generose, quel giorno della cena: forse leggeva davvero quelle poesie da anni. "Pourquoi tu ne pas me aider à améliorer la lecture? Je ne veus pas d'étudier Les trois Mousquetaires, je me ennuie!" terminò con gli occhi colmi di lacrime. Mi sentii impotente e crudele: si annoiava, era vero. Perché non la rendevo felice? Io volevo farlo... Ma volevo davvero?
Sentii la testa dolermi dallo sforzo, così mi alzai nuovamente. Marie mi seguiva con lo sguardo: mi diressi nuovamente verso la libreria, lasciando scorrere lateralmente un'anta del mobile al di sotto degli scaffali. Rivelai molte bottiglie di nettare alcolico.
"Oh" notò la ragazzina; non aveva smesso di stringere il libro a sé. Prelevai una bottiglia piena per metà, un irish whiskey di ottima fattura, e un basso flûte nel quale berlo senza alcun rimpianto per i bar oltreoceano. "Se davvero conosci le storie di Steinbeck a memoria, recitami qualcosa" la invitai senza voltarmi a guardarla: intento com'ero a versare quel liquido inebriante, incrociare il suo sguardo non sarebbe stato d'aiuto. La sentii schiarirsi la voce.
"...e lì era la grande perla, perfetta come la luna. E assorbiva la luce e la filtrava, per rifrangerla in un'incandescenza d'argento..."
Ero colpito. Stava citando davvero Steinbeck, lo citava alla lettera e il romanzo era "La perla". "Elle était aussi grosse qu'un oeuf de mouette", continuò. Mi voltai a osservare il suo viso trasformato dalla sfida lanciatami silenziosamente, quasi per scherzo: continuava in francese, dimostrandomi di averlo studiato in due lingue. Ero profondamente colpito. "C'était la plus grosse perle du monde" terminò con soddisfazione; le sue labbra si arricciarono verso l'alto e le mie sopracciglia seguirono la stessa curva. Portai alle labbra il bicchiere, tornando a darle le spalle; non volevo esprimere più stupore di quanto non avessi già fatto. Ero risentito: sapeva di avermi piegato alla sua volontà, e n'ero uscito offeso.
"Et moi, John?" sentii improvvisamente dietro di me. Non mi voltai; qualcosa nella sua voce aveva raggelato il mio essere. "Je ne suis pas ton petit, précieuse perle?.." domandò in un mormorio; le mani mi tremavano vistosamente. Marie si levò dalla poltrona, poggiando il tomo sulla forma lasciata dietro di sé. "Perché io... Mi ci sento, con te. Preziosa. Speciale..." continuava con voce appena udibile; sembrò strisciarmi nella mente e il bicchiere quasi sfuggì alla presa delle mie mani gelide. Lo riposi sulla libreria. "John... John, parlami" cominciò a singhiozzare e io mi voltai di scatto. "Marie, temo che il nostro tempo sia finito. La prossima settimana, se lo desideri così tanto, potremo iniziare con Steinbeck" le promisi con voce atona e forzatamente calma. Il mio sguardo carezzò il muro e le ombre che vi giocano al di sopra finché la ragazzina non fu oltre la porta d'ingresso. Continuò a parlarmi mentre si allontanava ma in me c'era la consapevolezza che, se solo i miei occhi o la mia mente avessero inciampato un'altra volta nella sua figura, avrei agito in modo amorale e troppo stolto anche per me. Appena mi ritrovai padrone della mia solitudine, cercai nuovamente il bicchiere con la mancina e tornai a sedermi alla scrivania. "Cos'ho fatto...?" mi domandai colmo di risentimento. Ormai è inutile pensarci ancora: cinque giorni ci separano ancora, un'eternità troppo breve per rinsavire e un istante immenso per lambire ancora la sua figura con il mio sguardo assetato di lei.

Temo d'esser perduto d'un angelo dannato.

 

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