Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: Katies_    16/06/2016    0 recensioni
Samantha Oner e Justin Bieber, è un quartiere della bassa San Francisco, l'Heart Village.
- Come hai potuto?- urlò, Sam in lacrime contro la figura del ragazzo dagli occhi ambrati , gonfi per le lacrime.
-Dovevo farlo, per il tuo bene!- ribatte il ragazzo dal ciuffo biondo cadergli davanti la fronte.
-So io cos'è giusto per me!- urlò, ancora una volta la ragazza portandosi le mani all'altezza del seno.
-L'ho fatto perché ti amo, Sam, con tutto il cuore.- disse, a denti stretti il ragazzo che sentiva le lacrime rigare le sue guance.
La ragazza a quelle parole, zitti fissandolo, nascose il suo tremare.
-È un'errore, e avrei voluto non conoscerti.- disse con durezza provocando al ragazzo una crisi di nervi, che lo fece avvicinare a lei, ma si allontanò, voltandogli le spalle.
-SAM, SAM, SAAAM!- urlò, Justin Bieber in lacrime trattenuto da due uomini dalle braccia, mentre Sam percorrendo quel corridoio piccolo e stretto chiuse gli occhi , coprendo le sue piccole labbra, con la mano, urlando dentro dal dolore, mentre il suo cuore implorava Justin Bieber.
Ma dovevo farlo.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: AU, Missing Moments | Avvertimenti: Bondage, Tematiche delicate
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 1 Heart Village.


Correvo, velocemente con il fiato a pieni polmoni, il respiro accelerato. 
Gli occhi gonfi, e lucidi che mandavano giù quelle lacrime che bruciavano lungo le mie guance. 
Sentivo il cuore battere, velocemente, come se stesse per scoppiarmi dentro il petto. 
Lungo quella stradina poco illuminata del quartiere di Heart Village, correvo ignorando tutto ciò che avevo intorno. 
Sentivo il freddo entrarmi nelle ossa. 
Da lontano, vidi una piccola folla di ragazzi fuori da quel locale, grande, dove la musica cessó, e le sirene dell'ambulanza, e della polizia avevano rotto il silenzio, e il mormorio delle persone. 
Mi fermai di scatto, respirando a fatica. 
Mi ritrovai quei occhi addosso, tutti si voltarono verso di me. 
Avevano delle espressioni sconvolti, alcuni abbassarono gli occhi, io li guardai uno ad uno, ma mi soffermai alle due figure di spalle differenti tra loro.  
Li riconobbi.
Fissavano vicini , il punto dove la polizia si era soffermata, e dove i due soccorritori, stavano per stendere un lenzuolo bianco sopra il corpo senza vita di un ragazzo. 
-Joshua, Joshua..- mormorai ricominciando a correre, raggiungendolo.
Nessuno parlò. 
Vidi solo le due figure voltarsi verso di me, mentre avevo raggiunto quasi il centro della stradina, dove c'era immerso in una pozza di sangue, Joshua. 
Ma non lo raggiunsi, perché delle braccia possenti ed enormi mi bloccarono. 
-Babe, non c'è niente da vedere.- disse, un ragazzo esageratamente alto, due metri e venti, dalla corporatura abbastanza robusta, che mi sollevo stadi da terra mettendosi davanti a me.
-No, lui ha bisogno di noi .. Joshua!- urlai con tutta la voce che avevo in gola. 
Con tutta me stessa cercai di scappare dalle braccia di Big Mike, ma fu tutto inutile perché lui era più forte di me, intravidi solo che lo avvolsero fin sopra la testa con il lenzuolo. 
-No, no, no..- dissi più volte aggrappandomi con le mani sulla maglia del gigante davanti a me, per quanto stavo tirando la stoffa della maglia si sarebbe strappata.
-Shh, babe..- mi ripeteva tenendomi e affondando la sua mano tra i miei capelli, scombinandoli. 
Ero troppo presa dal mio dolore per accorgermi che le sue guance dal viso grassottello, erano avvolte dalle lacrime. 
Persi i sensi, improvvisamente, caddi tra le braccia grasse di Big Mike che mi afferrò , sollevandomi del tutto. 
Per me divenne tutto buio. 
 
Non sentivo più freddo, però il mal di testa non cessavo, mi sentivo senza forze, e aprendo lentamente gli occhi mi accorsi che non mi trovavo tra le mura della Black House, ma in una camera d'ospedale. 
Vuota, è piccola ma calda. 
Mi accorsi che avevo un'ago infilzato sul braccio destro collegato ad una bottiglietta che sembrava una clessidra. 
Sei tubicini all'interno delle narici che mi aiutavano a respirare meglio, ero attaccata ad una macchina che segnava il mio battito cardiaco regolare. 
Indossavo ancora i miei vestiti, ma il mio corpo era avvolto da quelle lenzuola sdraiata su quel letto non molto comodo.
Posso gli occhi stanchi fuori dalla finestra, mi accorsi che era quasi l'alba.
Avevo trascorso le ultime ore della notte lì dentro.
Non riuscivo molto a muovere il mio corpo, ero troppo fragile per farlo. 
Ma voltandomi mi accorsi che c'era qualcuno che era rimasto a farmi compagnia. 
Big Mike, seduto su quella poltrona vicino al letto. 
Era crollato dalla stanchezza, sovrastato dal dolore. 
Lo osservai . 
Il suo esser così grande sia fuori che dentro, mi divertiva ancora. 
La sua bontà mi rallegrava ogni volta che mi abbracciava, la sua taglia extralarge  che per me non era mai stata un problema, era il ragazzo più bello che avessi mai conosciuto.
La sua barba che contornava il suo viso, lo rendeva uomo sopra quel l'aspetto da ragazzo giovane. 
I pochi capelli neri che coprivano la sua testa.
I suoi grandi occhi marroni mi guardarono.
-Babe..- Mormoró, chinandosi con la schiena verso di me.
Io cercai di tirar fuori le parole mantenendo la calma, e controllando le lacrime.
- Non c'è l'ha fatta vero?- dissi spezzando quel silenzio.
Rimanendo in quella posizione quasi incapace di muovermi per via dei tubi che mi tenevano attaccata alle macchine.
Big Mike, con quel l'espressione distrutta, abbasso gli occhi  scuotendo il capo più volte tenendo le labbra completamente serrate.
Fu in quel momento che socchiusi gli occhi dopo aver assimilato il tutto.
Una lacrima rigò la mia guancia.
Senti la mia piccola mano stretta dalla sua , calda e grande.
Che le copriva appena.
Rimasimo così, insieme, condividendo il dolore che ci aveva colpiti per la perdita di nostro fratello, Joshua di appena ventidue anni. 
Ha perso la vita a causa di una rissa di quartiere per dei piccoli affari di criminalità, di cui aveva sempre fatto parte fin da piccolo, ma era sempre stato appassionato per il football  non c'erano giorni c'è dopo la scuola andasse nel cortile sotto casa  a lanciare il suo pallone di pezza insieme ai suoi amici, voleva entrar a far parte della squadra dei Red Hocks , che tifavamo ogni sabato sera davanti la televisione e il cibo del McDonald.
Aveva una sensibilità per le persone che a volte faceva paura, era solare e intraprendente, sempre proprio a far sorridere la gente che incontrava per strada.
Era considerato il bambino più bello del quartiere per i suoi grandi occhi ambrati, per i suoi capelli neri sbrizzolati, e per i suoi denti perfetti, ma crescendo qualcosa è andato storto. 
Ha lasciato il suo pallone di pezza chiuso nella scatola con tutti i suoi ricordi dentro l'armadio di camera sua, e non ha osato più riaprirla, perché aveva imparato a giocare con altro, la pistola e i coltellini tascabili erano diventati gli unici strumenti che usava per giochi che facevano male, e in quella notte freddosa di dicembre aveva perso la vita in una sparatoria tra due bande , per debiti mai saldati. 
Era il suo compleanno, lo stavo aspettando nella nostra piccola casa in centro della periferia del Haert Village, con la torta alle nocciole la sua preferita che io avevo preparato tutto il pomeriggio, per i suoi ventidue anni. 
Ma non ha più fatto ritorno a casa. 


 
   
 
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