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Autore: nikita82roma    21/06/2016    2 recensioni
Un mese dopo la sparatoria al loft Kate riprende finalmente conoscenza. Ma lei e Rick dovranno ricominciare tutto da capo nel modo più imprevisto e difficile, con un evento che metterà a dura prova il loro rapporto e dovranno ricostruire il loro "Always", ancora una volta. Ma Rick avrebbe fatto tutto per lei, per loro, per riprendersi la loro vita e non avrebbe più permesso a niente e nessuno di separarli.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Always Together'
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Castle si svegliò boccheggiando. Buttò lo sguardo più volte alla sua destra cercando Kate: lei non c’era. Ovviamente. Lei dormiva nella loro stanza. Lui no.
L’aveva sognata, di nuovo. Nella loro cucina. A terra. La sensazione della mano di Kate che piano piano lasciava la presa sulla sua e lui che non riusciva a muoversi pietrificato dalla paura. Sudava e respirava velocemente. Aveva bisogno di vederla. Si assicurarsi che stesse bene. Lo sapeva, ma doveva vederla, lo necessitava letteralmente a livello fisico e soprattutto mentale. Doveva vedere il suo petto alzarsi e abbassarsi seguendo il ritmo cadenzato del suo respiro. Era vitale per lui in quel momento, aveva la necessità di vedere quel respiro più che di respirare lui stesso.
Scese le scale cercando di non fare rumore e di non essere goffo come suo solito. Aprì piano la porta di camera e lasciò che un fascio di luce dal loft illuminasse leggermente il suo volto. Dormiva apparentemente tranquilla, con il braccio allungato lì dove di solito giaceva lui al suo fianco. Respirava, vedeva il lenzuolo che le copriva appena i fianchi muoversi lievemente. Ripensò a quante volte aveva fatto la stessa cosa quando Alexis era piccola, quando si alzava nel cuore della notte e si intrufolava nella sua camera per accertarsi che stava bene, senza un motivo preciso. Era ansioso per la vita delle persone che amava e forse questa nuova paternità che sarebbe arrivata nel giro di qualche mese aveva accentuato questo suo lato. O più probabilmente quello che avevano vissuto, tendeva a volerlo dimenticare sempre, senza molto successo.  Sospirò e chiuse la porta, per poi andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. Era attento anche a dove metteva i piedi, nonostante i mobili diversi sapeva esattamente dove loro erano e non voleva camminare lì. Mentre beveva avidamente si chiese se questa fobia gli sarebbe mai passata, se sarebbe mai riuscito a non vedere i loro corpi lì in quel preciso punto, perchè per una parte del suo inconscio loro erano sempre lì, la sua Kate era sempre lì, ancora su quel pavimento e non di là in camera a dormire tranquillamente. Lo turbò il pensiero che in un certo senso era vero. La sua Kate, i suoi ricordi, sembravano essere rimasti lì, che si fossero inchiodati a quelle assi del pavimento che aveva fatto rimuovere e che non li avessero portati via con lei, troppo impegnati a salvarla si erano dimenticati di loro, dei ricordi di otto anni di vita lasciati su quel pavimento incustoditi. Rick si chiese anche se avesse fatto bene a far cancellare ogni traccia di quello che era quel luogo, se non avesse contribuito anche lui, in qualche modo, a distruggere definitivamente quello che era rimasto lì.
Era colpa sua se Kate non ritrovava i suoi ricordi perchè lui li aveva fatti distruggere con quella vecchia cucina, mosso da una decisione impulsiva, seguendo solo la sua irrazionalità e la sua incapacità di riuscire a superare l’accaduto? 
Come se tutto quel ragionamento, invece, fosse stato razionale. Gli sembrava di diventare pazzo quando voleva per forza dare una spiegazione a qualcosa di inspiegabile, cercare una motivazione o un colpevole che non esisteva, glielo avevano detto più volte che era una condizione creata dalla mente di Kate, forse per proteggersi o chissà perchè. 

 

Rick si era chiesto in quei giorni molte volte perchè la sua amnesia cominciava proprio da prima che si conoscessero, non poteva essere una casualità. Si ritrovò a pensare, come il giorno del loro matrimonio, se in fondo lei non fosse stata realmente meglio senza di lui. E se fosse stata lei a chiederselo? Se tutto quello dipendeva da una sua volontà inconscia ora che, per l’ennesima volta, avevano rischiato tanto, troppo. In fondo era stato per causa sua che aveva riaperto il caso di sua madre dando il via ad una catena di eventi che avevano rischiato di ucciderla varie volte. 
Chiuse gli occhi e li strinse forte e se stava vivendo di nuovo in un universo parallelo? E se era la Kate di un altro universo che era arrivata lì durante il coma e aveva sostituito la sua? Immaginò la sua espressione se gli avesse esposto le sue teorie, la faccia seria ed accigliata che si sarebbe trasformata in un sorriso, le sue minacce… gli mancavano anche quelle! Nel dubbio senza farsi vedere, avrebbe cercato tra le sue cose se ci fosse stato qualche strano amuleto inca, maya o di qualsiasi altra civiltà.
Riempì di nuovo il bicchiere e si andò a sedere sul divano. Erano le tre di notte, dubitava che avrebbe dormito ancora a quel punto. Era troppo agitato, troppo sveglio, troppo vigile. Sarebbe rimasto lì, così si sarebbe assicurato che nessuno avrebbe disturbato Kate, avrebbe vegliato lui sul suo sonno.

Kate si era accorta di Castle quando aveva aperto la porta di camera. Era rimasta immobile nella posizione in cui si trovava aspettando di capire cosa volesse fare. Lo aveva sentito chiudere la porta, poi aveva ascoltato ogni rumore, capendo che era in cucina e poi si era spostato altrove. Ma non aveva sentito i passi ovattati sulle scale, quindi pensò che fosse rimasto lì. Si alzò, quindi, uscì dalla stanza e andò verso la luce flebile che veniva da vicino al grande divano. Lui si era già voltato verso di lei, allarmato del rumore della porta. Kate gli si avvicinò sorridendo timidamente, voleva tranquillizzarlo che stava bene. Inutile. Le chiese esattamente quello appena fu vicina, ma era palesemente lui, in quell’occasione, quello a cui andava chiesto come stava. Si sedette mentre lui continuava a guardarla rimanendo in piedi. Battè con la mano sul posto vicino a lei, invitandolo a sedersi e lui ubbidiente la assecondò. Non la guardava, sospirava profondamente guardando fisso davanti a lui. Sembrava un bambino, le faceva tenerezza. 
- Castle, dobbiamo parlare - gli disse seria dopo vari minuti nei quali tra loro c’era stato solo silenzio.
- Ti ho svegliato? - Chiese lui preoccupato.
- Sì, ti ho sentito quando hai aperto la porta di camera.
- Scusami. Non volevo svegliarti e non volevo nemmeno entrare. Non vorrei che tu pensassi che io volevo entrare da te, importunarti, so quali sono i nostri accordi non era per questo che sono venuto a vedere… - come faceva ogni volta che era preoccupato parlava a raffica senza nemmeno ascoltare se qualcuno gli parlasse. Era un flusso continuo di parole e scuse.
- Basta Castle. - Lo interruppe decisa
- Volevo solo vedere se stavi bene. - Si giustificava ancora.
- Io sto bene. Tu no, mi pare evidente.
- Non sei arrabbiata con me? - La preoccupazione di Castle si tramutò in stupore. Quella conversazione sussurrata per non svegliare il resto della famiglia sembrava quasi surreale, ma aveva un’urgenza non detta che non poteva essere rimandata al giorno dopo, dovevano parlare adesso.
- No, sono preoccupata per te. 
- Non devi preoccuparti per me.
- Non è un dovere Castle, lo sono e basta. Se tu sei preoccupato probabilmente è per qualcosa che riguarda noi. - Le era ancora difficile usare quel pronome - Ed io voglio saperlo. È per la sparatoria, vero?
Castle si alzò, andò verso la cucina ma rimase a distanza. La guardò attentamente. Era diverso il pavimento, diversi i mobili, i colori, anche la disposizione. Ma lui la vedeva sempre come era prima, sempre. Kate si mise al suo fianco.
- Noi eravamo lì - disse indicando un punto. - Io ero lì e tu ti sei avvicinata a me da quel punto - disse indicandone un altro più distante. Io ero terrorizzato a tal punto di non riuscire a muovermi. Lo hai fatto tu. Eri quella ferita in modo più grave, ma ti sei trascinata fino a me, ci siamo presi per man fino a quando tu l’hai lasciata perchè eri sempre più debole. Poi sono venuti a prenderci e ci hanno separato. Ho fatto cambiare tutto qui. Eppure io vedo sempre come era prima. Ti vedo lì a terra ed io che non riesco a fare nulla.
- Non potevi fare nulla Castle. Non darti colpe che non hai.
- Potevo capirlo prima. Potevo capire prima di Caleb. Dovevo essere più attento.
- Non so di cosa stai parlando, ma semmai dovevamo. E poi la poliziotta ero sempre io, non te lo dimenticare. Castle, sei sicuro di riuscire a rimanere in questa casa?
- Non lo so. Pensavo che tornarci con te sarebbe stato più facile. Ma non è così. Ogni volta che passo qui davanti mi si chiude lo stomaco e sto male. Penso a tutto quello che stavo per perdere, proprio qui, dentro casa nostra. Prima sono sceso perchè ho sognato di nuovo quella mattina e sono sceso per vedere che tu fossi veramente lì, che stavi bene. Solo per questo. Non volevo fare altro.
- Lo so Castle, non ti preoccupare. - Fu lei ad abbracciarlo questa volta, portò le braccia intorno al suo corpo possente e si appoggiò a lui. Era molto più grande di lei, la sovrastava fisicamente in ogni senso, eppure tra le sue braccia le sembrava di avere un bambino impaurito. Forse saranno stati gli ormoni o quel senso materno che cresceva in lei giorno dopo giorno senza che se ne accorgesse. Sentiva il battito accelerato del cuore di Rick, avrebbe voluto trovare le parole o i gesti giusti per calmarlo, li cercava dentro di se, ma non li trovava. Voleva fare qualcosa per lui dopo tutto quello che lui aveva fatto per lei, ma non sapeva cosa, per questo aveva fatto la cosa più istintiva che gli era venuta in mente, lo aveva abbracciato cogliendolo anche di sorpresa. Gli accarezzava la schiena con movimenti lenti e solo allora, quando sentì le mani di lei muoversi su di lui, Castle abbassò la testa, trovando i suoi capelli ed ispirando profondamente il loro profumo riuscì a regolare le sue pulsazioni, lasciandosi inebriare da quel profumo familiare che era di ciliegie e di lei. 

Quando Kate alzò la testa cercando gli occhi di lui, Rick dovette combattere contro se stesso per resistere al desiderio che aveva di lei in quel momento. Voleva baciarla, lo voleva talmente tanto che quasi ringraziò l’ingresso teatrale di sua madre che apparve dalle scale con la sua vestaglia verde svolazzante e gli impedì di andare oltre, convinto che poi se ne sarebbe dovuto pentire. Kate si sentì in imbarazzo e subito si allontanò da Castle che la capì non fece nulla per trattenerla.
- Ragazzi miei, anche voi non riuscite a dormire questa notte? 
- Ehm no, madre, come vedi no.
- Eravate così belli finalmente di nuovo insieme. - Rick e Kate si guardarono imbarazzati entrambi questa volta - Volete anche voi un bicchiere di vino? Oh tu no Katherine, per un po’ dovrai farne a meno, è un gran sacrificio tesoro mio, me ne rendo conto, ma vale la pena. - Disse guardando Rick con quello sguardo di ammirazione che solo le madri sanno avere e che non gli riservava molto spesso, nonostante fosse estremamente fiera del suo ragazzo che era diventato un uomo buono e giusto nonostante la vita non proprio regolare che gli aveva donato in tenera età.
- Non è poi tanto tempo Martha - Le rispose diplomatica
- Allora, miei cari, come mai in piedi a quest’ora? - I due non risposero, Martha spostò lo sguardo più volte prima su uno poi sull’altra mentre sorseggiava il suo bicchiere di pinot nero, senza ottenere risposta - Va bene, discorsi tra marito e moglie, non mi intrometto!
Alzò le mani in modo molto enfatico e nello stesso modo salì al piano superiore lasciandoli di nuovo soli.
- Buonanotte, se mai riuscirete a dormire! - Gli disse quando ormai era quasi arrivata in fondo alle scale.
La salutarono anche loro e poi, quando sentirono la porta della camera di Martha chiudersi, tornarono a guardarsi visibilmente imbarazzati per la situazione precedente.
- Dovresti andare a dormire - Le disse Castle
- Ormai credo che non dormirò più - Guardò l’orologio a muro, erano passate le quattro da un bel po’. Non si era resa conto di quanto tempo erano rimasti abbracciati prima che arrivasse la madre di Castle. Pensava fosse stato solo qualche minuto, evidentemente era stato molto di più.
Kate aprì il frigo, prese una vaschetta di gelato e due cucchiai porgendo tutto a Rick.
- Ti va il gelato a quest’ora? - Le chiese mentre metteva la vaschetta sul bancone della cucina e si sedeva su uno sgabello.
- Hai detto tu che ti piace festeggiare con il gelato.
- Kate, non credo che ci sia molto da festeggiare… - Lo guardò un po’ triste. Lo pensava veramente?
- Lo credi sul serio Castle? Siamo qui, siamo vivi, tutti e due. Anzi tutti e tre. Siamo un po’ messi male fisicamente e non solo, però ci siamo. Penso sia già qualcosa da festeggiare viste le premesse, no? 
- Sì, direi di sì… - Si sedette anche lei, ma faceva fatica a stare in quella posizione.
- Castle, possiamo andare sul divano?
Rick prese tutto e si spostarono dove avevano passato tutto il pomeriggio mettendo la vaschetta in mezzo tra loro.
- Manca una cosa, aspettami qui. - Rick andò al frigo e lo fece a cuor leggero, entrando in cucina quella volta senza pensare a nulla. Tornò a divano con la confezione di panna spray che si spruzzò direttamente in bocca sotto lo sguardo allibito di Kate.
- Dai Beckett prova! Apri la bocca! - Disse portando il tubetto di panna proprio sopra la sua faccia
- Castle, lo sai che tutto ciò è molto ambiguo, vero?
Risero senza riuscire a smettere e Rick spruzzò un po’ di panna sulle sue labbra che Kate prese con la lingua in modo molto poco innocente
- Beckett, lo sai che anche quello che fai tu è molto ambiguo, vero? Sono sempre un uomo e tu non mi sei affatto indifferente nemmeno in situazioni normali.
- Scrittore, non ti far venire pensieri strani.
- E tu capitano non fare gesti provocatori approfittandoti del mio essere cavaliere.
Cucchiaiata dopo cucchiaiata si rilassarono, passandosi la panna e spruzzandosela in bocca come aveva fatto Castle in precedenza, chiacchierando molto più tranquillamente, di cose futili e divertenti. Per essere cominciata come una notte insonne tra gli incubi, quando venne l’alba Rick dovette ammetterlo a se stesso: era migliorata notevolmente.

   
 
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