I FIGLI DEI QUATTRO MONDI
CAPITOLO 14
GABRIEL LASCIA?
Gli
attacchi si susseguirono senza sosta, sempre più feroci, non sapeva come
difendersi.
Un’ultimo
colpo lo privò delle ultime energie rimastegli.
Prima di
cadere svenuto, udì una voce melliflua sussurrargli qualcosa all’orecchio, una
voce conosciuta: “Vi aspettiamo a Central City, O’Chibi
San...”.
Poi uno
scalpiccio di piedi e tutto cadde nel silenzio, mentre si abbandonava al
buio.
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“NIISAN!!!
CHE TI È SUCCESSO??”
“Al,
calmati, stendetelo sul divano. Curtis, và a prendere le garze,
subito.”
“Shun, lo
abbiamo trovato qui vicino, era disteso a terra, deve aver avuto da ridire con
qualcuno più grosso di lui.”
“E direi
anche parecchio più grosso, e pure bastardo. Queste ferite sono la firma di
Envy, ne sono certa, solo lui può accanirsi così su Edward e dei semplici
balordi sarebbero KO in pochi istanti contro il Fullmetal
Alchemist.”.
“Che
diavolo ci fa Envy qui a Dublith?”
“Non lo so
Gabriel, ma lo scopriremo, vedrai... Forza, ora dobbiamo occuparci di lui,
correte a svegliare il Taisa e anche Izumi-san,
veloci!”.
Un vociare
confuso e preoccupato scosse leggermente il biondo dal baratro di incoscienza in
cui era precipitato; qualcuno lo portava in braccio, ma non riusciva a
riconoscerlo, era troppo debole anche per pensare, sentiva il corpo lacerato e
martoriato, anche respirare gli causava fitte immani al
petto.
Si sentì
appoggiato su qualcosa di morbido e caldo.
“Al, corri
a prendere degli asciugamani e dell’acqua fredda, Nat, procurami del
disinfettante, CURT, LE BENDE! Dobbiamo fermare il sangue!
Sbrigati!”.
Ed sentì la
voce dura di Shun impartire rapidi ordini ai compagni e comprese di essere al
sicuro, era a casa.
Cercò di
rialzarsi e mettersi seduto, divincolandosi dalla leggera ma ferma presa della
giovane; tuttavia i suoi movimenti furono bloccati sul nascere e fu risospinto
supino: “Sta fermo, baka! Sei messo male, dobbiamo ricucirti per bene!” sbottò
Shun, il biondo sentì come un rumore di stoffa strappata, mentre il suo petto, a
poco a poco, veniva messo a nudo dai pochi brandelli della
canotta.
La pelle
bruciò a contatto con l’aria, strappandogli gemiti di
dolore.
“Ecco,
abbiamo preso tutto, cosa facciamo ora?” chiese con voce ansiosa Gabriel, “Bene,
ora dovete aiutarmi, seguite le mie
indicazioni.” parlò la ragazza.
“Ragazza, cosa è successo a Edward?” chiese improvvisamente una
voce più matura e velata di preoccupazione, la voce di Izumi, “Le spiegazioni a
dopo, signora. Dobbiamo ricucirlo, dove dannazione è finito il Colonnello?”
sbottò la giovane con tono adirato; in quel momento, Ed sentì un gran rumore di
passi in corsa e voci agitate: “Shun, cosa diavolo sta succedendo?”, al biondo
saltò il cuore in gola nell’udire quelle parole, aveva riconosciuto all’istante
quella voce, “A quanto pare c’è Envy in circolazione. Vada fuori con i suoi
uomini, dovete trovarlo!” esclamò la ragazza, “Ma cosa è successo a Edward?”
chiese Breda, in pigiama con la giacca della divisa addosso, “è stato aggredito,
forza, muovetevi, oppure quel bastardo riuscirà a scappare!” sbottò
lei.
A malincuore, Roy dovette lasciare il biondo alle cure di Nat, Shun
e degli altri ragazzi e uscire fuori, seguito dai suoi
sottoposti.
In quel momento, il biondo fu avvolto dal buio e
dall’incoscienza.
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“Allora, come sta?”
“Adesso dorme, quindi fate piano… Voi? Trovato
Envy?”
“Niente, abbiamo girato per tutti i vicoli, ma non lo abbiamo
trovato, ormai è l’alba… Yawn”.
Uno sbadiglio pigro interruppe la frase in bocca ad
Havoc.
“Forza, tornate a dormire, avete ancora qualche oretta di riposo.
Scusatemi se sono stata dura, ma..”.
“Nessun problema, anzi.. Beh,
buonanotte..”.
Una serie di passi felpati risuonò per qualche attimo nella stanza
silenziosa, poi più nulla, se non un sospiro stanco; Curtis si sedette sul
divano del salotto, imitata da Shun e da Carol, che si erano accomodate sulla
poltrona del signor Shigu. Solo loro erano sveglie, avevano spedito i bambini a
letto ormai da ore, che almeno loro dormissero un
poco.
La mora poggiò la testa sulla spalla della nuova arrivata, ed
entrambe caddero appisolate, le mani intrecciate in grembo, ma per Curtis il
sonno non si decideva ad arrivare, troppi pensieri le frullavano per la testa;
la bruna era molto preoccupata, cosa avrebbe fatto, si chiedeva, se gli
homunculus avessero aggredito ancora una volta Edward, oppure Nat o qualunque
altro dei suoi amici?
La giovane si lasciò prendere dalla paura e mollò un pugno sul
bracciolo del divano: “Dannazione… Non voglio che si ripeta… Devo proteggerlo…”
sussurrò a mezza voce.
“Ehi, Curt-san, cosa hai?”.
La voce di Gabriel la fece voltare di scatto e la ragazza vide il
bambino, in pigiama, camminare verso di lei, gli occhi gonfi di sonno; la bruna
fu svelta ad asciugarsi il viso e a cercare di ricomporsi: “N..Nulla.. Perché
sei ancora alzato?” chiese lei, guardandolo, “Dovresti essere a dormire.” lo
rimbeccò severa; lui la ignorò, accomodandosi accanto a lei, “Ho sentito che il
nonno… Cioè, il colonnello, è tornato e mi sono svegliato.” spiegò lui,
accoccolandosi sul divano.
La bruna sospirò: “Si, sono tornati, ma non hanno trovato nulla.”
rispose laconicamente lei, giocherellando con le dita delle mani; i due
restarono in silenzio per un pò, l’unico rumore che si udiva era il profondo
respiro delle due ragazze addormentate sulla
poltrona.
“Senti Curt,” incominciò Gabriel a un certo punto, sollevando i
piedi e rannicchiandosi sui cuscini, “Perchè ti comporti
così?”.
La bruna si voltò di scatto, guardandolo stupita negli occhi
dorati: “è inutile che fai quella faccia, guarda che ho capito. Sono un bambino,
ma non sono mica stupido. Perchè ti comporti così con Nat? Sei scostante con
tutti, Carolyna è l’unica che ti si può avvicinare senza venir aggredita in malo
modo, vorrei capire perchè.” disse lui con aria
seria.
Curt sospirò: “Tale e quale agli zietti...” pensò tra sè e
sè.
Eppure non si sentiva pronta per rivelare ad altri ciò che provava
e che aveva provato.
Si guardò la mano, mamma aveva fatto proprio un bel lavoro, come
gli aveva chiesto; era riuscita perfino a ingannare i suoi intimi
amici.
Nessuno avrebbe mai immaginato che fosse priva di un
braccio.
Strinse i pugni.
“Curt, se non vuoi dirmelo, non importa.. Anzi, scusami se...” ma
le parole del bimbo furono bloccate da un gesto imperioso della bruna, il
biondino non riusciva a vederne il viso, nascosto dai ciuffi color cioccolato;
senza dire alcunchè, la giovane cominciò a rimboccarsi la manica: sotto lo
sguardo stupefatto di Gabriel, la pelle della ragazza scivolò via, lasciando
solo una struttura metallica, i pistoni che lavoravano a pieno ritmo, i
cuscinetti a sfera che sibilavano.
“Nathan da piccolo soffriva di una grave malattia, non so
esattamente cosa fosse ma ne soffriva sin da quando io ricordi; a quel tempo
avevo 14 anni ed ero troppo orgogliosa per mostrare quello che provavo. Quando
morì, all’improvviso, un Natale, io....” sussurrò lei, tenendo lo sguardo
basso.
“Lo trasmutasti, vero?” completò Gabriel in un soffio, prendendole
la mano metallica; lei annuì, “Riuscii a riprenderlo, ma persi il braccio e
parte del mio cuore; dopo lunghi allenamenti e sacrifici, sono riuscita a
riavere una vita quasi normale, ma nessuno sa dei suoi poteri, nemmeno noi
sappiamo esattamente quanto siano forti. Essendo figlio di Envy, già è per metà
homunculus, in più è stato trasmutato, non ho assolutamente idea di quanto
latente sia il suo potenziale, potrebbe restare immutato come aumentare. Non
posso lasciarlo da solo, ma non voglio espormi troppo, non sarei in grado di
gestirmi e poi, non sono un tipo che si lascia molto andare, per me è difficile
lasciarmi andare ai sentimentalismi, da questo punto di vista ho preso molto da
zietto Edo.” sussurrò, sorridendo lievemente.
“Sai cosa penso? Che tu pretenda un pò troppo da te
stessa.”.
Gabriel la guardava con affetto, tenendole la mano: “non puoi
impedire ai sentimenti di mostrarsi, è naturale. Puoi nasconderli quanto vuoi,
ma prima o poi verranno fuori; in questo tempo passato assieme, ho notato quanto
tu sia legata a Nat, anche se tenti di nasconderlo come al Nest, quando mi aveva
rivelato della sua condizione. Anche lui è molto legato a te, ma siete due
maledetti orgogliosi e nessuno dei due farebbe mai il primo passo. Ma io sono
sicuro che presto qualcosa vi farà cambiare idea.” affermò sibillino lui,
balzando giù dal divano.
“io me ne torno a letto, ci vediamo tra un pò!” esclamò con un gran
sorrisetto beffardo, dileguandosi verso le
camere.
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“Sei uno stupido, Acciaio! Saresti potuto finire male!! Non ti
hanno mai detto di non girare da solo per i vicoli
bui??”
“Maledetto Colonnello, la smetta di darmi del moccioso, non ho
fatto nulla di male, mi hanno semplicemente colto alle
spalle.”.
“Ancora meglio, ma come diavolo hai fatto a sopravvivere sino a
ora?”
“Vul dire che c’è qualcuno che mi ama lassù, sicuramente molto più
di lei!”.
“Fagiolo malefico!”
“CHI SAREBBE LA PULCE?!?!?!”.
Una padellata si abbattè violentemente sulle teste dei
malcapitati.
“Ora statevene zitti per cinque minuti, chiaro?” sbottò furiosa
Izumi, poggiando sul tavolo della colazione una cuccuma di caffè appena fatto;
era primo mattino e tutti erano riuniti nella cucina della maestra, intenti a
far colazione.
Fuori, il cielo era ancora color sangue e i pianetini sembravano
avvicinarsi sempre più a ogni minuto che passava; dopo le spiegazioni da parte
di Edward, già in piedi, si era deciso di raggiungere il più velocemente
possibile Central City e farla finalmente finita con quella
storia.
“Ragazzi, ma per quello che dovete fare voi, sicuri che Central
vada bene?” chiese Danny, “è vero, dopotutto non sappiamo esattamente cosa
dovete fare.” confermò Maria.
I Cinque si guardarono.
“Envy ti ha detto che ci aspetta là, vero?” parlò Shun, rivolta a
Ed, “Si, ne sono certo.” asserì lui, “Allora è tutto a posto.” rispose sibillina
lei, tornando a bere il suo tè.
“Forza, andiamo. Dobbiamo sbrigarci a prendere il treno, Marcoh e
Scar ci stanno aspettando alla stazione.” disse poi, alzandosi in
piedi.
Riza sospirò ed estrasse le pistole, puntandole alle tempie dei
suoi superiori, ancora intenti a litigare:
“Andiamo.”.
I ragazzi si avvolsero con le mantelle blu notte, Ed si drappeggiò
addosso il suo fido cappotto rosso.
Erano pronti.
Izumi e Mason erano poggiati contro la parete dell’ingresso, Shigu
li aspettava fuori per accompagnarli.
“Arrivederci maestra, speriamo di tornare a trovarla presto.”, Al
fece un leggero inchino alla donna, “Ci scusi per il disturbo..” disse il
ragazzino.
La donna sospirò, poggiando una mano sulla spalla metallica del
minore dei suoi allievi: “Non dire cavolate, Alphonse. Non vi azzardate a
morire, altrimenti vi vengo a cercare sin all’Inferno, sono stata chiara?”
ringhiò la donna.
Edward sbuffò, voltandosi e facendo per
uscire.
Si fermò sulla soglia, la schiena voltata alla donna: “Grazie di
tutto, Izumi-san.” sussurrò, uscendo di casa.
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“Allora, facciamo il punto. Shun, tu hai portato sin qui Marcoh-san
e Scar, ma perché non ci hai raggiunto
subito?”.
Qualche ora dopo erano ormai in viaggio, diretti a gran velocità
verso Central City.
I Cinque bambini erano seduti assieme in uno scomparto, controllati
a vista da Riza e Jean.
La mora scoppiò a ridere, sistemandosi la lunga treccia:
“Giustissimo, Gabriel-kun! Ma non ero poi sicura che foste voi i miei compagni!!
Solo quando sono riuscita a far riprendere Scar dopo averlo portato via dal Nest
ne ho avuto conferma da lui; mi ha chiesto se facevo parte di un “gruppo di
mocciosetti alchimisti” e ho subito capito che eravate voi. Il Primo Guardiano è
riuscito a trovarmi in ritardo e quando voi vi siete riuniti, io non c’ero. Ci
ho messo di più per ritrovarvi, anche perché non avevo nulla in mano, nemmeno un
indizio che mi permettesse di trovarvi. Per fortuna sono riuscita a recuperare
Marcoh, che mi ha raccontato che Ed e Al erano diretti al Laboratorio n°5. A
quel punto, è stato facile seguire gli homunculus.” spiegò Shun con un gran
sorriso.
“Quindi, il nostro obbiettivo è Central City, ma non abbiamo la
minima idea di dove cercare.” sbuffò Nat, scagliando la penna che teneva in mano
dall’altra parte dello scomparto, “è tutto molto strano. Se davvero Envy,”, Nat
ebbe un fremito, “Ha voluto avvertirci riguardo alla città, ci avrebbe dato
maggiori informazioni.” asserì il piccolo homunculus, guardando fisso fuori dal
finestrino.
La situazione era sempre peggiore a ogni minuto che
passava.
Il cielo sopra di loro si faceva sempre più sanguigno, nubi
violette e nere lo solcavano, mosse da un vento innaturalmente carico di
elettricità, sembrava si stesse avvicinando la fine del
mondo.
Gabriel guardava intensamente quella distesa cremisi, lo sguardo
puntato su uno dei pianetini; strinse forte i pugni, mordendosi il labbro
inferiore fino quasi a farselo sanguinare: “non permetterò a nessuno di
bloccarmi, se gli homunculus vogliono mettersi contro di me, se la vedranno
male.” ringhiò il bambino, lo sguardo dorato macchiato di
rosso.
“Ehi, ma che diavolo combini,
Gabriel!”.
La voce scossa di Carol lo riportò per un attimo alla realtà,
facendolo voltare.
La mora lo guardava preoccupata, in bocca sentiva il gusto
fastidioso del sangue.
Vide la maggiore prendere un fazzoletto e passarglielo sulle
labbra: “Che diavolo fai? L’autolesionismo non è la soluzione ai nostri guai!”
sbottò Nat, fissandolo con le sue gemme violette, “Stavo pensando, e non
trattarmi come un bambino, sono più grande di te.” esclamò con voce
spaventosamente calma, “Scusami se mi sono preoccupato per te, allora, razza di
stupido!” ringhiò il moro, rizzandosi in piedi, i capelli che fluttuavano
nell’aria malgrado nella stanza non spirasse alcun alito di
vento.
I due si fronteggiavano con lo sguardo, sembravano pronti a
sbranarsi, le ragazze non li avevano mai visti così: il piccolo homunculus
sembrava circondato dalle sue fiamme demoniache, Gabriel si teneva forte il
braccio col tatuaggio, che brillava di una insana luce verde smeraldo, colorando
le pareti di quell’inquietante sfumatura.
Curtis sussultò, l’aria si era fatta d’improvviso
pesante.
Guardò il cugino, quello sguardo lo conosceva
bene.
Era il preludio di una rissa.
Se non li avesse fermati qualcuno, come minimo il treno sarebbe
stato fatto a pezzetti.
Nella migliore delle ipotesi.
Anche Shun, solitamente tranquilla e sicura, sembrava quasi
sorpresa da quell’improvviso scatto di rabbia dei due
bambini.
“Nah, io ci rinuncio con te! Me ne vado dagli zii, ci vediamo
dopo.” esclamò Nat a sorpresa, calmandosi e prendendo la porta, non prima di
aver scoccato una strana occhiata al coetaneo.
Un’occhiata che non passò certo inosservata agli altri
quattro.
Un occhiata ferita e delusa.
Gabriel si lasciò cadere sul sedile, inspirando ed espirando
affannosamente, gli occhi spalancati dallo
stupore.
Cosa aveva mai letto nello sguardo
dell’amico?
Nascose istintivamente il viso tra le manine paffute,
rannicchiandosi sul divano, accoccolato accanto al
finestrino.
L’aria si fece a poco a poco più leggera, e la calma sembrò tornare
nella stanza.
Ma il silenzio venne rotto da un improvviso
singhiozzo.
Seguito da un altro e un altro
ancora.
Il biondo stava piangendo.
Carol e Curt si alzarono istintivamente in piedi, ma furono
bloccate da un gesto calmo e pacato della terza coetanea, che si avvicinò
lentamente al bambino rannicchiato sul cuscino; con un gesto materno, strinse le
braccia attorno al suo corpicino e lo abbracciò forte, permettendogli di trovare
rifugio nell’incavo del suo collo.
I singhiozzi vennero leggermente
attutiti.
Le due ragazze erano stupefatte.
Quando mai avevano visto Gabriel
piangere?
Mai, da quando lo conoscevano.
Cosa stava accadendo?
“Non è facile per nessuno, lo sai, ma non possiamo lasciarci
sconfiggere dal dolore e dalla disperazione, lo sai. È difficile, ma dobbiamo
almeno provarci; shh… non piangere.. Non serve, ti fa solo sentire peggio…”
sussurrò la mora al suo orecchio.
A poco a poco, lei sentì il piccolo rilassarsi, sino quasi a non
muoversi più, anche i singhiozzi erano spariti.
Si era addormentato.
Con un sospiro, Shun lo passò alle altre due, cui rivolse un
sorriso incoraggiante: “lasciatelo dormire e svegliatelo solo quando saremo a
destinazione.” affermò lei, sedendosi al suo posto e immergendosi nuovamente
nella lettura delle carte che stava
consultando.
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La notte era oramai calata da ore sulla capitale quando una
figuretta agile e incredibilmente veloce attraversò di corsa il piazzale del
Comando Generale, gettandosi tra i vicoli che costeggiavano la zona dei
Laboratori militari.
Il cielo cremisi era solcato da scariche elettriche e le nuvole
sembravano addensarsi, come a formare dei turbini; la Luna era rossa, sembrava
grondare sangue da ferite nascoste, che ne contaminavano la millenaria
purezza.
Le poche pattuglie di guardia, impigrite dalle lunghe ore di
veglia, non fecero caso a quella silhouette che si intrufolò nascostamente nel
piazzale del Laboratorio n°5 in rovina.
Tutto era rimasto immutato dall’irruzione delle forze militari,
l’ala ovest era quasi completamente distrutta, il piazzale era ingombro di
calcinacci e pezzi di mattonelle scheggiate, nell’aria, aleggiava penetrante il
puzzo del sangue e dell’abbandono.
Una testolina bionda spiccò su tutto, corredata da un visetto
pallido, i lineamenti di bambino che contrastavano col suo sguardo
maturo.
Con aria corrucciata, il piccolo, che non poteva avere più di sette
anni, si sedette su uno dei massi, le ginocchia strette al
petto.
Gabriel aveva paura.
Non capiva quello che doveva fare, che sarebbe
accaduto.
Non voleva perdere, ma non voleva nemmeno che qualcuno ci
rimettesse la vita.
Men che meno persone innocenti.
Eppure, proprio non se la sentiva.
Non riusciva a comprendere.
Perché i Guardiani lo avevano
scelto?
Si sentì improvvisamente così piccolo e
indifeso.
Si prese la testa tra le mani, scuotendola rassegnato: “A cosa
diamine servo io? Non sono riuscito a combinare nulla di sensato in questo
viaggio, sono un’inutile palla al piede..” singhiozzò sommessamente,
rannicchiandosi.
“Hai voglia di starti ancora a piangere
addosso?”.
Una voce calma e gelida lo riscosse, facendolo
rabbrividire.
Con uno scatto, si alzò, guardandosi febbrilmente
attorno.
“Se posso parlare con una persona civile e matura, resto,
altrimenti me ne torno indietro.” continuò quella voce, ma da dove accidenti
proveniva? Non riusciva a capirlo.
A prima vista, lo spiazzo sembrava
deserto.
“Ti ci vuole tanto per trovarmi, Roy
Gabriel?”.
Il bimbo alzò la testa.
Sul tetto, appollaiata, vide un’ombra stagliarsi contro il cielo
sanguinante.
Dal corpo sembrava emanare come delle fiamme bluastre, che
contrastavano nettamente col cupo paesaggio
circostante.
Gabriel strinse i pugni, mentre la figura, senza nemmeno aspettare
una risposta, planò con eleganza davanti a lui: due occhi di un violetto intenso
lo catturarono, una lunga sciarpa argentea legata attorno a un collo sottile e
marmoreo svolazzava al vento forte.
“Nathan…” soffiò il piccolo Roy, “Sbaglio o avevi promesso a Curtis
di non trasformarti più?” sogghignò lui, incrociando le braccia al petto;
l’altro lo imitò, sbuffando, “Se un idiota si diverte a giocare a nascondino, è
lecito.” replicò seccato.
“Solo per un nascondino? Allora non sai proprio perdere, Nathan
Anthony.” computò con lentezza il biondo, ritirandosi istintivamente per evitare
una lancia alchemica lanciata contro di lui.
Con un paio di salti, si ritrovò sul terrazzino
superiore.
L’homunculus lo raggiunse con un balzo: “E ora, cosa mi dici?” lo
sfidò, incrociando le mani dietro la nuca; un istante dopo, Gabriel scattò
all’attacco, cercando di colpirlo al viso con decisone e
forza.
Ma un attimo prima, venne schivato, e lui rischiò seriamente di
finire sfracellato contro la parete dell’edificio; con uno scatto, e sfruttando
l’appoggio delle macerie, saltò e raggiunse il coetaneo, che era sul
tetto.
Rideva.
“Sei solo uno stupido,
Gabriel se davvero avevi pensato di sconfiggermi con tale facilità!” urlò
Nat, scagliandosi all’attacco con le sue fiamme, “ASHURA!!” urlò il piccolo,
avvolgendo il coetaneo come se fosse stato una crisalide nel suo involucro di
seta; da dentro il misterioso bozzolo di fiamme calde, si udiva solo un lontano
lamento.
Senza curarsene, prese il fiammeggiante guscio tra le braccia, e lo
poggiò sul terreno dello spiazzo.
Quel fuoco ardeva ancora, ma non si udiva più nulla
dall’interno.
Il moretto lo accarezzò per un attimo, gli occhi viola per un
secondo si illuminarono.
Un istante e Nat tornò quello di
sempre.
“Gabriel, ascoltami bene, perché non lo ripeterò una seconda volta.
I Mustang hanno un orgoglio, e questo lo sai molto meglio di me, a cui non si
può dire di no. Ma l’orgoglio non è nulla senza la fiducia, in sé stessi e negli
altri. Lo so, ora tu sei spaventato, e, credimi, anche io lo sono, siamo
bambini, ed è normale, ma è importante cercare di superare questa paura, e
continuare a guardare avanti, come abbiamo sempre fatto da quando questa assurda
missione ha avuto inizio, cercando di ritrovare la fiducia, in noi stessi,
soprattutto.” pronunciò il piccolo homunculus, la voce che tremava
leggermente.
“Ora rispondimi sinceramente. Ci siamo mai arresi, io e te? Ad
esempio, quando Greed ci ha portato via a Dublith, ci eravamo dati per vinti?
Oppure, qui, proprio qui, al Laboratorio? Avevamo fatto una promessa a Curt e
non potevamo infrangerla.” chiese il moretto.
Dentro, il piccolo Roy rifletteva sulle parole
dell’amico.
Dopo lo spavento iniziale e la rabbia, a poco a poco una strana
calma aveva preso il sopravvento su tutto, infondendogli solo
pace.
“N..No,” riuscì a rispondere a fatica, “non ci siamo mai arresi, né
dati per vinti..” sussurrò lui, sentiva le lacrime pizzicargli gli occhioni
dorati.
“Esatto!! Non ci siamo mai arresi e non possiamo farlo proprio
ora!! Non ora che ormai ci siamo!! Non ora!!! Gabri, tu sei un mio amico, uno
dei pochi che io abbia, a dirtela tutta. Sei una delle persone più preziose per
me, e non posso sopportare di vederti così; voglio rivedere quello sguardo
deciso, voglio riavere il mio compagno di battaglia di un tempo, Roy Gabriel!”
urlò, battendo i pugni sul guscio
fiammeggiante.
Il biondo sorrise piano,
singhiozzando.
Aveva capito.
Aveva compreso.
“D’accordo.. Ma.. per favore… Fammi uscire… Comincia a mancarmi
l’aria qui dentro..” sussurrò, tossendo; “Subito!” esclamò l’altro, socchiudendo
gli occhi.
Lentamente, l’involucro si sbriciolò come un castello di sabbia e
la pallida sagoma del piccolo Figlio fece capolino, ricadendo tra le braccine
del coetaneo come un peso morto, tossendo e ansimando: “Ehi, tutto a posto?
Forse mi sono lasciato trasportare…” si scusò l’altro, poggiandolo con
delicatezza a terra.
Il compagno fece un gesto come a volerlo rassicurare e si sedette
da solo, il suo sguardo era di nuovo limpido e luminoso: “Grazie, amico mio…”
sussurrò, abbracciandolo forte.
ALTRO CAPITOLO
FINITO!!!
Sono troppo stanca per
scrivere qualcosa di decente, sono le 2.
Vi saluterò degnamente
oggi pomeriggio.
UN
BACIO
SHUN