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Autore: Marilia__88    22/06/2016    3 recensioni
Una nuova storia che come "Ti brucerò il cuore" riparte dal presunto ritorno di Moriarty e dallo stesso momento. Un'altra versione della quarta stagione con nuove teorie e nuove congetture completamente diverse.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” chiese John, mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock, fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary nel tentativo di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!” esclamò Sherlock con il suo solito tono di chi deve spiegare qualcosa di ovvio “…Mi sono quasi sparato un’overdose per dimostrarlo!”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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                                       Stradivarius violin






… Alzò lo sguardo su Lestrade ed annuì, sorridendo dolcemente. “Hai ragione, Greg…se quella volta non fosse stato per te…se mi avessi voltato le spalle…io…” disse, ma si bloccò a metà frase.
“Non pensiamoci più adesso…ora dobbiamo pensare a Sherlock e a come farlo uscire da questo casino!” esclamò l’ispettore, sorridendo a sua volta e dandogli un’amichevole pacca sulla spalla.
 





 
Dopo un’ora circa John finì di rilasciare la sua deposizione su ciò che era successo con Moran nella saletta degli interrogatori.
“È tutto, John...puoi andare!” esclamò Greg esausto.
Il medico stava per uscire dall’ufficio, ma si fermò con la maniglia della porta in mano. Poi si voltò verso l’ispettore. “Posso vederlo?” chiese titubante.
Lestrade sorrise dolcemente. “Non sarebbe possibile…almeno non prima del processo, ma posso fare uno strappo alle regole…ne ho fatti così tanti per oggi!”.
 
Arrivarono davanti alla cella di Sherlock e l’ispettore aprì la porta. “John, posso darti solo dieci minuti…non di più…”.
John annuì. “Grazie, Greg…” rispose con un sorriso. Poi si avviò dentro, chiudendosi la porta alle spalle.
Sherlock era sempre seduto a terra, nella stessa posizione di un’ora prima.
L’unica differenza era che aveva le braccia incrociate sulle ginocchia e la fronte poggiata sugli avambracci. Appena sentì la porta della cella chiudersi, alzò la testa all’improvviso. Sul suo volto apparve un’espressione di stupore, quando si accorse che il suo migliore amico era lì. “John…” disse con un filo di voce.
Il medico si limitò a sorridergli e si andò a sedere a terra di fianco a lui. “Come stai?” chiese dopo qualche istante.
Il detective fece spallucce ed abbassò lo sguardo. “Non lo so…” rispose, sospirando pesantemente.
Rimasero per alcuni minuti in silenzio. Dopo tutto ciò che era successo tra loro non sapevano cosa dire o meglio, non sapevano da dove cominciare. Fu Sherlock a rompere quel silenzio e a parlare. “John…mi dispiace per come ti ho trattato…per quello che ti ho detto…” disse con voce tremante. Poi poggiò la testa al muro e si mise a guardare il soffitto con uno sguardo pensieroso. “…Credevo davvero che se fossi ritornato quello di prima, non avrei più sentito tutto questo dolore, ma…per quanto mi costi ammetterlo…mi sbagliavo…”.
“Lo so…” rispose soltanto John, mettendo dolcemente la mano sulla sua.
Il detective si accorse del gesto e fece un mezzo sorriso. Poi afferrò la mano del suo migliore amico con più decisione e la intrecciò con la sua, stringendola leggermente.
Iniziarono a guardarsi negli occhi con intensità. In quel momento non avevano bisogno di dirsi niente, perché con quello sguardo, l’uno riusciva a leggere i pensieri dell’altro.
Sherlock deglutì a vuoto ed avvicinò lentamente il viso a quello del medico. Aveva il cuore che gli batteva all’impazzata, lo stesso cuore che fino a poco prima aveva cercato di mettere a tacere.
John non si mosse e continuò a fissare il detective negli occhi. Man mano che lo vedeva avvicinarsi, si sentiva mancare l’aria. “Sherlock…non so se…” provò a dire con il respiro corto.
Sherlock, però, lo zittì poggiando le labbra sulle sue in modo dolce e insicuro.
Il medico, allora, mise una mano sulla nuca del suo migliore amico e lo attirò maggiormente a sé, approfondendo il bacio.
Dopo alcuni minuti, erano ancora così coinvolti e presi da quel contatto, che nessuno dei due si accorse che Greg aveva aperto la porta.
L’ispettore si schiarì la voce per attirare la loro attenzione. “John…” disse, cercando di nascondere la sua espressione compiaciuta.
John si staccò da Sherlock e si voltò di scatto. “Greg!” esclamò, grattandosi la testa con imbarazzo.
“Mi dispiace, ma dobbiamo andare…” aggiunse Lestrade. Poi rivolse un sorriso al detective ed uscì dalla cella.
Il medico fece per alzarsi, ma Sherlock lo fermò, trattenendolo da un braccio. “John…io…” provò a dire, ma venne interrotto.
“Ne parleremo quando uscirai da qui, va bene?” intervenne prontamente John. “…Purtroppo mi ha detto Greg che non potrò venire a trovarti, almeno fino al processo…” aggiunse, sospirando pesantemente “…mi raccomando…niente più cazzate, Sherlock!”.
Il detective sorrise ed annuì. Poi, prima di lasciarlo andare, lo afferrò dal maglione con l’altra mano e lo attirò nuovamente a sé, per stampargli un altro bacio sulle labbra.
John uscì dalla cella contento e soddisfatto. Si voltò verso l’ispettore, che gli sorrise e gli fece l’occhiolino, con un’espressione divertita.
“Non una parola, Greg!” esclamò il medico.
Lestrade negò con la testa con aria innocente. Poi si voltò e continuò a ridacchiare.


 
Erano passati tre giorni e Sherlock era sempre più nervoso e frustrato. La data del processo non era stata ancora fissata e ciò contribuiva a renderlo ancora più irascibile. La crisi di astinenza iniziava a diventare ingestibile e stare chiuso lì dentro non faceva che amplificarne i sintomi. Mentre era intento a camminare nervosamente per la cella, qualcuno entrò all’improvviso.
“Ehi, come stai?” chiese Greg preoccupato.
“Guardami…come credi che stia!” urlò il detective furioso.
“Sherlock, cerca di calmarti…” ribatté Lestrade.
Sherlock rise nervosamente. “Calmarmi?... Come faccio a calmarmi stando chiuso qui dentro?... Ma perché ancora non hanno fissato una maledetta data?”
“Ci sono stati un po' di problemi…ma sto facendo del mio meglio per accelerare i tempi…” rispose l’ispettore.
“Allora non stai facendo abbastanza!” gridò Sherlock con acidità.
Greg non rispose. Rimase immobile a fissarlo, tenendo le mani in tasca.
Il detective si poggiò con le spalle al muro e si lasciò scivolare a terra, mettendo le mani nei capelli. “Scusami…non volevo…”
“Lo so…” rispose Lestrade. “Devi avere soltanto un altro po' di pazienza…fidati di me…”.
Sherlock sospirò pesantemente ed annuì, abbassando lo sguardo. Dopo alcuni istanti alzò la testa. “John?”
“Sta bene…è sempre a casa mia…così posso tenerlo d’occhio!” rispose l’ispettore con sarcasmo, facendogli l’occhiolino.
Il detective si lasciò sfuggire un mezzo sorriso. “Grazie…”.
 
Quella sera Lestrade tornò a casa e trovò John che cercava di far addormentare Victoria.
Appena il medico riuscì nel suo intento, entrò spedito nel soggiorno e lo guardò con aria interrogativa. “Allora?”
“Cosa?” chiese a sua volta l’ispettore. 
“Dannazione, Greg…sai bene cosa!... L’hai visto? Come sta? Hanno stabilito la data?” domandò John spazientito.
Greg si lasciò sfuggire un risolino. “Non vedo l’ora che esca di lì…è imbarazzante fare da tramite tra due innamorati!” ironizzò Lestrade divertito.
“Santo cielo…quando la smetterai di prendermi in giro?” chiese il medico con un mezzo sorriso.
“Smetterla?... No, è troppo divertente, John!” esclamò l’ispettore scoppiando a ridere.
John incrociò le braccia e lo guardò con una finta espressione irritata. “Divertiti pure…però sto ancora aspettando le risposte alle mie domande!”
“Va bene…” rispose Greg ritornando serio “…Come credi che stia, John?... Stiamo parlando di Sherlock chiuso in una cella da tre giorni…per giunta in evidente crisi d’astinenza!”
Il medico abbassò lo sguardo ed annuì. “Ma ancora nessuna novità?”
“Mi hanno chiamato mentre tornavo a casa, dicendomi che probabilmente fisseranno il processo fra due giorni…ma ancora non c’è niente di certo…” rispose Lestrade “…domani sapremo qualcosa in più…”.
“Non ci resta che aspettare allora…” disse John, sospirando pesantemente e voltandosi a fissare fuori dalla finestra.
 
 


Due giorni dopo si tenne il processo di Sherlock. Così come aveva previsto Lestrade, il detective non venne condannato per omicidio volontario, ma gli venne fatta una multa e gli diedero un mese di domiciliari da scontare per il possesso di un’arma illegale.
Appena usciti dal tribunale Greg accompagnò John e Sherlock a Baker Street. Victoria si trovava già lì con la signora Hudson.
Arrivati al 221B il consulente investigativo salì di corsa le scale. Aveva un disperato bisogno di respirare finalmente l’aria di casa. Entrò, si tolse velocemente il cappotto e si andò a sedere soddisfatto sulla sua poltrona. Essere di nuovo lì, lo faceva stare decisamente meglio. Non sapeva ancora come avrebbe resistito un mese senza uscire, ma ci avrebbe pensato in un secondo momento. Ora l’importante era di essere di nuovo a casa, nella sua tanto amata Baker Street.
“Io devo tornare in centrale…hai bisogno di altro?” chiese Greg.
“No…” rispose Sherlock con un sorriso “…grazie di tutto…”.
Lestrade si mise a ridere. “Devo ancora abituarmi a questa tua improvvisa gentilezza!” esclamò con sarcasmo.
“Non ti ci abituare troppo, Gavin!” rispose il detective a tono, gesticolando con il suo fare teatrale.
 
Appena Greg uscì dall’appartamento, John si andò a sedere sulla sua poltrona di fronte a Sherlock. Si guardarono per qualche istante negli occhi, ma nessuno dei due disse niente. Avrebbero dovuto parlare di quel bacio che si erano scambiati giorni prima, avrebbero dovuto chiarire la situazione, ma in quel momento nessuno dei due ebbe il coraggio di affrontare l’argomento. Aleggiava uno strano imbarazzo che non c’era mai stato tra loro e quel silenzio non migliorava per niente le cose.
Il detective fu il primo a distogliere lo sguardo e si alzò di scattò, come se fosse stato attraversato da un’improvvisa scarica elettrica. Lui non era mai stato bravo con i sentimenti, non era mai stato bravo a gestire questo genere di situazioni. Quel giorno, in cella, non sapeva nemmeno come avesse fatto a farsi avanti in quel modo, forse tutta la tensione e tutta l’adrenalina del momento avevano contribuito ad abbassare momentaneamente le sue difese e le sue inibizioni. Ma adesso non sapeva cosa fare, non sapeva come comportarsi. Era così agitato che si sentiva uno strano groppo in gola. Tossicchiò nervosamente come per schiarirsi la voce e si avventò sulla prima cosa che aveva a portata di mano: il suo violino. Avrebbe suonato, si sarebbe rifugiato nella musica, aspettando che John facesse o dicesse qualcosa. Prese l’archetto con la mano destra e lo poggiò sulle corde con dolcezza. Dopo aver intonato le prime note, però, una strana fitta al petto e un’imponente angoscia lo assalirono all’improvviso. Era così concentrato a gestire ciò che provava per il suo migliore amico, da essersi dimenticato per un attimo di Mycroft.
 

 
Stava camminando in Hatton Garden. Era un mese che non toccava più droghe e la crisi d’astinenza era davvero difficile da gestire. Ma non poteva mollare, non adesso che aveva finalmente trovato qualcosa che lo intrigava e lo faceva sentire vivo, qualcosa di meno distruttivo: i crimini. Aveva raggiunto un accordo con l’ispettore Lestrade: si sarebbe disintossicato e non avrebbe più fatto uso di droghe e lui, in cambio, gli avrebbe dato l’accesso illimitato a tutti i casi seguiti dal distretto. Era l’occasione che aspettava per dimostrare a quegli insulsi agenti di Scotland Yard quanto valesse. Fino a quel momento nessuno gli aveva mai dato ascolto, nessuno aveva mai valorizzato le sue capacità intellettive e, ora che qualcuno iniziava a credere in lui, non poteva deluderlo.
Si passò le mani sul viso con sconforto. Pensava che una passeggiata lo avrebbe aiutato a lenire quei fastidiosi sintomi, ma si sbagliava. In quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per una dose. Cercò di fare dei respiri profondi per riprendere il controllo, ma tutti i suoi sforzi sembravano vani. Per un attimo ebbe la tentazione di mollare tutto e di mandare all’aria gli sforzi fatti fino ad allora, quando all’improvviso la sentì. Una melodia così bella da lasciarlo senza fiato. C’era un uomo che suonava il violino vicino ad una finestra aperta. Non conosceva quel pezzo, in fondo non si era mai interessato di musica, ma era così coinvolgente che lo lasciò pietrificato sul posto. Era stato rapito da quelle note, dal suono dolce e struggente di quel violino. Appena l’uomo smise di suonare si ridestò all’improvviso. Girò lo sguardo alla sua destra e vide un banco dei pegni e lì, in vetrina, c’era un violino splendido. Si avvicinò incuriosito e lesse l’etichetta: era uno Stradivari. Quello strumento aveva qualcosa di magico, di magnetico. Rimase a fissarlo per un tempo che gli sembrò eterno. Lo osservò con attenzione, concentrandosi sui dettagli e, più lo guardava, più sentiva qualcosa smuoversi dentro di lui. Preso da una forte curiosità entrò nel negozio.
“Salve, vorrei sapere quanto costa il violino che è in vetrina…” chiese Sherlock al negoziante.
“È un modello molto costoso, ma lo vendo ad un prezzo davvero stracciato considerando il suo vero valore…costa 7.000 sterline” rispose l’uomo.
Sherlock ringraziò ed uscì dal negozio. Era una somma che non aveva a disposizione. Avrebbe potuto chiederli ai suoi genitori o a Mycroft, ma entrambe le idee gli facevano venire il voltastomaco. Non si sarebbe mai abbassato a chiedere aiuto. E poi era sicuro che se si fosse presentato da loro, non avrebbero mai creduto alla storia del violino. Avrebbero sicuramente pensato che, quei soldi, gli servissero per drogarsi e non aveva nessuna voglia di vedere i loro sguardi di rimprovero. Avrebbe trovato un modo e lo avrebbe fatto con le sue sole forze.
Tornato a casa, cercò sul suo portatile la melodia che aveva sentito quel giorno. Era un pezzo di Mendelssohn, con esattezza l’opera n°64 dei suoi concerti per violino. Fu allora che capì di amare la musica in un modo che non si poteva spiegare. Quelle note, quelle melodie intonate con il violino riuscivano a toccargli l’anima e, mentre le ascoltava si sentiva bene, come se potessero capire ciò che aveva dentro, ciò che provava.
Da quel giorno, ogni pomeriggio, si recò in quella strada. L’uomo alla finestra suonava puntualmente alla stessa ora e passava da Mendelssohn a Brahms, da Brahms a Paganini, mostrando una strabiliante padronanza dello strumento. Dopo aver ascoltato le sue piccole esibizioni, si fermava sempre davanti a quella vetrina e rimaneva ore a guardare lo Stradivari, che giaceva sempre in bella mostra, in tutto il suo splendore.
Dopo alcune settimane, una sera, rientrò a casa e trovò un pacco. Incuriosito e sorpreso lo aprì con foga. Dentro c’era la custodia di un violino. Non poteva credere ai suoi occhi. Aprì la custodia e lo vide. Lo Stradivari che era in quella vetrina, ora era lì tra le sue mani. In allegato c’era un biglietto.
 

A vent’anni Paganini si presentò ad un concerto senza violino e ne ottenne in prestito uno. Con questo strumento incantò il pubblico, tanto che alla fine dello spettacolo, quando volle restituirlo, il proprietario disse: “Lo tenga. Adesso, nessuno, tranne lei, è degno di toccarlo!”.
 

Sul biglietto non c’era nessuna firma, ma sapeva da chi proveniva. Sapeva che Mycroft lo controllava e sicuramente lo aveva visto stare fermo per ore ad ascoltare l’uomo con il violino e a contemplare lo strumento davanti a quella vetrina. Lo trovò un gesto bellissimo, ma non gli disse mai “Grazie” e suo fratello non accennò mai a quel regalo. Perché, in fondo, era così che andavano le cose tra loro. Non avevano bisogno di stupidi formalismi, di frasi stampate per l’occasione, né tantomeno di comportamenti convenzionali, per dimostrare l’affetto che, nonostante i rancori e i dissapori, nutrivano l’uno nei confronti dell’altro.
Da quel giorno Sherlock si dedicò allo studio del violino da autodidatta e, considerando le sue incredibili abilità intellettive, riuscì ad acquisire in breve tempo una straordinaria padronanza dello strumento. Spesso, quando Mycroft si recava da lui, si divertiva ad accarezzare le corde del violino o a strimpellarlo con dispetto o ad intonare qualche dolce melodia. E, quello, era il suo modo per dirgli “Grazie”.
 



John era seduto sulla poltrona ed osservava Sherlock con un’inconsueta agitazione. Non sapeva cosa dire e aspettava che fosse il detective a parlare. Lo vide alzarsi di scatto e lo seguì con lo sguardo. Anche lui era nervoso e poteva capirlo dai suoi occhi e dal suo muoversi freneticamente. Lo vide avvicinarsi al violino e decise di non dire niente. Un po' di musica era ciò che ci voleva per alleviare la tensione di quel momento. Avrebbe aspettato che Sherlock avesse finito di suonare, gli avrebbe dato il tempo di rilassarsi e, con un po' di coraggio, avrebbe affrontato l’argomento. Dopo le prime note, però, il suo migliore amico si fermò all’improvviso; il suo volto divenne improvvisamente cupo e i suoi occhi vennero attraversati da un velo di tristezza. “Sherlock…” disse titubante.
Il detective non rispose. Era rimasto fermo con lo strumento in posizione per suonare. Aveva lo sguardo vuoto, come se fosse perso nei suoi pensieri.
Il medico si alzò preoccupato e si avvicinò a lui. “Sherlock…” riprovò, poggiandogli delicatamente la mano sulla spalla.
Sherlock parve ridestarsi all’improvviso sotto il tocco del suo migliore amico. Aveva gli occhi lucidi e il volto pallido.
“Stai bene?” chiese John.
“I-io…si sto bene…” rispose il detective con voce tremante. Poi mise velocemente il violino nella custodia e la chiuse con un colpo secco.
“Perché lo metti via?” domandò il medico confuso.
“Scusami, John…non posso suonarlo…non stasera!” esclamò Sherlock, poggiando la custodia sulla scrivania e voltandosi per andare in camera sua.
John lo afferrò da un braccio e lo fermò sul posto. “Mi vuoi spiegare che succede?”
Il detective sospirò pesantemente e abbassò lo sguardo. “Non posso suonarlo, perché…mi ricorda…” provò a dire, ma si fermò a metà frase.
“Mycroft?” incalzò il medico, intuendo il problema.
Sherlock annuì soltanto, continuando a fissare il pavimento.
“Te lo ha regalato lui?” insistette John.
“Si…” rispose il consulente investigativo con voce flebile. Poi si liberò dalla presa del medico e si passò nervosamente le mani sul viso. “Dannazione…è da stupidi lasciarsi condizionare da questi sentimentalismi!”
“Non è da stupidi…” ribatté prontamente il medico “…è normale provare queste cose, Sherlock…non devi vergognartene…”.
“Sarà normale per gli altri, John…ma non per me!” esclamò il detective “…Scusami…” aggiunse soltanto, prima di andare in camera sua e chiudersi la porta alle spalle. 










Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il ventesimo capitolo! Abbiamo un primo contatto tra John e Sherlock e finalmente non li vediamo più litigare. Il detective pare aver capito che non ha bisogno di allontanare le persone che gli vogliono bene per stare meglio. Nello stesso tempo, però, vediamo uno Sherlock un pò combattuto. In fondo, il nostro detective non sa destreggiarsi bene nell'ambito "sentimenti" e, se già ciò che prova per John lo inquieta, i pensieri e il dolore che prova per suo fratello lo sconvolgono del tutto. Ciò è legato al particolare rapporto che Sherlock ha sempre avuto con suo fratello: pensare a lui in questi termini "più sentimentali", infatti, lo spiazza parecchio e lo vediamo un pò confuso e "sperduto" nel cercare di gestire questo nuovo sè stesso. 

Per quanto riguarda la storia del violino di Sherlock, spero vi sia piaciuta. La sinfonia che sente per la prima volta (la n°64 di Mendelssohn) la trovo stupenda e invito chi non la conoscesse a sentirla...! (https://www.youtube.com/watch?v=-P8lQaLgWaA). In ogni caso mi sono rifatta un pò al canone. Facendo delle ricerche, infatti, pare che Sherlock Holmes ammirasse molto Brahms, ma in particolare Mendelssohn e Paganini (ecco perchè il richiamo a quest'ultimo nel biglietto di Mycroft). 

Passiamo al biglietto di Mycroft. Ho trovato questo aneddoto su Paganini e mi è piaciuto tantissimo. E poi non posso immaginare che un uomo come Mycroft metta una dedica sdolcinata per suo fratello, ma mi immagino che metta un aneddoto o qualcosa di criptico che nasconda tra le righe ciò che realmente vuole significare quel gesto e che Sherlock, naturalmente, riesce a leggere e a capire. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Grazie a chi sta seguendo la storia e a chi vuole lasciare un commento. Alla prossima ;)



 
   
 
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