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Autore: Marilia__88    20/06/2016    2 recensioni
Una nuova storia che come "Ti brucerò il cuore" riparte dal presunto ritorno di Moriarty e dallo stesso momento. Un'altra versione della quarta stagione con nuove teorie e nuove congetture completamente diverse.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” chiese John, mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock, fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary nel tentativo di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!” esclamò Sherlock con il suo solito tono di chi deve spiegare qualcosa di ovvio “…Mi sono quasi sparato un’overdose per dimostrarlo!”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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                                             Friends remain






… Voleva mettere fine a quella storia una volta per tutte. Il rischio era enorme. Avrebbe sacrificato tutto: la sua vita, la sua libertà, la sua integrità, ma non aveva altra scelta. Ormai la sua vita non aveva più un senso, non aveva più una direzione e, nel baratro in cui stava affondando, si sarebbe portato anche Moran, gli avrebbe fatto pagare l’errore di aver ucciso suo fratello.
 
 





 
John e Greg erano dietro lo specchio a vetro della saletta degli interrogatori. Osservavano Moran, che se ne stava seduto con aria compiaciuta, mostrando un sorriso strafottente. Nella stanza con lui c’era un agente di polizia armato, pronto ad intervenire in caso di problemi. Sherlock, però, non era ancora entrato nella stanza e ciò fece insospettire il medico.
“Ma che diamine sta facendo lì fuori?... Perché non entra?” chiese John.
L’ispettore stava per rispondere, quando la porta si aprì e il detective entrò deciso. Aveva una strana espressione sul viso: seria, arrabbiata e allo stesso tempo combattuta.
“Sherlock…che piacere rivederti!... Questa sì che è una sorpresa!” esclamò il cecchino divertito.
Sherlock non rispose. Rimase in piedi, immobile, con le mani nelle tasche del cappotto e lo sguardo fisso sul suo nemico.
“Ma che faccia da funerale che hai oggi!” canzonò Moran, scoppiando a ridere. “...Per caso è morto qualcuno?” aggiunse, cercando di provocarlo.
Il detective, però, restò impassibile di fronte a quelle provocazioni. Continuò a mantenere la stessa posizione e la stessa espressione.
Il cecchino, che non si aspettava un comportamento del genere, iniziò a guardarlo con aria confusa. “Che c’è?... Hai perso l’uso della parola?” chiese, cercando di nascondere il suo improvviso disagio. Quegli occhi gelidi fissi su di lui erano così inquietanti, che per la prima volta si sentì in difficoltà.
Sul volto di Sherlock apparve un sorriso compiaciuto. “Hai paura…” affermò con sicurezza.
“Paura?... E di cosa?” domandò Moran con un leggero tremore di voce.
“Di me…” rispose il detective.
“Questa sì che è bella!” esclamò il cecchino, scoppiando a ridere nervosamente.
Sherlock ritornò serio e si avvicinò al tavolo, fissandolo con uno sguardo da pazzo. Poi poggiò le mani e si sporse leggermente verso di lui. “Battito accelerato, sudorazione eccessiva, respiro corto, improvviso aumento della temperatura corporea…potrei anche continuare, ma credo che questi possano bastare…” disse con un sadico sorriso “…e sai perché hai paura?... Perché anche tu come me riesci a leggere le persone…ciò che pensano, ciò che provano e ciò che hanno intenzione di fare…” aggiunse, ritornando serio “…tu sai perché sono qui, vero?”
Moran era completamente spiazzato da quelle parole, ma cercò di nasconderlo. “Certo che lo so, Sherlock!... Ma guardati intorno…siamo in una centrale di polizia…come pensi di cavartela? Come pensi di uscirne?”
“È proprio questo il bello, Sebastian…” rispose il detective, scandendo lentamente il suo nome. “…Non ho più niente da perdere, ormai…ho già perso tutto a causa tua…non mi è rimasto più niente!” urlò furioso. “…Sai come mi sento adesso?... Come se stessi cadendo in un baratro…in un profondo baratro senza via d’uscita…” aggiunse, guardandolo con un’espressione da psicopatico “…ma non cadrò da solo…no, tu verrai con me!”

 
John dall’altra parte del vetro era senza parole. Quello sguardo e quell’atteggiamento gli fecero venire i brividi. “Greg fallo smettere, ti prego…” disse preoccupato.
Lestrade annuì e si precipitò di corsa verso l’entrata della stanzetta. Aprì la porta ed entrò. “Sherlock, credo che possa bastare…”.
Il detective, però, non gli diede ascolto. Continuò a guardare Moran con rabbia e odio, godendosi la sua espressione spaventata.
“Sherlock…ti prego, vieni via…” lo supplicò Greg con voce tremante.
L’agente che era nella stanza, vedendo quel comportamento, si portò la mano alla pistola, pronto a reagire.
Spaventato da quel gesto e da ciò che sarebbe potuto succedere, l’ispettore fece cenno al suo uomo di uscire. “Ci penso io…” disse convinto. Poi si avvicinò lentamente al consulente investigativo. “Sherlock…vieni, andiamo fuori…”.
Sherlock si voltò verso di lui ed annuì soltanto. Mentre si dirigeva con Greg verso la porta, però, si voltò di nuovo verso il cecchino. “Non avresti mai dovuto uccidere mio fratello…” sputò con astio. Avvenne tutto in una frazione di secondo. Mise velocemente la mano nella tasca destra del cappotto, estrasse una pistola e sparò tre colpi al suo nemico dritti in fronte.
Il corpo di Moran si accasciò sul tavolo, mentre una pozza di sangue si espandeva sotto la sua testa.
“Cristo Santo, Sherlock!” urlò Lestrade sconvolto, prendendo d’istinto la pistola e puntandola contro il detective. “Metti giù la pistola…” gli intimò con le mani tremanti.
Dopo lo sparo, altri agenti si precipitarono lì armati.
Sherlock buttò a terra l’arma e si inginocchiò sul pavimento, mettendo le mani dietro la testa e lasciandosi ammanettare. Venne portato fuori dalla stanzetta da due agenti. Lì c’era John, che reggeva in braccio Victoria e lo guardava sconcertato. Non poteva credere a ciò che aveva appena visto.
Il detective, per la prima volta dopo il loro litigio, lo guardò intensamente negli occhi per qualche istante. Poi abbassò lo sguardo.
Il medico poté giurare, in quel momento, di aver visto due lacrime che gli rigavano il viso.

 
Sherlock si trovava in cella da un paio d’ore. Da quando era stato chiuso lì dentro, non aveva visto né John e né Greg. Se ne stava seduto a terra con le gambe strette al petto. Le mani avevano ripreso a tremargli, chiaro segnale che l’effetto della cocaina stava iniziando a scemare. Nonostante avesse ucciso Moran, nonostante avesse vendicato suo fratello, non si sentiva meglio, anzi si sentiva ancora peggio. Le parole che aveva rivolto al cecchino erano vere: si sentiva come se stesse precipitando in un baratro profondo senza che riuscisse ad impedirlo. Pensava davvero che provando ad eliminare di nuovo i sentimenti dalla sua vita le cose sarebbero migliorate, che avrebbe smesso di soffrire. Questa volta, però, si era sbagliato. Il dolore era rimasto ed era sempre più intenso e soffocante. Nel suo disperato tentativo di ritornare ad essere un sociopatico senza cuore, aveva allontanato tutti i suoi amici, tutte le persone che gli volevano bene. Aveva fatto tutto questo per rimanere solo, ma adesso, mentre provava l’angosciante peso della solitudine, avrebbe dato qualsiasi cosa pur di avere qualcuno al suo fianco, qualcuno che lo consolasse e lo rassicurasse, che gli dicesse che tutto sarebbe andato bene. Se solo avesse avuto qualcosa dietro, sarebbe riuscito ad alleviare almeno per qualche istante quella tremenda angoscia che lo stava assalendo. Preso dallo sconforto, si mise le mani sul viso, mentre alcune lacrime scendevano senza controllo.
Dopo alcuni istanti sentì dei passi e qualcuno aprì la porta della cella ed entrò. Si avvicinò lentamente a lui e si sedette a terra al suo fianco.
“Hai fatto proprio un bel casino!” esclamò Greg, sospirando pesantemente.
Il detective si asciugò il viso e ed annuì, mantenendo lo sguardo basso.
“Resterai in prigione per qualche giorno, fino al processo…ma non verrai condannato...” disse Lestrade serio.
Sherlock lo guardò incredulo. “Ho ucciso un uomo…” precisò con ovvietà.
“Sì, ma ho convinto i miei superiori che lo hai fatto per legittima difesa. Moran si è avventato su di me, mi ha rubato la pistola e stava per spararti, ma tu prontamente lo hai fermato. Gli agenti che erano presenti confermeranno questa versione, perché mi devono un favore…e le registrazioni della saletta degli interrogatori di quel momento sono misteriosamente scomparse…quindi dovranno fidarsi della mia parola, di quella degli agenti e di quella di John. Con le nostre testimonianze al processo non ti condanneranno. Ovviamente dovrai pagare una multa per il possesso di quella pistola, chiaramente di contrabbando e dovrai scontare tre mesi agli arresti domiciliari...ma credo di riuscire a farteli ridurre ad uno al massimo” spiegò Greg.
Il detective era senza parole. Restò a fissarlo per qualche istante prima di riuscire a parlare. “Perché hai fatto tutto questo?”
L’ispettore rise e negò con il capo. “Perché sei mio amico, razza di idiota!... Anche se ultimamente sembra che tu ti sia dimenticato cosa significhi!” rispose con un velo di rimprovero.
Sherlock abbassò lo sguardo. Non sapeva cosa dire e non sapeva come scusarsi per tutto quello che aveva fatto.
“Ora mi spieghi cosa ti è saltato in mente?... Questa cazzata di voler allontanare tutti e di rimanere solo…la droga…e perfino questo!” chiese Greg serio.
Il consulente investigativo si passò le mani sul viso e sospirò pesantemente. “Non lo so, Greg…credimi…non lo so!... Non so più niente…non so cosa pensare…non so cosa fare!” esclamò, mentre una lacrima gli rigava la guancia.
“La questione è davvero grave se mi hai chiamato Greg!” ironizzò l’ispettore, nel tentativo di sdrammatizzare la situazione.
Sherlock accennò un mezzo sorriso. Poi si strinse maggiormente le gambe al petto, mettendovi sopra le braccia incrociate e poggiandovi il mento. Forse non c’era bisogno di rimanere da solo per stare meglio, forse come aveva detto anche John, erano gli amici a proteggerti e ad aiutarti ad andare avanti.
In quel momento qualcuno si schiarì la voce, attirando l’attenzione dei due. John era sulla soglia della porta con un’espressione scura in volto. “Greg, ho lasciato Victoria dalla signora Hudson…possiamo andare di sopra per la mia deposizione…” disse, cercando di non incrociare lo sguardo con il detective.
Lestrade annuì e si alzò da terra. Poi guardò Sherlock per un istante ed uscì velocemente.
Il medico stava per chiudere la porta della cella quando sentì pronunciare il suo nome.
“John…” disse il consulente investigativo con un filo di voce.
John si bloccò all’istante e si mise a fissare il suo migliore amico.
“I-io…” provò a dire il detective titubante “…Greg mi ha detto tutto…e ti ringrazio per…” aggiunse, ma venne interrotto.
“Lo faccio perché me lo ha chiesto Greg…non lo faccio per te!” mentì il medico. “…Dovresti ringraziare lui…” continuò, abbassando lo sguardo e chiudendo la porta con un gesto secco.
Sherlock poggiò la testa al muro con sconforto. Poi chiuse gli occhi e sospirò. Nel suo disperato tentativo di non provare più sentimenti, aveva rovinato tutto con John. Lo aveva ferito, lo aveva rifiutato e adesso doveva pagarne le conseguenze.
 

Appena il medico chiuse la porta e si voltò, incontrò lo sguardo di Lestrade. Era uno sguardo duro e colmo di rimprovero. “Che c’è?” chiese confuso.
“Era quello il modo di trattarlo?” domandò a sua volta l’ispettore.
“Fammi capire…lo stai difendendo?... Dopo come mi ha trattato, prendi le sue difese?” sputò John incredulo.
Greg non rispose. Gli fece cenno di seguirlo per continuare la discussione al piano di sopra. Nel momento in cui entrarono nel suo ufficio si voltò verso il medico con aria di sfida. “Ha perso suo fratello, John!” esclamò spazientito.
“E questo dovrebbe essere una giustificazione valida, per quello che mi ha detto e per come mi ha cacciato di casa?” urlò John irritato.
“No, non voglio giustificare il suo comportamento…non voglio dire che non si sia comportato da stronzo…” ribatté Lestrade “…voglio solo dire che proprio tu non hai il diritto di giudicarlo!”
Il medico si fermò un attimo a riflettere su quelle parole. “Che vuoi dire?” chiese confuso.
“Tu, meglio di tutti dovresti capire il suo comportamento…perché sai cosa si prova a perdere qualcuno di importante!” rispose l’ispettore a tono.
“Non è la stessa cosa!” esclamò John con voce tremante.
“Certo che è la stessa cosa!” ribatté Greg, alzando di nuovo il tono di voce “…Quando credevi che Sherlock fosse morto…cos’hai fatto, John?”
Il medico non rispose, ma si limitò ad abbassare lo sguardo.
Vedendo il silenzio dell’amico Lestrade continuò. “Hai fatto la stessa cosa, ricordi?... Hai cercato di isolarti, hai ferito tutti quelli che ti stavano intorno e che cercavano di aiutarti: me, Molly, la signora Hudson” disse, parlando con più dolcezza “…Ti ricordi quante volte siamo venuti a trovarti e quante volte ci hai cacciato fuori?... Ti ricordi di quella sera quando non volevo andarmene e mi hai preso a pugni?... Eppure, nonostante ci ferissi ogni volta, nonostante ci facessi del male, non ti abbiamo mai abbandonato!... Perché è questo che fanno gli amici, John…restano… sempre e comunque!”
John rimase in silenzio. Quelle parole lo avevano colpito e dovette far ricorso al tutto il suo autocontrollo per trattenere le lacrime. Ripensare a quei due anni, al suo dolore, alla sua sofferenza, gli faceva venire i brividi. Però Greg aveva ragione. Lui si era comportato allo stesso modo. Aveva allontanato tutti, aveva ferito chiunque cercasse di aiutarlo pur di riuscire ad andare avanti senza Sherlock. In particolare si ricordò di quella sera nominata dall’ispettore. Abitava ancora a Baker Street e si sentiva più arrabbiato e frustrato degli altri giorni. Greg era passato per un saluto ed aveva provato a mandarlo via in malo modo. Vedendo che l’amico non voleva lasciarlo solo, gli aveva tirato un pugno e lo aveva buttato letteralmente fuori, sbattendogli la porta in faccia. Ricordava di aver pianto, di aver preso la sua pistola e di essersi recato nella stanza di Sherlock. Se Greg quella sera avesse deciso di abbandonarlo, lo avrebbe fatto sul serio: si sarebbe ucciso. Invece l’ispettore, incurante del naso rotto, aveva buttato giù la porta e lo aveva fermato giusto in tempo. Eppure, dopo come lo aveva trattato e dopo le orribili parole che gli aveva detto, avrebbe potuto andarsene, avrebbe potuto arrendersi…ma non l’aveva fatto e, questo, gli aveva salvato la vita. Ed ora con Sherlock si trovava nella stessa posizione, ma questa volta dal lato opposto. Doveva salvarlo da sé stesso e dal suo dolore, così come anni prima Greg aveva salvato lui. Alzò lo sguardo su Lestrade ed annuì, sorridendo dolcemente. “Hai ragione, Greg…se quella volta non fosse stato per te…se mi avessi voltato le spalle…io…” disse, ma si bloccò a metà frase.
“Non pensiamoci più adesso…ora dobbiamo pensare a Sherlock e a come farlo uscire da questo casino!” esclamò l’ispettore, sorridendo a sua volta e dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. 













Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il diciannovesimo capitolo! Sinceramente non so di quanti capitoli sarà composta la storia...avevo pensato sempre a 21, così come le altre... ma dipende da quanto spazio prenderanno i prossimi avvenimenti. Questo capitolo è leggermente più corto rispetto agli altri, perchè non volevo inserire troppi avvenimenti e farlo diventare un pò pesante!

Per quanto riguarda Sherlock...è completamente in panne! La morte di Mycroft non l'ha solo distrutto, ma l'ha confuso e gli ha fatto perdere anche un pò la ragione per un momento! Per fortuna Greg è sempre presente e pronto a toglierlo dai guai quando può. 

Moran è finalmente morto e almeno un problema è stato risolto...anche se Sherlock si ritroverà a dover affrontare qualcosa che lo turberà parecchio e che non sarà molto facile da accettare...poi vedrete...

Per quanto riguarda John, ha reagito come avrebbe fatto chiunque, considerando quanto Sherlock lo abbia ferito. Ma Greg comunque ha ragione...gli amici restano sempre e comunque e a volte nelle difficoltà, si deve anche passare sopra a tante parole e a tanti gesti che fanno male, per poter salvare un amico da sè stesso e dal dolore che lo ha sconvolto. 


Spero che il capitolo vi sia piaciuto...grazie come sempre a chi sta seguendo la storia e a chi vuole lasciare un commento. Alla prossima ;)

 
   
 
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