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Autore: Budo    23/06/2016    4 recensioni
una bettola alla buona, uno staff un po' fuori di testa, clienti strani e animali fuori dal comune. questo è lo sfondo alle avventure di Mattia, cameriere poco esperto a La Bettola. Tutte le situazioni qui narrate sono fatti VERI, per quanto assurdi possano sembrare.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Lavoravo a La Bettola da poco meno di due settimane, e in quell’arco di tempo due considerazioni si erano saldate perfettamente nella mia mente. Numero uno, la signora Angelica era la persona più di cuore che io avessi mai conosciuto, forse anche troppo; e numero due, decisamente la più dura da ammettere a me stesso, io ero assolutamente e innegabilmente un cameriere di merda.

In quella manciata di giorni avevo rotto almeno una decina di bicchieri, purtroppo non tutti a fine serata, scheggiato cinque piatti nel tentativo di tenerli in equilibrio portandoli in cucina e rovesciato non so più quante posate. Ed è un numero decisamente alto se si considera che il mio contratto prevedeva sole tre serate a settimana.

La signora Angelica, ogni volta che succedeva uno dei macelli che con straordinaria maestria ero capace di creare, alzava gli occhi al cielo e sussurrava un’imprecazione, all’inizio. Dopo un po’ ha cominciato a sorridere rassegnata e a raccontare le mie disavventure ai clienti, solo per farsi due risate con loro.

Si, perché le mie abilità come cameriere di merda non si limitavano soltanto a danneggiare qualsiasi cosa toccassi, ma erano specializzate nel far figure pessime. Il giovedì successivo il mio primo giorno, ad esempio, un tavolo era occupato da una signora che festeggiava il suo compleanno con quattro sue amiche. Al momento della torta mi trovo davanti un 3 e un 5 come candeline, e quando Fabrizia mi chiese con la sua grazia femminile “quanto compie, ‘sta cessa?” io risposi tranquillamente “35, se lei ha più di cinquant’anni, io sono Hugh Jackman”. La festeggiata, però, ne compiva 53. Quando la signora Angelica le riferì ciò che io avevo detto a Fabrizia, per elogiare le mie doti di gentiluomo e forse per farmi guadagnare un po’ di mancia, io, che sono un perfetto idiota, interruppi la signora Angelica ed esclamai contento “ah, ma mi ero confuso, pensavo che il compleanno fosse di un’altra”. Il gruppetto rise, ma non tornarono più al locale. Se ci penso, ancora adesso arrossisco per la vergona.

Comunque sia, arrivo al locale anche quel giovedì, con un’oretta di anticipo perché non avevo nulla da fare. Mi dissi che se avessi avuto a disposizione più tempo per la preparazione della sala, avrei fatto meno danni. Entro passando per la cucina, come al solito, salutando Alfredo intento alla preparazione della sua postazione, e Fabrizia che si grattava malamente la schiena tenendo una busta di zucchine in mano.

«Ehi fanciulla» mi chiama Alfredo «come mai così presto oggi?»

«Il bus è passato prima. E poi volevo vedere se riesco a rompere più cose con più tempo a disposizione».

«Più cose te le rompo io, se non impari subito. Con calma, ma subito» intervenne Fabrizia. E io arrossii per l’imbarazzo. Aveva ragione, ma che potevo farci io se ero un totale imbranato? Più che metterci tanta forza di volontà, intendo. Avevo preso ad esercitarmi anche a casa, tutto il tempo che potevo. E avevo finito per comprare un altro set di bicchieri, questa volta in plastica, ma i risultati comunque arrivavano troppo lenti.

Stavo per rispondere a Fabrizia quanto un rumore di stoviglie dalla sala mi riscosse dai miei pensieri.

«C’è qualcuno di là?» domandai indicando la porta grigia rovinata che dava sulla sala.

«Una sorpresa che speriamo ti aiuti. Primo giorno, in bocca al lupo» fece Alfredo con un mezzo sorriso. E scattai in sala.

 

Non ricordo la prima cosa che pensai di Leila in quanto Leila, ma stampata nella mia mente ho un omino con le mie sembianze che balla ed esulta, gridando al cielo e ringraziandolo per quel dono immensamente gradito. E stava semplicemente sistemando i bicchieri sullo scaffale.

«Ciao! Tu devi essere Mattia» mi disse appena si accorse della mia presenza, annunciata dallo sbattere della porta della cucina. «Io sono Leila». E, posato il vassoio di bicchieri che teneva premuto contro il fianco, mi corse incontro tendendomi la mano. Aveva il sorriso più sincero che avessi mai visto.

«Ciao» e le strinsi la mano. «Non mi avevano detto che avrebbero assunto qualcun altro».

«Oh, ma non preoccuparti, non sono qui per sostituirti. Angelica ha detto un qualcosa del tipo “aiutami a togliergli il rotolo di monetine che ha ficcato su per il culo, così magari si scoglie un po’”, ma bada, non ho alcuna intenzione di metterci le dita, sia chiaro. Qualunque cosa tu abbia nel tuo culo, io non voglio né vederla né toccarla» e scoppiò a ridere.

Io arrossii, ma risi anche io. Si, infondo la storia delle monetine era proprio qualcosa che la signora Angelica avrebbe potuto dire di me.

Durante la preparazione io e Leila parlammo come se ci conoscessimo da una vita. Dopo che io le ebbi spiegato le posizioni dell’apparecchiatura, da quale rubinetto uscisse l’acqua liscia, frizzante e tiepida e fatto vedere dove trovare le bevande, lei mi spiegò finalmente come stappare una bottiglia di vino, spillare una birra e portare due bicchieri senza che si distruggessero a vicenda (o forse dovrei dire “senza che io li distruggessi con la mia forza brutale”).

Poi chiacchierammo del più e del meno. Mi disse che si era tinta i capelli di azzurro perché, cito, quello stronzo di Gianni, il suo migliore amico, le ha messo della tintura per capelli a basso prezzo nello shampoo durante un campeggio che avevano fatto in comitiva, ma che lei si era vendicata mettendo del peperoncino nelle sue mutande. Disse che si era pentita di non avercelo messo proprio in tutta la valigia. Questa cosa era successa diversi mesi addietro, ma alla fine l’azzurro le piaceva e le stava anche bene, quindi aveva deciso di tenerlo.

Io le dissi che i miei rapporti con Daniele, il mio migliore amico, erano piuttosto normali: lui tentava di iniziarmi alle feste, ma io rifiutavo, lui tentava di iniziarmi all’alcool, ma io rifiutavo, lui tentava di iniziarmi al sesso occasionale, ma io rifiutavo. In pratica lui era quello fico e divertente, e io ero quello che per serata perfetta intende popcorn e game of thrones.

«Dai, davvero segui il trono di spade

«È tipo la mia serie preferita»

«Non me ne parlare! Ho visto le prime quattro stagioni in una settimana, e solo perché la mattina dovevo fare da babysitter a dei ragazzini rompicoglioni di due anni».

«Ammirato. Ma io sono un fan di vecchia data. Mi appassionai alla serie dalla prima messa in onda ed il mio appuntamento fisso, l’unica cosa regolare della mia vita. Quindi non ho mai fatto le nottate a recuperare niente».

Rise. «Sai?» continuò «non ti facevo tipo da Trono di spade»

Alzai un sopracciglio.

«No? E che tipo ti sembro, scusa?»

«Bah, dai l’idea del tipo troppo precisino e per bene per una serie così rude, esplicita e violenta. Mi ispiri più roba intellettuale.»

«Tipo?»

«I documentari di Piero Angela»

«Sono contenta che andate già d’accordo, zuccherini» intervenne d’un tratto la signora Angelica, seguita dal guaito di approvazione e dal ringhio di Psico, appena entrati nel locale.

 

 

La Bettola vive due particolari momenti di caos da buffet: il venerdì sera, col buffet civile “all you can eat”, bel quale il cibo lo serviamo (per quanto le mie doti lo permettano); e quello incivile, appunto, il giovedì sera. In confronto a questa serata, il sabato sera in pieno agosto è una stupidaggine, me ne rendo conto col senno di poi.

A quel tempo ero piuttosto felice del buffet del giovedì sera. Ancora di più quando vidi che la bravura di Leila non si limitava al non far rompere i bicchieri. Non avevo mai provato invidia per qualcuno, men che meno per una sciocchezza come quella, ma mentre ero relegato al bar a preparare le bevande, guardavo Leila muoversi con grazia e velocità tra i tavoli, mentre quegli animali che la signora Angelica si ostina a chiamare clienti si avventavano sul cibo, e non potevo che provare un certo nodo di fastidio allo stomaco. Leila correva da una parte all’altra del locale con il sorriso stampato sul volto, agilità ed eleganza, come se non avesse potuto far altro nella vita. Io molto spesso mi sorprendevo a ringraziare il Dio nel quale non credevo per non inciampare sui miei stessi piedi. Era frustrante vedere con che facilità Leila riusciva ad essere perfetta nella sua totale inesperienza, mentre io ancora ero di un’insicurezza paurosa.

Molte volte mi sono chiesto come sarebbe la mia vita se fossi capace a fare le cose. E sicuramente, se possedessi almeno un minimo della naturalezza e della grazia di Leila, sarei quantomeno un cameriere accettabile.

L’orda di barbari che si azzuffava per accaparrarsi più cibo possibile intorno alla tavola si dimenava da un po’, quando esternai questo mio pensiero a Leila.

«Guarda che non è così difficile» mi rispose mentre riempivo una bottiglia d’acqua e lei stappava del pessimo vino. «Sei tu che rendi tutto più complicato di quello che è. Scommetto che quando il rotolo di monetine ti cadrà dal culo ti verrà tutto più naturale». E ridendo portò gli ordini al tavolo.

Arricciai il naso, vagamente contrariato, mentre poggiavo una mano sulle mie natiche. Sarebbe stato tutto più semplice se il mio essere un totale imbranato potesse essere attributo solo ed esclusivamente ad un rotolo di monetine su per il culo.

 

Le belve affamate che si contendevano il buffet erano, a conti fatti, solo una quarantina, divisi in un tre tavolate. E l’accanimento verso il cibo sfumò ben presto, così che alle undici appena scoccate La Bettola era già vuota, con Fabrizia che salutava borsa in spalla e Alfredo e Giulietta a pulire la cucina. A me sembrava del tutto ingiusto che Leila pulisse anche la sala, dopo che praticamente aveva lavorato da sola, così cercai di essere il più rapido possibile a mettere le sedie sui tavoli e a spazzare per terra. Mi imposi anche per pulire io i bagni, ma quando finii con quello delle signore, scoprii che lei aveva già finito con quello degli uomini. Era frustrante, ma mi limitai a fare una finta faccia imbronciata con tiepidi occhi di rimprovero, ai quali rispose con una risatina appena accennata.

Anche Alfredo e Giulietta, terminati i loro compiti, salutarono e andarono via. Così, rimanemmo soltanto io, la signora Angelica, Leila e Zampotto, che tutto soddisfatto mangiava i suoi croccantini appollaiato su un tavolo che avevo appena finito di pulire. Bastardo.

«Birretta?» domandò quindi la signora Angelica mentre io e Leila cominciavamo a lucidare le posate.

Scossi la testa convinto. Ho già detto che non sono un appassionato bevitore?

«Si, grazie mille!» esclamò Leila sorridente. Era così fresca e allegra da sembrar appena uscita da una festa più che da una serata di lavoro, che seppur breve, era stata particolarmente intensa. «Tu non prendi niente?»

Stavo per rispondere, ma la padrona di casa mi interruppe dicendo «non sia mai! Sono piuttosto sicura che potrebbe uscire ubriaco con un sorso di coca cola. Ma aspetta! A pensarci bene potrebbe essere di aiuto a farti uscire una certa cosa dalle chiappe! Non mi è sembrato di sentire nessun click questa sera a terra. Tu Lei, l’hai sentito?»

«Non credo proprio» rispose divertita.

«Allora dobbiamo almeno tentare».

 

La Ø2 bionda sbatté sul tavolo davanti a me in un rumore secco. Qualche goccia uscì dai bordi, bagnando la tovaglia che un tempo molto lontano doveva essere stata gialla. La guardai quasi spaventato, tra le risate divertite e crudeli della signora Angelica, che mi fissava con le braccia conserte come una madre che controlla il proprio figlio mangiare le verdure, e Leila, che cercava con tutta sé stessa di mantenere un’espressione seria.

«Io non…» cercai di dire.

«Avanti, non fare storie!»

«Davvero, non la voglio!»

«Muoviti!»

«Non mi va!»

«Ti aiuterà!»

«Non mi piace.»

«Assaggiala!»

«Si può?»

Benedissi la voce di chiunque fosse per aver interrotto quella patetica scenetta. La signora Angelica guardò la porta con l’indice puntato verso di me e le sopracciglia aggrottate verso il nuovo arrivato. Era un ragazzo piuttosto alto, capelli rossicci e una barba leggermente incolta, jeans e maglietta ordinari e un paio di caschi sottobraccio.

«Gianni!» salutò Leila, con un sorriso larghissimo e sincero. «Stavamo facendo un’iniziazione. Ma tra poco dovrei aver finito».

«No, avete finito adesso. È deprimente lavorare con te, Mattia. Ma non desisto. Domani te la berrai, una birra. La considererò una missione» fece la signora Angelica, alzando le braccia teatralmente al cielo e andando verso la cassa, per fare i conti della nostra paga.

Intanto Leila mi presentò il suo amico e gli strinsi la mando, mormorando un “ti ringrazio tantissimo!” davvero patetico, ma non potei farne a meno.

 

Più tardi, mentre tornavo a casa, ripensai a quella birra. Una volta solo, nella mia vita, ne avevo bevuta una. Era il mio compleanno dei miei diciotto anni, il giorno in cui pensavo che la mia vita sarebbe cambiata del tutto. Ma la mia geniale idea di scolarmi una bottiglia da 0.66 da solo come prima volta non si rivelò tanto geniale, e la testa mi girò praticamente subito, accompagnata da un vago senso di nausea. La mattina dopo mi svegliai con un mal di testa incredibile, così mi ripromisi che non avrei più bevuto. Mai. Non volevo ripetere l’sperienza. 


 angolo dell'autore

finalmente la sessione estiva mi concede un attimo di respiro e riesco a continuare questa storia! Il giovane Mattia mi ricorda troppo il me dei primi giorni di lavoro, ma mi sono divertito a rivangare certi ricordi che all'epoca mi fecero morire dalla vergogna.

spero vi piaccia. lasciate una recensione per farmi sapere cosa ne pensate

   
 
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