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Autore: borndumb3dumber    20/06/2016    3 recensioni
Un ragazzo, vestito più o meno con gli stessi indumenti che ero intenta a mettere, ha in mano i miei scarponi e li osserva incuriosito. [...]
«Dovresti infilare i pantaloni, sai, è freddo» mi dice indicandoli. Ha una bella voce e stringo di più le dita attorno al manico del coltello senza lasciarmi fregare.
Porta le mani in avanti, con i palmi verso di me.
«Non voglio farti del male» afferma «e non è un problema se prendi un po’ della mia roba. Stiamo entrambi cercando di sopravvivere» [...]
Mi avvicino cauta a lui e prendo i miei scarponi. Li tengo stretti quando mi chiede: «Dove li hai presi?»
«Li ho rubati» rispondo. Accenna una risata e trattiene un sorriso. [...]
«Mi chiamo Seokjin» mi offre la mano.
Tentenno prima di afferrarla.
«Beth»
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kim Seokjin/ Jin
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Il primo passo è sopravvivere.
L’odore di muffa si fa strada nelle mie narici e percepisco il pavimento sporco e bagnato contro la mia pelle. Ma la mia mente è lucida e pronta ad elaborare una via di fuga.
Siamo qui da quelle che suppongo siano ore e il buio è così opprimente da farmi credere di essere sola; tuttavia, ogniqualvolta la porta viene spalancata affinché un’altra ragazza possa fare il suo ingresso, scaraventata impaurita sul pavimento ghiacciato, la luce fioca di una lanterna rivela i volti di decine di ragazze che popolano questo spazio ristretto, le une vicine alle altre, che si tengono per mano a darsi coraggio reciproco. Molte piangono in silenzio, altre singhiozzando, pur sempre evitando di fare troppo rumore per non rischiare guai. La consapevolezza dell’attuale situazione aleggia nell’aria, meschina, senza lasciare spazio ai dubbi.
La porta si apre un’altra volta: cinque ragazze si ammassano in un angolo rimasto libero. Una raffica di vento gelato giunge fino a noi e un gruppo più vicino alla porta si stringe il più possibile addosso i giacconi o semplicemente i pochi abiti che le proteggono, forse coscienti di poter godere di quel calore non per molto ancora. Manca poco perché la stanza si riempia del tutto e allora passeremo ai fatti: non possono permettersi il lusso di cibarci mentre siamo qui – o semplicemente non vogliono- e hanno bisogno di spazio per quelle che arriveranno dopo.
La ragazza che mi è di fianco si accascia sulla mia spalla. Non è la prima e non sarà neanche l’ultima a cedere. E’ probabilmente morta o accadrà a breve, ma non c’è nulla che io possa fare, che nessuno possa fare per aiutare lei o qualsiasi altra persona in questa stanza. La scosto con delicatezza, sistemandola nel miglior modo possibile sul pavimento e con due dita le controllo il battito, leggero ma presente. In queste condizioni non la sceglierebbero mai e spero profondamente che quando arriverà il momento di uscire lei sia già morta. La pietà non è un concetto contemplato, qui. Aguzzo le orecchie per percepire ogni minimo rumore oltre quello dei respiri, sperando che l’attesa finisca il prima possibile, ma la porta non si apre più e i passi smettono di riecheggiare tra le pareti: per ora hanno finito. Ho bisogno di dormire se non voglio sembrare troppo malandata quando arriverà il momento. Stringo il più possibile il mio corpo al muro e chiudo gli occhi, immaginando un caldo sole ad arrossarmi le gote e il rumore rilassante di onde in lontananza che si frantumano sulle rocce.
 
La ragazza è morta. E’ chiaro fin da quando apro gli occhi: fissa il vuoto in una posizione innaturale. Le abbasso le palpebre e cerco di fare mente locale finché gli occhi non si abituano al buio. E’ quasi l’una del mattino, leggo sull’orologio della ragazza deceduta. Devo andare al bagno, ma sono abbastanza sicura che non manchi molto per uscire da questa stanza e decido di trattenerla. Non tutte hanno preso la mia decisione, però, perché una pungente puzza di urina appesantisce ulteriormente l’aria della stanza. Ci saranno pochissimi gradi fuori e il freddo riusciamo a percepirlo anche qui, ma è anche vero che siamo chiuse in questo spazio ristretto da più di sei ore e le condizioni non sono delle migliori.
Dopo circa due ore vengono a prenderci.
La porta spalancata mostra la figura di un uomo robusto e grezzo, seguito da altri uomini con armi di vario genere, e ci ordina a gran voce di muovere le nostre chiappette sudicie. Non tutte hanno retto al freddo e alla fame e giacciono inerti sul pavimento, la vita che le ha abbandonate. Alcune barcollano, sorrette da loro conoscenti o semplicemente da ragazze che cercano di dare una mano. Quello che penso guardandole è che io non lo farei. Il loro futuro è segnato, non avrebbe senso rischiare anche la mia vita per un caso perso, ma penso anche che se ci fosse stata mia sorella lo avrei fatto comunque.
Le gambe per poco non cedono quando mi alzo, intorpidite da ore nella stessa posizione, ma cerco di mostrarmi sicura, perché un minimo errore può costarmi la vita. Prima di allontanarmi troppo guardo indietro e vedo alcuni uomini entrare nella stanza. Sono costretta a girare la testa per non vomitare al pensiero di quello che stanno per fare ai cadaveri delle ragazze morte.
Attraversiamo in fila e immerse nel silenzio un corridoio basso e poco illuminato, ma le condizioni di tutte sono chiare: sporche, infreddolite e puzzolenti. La cosa diventa ancora più evidente quando una donna, circa sulla trentina e vestita di abiti succinti, quasi indifferente alle basse temperature, ci guida spazientita in docce comuni. Abbandoniamo in gruppo i vestiti con riluttanza man mano che il freddo ci colpisce, ma nessuna si lamenta. L’acqua è fredda: devo fare uno sforzo immane per restare sotto il getto. Rifiutarsi significherebbe essere debole e non c’è spazio qui per le persone deboli. Del sangue accompagna l’acqua giù per gli scarichi e ringrazio di non avere oggi il ciclo. Sfrego bene il volto per mandare via ogni traccia di sporco, accettando di buon grado il sapone quando la ragazza alla mia destra me lo passa e usandolo un po’ ovunque sul mio corpo il più in fretta possibile, per poi cederlo in una mano alla mia sinistra. Non dovrei puzzare e questo già mi concede un ottimo vantaggio, soprattutto perché molte ragazze semplicemente rifiutano il sapone, rimanendo ferme a congelare sotto l’acqua. Ci rimettiamo in fila, lasciando spazio ad un altro gruppo di ragazze, e procediamo nella stanza successiva non prima di esserci asciugate alla bell’è meglio con uno straccio: è piena di vestiti poco coprenti, adatti a mettere in mostra la mercanzia, e su di un tavolo sono accatastati pettini, fermagli e altri oggetti simili tra cui uno specchio, adibiti ad abbellirci.
«Avete dieci minuti, quando vi chiamo uscite» dice la donna, abbandonando la stanza dietro ad una tenda. Senza di lei il panico si diffonde nel gruppo, ma al posto di farmi trascinare dalle loro ansie, afferro velocemente un pettine dal tavolo e una forcina appuntita in ferro. Una ragazza inizia ad imitarmi, staccandosi dalle altre, che poco dopo iniziano a mettere su qualcosa: dopotutto siamo ancora nude. Cerco tra i vestiti qualcosa di provocante e che metta in risalto le parti migliori del mio corpo, infilando quasi subito un vestito cortissimo e rosso: se voglio vivere, devo far in modo di piacere. Al resto penserò dopo. Infilo prima come intimo qualcosa di coprente, perché non è tra le mie intenzioni rimanere troppo a lungo da togliere il vestito. Mi piazzo davanti allo specchio esaminandomi la faccia, approfittando della lentezza delle altre ragazze. Sono bianchissima e sarebbe una nota positiva in contrasto con il vestito, se solo non avessi le labbra viola dal freddo. Buco un dito con la forcina recuperata in precedenza e passo sulle labbra il sangue che vi fuoriesce: decisamente va meglio. Mi guardo ancora una volta e la cicatrice che mi attraversa una guancia mi sembra più visibile ora di quanto non lo sia mai stata. Esamino ogni zona della stanza in cerca di qualcosa di utile a togliere l’attenzione dal segno che porto sul viso e noto una scatolina il cui contenuto non mi è nuovo. La donna di prima ci chiama frivola e la sua voce risulta ovattata a causa della tenda che conduce alla stanza successiva, ma è comunque udibile. Nessuna delle ragazze si muove: restano immobili a fissarsi aspettando chissà cosa. Valuto che forse entrare per prima mi metterebbe maggiormente in luce, ma da come sono spaventate le altre, dubito che riuscirei ad avere una posizione centrale una volta fuori, nella fila, perché se anche mi fermassi al centro della stanza, loro non mi sorpasserebbero. Prendo per il braccio una ragazza e la incito ad andare, prima che la donna sancisca la nostra morte per disubbidienza. Le altre iniziano a seguirla a ruota e riesco ad infilarmi a circa metà della fila creatasi. Un boato di fischi mi colpisce le orecchie appena metto la testa oltre la tenda e continuo a camminare fino a quando non raggiungo l’altra ragazza. Faccio bene attenzione a non alzare lo sguardo, non ora, almeno, e trattengo il mio corpo dall’impulso di darmela a gambe perché non è il momento adatto, non avrei possibilità.
«Gentiluomini, ecco il primo gruppo di donzelle!» annuncia la donna, allargando le braccia per indicarci. Siamo su una sorta di palcoscenico rialzato, con la luce del fuoco di torce ad illuminare i nostri corpi avvolti da abiti succinti, mentre gli uomini sono seduti a dei tavoli e battono i calici di birra su di essi, chi del tutto ubriaco e chi invece cerca di mantenere una certa lucidità, probabilmente per scegliere al meglio e non portare a termine un brutto affare.
«Scegliete con attenzione, me ne raccomando. La prima della fila, un passo avanti!» un uomo urla un “Nadin, non farci aspettare!” alla donna, che immediatamente procede con questa routine. Siamo sì il primo gruppo della giornata, ma non degli ultimi mesi.
A metà della fila, Nadin indica una ragazza alta e magra, troppo magra, dovuto alla fame. Non ha l’aspetto di un corpo sano e non mi stupisco quando nessuno offre soldi per averla. Con un sorriso palesemente costruito per la scena, Nadin le intima di tornare nella stanza precedente, ma lei sa cosa vuol dire, ha lo sguardo conscio della situazione e quasi implora di poter avere un’occasione con gli occhi. Quando non le viene concessa, prende una decisione estrema: provare a scappare. Corre dalla parte opposta alla stanza in cui ci siamo vestite e scompare in un corridoio. Il silenzio cala opprimente anche tra gli uomini, in attesa di scoprire cosa accadrà. La risposta non tarda ad arrivare: un colpo di fucile in lontananza rende chiara la fine della ragazza. Nadin cerca di rallegrare la situazione ridendo sguaiatamente e facendo qualche avances qui è lì, lasciando all’alcool il tempo di fare il suo lavoro, allentando i freni inibitori, finché tutto riprende come se nulla fosse.
Non passa molto tempo perché arrivi il mio turno e avanzo sicura con ancora lo sguardo fisso a terra. Borbottii di dissenso si innalzano tra il pubblico maschile e, convenendo di aver aspettato abbastanza, punto gli occhi dritti tra di loro. La reazione è quella sperata: tante mani si alzano, accompagnate da cifre urlate a Nadin, che mi aggiudica al miglior offerente. Scendo dal palco andandogli incontro e mi rendo conto che sarà più difficile del previsto scappare vista la sua statura e il fisico massiccio. Passa un languido sguardo sul mio corpo, osservandone ogni centimetro con bramosia e focalizzo la mia attenzione altrove per evitare di coprirmi con le mani, indignata.
Manca poco, manca poco.
Porta il braccio sinistro sulle mie spalle, trascinandomi fuori dalla stanza. Gli arrivo all’altezza delle ascelle e la puzza di sudore mi dipinge un’espressione disgustata sul volto, in completa sintonia ai miei sentimenti attuali. Barcolla leggermente, con ancora una birra nella mano destra e dopo qualche istante arriviamo di fronte ad una porta. L’uomo prende delle chiavi dalla tasca, abbandonando il boccale di birra che si frantuma al suolo. Nella foga di oltrepassare la porta, non mi dà il tempo necessario per schivare i frammenti del boccale e si conficcano nelle piante dei piedi. Emetto un lamento che attira la sua attenzione e mi fronteggia del tutto, catturando il mio mento tra le sue dita e costringendomi a guardarlo negli occhi.
«Im-impaziente?» balbetta per l’alcool, gli occhi annebbiati per il desiderio e socchiusi in contemplazione. Avvicina la bocca al mio orecchio, strascicando delle parole che subito dopo assumono una forma nella mia mente: “Sarai presto accontentata”.
Devo darmi una mossa.
Sbatte la porta alle mie spalle e inizia a spogliarsi. Non ho intenzione di vederlo nudo, così avanzo verso di lui e blocco le sue mani che armeggiano con la cintura.
«Lascia fare a me» dico suadente. Sorride inebetito e spingo il suo petto con le mani perché possa indietreggiare fino al letto. Leva le scarpe con i piedi e afferra brutalmente i miei fianchi. Cerco di sorridere e non mostrare l’orrore e la paura che si celano dietro al mio sguardo.
«Mi piacciono i tuoi o-occhi, proprio da sgualdrinella,» commenta «anche se non mi aspettavo questa zozzeria sotto l’occhio».
Sono abbastanza vicina da poterlo stendere con una testata, ma non credo che riuscirebbe e mi farei solo male. Individuo un vaso di fianco al letto e, di malumore, mi stendo su di lui. Rovescia le posizioni, affinché troneggi sopra di me e con una mano strappa via il tessuto rosso che mi ricopriva in parte. Rimane un attimo sbigottito nel notare il mio intimo poco sensuale e approfitto per allungare una mano verso il vaso. Ma sono troppo lenta. Mi afferra il polso con forza, portandolo sopra la mia testa e riservandomi uno sguardo in cagnesco.
«Cosa cercavi di fare? Non vuoi spassartela con m-me?» chiede digrignando i denti. Aumenta la presa sul mio polso e si scaraventa con foga sulle mie labbra: sa di birra e disgusto. Gli mordo la lingua con forza quando prova ad oltrepassare il limite delle mie labbra, al che urla per il dolore, lasciandomi il polso e permettendomi di rotolare giù dal letto, per terra. Mi alzo in piedi di fretta e raccolgo il vaso, colpendo l’uomo in testa proprio mentre sembrava stesse per contraccambiare. Cade sul letto come un sacco di patate, lasciandomi esalare un sospiro di sollievo.
Esci di lì.
Cerco dei vestiti tra gli scaffali della stanza, nei cassetti e sotto il letto, ma l’unica cosa che trovo è polvere. Mi rassegno all’idea e mi accontento di infilare le scarpe dell’uomo, seppur mi stiano grandi e levo una tenda per usarla come coperta. Sempre meglio di niente. Un suono alle mie spalle mi avverte che l’uomo sta riprendendo i sensi e mi affretto ad uscire dalla stanza. Corro in direzione opposta a quella da cui sono arrivata e volto l’angolo giusto in tempo per non farmi vedere da un gruppo di uomini accorsi in aiuto del loro amico. Giungo di fronte ad una finestra e prendo la decisione estrema di utilizzarla per scappare. Questo posto è pieno di guardie e persone armate all’interno, il che mi offre poche possibilità di sopravvivenza, mentre fuori non ci sarà probabilmente nessuno a causa del freddo pungente, ma anche questo potrebbe costarmi la vita. Indosso solo un paio di scarponi e una tenda come coperta su intimo sottile, ma mando all’aria ogni pensiero sensato quando il rumore di passi veloci si fanno sempre più vicini. Apro la finestra, l’aria gelida mi colpisce il volto e guardo in basso: saranno all’incirca quattro metri, la neve dovrebbe attutire la caduta. Salto incurante e atterro apparentemente illesa, ma poco importa perché non mi fermerò a controllare, non ora. Con ancora l’adrenalina in corpo, muovo una gamba dopo l’altra sulla neve, ignorando i fiocchi che si posano sul mio corpo sciogliendosi. A piedi non arriverò da nessuna parte, realizzo dopo poco osservando il fitto della foresta a pochi metri dallo stabilimento. Procedo arrancando e mantenendomi al muro, sperando che un’idea mi venga in soccorso, fin quando non intravedo a pochi metri quelle che spero siano motoslitte.
Per favore, per favore, per favore.
Pochi passi e mi permetto di esalare un sospiro di sollievo all’evidente schiera di motoslitte che mi si staglia magnificente davanti agli occhi. Delle urla lontane mettono in azione le mie gambe e mi affretto, ansimante e infreddolita, a controllare se almeno uno di questi aggeggi abbia la chiave di accensione ancora attaccata.
Controllo ormai l’ottava motoslitta quando vengo scaraventata nella neve: un uomo mi guarda dall’alto in cagnesco e avanza con il mio indietreggiare incespicante nella neve, ancora non in piedi. La tenda che prima mi copriva il volto è da qualche parte nella neve, ma a questo punto non ha poi tanta importanza. Un momento di panico mi assale al pensiero di aver fatto tutto questo per niente, ma un ciondolare tremendamente confortante dalla gamba dell’uomo mi infonde la forza necessaria per mettermi nuovamente in piedi e chiudere a pugno le mani davanti al volto per ripararmi da eventuali colpi.
Ci scommetto tutto che quelle che vedo sono le chiavi di una delle motoslitte.
E se ho ragione, saranno mie, che lui lo voglia o no.
Aspetto impaziente e con gli arti congelati che sferri il suo primo colpo, ma non arriva. Invece, estrae da una federe che non avevo notato un coltello di modeste dimensioni, ponendomi in una situazione di ancora più svantaggio. Mando giù il groppo in gola e stringo più forte i pugni.
Tutto o niente.
Si sporge con il coltello in un colpo fugace, troppo lento perché io non riesca a schivarlo. Deluso dal gesto andato a vuoto, stiracchia il collo prima di continuare a tentare: schivo il colpo un’altra volta ma il terzo mi sfiora l’addome, così come i due colpi a seguire.
Dopo attimi interminabili e il dolore a malapena percepito delle ferite a causa del freddo, realizzo una cosa che mi potrebbe essere di fondamentale aiuto.
Sta giocando con me.
Avrebbe potuto mettermi K.O in pochissimo viste le evidenti differenze di prestanza fisica e il fatto che io sia disarmata, ma si limita a due graffi sull’addome con un sorriso sornione sul volto.
Approfitto degli attimi che passano mentre pulisce diligentemente il coltello nella neve dal mio sangue per osservare la zona circostante ed individuo, alle spalle dell’uomo, un tronco di albero caduto che potrebbe fare al caso mio. Avrei preferito qualcosa di più letale, ma viste le condizioni attuali può andare più che bene. L’unico reale problema, adesso, è superarlo per afferrare la mia eventuale arma.
«Ehi» dico, la voce che esce leggermente strozzata nel freddo gelido della serata «Per favore, voglio solo sopravvivere. Farò tutto quello che vuoi»
Mi inginocchio con le mani incrociate davanti al volto abbassato, cercando di mettere in scena la mia migliore sceneggiata.
«Tutto tutto?» ha attimi di cedimento e ringrazio mentalmente che ci stia cascando come una pera cotta.
Per un secondo, per un solo brevissimo secondo, si permette di abbassare l’arma e rilassare le spalle, lasciandomi la possibilità di agire: mi alzo il più in fretta possibile e lo travolgo con tutto il mio peso per farlo cadere, o almeno spostarsi dalla mia traiettoria, riuscendo in pochissimo tempo a raggiungere il tronco tanto agogniato.
«Bastarda!» urla l’uomo issandosi sulle gambe dopo essere finito sulla neve, ma io sono più veloce e sferro un colpo calcolato e deciso sulla sua mascella destra.
Respiro affannosamente guardandolo giacere inerte nella neve e del sangue colargli giù dal naso. Non deve essere stato il mio colpo più preciso, ma ben venga.
Abbandono il tronco per afferrare le chiavi che ancora pendono dai suoi pantaloni, trovandoci sopra il numero corrispondente alla motoslitta che mette in moto. Meno tempo da perdere.
Sono tentata di levargli il giaccone pesante che indossa perché questa notte è davvero gelida e la neve non aiuta, dovendo però cambiare idea alle voci troppo vicine di un gruppo di persone. In un batter d’occhio sono sulla motoslitta e giro con mani intorpidite la chiave per accenderla.
Il rumore confortante del motore mi scalda almeno il cuore, riempiendolo di una nuova speranza, e freccio in poco tempo nella foresta tanto paurosa quanto confortante.
Sento il cuore battere all’impazzata nel petto finché le urla in lontananza non cessano del tutto.
 



 
Hola~
Appena terminata
Egrocentic (jun)Hoe degli ikon ed eccomi qui con un'altra storia! Di bts in questo capitolo neanche l'ombra, me ne rendo conto, ma avevo bisogno di dare almeno un minimo di introduzione alla situazione generale e al caratterino della protagonista. Cosa ne pensate? Fatemi sapere, se vi va ^^

Come sempre cercherò di aggiornare almeno una volta a settimana, cosa che probabilmente avverrà durante il weekend per nessuna precisa ragione lol
Volevo inoltre informarvi che la storia verrà pubblicata anche su Wattpad, giusto nel caso vi trovaste meglio a seguirla lì, nulla di che.
See ya next chapter!
Baci♥

 
   
 
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