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Autore: SHUN DI ANDROMEDA    16/04/2009    1 recensioni
"Questa storia ha inizio molto tempo fa, quando un mondo ridente e felice ,chiamato dalle cronache , Amestris, a seguito di un terribile cataclisma, rischiò di venir distrutto.". Salve! Rieccomi a voi con una fic tutta nuova! In questa fic, guests star, saranno un gruppo di giovanissimi alchimisti. I loro nomi sono Curtis, Nathan, Roy Gabriel e Carolina! RINGRAZIO DI CUORE LOVVA, BG, ELY-CHAN E DIMY PER I PERMESSI!! UN BACIONE! SHUN
Genere: Generale, Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio, Roy Mustang, Un pò tutti
Note: Alternate Universe (AU), Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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I FIGLI DEI QUATTRO MONDI

 

CAPITOLO 14

 

GABRIEL LASCIA?

 

Gli attacchi si susseguirono senza sosta, sempre più feroci, non sapeva come difendersi.

Un’ultimo colpo lo privò delle ultime energie rimastegli.

Prima di cadere svenuto, udì una voce melliflua sussurrargli qualcosa all’orecchio, una voce conosciuta: “Vi aspettiamo a Central City, O’Chibi San...”.

Poi uno scalpiccio di piedi e tutto cadde nel silenzio, mentre si abbandonava al buio.

 

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“NIISAN!!! CHE TI È SUCCESSO??”

 

“Al, calmati, stendetelo sul divano. Curtis, và a prendere le garze, subito.”

 

“Shun, lo abbiamo trovato qui vicino, era disteso a terra, deve aver avuto da ridire con qualcuno più grosso di lui.”

 

“E direi anche parecchio più grosso, e pure bastardo. Queste ferite sono la firma di Envy, ne sono certa, solo lui può accanirsi così su Edward e dei semplici balordi sarebbero KO in pochi istanti contro il Fullmetal Alchemist.”.

 

“Che diavolo ci fa Envy qui a Dublith?”

 

“Non lo so Gabriel, ma lo scopriremo, vedrai... Forza, ora dobbiamo occuparci di lui, correte a svegliare il Taisa e anche Izumi-san, veloci!”.

 

Un vociare confuso e preoccupato scosse leggermente il biondo dal baratro di incoscienza in cui era precipitato; qualcuno lo portava in braccio, ma non riusciva a riconoscerlo, era troppo debole anche per pensare, sentiva il corpo lacerato e martoriato, anche respirare gli causava fitte immani al petto.

Si sentì appoggiato su qualcosa di morbido e caldo.

 

“Al, corri a prendere degli asciugamani e dell’acqua fredda, Nat, procurami del disinfettante, CURT, LE BENDE! Dobbiamo fermare il sangue! Sbrigati!”.

 

Ed sentì la voce dura di Shun impartire rapidi ordini ai compagni e comprese di essere al sicuro, era a casa.

 

Cercò di rialzarsi e mettersi seduto, divincolandosi dalla leggera ma ferma presa della giovane; tuttavia i suoi movimenti furono bloccati sul nascere e fu risospinto supino: “Sta fermo, baka! Sei messo male, dobbiamo ricucirti per bene!” sbottò Shun, il biondo sentì come un rumore di stoffa strappata, mentre il suo petto, a poco a poco, veniva messo a nudo dai pochi brandelli della canotta.

 

La pelle bruciò a contatto con l’aria, strappandogli gemiti di dolore.

 

“Ecco, abbiamo preso tutto, cosa facciamo ora?” chiese con voce ansiosa Gabriel, “Bene, ora dovete aiutarmi,  seguite le mie indicazioni.” parlò la ragazza.

 

“Ragazza, cosa è successo a Edward?” chiese improvvisamente una voce più matura e velata di preoccupazione, la voce di Izumi, “Le spiegazioni a dopo, signora. Dobbiamo ricucirlo, dove dannazione è finito il Colonnello?” sbottò la giovane con tono adirato; in quel momento, Ed sentì un gran rumore di passi in corsa e voci agitate: “Shun, cosa diavolo sta succedendo?”, al biondo saltò il cuore in gola nell’udire quelle parole, aveva riconosciuto all’istante quella voce, “A quanto pare c’è Envy in circolazione. Vada fuori con i suoi uomini, dovete trovarlo!” esclamò la ragazza, “Ma cosa è successo a Edward?” chiese Breda, in pigiama con la giacca della divisa addosso, “è stato aggredito, forza, muovetevi, oppure quel bastardo riuscirà a scappare!” sbottò lei.

 

A malincuore, Roy dovette lasciare il biondo alle cure di Nat, Shun e degli altri ragazzi e uscire fuori, seguito dai suoi sottoposti.

 

In quel momento, il biondo fu avvolto dal buio e dall’incoscienza.

 

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“Allora, come sta?”

 

“Adesso dorme, quindi fate piano… Voi? Trovato Envy?”

 

“Niente, abbiamo girato per tutti i vicoli, ma non lo abbiamo trovato, ormai è l’alba… Yawn”.

 

Uno sbadiglio pigro interruppe la frase in bocca ad Havoc.

 

“Forza, tornate a dormire, avete ancora qualche oretta di riposo. Scusatemi se sono stata dura, ma..”.

 

“Nessun problema, anzi.. Beh, buonanotte..”.

 

Una serie di passi felpati risuonò per qualche attimo nella stanza silenziosa, poi più nulla, se non un sospiro stanco; Curtis si sedette sul divano del salotto, imitata da Shun e da Carol, che si erano accomodate sulla poltrona del signor Shigu. Solo loro erano sveglie, avevano spedito i bambini a letto ormai da ore, che almeno loro dormissero un poco.

 

La mora poggiò la testa sulla spalla della nuova arrivata, ed entrambe caddero appisolate, le mani intrecciate in grembo, ma per Curtis il sonno non si decideva ad arrivare, troppi pensieri le frullavano per la testa; la bruna era molto preoccupata, cosa avrebbe fatto, si chiedeva, se gli homunculus avessero aggredito ancora una volta Edward, oppure Nat o qualunque altro dei suoi amici?

 

La giovane si lasciò prendere dalla paura e mollò un pugno sul bracciolo del divano: “Dannazione… Non voglio che si ripeta… Devo proteggerlo…” sussurrò a mezza voce.

 

“Ehi, Curt-san, cosa hai?”.

 

La voce di Gabriel la fece voltare di scatto e la ragazza vide il bambino, in pigiama, camminare verso di lei, gli occhi gonfi di sonno; la bruna fu svelta ad asciugarsi il viso e a cercare di ricomporsi: “N..Nulla.. Perché sei ancora alzato?” chiese lei, guardandolo, “Dovresti essere a dormire.” lo rimbeccò severa; lui la ignorò, accomodandosi accanto a lei, “Ho sentito che il nonno… Cioè, il colonnello, è tornato e mi sono svegliato.” spiegò lui, accoccolandosi sul divano.

 

La bruna sospirò: “Si, sono tornati, ma non hanno trovato nulla.” rispose laconicamente lei, giocherellando con le dita delle mani; i due restarono in silenzio per un pò, l’unico rumore che si udiva era il profondo respiro delle due ragazze addormentate sulla poltrona.

 

“Senti Curt,” incominciò Gabriel a un certo punto, sollevando i piedi e rannicchiandosi sui cuscini, “Perchè ti comporti così?”.

 

La bruna si voltò di scatto, guardandolo stupita negli occhi dorati: “è inutile che fai quella faccia, guarda che ho capito. Sono un bambino, ma non sono mica stupido. Perchè ti comporti così con Nat? Sei scostante con tutti, Carolyna è l’unica che ti si può avvicinare senza venir aggredita in malo modo, vorrei capire perchè.” disse lui con aria seria.

 

Curt sospirò: “Tale e quale agli zietti...” pensò tra sè e sè.

 

Eppure non si sentiva pronta per rivelare ad altri ciò che provava e che aveva provato.

 

Si guardò la mano, mamma aveva fatto proprio un bel lavoro, come gli aveva chiesto; era riuscita perfino a ingannare i suoi intimi amici.

 

Nessuno avrebbe mai immaginato che fosse priva di un braccio.

 

Strinse i pugni.

 

“Curt, se non vuoi dirmelo, non importa.. Anzi, scusami se...” ma le parole del bimbo furono bloccate da un gesto imperioso della bruna, il biondino non riusciva a vederne il viso, nascosto dai ciuffi color cioccolato; senza dire alcunchè, la giovane cominciò a rimboccarsi la manica: sotto lo sguardo stupefatto di Gabriel, la pelle della ragazza scivolò via, lasciando solo una struttura metallica, i pistoni che lavoravano a pieno ritmo, i cuscinetti a sfera che sibilavano.

 

“Nathan da piccolo soffriva di una grave malattia, non so esattamente cosa fosse ma ne soffriva sin da quando io ricordi; a quel tempo avevo 14 anni ed ero troppo orgogliosa per mostrare quello che provavo. Quando morì, all’improvviso, un Natale, io....” sussurrò lei, tenendo lo sguardo basso.

 

“Lo trasmutasti, vero?” completò Gabriel in un soffio, prendendole la mano metallica; lei annuì, “Riuscii a riprenderlo, ma persi il braccio e parte del mio cuore; dopo lunghi allenamenti e sacrifici, sono riuscita a riavere una vita quasi normale, ma nessuno sa dei suoi poteri, nemmeno noi sappiamo esattamente quanto siano forti. Essendo figlio di Envy, già è per metà homunculus, in più è stato trasmutato, non ho assolutamente idea di quanto latente sia il suo potenziale, potrebbe restare immutato come aumentare. Non posso lasciarlo da solo, ma non voglio espormi troppo, non sarei in grado di gestirmi e poi, non sono un tipo che si lascia molto andare, per me è difficile lasciarmi andare ai sentimentalismi, da questo punto di vista ho preso molto da zietto Edo.” sussurrò, sorridendo lievemente.

 

“Sai cosa penso? Che tu pretenda un pò troppo da te stessa.”.

 

Gabriel la guardava con affetto, tenendole la mano: “non puoi impedire ai sentimenti di mostrarsi, è naturale. Puoi nasconderli quanto vuoi, ma prima o poi verranno fuori; in questo tempo passato assieme, ho notato quanto tu sia legata a Nat, anche se tenti di nasconderlo come al Nest, quando mi aveva rivelato della sua condizione. Anche lui è molto legato a te, ma siete due maledetti orgogliosi e nessuno dei due farebbe mai il primo passo. Ma io sono sicuro che presto qualcosa vi farà cambiare idea.” affermò sibillino lui, balzando giù dal divano.

 

“io me ne torno a letto, ci vediamo tra un pò!” esclamò con un gran sorrisetto beffardo, dileguandosi verso le camere.

 

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“Sei uno stupido, Acciaio! Saresti potuto finire male!! Non ti hanno mai detto di non girare da solo per i vicoli bui??”

 

“Maledetto Colonnello, la smetta di darmi del moccioso, non ho fatto nulla di male, mi hanno semplicemente colto alle spalle.”.

 

“Ancora meglio, ma come diavolo hai fatto a sopravvivere sino a ora?”

 

“Vul dire che c’è qualcuno che mi ama lassù, sicuramente molto più di lei!”.

 

“Fagiolo malefico!”

 

“CHI SAREBBE LA PULCE?!?!?!”.

 

Una padellata si abbattè violentemente sulle teste dei malcapitati.

 

“Ora statevene zitti per cinque minuti, chiaro?” sbottò furiosa Izumi, poggiando sul tavolo della colazione una cuccuma di caffè appena fatto; era primo mattino e tutti erano riuniti nella cucina della maestra, intenti a far colazione.

 

Fuori, il cielo era ancora color sangue e i pianetini sembravano avvicinarsi sempre più a ogni minuto che passava; dopo le spiegazioni da parte di Edward, già in piedi, si era deciso di raggiungere il più velocemente possibile Central City e farla finalmente finita con quella storia.

 

“Ragazzi, ma per quello che dovete fare voi, sicuri che Central vada bene?” chiese Danny, “è vero, dopotutto non sappiamo esattamente cosa dovete fare.” confermò Maria.

 

I Cinque si guardarono.

 

“Envy ti ha detto che ci aspetta là, vero?” parlò Shun, rivolta a Ed, “Si, ne sono certo.” asserì lui, “Allora è tutto a posto.” rispose sibillina lei, tornando a bere il suo tè.

 

“Forza, andiamo. Dobbiamo sbrigarci a prendere il treno, Marcoh e Scar ci stanno aspettando alla stazione.” disse poi, alzandosi in piedi.

 

Riza sospirò ed estrasse le pistole, puntandole alle tempie dei suoi superiori, ancora intenti a litigare: “Andiamo.”.

 

I ragazzi si avvolsero con le mantelle blu notte, Ed si drappeggiò addosso il suo fido cappotto rosso.

 

Erano pronti.

 

Izumi e Mason erano poggiati contro la parete dell’ingresso, Shigu li aspettava fuori per accompagnarli.

 

“Arrivederci maestra, speriamo di tornare a trovarla presto.”, Al fece un leggero inchino alla donna, “Ci scusi per il disturbo..” disse il ragazzino.

La donna sospirò, poggiando una mano sulla spalla metallica del minore dei suoi allievi: “Non dire cavolate, Alphonse. Non vi azzardate a morire, altrimenti vi vengo a cercare sin all’Inferno, sono stata chiara?” ringhiò la donna.

 

Edward sbuffò, voltandosi e facendo per uscire.

 

Si fermò sulla soglia, la schiena voltata alla donna: “Grazie di tutto, Izumi-san.” sussurrò, uscendo di casa.

 

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“Allora, facciamo il punto. Shun, tu hai portato sin qui Marcoh-san e Scar, ma perché non ci hai raggiunto subito?”.

 

Qualche ora dopo erano ormai in viaggio, diretti a gran velocità verso Central City.

 

I Cinque bambini erano seduti assieme in uno scomparto, controllati a vista da Riza e Jean.


La mora scoppiò a ridere, sistemandosi la lunga treccia: “Giustissimo, Gabriel-kun! Ma non ero poi sicura che foste voi i miei compagni!! Solo quando sono riuscita a far riprendere Scar dopo averlo portato via dal Nest ne ho avuto conferma da lui; mi ha chiesto se facevo parte di un “gruppo di mocciosetti alchimisti” e ho subito capito che eravate voi. Il Primo Guardiano è riuscito a trovarmi in ritardo e quando voi vi siete riuniti, io non c’ero. Ci ho messo di più per ritrovarvi, anche perché non avevo nulla in mano, nemmeno un indizio che mi permettesse di trovarvi. Per fortuna sono riuscita a recuperare Marcoh, che mi ha raccontato che Ed e Al erano diretti al Laboratorio n°5. A quel punto, è stato facile seguire gli homunculus.” spiegò Shun con un gran sorriso.

 

“Quindi, il nostro obbiettivo è Central City, ma non abbiamo la minima idea di dove cercare.” sbuffò Nat, scagliando la penna che teneva in mano dall’altra parte dello scomparto, “è tutto molto strano. Se davvero Envy,”, Nat ebbe un fremito, “Ha voluto avvertirci riguardo alla città, ci avrebbe dato maggiori informazioni.” asserì il piccolo homunculus, guardando fisso fuori dal finestrino.

 

La situazione era sempre peggiore a ogni minuto che passava.

 

Il cielo sopra di loro si faceva sempre più sanguigno, nubi violette e nere lo solcavano, mosse da un vento innaturalmente carico di elettricità, sembrava si stesse avvicinando la fine del mondo.

 

Gabriel guardava intensamente quella distesa cremisi, lo sguardo puntato su uno dei pianetini; strinse forte i pugni, mordendosi il labbro inferiore fino quasi a farselo sanguinare: “non permetterò a nessuno di bloccarmi, se gli homunculus vogliono mettersi contro di me, se la vedranno male.” ringhiò il bambino, lo sguardo dorato macchiato di rosso.

 

“Ehi, ma che diavolo combini, Gabriel!”.

La voce scossa di Carol lo riportò per un attimo alla realtà, facendolo voltare.

 

La mora lo guardava preoccupata, in bocca sentiva il gusto fastidioso del sangue.

 

Vide la maggiore prendere un fazzoletto e passarglielo sulle labbra: “Che diavolo fai? L’autolesionismo non è la soluzione ai nostri guai!” sbottò Nat, fissandolo con le sue gemme violette, “Stavo pensando, e non trattarmi come un bambino, sono più grande di te.” esclamò con voce spaventosamente calma, “Scusami se mi sono preoccupato per te, allora, razza di stupido!” ringhiò il moro, rizzandosi in piedi, i capelli che fluttuavano nell’aria malgrado nella stanza non spirasse alcun alito di vento.

 

I due si fronteggiavano con lo sguardo, sembravano pronti a sbranarsi, le ragazze non li avevano mai visti così: il piccolo homunculus sembrava circondato dalle sue fiamme demoniache, Gabriel si teneva forte il braccio col tatuaggio, che brillava di una insana luce verde smeraldo, colorando le pareti di quell’inquietante sfumatura.

 

Curtis sussultò, l’aria si era fatta d’improvviso pesante.

Guardò il cugino, quello sguardo lo conosceva bene.

 

Era il preludio di una rissa.

 

Se non li avesse fermati qualcuno, come minimo il treno sarebbe stato fatto a pezzetti.

Nella migliore delle ipotesi.

 

Anche Shun, solitamente tranquilla e sicura, sembrava quasi sorpresa da quell’improvviso scatto di rabbia dei due bambini.

 

“Nah, io ci rinuncio con te! Me ne vado dagli zii, ci vediamo dopo.” esclamò Nat a sorpresa, calmandosi e prendendo la porta, non prima di aver scoccato una strana occhiata al coetaneo.

 

Un’occhiata che non passò certo inosservata agli altri quattro.

Un occhiata ferita e delusa.

 

Gabriel si lasciò cadere sul sedile, inspirando ed espirando affannosamente, gli occhi spalancati dallo stupore.

 

Cosa aveva mai letto nello sguardo dell’amico?

 

Nascose istintivamente il viso tra le manine paffute, rannicchiandosi sul divano, accoccolato accanto al finestrino.

L’aria si fece a poco a poco più leggera, e la calma sembrò tornare nella stanza.

 

Ma il silenzio venne rotto da un improvviso singhiozzo.

Seguito da un altro e un altro ancora.

 

Il biondo stava piangendo.

 

Carol e Curt si alzarono istintivamente in piedi, ma furono bloccate da un gesto calmo e pacato della terza coetanea, che si avvicinò lentamente al bambino rannicchiato sul cuscino; con un gesto materno, strinse le braccia attorno al suo corpicino e lo abbracciò forte, permettendogli di trovare rifugio nell’incavo del suo collo.

I singhiozzi vennero leggermente attutiti.

 

Le due ragazze erano stupefatte.

 

Quando mai avevano visto Gabriel piangere?

Mai, da quando lo conoscevano.

 

Cosa stava accadendo?

 

“Non è facile per nessuno, lo sai, ma non possiamo lasciarci sconfiggere dal dolore e dalla disperazione, lo sai. È difficile, ma dobbiamo almeno provarci; shh… non piangere.. Non serve, ti fa solo sentire peggio…” sussurrò la mora al suo orecchio.

 

A poco a poco, lei sentì il piccolo rilassarsi, sino quasi a non muoversi più, anche i singhiozzi erano spariti.

 

Si era addormentato.

 

Con un sospiro, Shun lo passò alle altre due, cui rivolse un sorriso incoraggiante: “lasciatelo dormire e svegliatelo solo quando saremo a destinazione.” affermò lei, sedendosi al suo posto e immergendosi nuovamente nella lettura delle carte che stava consultando.

 

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La notte era oramai calata da ore sulla capitale quando una figuretta agile e incredibilmente veloce attraversò di corsa il piazzale del Comando Generale, gettandosi tra i vicoli che costeggiavano la zona dei Laboratori militari.

 

Il cielo cremisi era solcato da scariche elettriche e le nuvole sembravano addensarsi, come a formare dei turbini; la Luna era rossa, sembrava grondare sangue da ferite nascoste, che ne contaminavano la millenaria purezza.

 

Le poche pattuglie di guardia, impigrite dalle lunghe ore di veglia, non fecero caso a quella silhouette che si intrufolò nascostamente nel piazzale del Laboratorio n°5 in rovina.

 

Tutto era rimasto immutato dall’irruzione delle forze militari, l’ala ovest era quasi completamente distrutta, il piazzale era ingombro di calcinacci e pezzi di mattonelle scheggiate, nell’aria, aleggiava penetrante il puzzo del sangue e dell’abbandono.

 

Una testolina bionda spiccò su tutto, corredata da un visetto pallido, i lineamenti di bambino che contrastavano col suo sguardo maturo.

 

Con aria corrucciata, il piccolo, che non poteva avere più di sette anni, si sedette su uno dei massi, le ginocchia strette al petto.

 

Gabriel aveva paura.

 

Non capiva quello che doveva fare, che sarebbe accaduto.

 

Non voleva perdere, ma non voleva nemmeno che qualcuno ci rimettesse la vita.

 

Men che meno persone innocenti.

Eppure, proprio non se la sentiva.

 

Non riusciva a comprendere.

 

Perché i Guardiani lo avevano scelto?

 

Si sentì improvvisamente così piccolo e indifeso.

 

Si prese la testa tra le mani, scuotendola rassegnato: “A cosa diamine servo io? Non sono riuscito a combinare nulla di sensato in questo viaggio, sono un’inutile palla al piede..” singhiozzò sommessamente, rannicchiandosi.

 

“Hai voglia di starti ancora a piangere addosso?”.

 

Una voce calma e gelida lo riscosse, facendolo rabbrividire.

Con uno scatto, si alzò, guardandosi febbrilmente attorno.

 

“Se posso parlare con una persona civile e matura, resto, altrimenti me ne torno indietro.” continuò quella voce, ma da dove accidenti proveniva? Non riusciva a capirlo.

 

A prima vista, lo spiazzo sembrava deserto.

 

“Ti ci vuole tanto per trovarmi, Roy Gabriel?”.

 

Il bimbo alzò la testa.

Sul tetto, appollaiata, vide un’ombra stagliarsi contro il cielo sanguinante.

 

Dal corpo sembrava emanare come delle fiamme bluastre, che contrastavano nettamente col cupo paesaggio circostante.

 

Gabriel strinse i pugni, mentre la figura, senza nemmeno aspettare una risposta, planò con eleganza davanti a lui: due occhi di un violetto intenso lo catturarono, una lunga sciarpa argentea legata attorno a un collo sottile e marmoreo svolazzava al vento forte.

 

“Nathan…” soffiò il piccolo Roy, “Sbaglio o avevi promesso a Curtis di non trasformarti più?” sogghignò lui, incrociando le braccia al petto; l’altro lo imitò, sbuffando, “Se un idiota si diverte a giocare a nascondino, è lecito.” replicò seccato.

“Solo per un nascondino? Allora non sai proprio perdere, Nathan Anthony.” computò con lentezza il biondo, ritirandosi istintivamente per evitare una lancia alchemica lanciata contro di lui.

 

Con un paio di salti, si ritrovò sul terrazzino superiore.

 

L’homunculus lo raggiunse con un balzo: “E ora, cosa mi dici?” lo sfidò, incrociando le mani dietro la nuca; un istante dopo, Gabriel scattò all’attacco, cercando di colpirlo al viso con decisone e forza.

 

Ma un attimo prima, venne schivato, e lui rischiò seriamente di finire sfracellato contro la parete dell’edificio; con uno scatto, e sfruttando l’appoggio delle macerie, saltò e raggiunse il coetaneo, che era sul tetto.

 

Rideva.

 

“Sei solo uno stupido,          Gabriel se davvero avevi pensato di sconfiggermi con tale facilità!” urlò Nat, scagliandosi all’attacco con le sue fiamme, “ASHURA!!” urlò il piccolo, avvolgendo il coetaneo come se fosse stato una crisalide nel suo involucro di seta; da dentro il misterioso bozzolo di fiamme calde, si udiva solo un lontano lamento.

 

Senza curarsene, prese il fiammeggiante guscio tra le braccia, e lo poggiò sul terreno dello spiazzo.

Quel fuoco ardeva ancora, ma non si udiva più nulla dall’interno.

 

Il moretto lo accarezzò per un attimo, gli occhi viola per un secondo si illuminarono.

 

Un istante e Nat tornò quello di sempre.

 

“Gabriel, ascoltami bene, perché non lo ripeterò una seconda volta. I Mustang hanno un orgoglio, e questo lo sai molto meglio di me, a cui non si può dire di no. Ma l’orgoglio non è nulla senza la fiducia, in sé stessi e negli altri. Lo so, ora tu sei spaventato, e, credimi, anche io lo sono, siamo bambini, ed è normale, ma è importante cercare di superare questa paura, e continuare a guardare avanti, come abbiamo sempre fatto da quando questa assurda missione ha avuto inizio, cercando di ritrovare la fiducia, in noi stessi, soprattutto.” pronunciò il piccolo homunculus, la voce che tremava leggermente.

 

“Ora rispondimi sinceramente. Ci siamo mai arresi, io e te? Ad esempio, quando Greed ci ha portato via a Dublith, ci eravamo dati per vinti? Oppure, qui, proprio qui, al Laboratorio? Avevamo fatto una promessa a Curt e non potevamo infrangerla.” chiese il moretto.

 

Dentro, il piccolo Roy rifletteva sulle parole dell’amico.

Dopo lo spavento iniziale e la rabbia, a poco a poco una strana calma aveva preso il sopravvento su tutto, infondendogli solo pace.

 

“N..No,” riuscì a rispondere a fatica, “non ci siamo mai arresi, né dati per vinti..” sussurrò lui, sentiva le lacrime pizzicargli gli occhioni dorati.

 

“Esatto!! Non ci siamo mai arresi e non possiamo farlo proprio ora!! Non ora che ormai ci siamo!! Non ora!!! Gabri, tu sei un mio amico, uno dei pochi che io abbia, a dirtela tutta. Sei una delle persone più preziose per me, e non posso sopportare di vederti così; voglio rivedere quello sguardo deciso, voglio riavere il mio compagno di battaglia di un tempo, Roy Gabriel!” urlò, battendo i pugni sul guscio fiammeggiante.

 

Il biondo sorrise piano, singhiozzando.

 

Aveva capito.

Aveva compreso.

 

“D’accordo.. Ma.. per favore… Fammi uscire… Comincia a mancarmi l’aria qui dentro..” sussurrò, tossendo; “Subito!” esclamò l’altro, socchiudendo gli occhi.

Lentamente, l’involucro si sbriciolò come un castello di sabbia e la pallida sagoma del piccolo Figlio fece capolino, ricadendo tra le braccine del coetaneo come un peso morto, tossendo e ansimando: “Ehi, tutto a posto? Forse mi sono lasciato trasportare…” si scusò l’altro, poggiandolo con delicatezza a terra.

 

Il compagno fece un gesto come a volerlo rassicurare e si sedette da solo, il suo sguardo era di nuovo limpido e luminoso: “Grazie, amico mio…” sussurrò, abbracciandolo forte.

 

ALTRO CAPITOLO FINITO!!!

Sono troppo stanca per scrivere qualcosa di decente, sono le 2.

Vi saluterò degnamente oggi pomeriggio.

UN BACIO

 

SHUN

   
 
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