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Autore: Amatus    18/06/2016    3 recensioni
I grandi eroi esistono per sconfiggere grandi nemici e pericoli mortali. E se il confine fra eroe e mostro non fosse così evidente? Se l'eroe non sapesse contro cosa realmente combatte? Se il nemico fosse convinto di essere un eroe?
E se il nemico più pericoloso fosse l'eroe pronto a combattere per la propria giusta causa a dispetto di tutto il resto?
Una storia può essere raccontata da diversi punti di vista. Questa storia ne presenta due. Due potenziali eroi. Due potenziali mostri. Distinguere l'uno dall'altro potrebbe essere più difficile di quanto si pensi.
Era troppo tempo che qualcuno non gli rivolgeva una parola gentile e fare nuove conoscenze era una cosa così tanto al di fuori delle sue aspettative che non sapeva come reagire. Quando alla fine pronunciò il suo nome quelle lettere così scandite suonarono buffe alle sue orecchie. Non avevano più nessun significato da tempo immemorabile. Solas. Da quanto tempo nessuno lo chiamava così, sentire quel nome, anche se pronunciato dal nano lo fece sentire meglio.
[IN REVISIONE]
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Inquisitore, Solas
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fen'Len - Figlia del Lupo'
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Questo nuovo capitolo arriva con qualche difficoltà. E' stato visto e rivisto fino allo sfinimento, è arrivato un pochino in ritardo e come se non bastasse, ieri sera mi sono resa conto di averne messo online una vecchia versione. L'ho rimosso appena ho notato l'errore. Forse l'universo sta cercando di mandarmi un segnale, ma io lo ignoro e vado dritta per la mia strada.
Ne approfitto per ringraziare quanti continuano a leggere e a seguire nonostante la mia "logorrea grafica", verrete ricompensati dal karma per la vostra costanza con abbondanti dosi di pane e nutella.





XXIII
Varric era felice come un bambino da quando avevano lasciato Skyhold. Erano diretti verso Hawke e questo lo metteva di ottimo umore.
Anche Lena si sentiva finalmente serena. La compagnia dell’amico aiutava, così come aiutava l’essere riuscita a prendere le distanze da Skyhold. Aveva lasciato lì Blackwall, con le sue bugie e il suo fascino che rendeva difficile assecondare ciò che sarebbe stato ragionevole. La sua testa le urlava di gettare fuori dalla sua vita quel dannato bugiardo, ma nel momento in cui lui si faceva vicino, non importava più nulla. Lei era arrabbiata, si sentiva tradita, ma il falso custode riusciva con la sua sola presenza a dissolvere tutto. Era andata da lui una mattina, ci era andata armata, pronta a difendersi come aveva giurato che avrebbe fatto, ma davanti si trovò un uomo carico di rimorsi e prono al suo volere. Non era quello l’uomo che conosceva, non era quello l’uomo che desiderava. Lei aveva gridato contro di lui la sua delusione, e per un attimo il custode si era infiammato rispondendo alle accuse di lei. Lena lo aveva riconosciuto e non aveva potuto allontanarlo sé. Si era trovata a stringere il custode tra le braccia, lo aveva baciato e aveva sentito il volto di lui bagnarsi di lacrime.
Le cose si erano complicate.
Ma davanti al fuoco quella notte, ascoltando Varric raccontare le sue storie migliori, tutto quello si perdeva lontano, come un incubo che lascia al risveglio una sensazione sgradevole ma imprecisata.
Dormirono poco, Varric era troppo elettrizzato per arrendersi al sonno e a Lena piaceva lasciarsi trascinare dal suo entusiasmo. Si chiese più volte durante la notte, quanto intensamente il nano dovesse sentire la mancanza della sua amica, ma si guardò bene dal rivolgergli quella domanda. Bull e Dorian poi, trascorsero gran parte della nottata a scambiarsi insulti sottili. Avere un vint e un qunari attorno allo stesso fuoco era tanto insolito quanto divertente.
Solo a notte inoltrata sull’accampamento scese finalmente il silenzio.
Il mattino seguente smontarono in fretta il campo e si misero in cammino. Hawke li attendeva sulle colline nei pressi di Crestwood. Il suo volto era più stanco e più smunto rispetto a quello che Lena riusciva a ricordare, la Campionessa spiegò che erano in fuga da giorni e che il custode era ricercato per aver disobbedito agli ordini dei suoi superiori. La donna li guidò all’interno di una caverna.
 Era buia e sembrava scendere in profondità, Lena si aspettava di sentire Varric lamentarsi come al solito, ma quella volta rimase stranamente silenzioso. La stretta galleria si apriva all’improvviso e lo slargo che si andava formando era ben illuminato. Guardandosi attorno Lena poté notare un piccolo giaciglio, delle bottiglie vuote e diversi cumuli di immondizia, il custode doveva nascondersi lì dentro da molti giorni. L’elfa si sentì in colpa per essersi fatta attendere così a lungo.
Qualcosa si mosse e Lena posò il suo sguardo su un uomo molto alto, capelli scuri, sguardo limpido e severo, un uomo che sfoderata una spada la puntò contro la sua gola. Hawke dovette intervenire per tranquillizzare il custode, che lunghi giorni di fuga avevano reso ben più che guardingo. Lena lo osservò per alcuni istanti, era sicura che ogni linea di quel volto nascondesse una storia.
“Custode Loghain MacTir” si presentò mettendo via la spada. Quel nome non suonava nuovo alle sue orecchie, il quinto flagello era stato argomento di studio per Lena e ben conosceva il nome del traditore.
“Conosco ciascuno dei nomi con i quali sono stato chiamato” il custode doveva aver letto la sua espressione “Non fatevene un cruccio. Non ho mai aspirato agli onori e alla gloria, neanche nei migliori giorni della mia giovinezza. Non importa quale idea abbiate su di me, purché prestiate fede alle mie parole. Abbiamo un nemico comune e ho fatto delle scoperte allarmanti.”
Lena ascoltò con attenzione tutto ciò che il custode aveva da dire. Raccontò di come i custodi in quel periodo stessero tenendo uno strano comportamento. Riferì degli assurdi propositi della comandante Clarel, di come avesse deciso di porre fine, una volta per tutte, alle minacce del flagello, seguendo il folle piano di trovare ed uccidere gli antichi Dei prima che questi potessero avere la possibilità di risvegliarsi. Brandelli di memoria tornarono alla mente di Lena, doveva aver letto da qualche parte di una comandante che diversi anni prima aveva tentato la stessa impresa, rischiando ben più che la propria vita e dando forse il via agli avvenimenti che avevano portato al quinto flagello. L’uomo raccontò anche di come Corypheus stesse portando i custodi alla pazzia, facendo risuonare contemporaneamente nella testa di tutti la Chiamata.
“La Chiamata, è il lento richiamo che spinge il custode verso la fine della propria vita. Tutti sono condannati a sentirla prima o poi. Inizia come un lamento lontano e sommesso, ineffabile. Si nasconde nella testa degli uomini come la strana sensazione di essere osservati che fa voltare la testa alla ricerca di una presenza che non esiste. Poi il richiamo si fa impellente, diviene sempre più forte, un grido che dice chiaramente che la fine è vicina e che è giunto il momento per il custode di morire con onore e di ritirarsi nelle vie profonde.” il custode aveva pronunciato quelle ultime parole come nascondendo un desiderio. Lena si chiese se quella del custode fosse voglia di redenzione o il desiderio di chiudere gli occhi su quel mondo che aveva perso ogni attrattiva.
L’elfa non poté che ringraziare silenziosamente per le bugie del suo custode. Blackwall avrebbe rischiato di finire indifeso tra le grinfie del nemico, se fosse stato un vero custode. Poi sentì il rimorso affondarle lentamente radici velenose nello stomaco, Corypheus stava ora propagando innaturalmente la Chiamata, ma quella rimaneva comunque una fine naturale e inevitabile per i custodi, anche senza l’intervento di quel mostro. Condannando il suo custode ad unirsi effettivamente all’ordine, non lo aveva condannato prima o poi a quella fine orribile?
“La stai sentendo anche tu?”, la voce di Hawke giunse preoccupata alle orecchie di Lena. Il custode non negò, ma parve sereno.
“So che molti custodi si stanno riunendo all’ Accesso Occidentale, presso un’antica torre cerimoniale Tevinter. Non ne conosco le intenzioni quindi mi sto recando lì. Attenderò i rinforzi dell’Inquisizione finché sarà possibile, ma farò la mia mossa in ogni caso, se e quando sarà necessario”.
Lena rifletté per un attimo, avrebbe dovuto ascoltare il parere dei suoi consiglieri prima di agire. Avrebbe dovuto fare ritorno a Skyhold prima di gettarsi in quella nuova avventura, ma lo sguardo determinato del custode la faceva sentire combattuta, sapeva che quell’uomo stava rischiando tutto. Aveva disobbedito al suo Ordine, sfidando coloro che, sebbene non lo avessero mai davvero perdonato per quello che vedevano come un terribile tradimento, erano ormai l’unica famiglia che gli fosse concesso avere. Nei suoi occhi era facile riconoscere la luce che illumina i pensieri di chi ormai non ha nulla da perdere e Lena temeva l’avventatezza a cui questi pensieri potevano condurre. Non temeva solo per il custode, l’intera missione avrebbe potuto risentirne. In un attimo la decisione fu presa: “Non dovrete attendere l’arrivo dell’Inquisizione. Verremo con voi.” Lo sguardo le cadde su Varric, almeno qualcuno, in tutta l’Inquisizione, sarebbe stato entusiasta della sua decisione.
Fecero una rapida sosta a Caer Bronach per recuperare i rifornimenti necessari al lungo viaggio e Lena poté mandare un messaggio a Skyhold, comunicando la sua decisione. Calcolò che le possibilità di fallire quella missione erano abbastanza elevate e che poteva sperare con buone probabilità, di non dover rispondere a Leliana di quella sua decisione impulsiva. Varric e Dorian avevano anche già scommesso contro di lei. Dorian aveva puntato 5 sovrane sulla sua morte in combattimento, Varric ne aveva scommesse 5 che sarebbe stata invece Usignolo ad avere la soddisfazione di rispedire la sua anima al Creatore. Poteva quanto meno consolarsi con la buona compagnia.
Il viaggio fu effettivamente molto lungo. Lena ebbe modo di studiare attentamente Hawke e Loghain e ne ebbe delle impressioni discordanti. Doveva ammettere che Hawke fosse davvero la compagna perfetta per Varric, sprezzante, ironica, sempre pronta alla baruffa. Una vera iniezione di energia. Ma anche lei come il suo amico nascondeva in profondità un dolore. Si ripromise di chiedere al nano alla prima occasione utile, se non fosse lei la persona di cui lui aveva parlato con tanto calore, la notte prima di raggiungere Skyhold. Era forse Hawke, che Varric desiderava invano?
Il custode invece era stato schivo e silenzioso per tutto il viaggio, lo sguardo torvo era la sua armatura e i suoi pensieri lo portavano molto lontano da quella piccola compagnia. Erano ormai in vista della distesa desertica che doveva essere la loro meta, quando Lena si fece coraggio e si avvicinò a Loghain.
“Avete detto di conoscere tutti i nomi che in molti vi hanno affibbiato dopo Ostagar, ma per quanto riguarda i nomi che avete avuto prima di allora? Ho letto molte cose su vecchi libri, e non sono tutte negative. Alcuni parlano di voi come di un eroe.”
Loghain le rivolse uno sguardo arcigno e fece accelerare il passo al suo cavallo, lasciando Lena senza una risposta.
In breve tempo raggiunsero i pressi della torre cerimoniale di cui Loghain aveva parlato. L’Inquisitore percepiva un’aria elettrica e carica di tensione, era chiaro che ci fosse qualcosa di poco chiaro in atto tra quelle mura. Bull fremeva, non sopportava l’idea di dover affrontare qualcosa che forse la sua lama non poteva abbattere. Avrebbe senza dubbio preferito combattere contro un drago che contro qualche assurdo rituale. Lena era sicura che il grosso qunari fosse decisamente spaventato, ma non lo avrebbe mai ammesso, soprattutto avendo intorno Dorian pronto a farsi beffe di lui.
Entrarono e lo spettacolo che li attendeva li fece rabbrividire. Un nutrito numero di custodi grigi era affiancato da altrettanti demoni, apparentemente sotto il loro controllo. Un mago gridava, evidentemente in preda all’orrore davanti a quello spettacolo raccapricciante ed uno dei suoi fratelli mise a tacere le sue grida piantandogli un pugnale nello stomaco. Il sangue che ne fluì sprigionò il suo terribile potere, aprendo le porte di questo mondo ad un altro abominio.
Ecco l’armata di demoni che Lena e Dorian avevano visto nell’orribile futuro di Redcliffe.
Erimond, un pusillanime al diretto comando di Corypheus, sembrava guidare la marmaglia di sbandati. Loghain non attese un momento per fronteggiarlo, sperando forse di rendere palese la follia di quegli atti agli occhi dei suoi confratelli. Fu però ben presto chiaro come non fosse rimasta un’oncia di volontà in quei custodi svuotati e ridotti a semplici marionette.
Lo scontro fu inevitabile e cruento. Custodi e demoni erano in numero almeno doppio rispetto alla piccola compagnia, ma non fu difficile per l’Inquisizione e i suoi alleati avere la meglio su quei fantocci senza volontà. Finito lo scontro Erimond era scomparso.
Avevano scoperto cosa Corypheus avesse in mente, avevano scoperto anche quali strumenti avesse messo in campo, rimaneva da decidere come agire. Loghain parlò di una vecchia fortezza dei custodi grigi, Adamant, che si trovava proprio lì in quel territorio, lontano forse non più di un giorno a cavallo. Hawke e Iron Bull concordavano sul fatto che prima di prendere qualunque decisione fosse necessario riposare, la sera si stava avvicinando e avevano tutti bisogno di riprendersi dopo quello scontro brutale. Mentre s’incamminavano fuori dalla torre, ormai coperta del sangue di tanti custodi, Dorian si accostò a Lena sussurrando: “Sai che se non dovessimo fare ritorno a Skyhold neanche questa volta, dovrai pregare Corypheus di avere pietà di te e darti il colpo di grazia? Quanto meno io lo farei, piuttosto che dover affrontare Leliana e Cassandra”.
Lena rifletté un poco sul consiglio dell’amico “Credo tu abbia ragione, anche se so che parli così solo per non perdere un’altra scommessa contro Varric” Entrambi sorrisero stanchi, seguendo la compagnia che si muoveva lenta e silenziosa.
Si accamparono. Lena comunicò agli altri la decisione di fare ritorno a Skyhold prima di proseguire con le indagini. I rituali avevano probabilmente già avuto luogo, era quindi ipotizzabile che avrebbero avuto bisogno dell’intero esercito dell’Inquisizione per mettere fine a quella follia.
Loghain apparve un poco deluso, ma Lena non poteva credere che non comprendesse la necessità di prendere quella decisione.
La sera proseguì piuttosto allegra, alla fin fine la prospettiva di tornare a casa era ormai gradita a tutti.
Hawke avrebbe fatto ritorno con loro e Lena aveva cercato di convincere anche Loghain ad unirsi a loro, ma non era riuscita ad avere la meglio su quell’uomo fiero e scontroso. Era seduto esattamente di fronte a lei, dall’altra parte del bivacco e Lena si accorse che la stava fissando, stava cercando di valutarla probabilmente. Sostenne il suo sguardo a lungo e alla fine il custode parlò: “Non ho mai avuto un buon rapporto con quelli della vostra razza” disse asciutto “non mi fido di quelli come voi, ho sempre creduto che gli orecchie a punta avessero un animo contorto, sempre pronto all’inganno e alla manipolazione.”
“Dovete aver conosciuto il mio clan” lo interruppe Lena caustica, cercando di sorridere.
“Non credo, ma ho comunque motivo di essere diffidente.”
Lena dovette prendere atto che il senso dell’umorismo non fosse un punto di forza del guerriero.
“Sono ormai troppo vecchio per combattere con i miei pregiudizi, ma non posso non riconoscere che la vostra missione vi porta sulla mia stessa strada e che voi perseguiate con dedizione i vostri obiettivi. Non ho idea di quali siano i vostri fini personali, quali vantaggi speriate di trarne, ma per il momento ho deciso di prestare fede alla vostra parola. Vi aspetterò, aspetterò il vostro esercito e voglio credere che l’urgenza della missione incontri il vostro interesse”
“Non ho alcun interesse, se non quello che spinge anche voi: fermare una creatura mostruosa e fuori di senno. Certo avere salva la vita, non mi dispiacerebbe, ma posso scendere a compromessi su questo punto”
“Siete brava a parlare, e il vostro carisma è innegabile. Questo, mi dispiace dirlo, vi rende pericolosa ai miei occhi. Ho conosciuto qualcuno come voi tanti anni fa, ed ha portato la rovina in molte vite. In ogni caso sono un uomo di parola. Farò quanto promesso, confidando che anche voi facciate lo stesso”
Lena non disse una parola, assentì e rimase a riflettere sulle parole dell’uomo. Quell’avventura stava portando sulla sua strada persone travolte dal destino, che avevano vissuto le proprie vite al meglio delle loro possibilità e che continuavano a farlo, convivendo con dolori ed errori che ne avevano plasmato gli animi. Le tornò in mente un sogno fatto molto tempo indietro, durante la prima notte di fuga dal suo clan. Una strada veniva verso di lei, senza che fosse lei a sceglierla. Si ricordò il sogno come non le era mai accaduto prima, come se lo stesse vivendo di nuovo. La belva, la città. La riconosceva ora, era forse Val Royeaux? Il gigantesco portone davanti a sé da cui filtrava una luce che sembrava quella di uno squarcio, la belva alle sue spalle pronta ad attaccare. O a difenderla? Perché era convinta che l’avrebbe difesa?
Si svegliò all’improvviso, l’alba mandava i primi bagliori. Si era addormentata accanto al fuoco e di fronte a lei Loghain portava a termine il proprio turno di guardia. Aveva il viso assorto, meno rigido di come era abituata a vederlo. Doveva essere perso in un  tempo lontano. Non aveva motivo di crederlo, ma non riusciva a vedere negli occhi chiari di quell’uomo l’onta del tradimento. Il suo spirito era onesto, brusco magari, ma proprio per questo non riusciva ad attribuirgli la malizia dell’inganno. Probabilmente aveva in passato fatto scelte difficili e aveva sbagliato, ne pagava però il prezzo da molto tempo con la sua stessa vita. Ad un tratto le tornò in mente il suo custode che l’aspettava a Skyhold, avrebbe dovuto parlare con lui, era forse lei a dovergli delle scuse? In ogni caso avrebbero dovuto parlare a lungo.
 
 
 
 
XXIV
L’Inquisitore, era stata via molto a lungo e i consiglieri non sembravano esserne molto contenti.
Al ritorno la ragazza lo aveva salutato con gioia ma il suo sorriso si era scontrato con il muro che Solas aveva iniziato ad erigere dopo il viaggio a Kirkwall e che grazie ai lunghi giorni di lontananza era riuscito a rinforzare e rendere, a suo avviso, invalicabile.
Aveva avuto il tempo per riflettere lucidamente. Ritrovare l’ombra di Mythal in quel mondo, lo aveva finalmente aiutato a rivedere l’ultimo periodo della sua vita sotto una luce diversa, più razionale.
Era stato innegabilmente sciocco e debole, troppo indulgente con se stesso e decisamente incauto nel lasciarsi andare ad emozioni e sensazioni che soffocava invece da secoli. Era stato il Temibile Lupo troppo a lungo, accettare quel titolo e nascondere se stesso sotto una pesante pelliccia, aveva pian piano allontanato Solas da Fen’Harel. Per quanto strenuamente avesse cercato di combattere per smascherare i falsi dei, aveva infine perso se stesso per divenire un dio a sua volta.
Come a colui che si erge a simbolo non è permesso cercare affinità ed affetti, così un dio non può cercare comunanza e intimità, è troppo lo spazio che divide il simbolo dai suoi pari e per un dio non esistono pari.
Avvicinandosi all'Inquisizione era stato costretto a tornare semplicemente Solas e il desiderio di non dover essere nient’altro per qualche tempo, si era subdolamente impossessato di lui.
Non aveva trovato niente di più naturale che abbandonarsi ai piccoli piaceri innocenti di una vita normale. Il buon cibo, il buon vino, l’accenno di una serena amicizia, il tocco fresco e leggero di una mano amorevole.
Per quanto tempo la devozione o l’odio avevano allontanato da lui anche il più insignificante contatto fisico?
Si ricordava dei primi contatti con quella strana dalish. Aveva spesso tenuto la mano di lei tra le sue, ma solo come fosse un oggetto da aggiustare, non c’era nulla del contatto tra pari in quel suo approccio clinico. L’elfa invece aveva una corporeità istintiva, quasi animale, il suo modo di approcciarsi agli altri coinvolgeva tutti i sensi, e per lui starle accanto era stato come tuffarsi tra le rapide di un fiume. Ciò che per lei era un gesto naturale ed insignificante, per lui era una boccata di ossigeno puro, che lo confondeva e gli dava alla testa.
Aveva pian piano imparato a ricambiare con naturalezza le piccole tenerezze che lei riservava ai suoi amici, beandosi di quella vicinanza per lei probabilmente marginale, ma che lo riportava in contatto con l’elfo che era un tempo e che per lungo tempo era rimasto dimenticato. Tutto quel sentimentalismo e tutta la nostalgia gli erano ora esplosi tra le mani. Le parole di Cole durante il viaggio a Kirkwall, più che una notte trascorsa stringendo l’elfa tra le braccia, avevano segnato un punto di svolta incontrovertibile. Non doveva permettere che lei si avvicinasse troppo. Le parole dello spirito avevano rivelato alcuni pensieri dell'elfa che Solas era determinato ad estirpare sul nascere.
Troppo aveva concesso a sé stesso e a quella giovane dalish. Presto o tardi avrebbe dovuto indossare di nuovo la logora pelliccia di lupo e in quel momento lei sarebbe dovuta essere lontana. Sarebbe dovuta essere al sicuro.
 
Passati due giorni dal ritorno dell’Inquisitore, Solas trovò una figura raggomitolata su una panca della rotonda. Appena lo sentì entrare, l’elfa balzò in piedi e i suoi occhi assunsero l’espressione fiera che le vedeva spesso in battaglia.
“Buon pomeriggio da’len. Non è un po’ tardi per studiare? Credevo fossi con Dorian o al tavolo della guerra.”
Sembrava infastidita dai convenevoli, trasse un lungo respiro e poi disse: “Ti devo delle scuse. Mi dispiace. Farò in modo che non capiti più.”
Solas rimase a guardarla interdetto, non riusciva davvero a capire il senso delle parole dell’elfa. Prima ancora di avere il tempo di pronunciare una sillaba, l’Inquisitore rincarò: “Non sono qui per discutere. Queste sono le mie scuse, fanne ciò che vuoi.”
Solas sorrise di quel modo bizzarro di scusarsi che non prevedeva replica ed evidentemente non prevedeva un rifiuto. Vedendolo sorridere, anche il volto dell’elfa si rilassò. Era un’offerta di pace, ma cosa dicevano di lei quelle scuse? Non era certo di poterle accettare. “Ho molto da raccontarti riguardo il mio viaggio, verrai a mangiare un boccone con me in taverna, questa sera?”.
 “Da’len, non credo sia il caso.” Solas vide sul volto della sua bella dalish l’arrivo improvviso della tempesta.
 “Ti ho fatto una promessa e io sono solita tenere fede alla mia parola, cosa vuoi di più?”
“Non ti ho chiesto delle scuse o delle promesse. Se c’è qualcosa che credi sia importante farmi sapere possiamo parlarne ora.”
L’elfa lasciò la rotonda senza aggiungere una parola.
Sentì un dolore indecifrabile afferrargli la testa. Non era la sua solita emicrania, era un dolore diverso, come di un colpo ricevuto in battaglia. Era stato ingiusto con lei. Per quanto in passato, non avesse potuto raccontare interamente la verità, Solas aveva sempre cercato di non mentirle, aveva nascosto il necessario ma si era sforzato di rimanere onesto. Una mente come quella della ragazza non meritava altro che la verità. Anche in quel momento.
Non avrebbe potuto spiegarle tutto, ma non meritava di essere allontanata senza una giusta spiegazione.
Avrebbe dovuto incontrarla in un luogo a lui più familiare, un luogo in cui fosse stato facile per lui rimanere concentrato.
Un posto che fosse in grado di evocare le responsabilità legate al ruolo di lei, in modo che lei potesse comprendere la necessità di tenere presente la causa al di sopra di ogni altra cosa.
 
Vedere Haven era stato più emozionante di quanto si fosse aspettato. Lei continuava a guardarsi attorno stupita, sembrava aver dimenticato il loro diverbio e non dava segno di aver realizzato di trovarsi in un sogno.
“Ti ho mai raccontato dei tuoi primi giorni ad Haven?” l’elfa lo guardò con lo sguardo curioso che le conosceva e scosse la testa, attendendo di ascoltare la sua storia. Il mago raccontava mentre passeggiavano tra le strade deserte, il profumo che li accompagnava era davvero il profumo di Haven, neve fresca e legna arsa. L’elfa lo condusse alla capanna dove lui era solito alloggiare.
“Amavo questo posto” disse lei “avevo l’impressione, stando qui, che nessuno sarebbe giunto a disturbarmi. Devo confessare che quando capivo che le aspettative su di me iniziavano a crescere senza controllo o quando avevo bisogno di un momento per prendere fiato, venivo a nascondermi qui, solo per avere un po’ di tempo per riflettere senza pressione. Era come se il tuo alloggio avesse uno schermo magico contro le seccature”
“Da’len questo solo perché molti mi temevano e nessuno apprezzava molto la mia compagnia quindi tutti si tenevano alla larga dai miei alloggi” Solas non potè fare a meno di sorridere. Le cose non stavano andando come si sarebbe aspettato, lei aveva la capacità di sconvolgere sempre i suoi piani. Perché non era arrabbiata? Come era riuscita a prendere in mano la situazione portando la discussione su loro due anziché sull’Inquisizione?
Solas si appoggiò con una spalla contro la capanna e lasciò lo sguardo vagare su Haven, il cielo aveva il colore terrificante ma familiare conferitogli dallo squarcio. I suoi ricordi galoppavano. Aveva bisogno di rimanere concentrato.
“Sai io temevo te invece. Ad essere onesti è capitato una sola volta, ma è servito da monito” c’era una verità innegabile in quelle parole, ma non una di quelle che Solas aveva intenzione di rivelare.
“La prima volta che ti ho vista vigile è stato durante una battaglia, ero così preso dall’idea di sapere se avresti davvero potuto chiudere lo squarcio, che ti ho afferrata istintivamente per un polso. Credo di aver rischiato di essere pugnalato senza pietà. Sarebbe stata una grande morte per uno studioso: deceduto sul campo nel tentativo di dimostrare una teoria. Sarei divenuto un esempio per molti. Quello doveva essere l’ultimo tentativo. Se anche tu avessi fallito, sarei fuggito. Ma tu non fallisti ed io non venni pugnalato, dimostrasti anzi, di avere la chiave della nostra salvezza nelle tue mani ed è ancora lì”
L’elfa gli si era avvicinata ed era ora a meno di un passo da lui, aveva dimenticato quanto le fosse apparsa splendida durante la loro prima escursione nell’Oblio. Era così vicina, probabilmente non lo sarebbe più stata dopo quel loro incontro. Le afferrò la mano marchiata e la osservò, le sarebbe mancato il tocco della sua pelle. Quando non erano insieme, chiudendo gli occhi la sensazione soffice e calda della pelle di lei era la prima cosa che sentiva sotto le dita, come se la sua memoria non volesse lasciarla andare. Trattenne ancora un po’ la mano di lei nella propria e disse quasi tra sé: “In quel momento ho sentito il mondo intero cambiare.”
Alzò lo sguardo dalla mano e trovò i due begli occhi di lei ad un palmo da sé. Solas si trovò costretto a lasciarle andare la mano e fare un passo indietro per cercare di riprendere fiato, l’aria sembrava essersi rarefatta. Era ora di tornare indietro.
“Che cosa vuoi dire?” Chiese lei facendo di nuovo un passo avanti. Era venuto qui per poter condividere con l’elfa l’onere di tenere a bada qualunque cosa stesse nascendo tra loro due, si trovava invece messo con le spalle al muro, aveva parlato troppo e lo aveva fatto senza riflettere. Ma in fondo una verità valeva l’altra. Forse lasciare emergere ciò che portava nascosto nel cuore avrebbe fatto spaventare la giovane che avrebbe deciso autonomamente di allontanarsi da lui, ristabilendo le giuste le distanze.
La guardò per un istante, i suoi occhi in quel posto erano così belli che rischiò di perdersi.
“Tu cambi tutto”
Abbassò lo sguardo per un attimo e prima che potesse rendersi conto di quanto stava accadendo, quella ragazzina lo stava baciando. Le sue labbra erano incredibilmente morbide, il suo respiro era caldo e delicato, fu solo un attimo. Lo sguardo di Solas era annebbiato, la testa non smetteva di girare. Cosa era successo? Ora lei lo fissava con sguardo dubbioso, forse colpevole. Il mago comprese all’istante che la ragazza era sul punto di allontanarsi da lui, ma non sapeva in che modo reagire. Aveva paura che se si fosse mosso, il suo corpo avrebbe smesso di rispondere alla mente. Lei lo aveva baciato. Era possibile? Lo aveva davvero baciato! La ragazza si stava allontanando. La sua ragione era in panne e l’istinto ne approfittò per poter prendere il sopravvento. Avanzò verso di lei, la afferrò per la vita e la trascinò a sé, la guardò negli occhi per la frazione di un istante e nello sguardo di lei vide di nuovo la paura e la colpa. Ma vi era anche altro. Era forse possibile che fosse desiderio? Non si diede il tempo per elaborare una risposta, la strinse un po’ di più e la baciò. Se quello di prima era stato un bacio timoroso e appena accennato, questa volta Solas temette invece di perdervi il respiro. Non una sola idea stava attraversando la sua mente, in lui c’era spazio solo per il sapore di lei che così a lungo aveva tormentato la sua fantasia durante le notti insonni. Nella sua lunga vita mai aveva assaggiato un frutto tanto invitante, o così credeva, consumato com’era da quella danza conturbante. Realizzare che, lontana dal respingerlo, anche lei assaporava con dedizione il momento, gli fece tremare le gambe. Una nebbia bollente e soffocante stava afferrando la sua mente. Si allontanò appena un poco dalla ragazza. Solo quel tanto che bastava per permettere alle fronti di appoggiarsi l’una all’altra, ai nasi di sfiorarsi e alle bocche di cercarsi senza possibilità di trovarsi di nuovo. Solas aveva gli occhi serrati e cercava di riacquistare il controllo, ma pensare sembrava improponibile. Allontanò un poco il viso da lei e aprì gli occhi cercando il suo sguardo. Gli occhi erano lucidi e infiammati, i tatuaggi brillavano con forza, non era mai stata così bella ai suoi occhi e non poteva negare di leggere sul volto di lei il suo stesso desiderio. La baciò ancora, assaporando questa volta con più attenzione quel momento. Il tepore e soprattutto l’odore della ragazza lo trascinava in dietro di secoli, lo faceva sentire ancora giovane, nuovo ad ogni esperienza. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che era stato baciato con tanto impeto? Si era mai sentito così perso, disarmato e indifeso dopo un solo bacio? Era il sapore della disperazione o dell’Oblio quello che credeva di riconoscere? Aveva bisogno di sapere che quanto stava vivendo fosse indiscutibilmente vero. Sentiva il corpo della sua amica aderire sempre di più al proprio, la sentiva tremare, sentiva il suo profumo farsi più intenso, sentiva che anche lei stava lentamente perdendo il controllo. Questo fu sufficiente per riguadagnare coscienza di sé. All’improvviso il suo cuore mutò e si trovò a desiderare che tutto quello fosse solo un altro dei suoi sogni. Si allontanò di nuovo dalle labbra della ragazza, questa volta con estrema fatica. Chiuse gli occhi ed inspirò a fondo. “Scusami” disse Solas senza aprire gli occhi, cercando di seppellire in fondo a se stesso tutte le immagini e i desideri che si affollavano nella sua mente “Questo non è giusto. Non dovremmo. Neanche qui” con uno sforzo di cui non si sarebbe mai creduto capace allontanò da sé la ragazza e le sussurrò di svegliarsi.
 
Si risvegliò nella semioscurità propria stanza. Era certo che la sua dolce amica sarebbe balzata lì in un attimo alla ricerca di una spiegazione che lui non era in grado di darle. Quanto a lungo si era ingannato credendo di poter vivere tutto quello a cuor leggero? E pensare che Cole e Varric avevano cercato di avvisarlo. Era stato uno sciocco. Avrebbe avuto tempo per recriminare a se stesso ogni singolo errore ma ora era necessario ricomporsi e sistemare sul volto la solita maschera di contegno e pacatezza.
Non passò molto tempo e Solas sentì un tocco leggero bussare alla porta. Aprì. Lei era lì davanti confusa e agitata proprio come lui. Si fece da parte per invitarla ad entrare e si rese conto solo in quell’istante, che lei non era mai stata lì dentro prima di allora. La vide infatti guardarsi intorno incuriosita e fermarsi infine ad osservare la brace ardere nel basso camino che riscaldava e rischiarava debolmente la stanza. Era una tortura vederla sfuggire il suo sguardo, lei che così fiera, non aveva abbassato gli occhi né davanti all’imperatrice, né davanti ai molti nemici che si era trovata a fronteggiare, lo faceva ora davanti a lui. Si era aspettato di vederla indignata e arrabbiata, invece sembrava in imbarazzo. Non avrebbe mai capito come funzionava l’imbarazzo nella testa di quella dalish.
Prese coraggio: “Hai dormito bene?” Voleva essere ironico, ma la voce gli uscì titubante ed imbarazzata.
Lei lo notò, alzò finalmente gli occhi e li fissò nei suoi. Si trovò a pensare che se in quel momento lei lo avesse baciato di nuovo, avrebbe confessato tutto e gettato la sua missione alle ortiche. Fortunatamente lei non si mosse “E’ stato sorprendente. In molti modi. Non credevo fossimo in un sogno, non credevo che alcune sensazioni potessero essere così… reali”
Solas si ritrovò a ridere nervoso “Quello è stato un errore di un momento, un impulso che non avrei dovuto assecondare”
“Mi dispiace, ti avevo appena fatto una promessa e non sono stata capace di mantenerla. Puoi perdonarmi?”
Solas sorrise di nuovo. Aveva l’impressione che anche qui, nella sua stanza, i tatuaggi della ragazza brillassero debolmente, ma era piuttosto certo di essere sveglio ora.
“Posso chiederti una cosa? Perché tu mi hai… perché non mi hai allontanata?”
Era giunta inevitabilmente alla giusta conclusione.
“Potrei farti la stessa esatta domanda, ma dubito che avere queste risposte ci gioverebbe in alcun modo. Posso dirti con certezza, che il sogno è il posto in cui mi sento più a mio agio, tutto è più facile per me in quel mondo, anche lasciarmi andare all’istinto di un attimo, ma difficilmente mi lascio sopraffare da ciò che vi avviene. Credo dal canto mio, che saremo sufficientemente al sicuro finché saremo certi di essere svegli”
Aveva parlato con pacatezza e presenza di spirito, la sua bella dalish lo stava studiando cercando di interpretare le sue parole. Poteva essere abbastanza soddisfatto di sé. Ora doveva solo far uscire in fretta la ragazza da quella stanza.
“Al sicuro da cosa? Non mi sembravi spaventato, io di certo non lo ero” Lei non era evidentemente altrettanto soddisfatta. Non gli avrebbe permesso di cavarsela con poche parole ben studiate. L’elfa parlando si era avvicinata di un passo dando a Solas la sensazione di essere sotto minaccia.
“E’ vero, nel sogno non lo ero e non lo eri neanche tu, ma quando ho aperto la porta eri intimorita, e credo che tu lo sia anche ora. Io non sono bravo nel gestire questo tipo di complicazioni, sono a fatica riuscito ad immaginare di poter chiamare qualcuno amico, dopo così tanti anni di solitudine. Sarebbe sciocco voler dare spazio a emozioni effimere, rischiando di perdere tutto e di ferire molti, non solo noi due.” Solas era stupito di se stesso nello scoprirsi tanto onesto. A differenza di quanto detto prima, non vi era una sola sfumatura di menzogna nelle sue parole, e ovviamente funzionarono. Lo sguardo della sua amica era ora limpido, tranquillo e deciso. I tatuaggi non splendevano più e la sua bella bocca si andava piegando in un flebile sorriso. Poi aggrottò la fronte pensierosa “Come fai ad essere certo che siano solo emozioni legate ad un attimo di sbandamento?”
Perché non posso permettere che diventino altro, Venhan. Ma le parole rimasero nei suoi pensieri, sorrise invece eludendo l'ennesima domanda.
“Ora da’len, credo sia il caso che tu vada. Devi riposare e anche io. Avremo tempo e modo, se vorrai, di discuterne ancora”
Con un gesto naturale che non seppe trattenere, accarezzò il volto della ragazza percorrendone il profilo dal lobo dell’ orecchio fino al mento. Questa volta fu certo di vedere i suoi tatuaggi illuminarsi per un istante e sentì un leggero fremito sotto le dita. Ritirò veloce la mano e si diresse verso la porta. La aprì e non appena la sua amica fu uscita, la richiuse in fretta alle sue spalle. Era stata una disfatta. Non vi era possibilità alcuna che quella notte sarebbe riuscito a riposare.
 
   
 
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