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Autore: Pleurite98    24/06/2016    8 recensioni
|Con un fantastico sondaggio alla fine del capitolo 12|
Una casa da un pessimo arredamento finto moderno. Un solo ingresso. Nessuna finestra.
Quattordici concorrenti di un reality catapultati in un vortice di terrore, in un incubo da cui non possono fuggire.
Un gruppo di persone deciso a dimostrare quanto la società sia corrotta dai media e dalla televisione, pronto a smascherare l'ipocrisia e a mettere a nudo l'uomo nella sua brutalità con tutti i mezzi a disposizione.
Il pubblico da casa, il televisore fisso sul quinto canale giorno e notte.
Anziane, bambini, uomini d'affari incollati davanti allo schermo col cellulare nelle mani ed il cuore che batte a mille.
Quanto è realtà e quanto è finzione?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Contesto generale
Capitoli:
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Capitolo 8
 

Payton fece scoppiare rumorosamente un chewing-gum rosa mentre scorreva disinteressata la home di facebook dal suo cellulare.
Etienne inarcò un sopracciglio guardandola riflessa nello specchio, un ragazzo sulla ventina gli passò le mani fra i capelli portandoli leggermente indietro.
-Perfetto!- sorrise il parrucchiere stringendosi i fianchi.
-Grazie mille, Samuel.- ricambiò il ragazzo alzandosi dalla poltrona girevole e incamminandosi verso l'uscita seguito dalla nuova assistente.
-Etienne.- lo chiamò lei senza togliere lo sguardo dallo smartphone -Oggi stacco prima, vado a farmi i colpi di sole.-
-Mi spieghi come hai ottenuto questo posto di lavoro?-
si interessò perplesso e scocciato al contempo.
-E tu?- gli rinfacciò la ragazza -Ah, già. Josh è stato licenziato a cazzo, cosa ci hai fatto con Jessica?-
Etienne smise di camminare.
-Modera il linguaggio.- sbottò afferrandola per un braccio e facendo arrestare anche lei -Fino a prova contrario io sono il tuo capo, vedi di abbassare la cresta, ragazzina impertinente.-
-Mi stropicci la maglietta.-
bofonchiò inacidita Payton scrollandosi dalla stretta ed andandosene sculettando dalla visuale del ragazzo.
Etienne avrebbe parlato con Jessica, quell'oca arrogante se ne sarebbe dovuta andare il prima possibile, la sua presenza non faceva che dargli sui nervi.

La ragazza estrasse da una pochette di finta pelle di serpente una pinzetta e si chinò sui lavandini dei bagni.
Il sopracciglio destro era leggermente asimmetrico rispetto all'altro, rovinava decisamente il suo look sempre perfetto ed aggressivo.
Era una bomba.
Richiuse la zip e si infilò in una toilette abbassandosi la minigonna.
Il rumore della porta di ingresso l'avvisò che qualcuno era entrato nella stanza.
Fece per schiarirsi la voce in modo da segnalare la sua presenza quando una voce familiare la convinse a rimanere in silenzio.
-Ti ho detto che ora non ne possiamo parlare.-
Payton accostò l'orecchio alla porta di legno, si tirò su la gonna e si alzò in piedi sulla tazza per evitare che quella persona potesse vederle le scarpe.
-No, sta andando tutto come previsto, stasera andrà in diretta mondiale, non c'era mai stato tanto share nella storia della televisione.-
Ancora faticava a capire cosa fosse quel dannato share, ma una cosa le era certa, sentiva odore di soldi nell'aria, un'immensa quantità di banconote che con una piccola dose di furbizia sarebbe stata sua.


-Diciamo che non sono queste le condizioni in cui speravo di rivederti.- disse Alejandro con un sorriso amaro.
-Perché speravi di rivedermi?- gli domandò Heather accigliata.
-Certo, le cose non sono andate come dove andare.- affermò portandosi più vicino a lei.
Erano entrambi seduti in un angolino della cantinetta scrostata ed invasa dalla muffa, ogni persona in quella stanza sembrava immersa nei propri pensieri.
-Non sono andate e basta.- sentenziò l'asiatica.
-Dammi una seconda chance.- si fece coraggio il castano.
-Non mi sembra il momento adatto.- pronunciò impassibile la ragazza alzandosi in piedi e sedendosi più in là.
Sentiva di provare ancora qualcosa per lui, eppure era tormentata dal pensiero che fosse tutta quella situazione ad influenzare la sua lucidità.
Dopo il reality sembrava tutto così perfetto, poi lei lo aveva sorpreso con una sgualdrina.
Nel loro letto, se l'era portata nel loro letto mentre lei doveva essere al lavoro.
Più ci pensava e più si convinceva che non avrebbe dovuto cedere in ogni modo, non le importava quante volte il latino potesse ripetere che l'amava, che era stato un errore, che quella ragazza non contava niente.
Doveva mostrarsi dura, fiera, sicura di se stessa.
La pesante porta di metallo si aprì con uno scricchiolio, uno dei due uomini fece il suo ingresso nel locale ristretto.
-Preparatevi, ora entrate in gioco voi.-



Killian sfiorò la trapunta del letto di Dante col palmo della mano cercando di ricambiare il più possibile i sorrisi deboli che gli rivolgeva il ragazzo.
La caviglia era messa male ed il biondo era certo che se non avesse fatto qualcosa alla svelta il compagno ci avrebbe rimesso la vita.
Ma come avrebbe potuto risolvere una soluzione del genere?
Si morse il labbro in un momento di debolezza.
-Non fa nulla.- bisbigliò il moro con la testa appoggiata sul guanciale -Tanto prima o poi moriamo tutti.-
L'altro rabbrividì, la morte gli sembrava qualcosa di profondamente lontano, nonostante fosse così vicina.
Erano gli altri a morire.
Sua nonna, o meglio, la madre della sua ultima madre affidataria, il suo cane, la sua vecchia insegnante, Robert, Pam, Helen, Marylin.
Non lui.
Cosa significava morire?
Per un istante si immaginò nel confessionale con una pistola puntata alla tempia.
Un ultimo respiro, poi uno scoppio.
E dopo? Cosa sarebbe successo dopo?
Dopo che il suo corpo si fosse accasciato a terra cosa ne sarebbe stato di lui?
Non puoi smettere di pensare da un momento all'altro.
E' impossibile che tutto ciò che è reale ora ad un tratto venga a meno per sempre.
Il nulla è inconcepibile.
Tirò un grande sospiro.
-Tu non morirai, ci sono io.-
Dante lo guardò malinconico.
La caviglia gli faceva un male cane eppure mai come in quel momento si era sentito arreso agli eventi, nemmeno quando Nyanna gli aveva poggiato una mano sulla spalla dicendo che lui era morto.
Gli sembrava di essere lucido per la prima volta nella sua vita, di poter vedere tutto con occhi, analiticamente.
Sarebbe morto e insieme a lui probabilmente anche Killian, tutti avrebbero trovato la fine in quella casa.
Ma ci sono mali molto più grandi che la morte.
-Se vuoi aiutarlo- mugugnò una voce sconosciuta alle loro spalle -devi riassestare l'osso, fidati.-
L'uomo con la balestra aveva appoggiato l'arma sull'uscio aperto e li osservava masticando un sandwich.
-Cosa?- balbettò Killian sorpreso dalla sua presenza.
-Rimettigli l'osso nella gamba.- pronunciò nuovamente.
-L'osso nella gamba!?- il biondo non sembrava intenzionato a capire.
Aveva a malapena il coraggio di guardarla, quella ferita, e il bastardo gli diceva ciò che doveva fare come se nulla fosse.
-Non preoccuparti.- bisbigliò Dante guardandolo teneramente -Nemmeno io riuscirei a farlo.-
Killian lo guardò sbigottito. Si stava arrendendo? Si stava lasciando morire sotto i suoi occhi?
La cosa che più lo fermava non era la vista del sangue, era l'idea di provocare ancora più dolore a una persona a cui teneva.
-Come vuoi tu, amico.- disse l'uomo leccandosi la maionese dalle dita e scomparendo dietro la porta.
-E non chiamarmi amico!- gridò il ragazzo verso la sua direzione sbattendo la mano sulla trapunta.
-Non fare così.- lo implorò Dante cercando la sua mano ad occhi chiusi.
-Così come?- gli domandò il biondo, con una nota infastidita nella voce.
-Non urlare, non andare nel pallone, non tu.- spiegò il moro.
Killian sussultò. Aveva ragione, aveva smesso di pensare con lucidità, troppo spesso aveva permesso che i suoi sentimenti gli offuscassero la mente.
Prese delicatamente il piede e la gambe del ragazzo sdraiato sul letto, socchiuse gli occhi, tirò con forza.
L'uomo con la balestra accennò un sorriso, era rimasto dietro l'uscio nascosto ad ascoltarli.

La forbice per le unghie che Kyte aveva preso di nascosto dalla trousse rosa shocking di Jenna si rivelò più utile del previsto.
Nonostante il buon vecchio Jobs si fosse assicurato di rendere pressoché inapribili i suoi apparecchi elettronici, per un esperto come il ragazzo non ci volle molto tempo prima di riuscire a smontarlo.
Certo, il lavoro in sé lo avrebbe compiuto grazie alle sue doti informatiche, ma qualche collegamento andava cambiato.
Si era sdraiato a pancia in giù sul letto e fingeva di leggere, di modo che attraverso le telecamere nessun possibile complice di quegli uomini potesse vederlo.
Più feccia che uomini, pensava lui.
Feccia loro e tutti gli altri in quella casa.
Pensandoci, sarebbe stato divertente veder morire gli altri concorrenti uno dopo l'altro, giusto per vedere in quale ordine, per assistere alle dinamiche che si sarebbero create, ma rischiava troppo.
Erano rimasti in dieci.
Come i “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie, probabilmente il suo romanzo preferito.
Forse quello che mancava nella sua vita era proprio una Vera Claythorne.
Per mantenere la concentrazione canticchiava con le labbra serrate una qualche melodia classica.
La musica classica sembrava elevarlo, lo faceva sentire ancora di più a un livello superiore rispetto agli altri, e per quanto fosse abituato a frequentare discoteche e locali notturni non poteva che riconoscere che niente e nessuno lo avrebbe fatto sentire come solo Mozart e Tchaikovsky sapevano fare.
Sophia passeggiava avanti e indietro per il corridoio pensando a come sfruttare al meglio il rapporto con i compagni di sventura, finché il mugugnare sommesso di Kyte non attirò la sua attenzione. Sgattaiolò nella stanza cercando di non farsi sentire, nutriva una certa passione nel sorprendere la gente, nel far sentire tutti osservati, scrutati, studiati.
-La morte del cigno? Seriamente?- commentò beffarda.
Il moro trasalì, spalancando i suoi occhi neri come la pece, nascose in fretta e furia l'iPod sotto il cuscino e si girò di scatto.
-Problemi?- cercò di dire il più lucidamente possibile, guardandola fissa negli occhi.
-Oh, beh, come dire... Ti facevo più virile, più macho!- sorrise ironica storcendo il naso, in modo da irritarlo il più possibile.
-Che cosa vuoi, Sophia?- tentò di tagliare corto lui, l'ultima cosa che voleva in quel momento era perdere tempo con una ragazzina di poco conto.
La castana ricambiò lo sguardo, studiando l'altro.
Per una delle prime volte nella sua vita Kyte si sentiva a disagio. Si sentiva sopraffatto.
-La vera domanda è: che cosa vuoi tu, Kyte.- scandì lentamente lasciandolo interdetto -Non sono una stupida. Tu credi che nessuno qui ti possa capire, pensi di essere al di sopra di tutto e di tutti. Pensi che in un modo o nell'altro te la caverai. Bene, ti sbagli. Ti conviene cominciare a pensare che non l'avrai vinta tanto facilmente. Hai bisogno di me ed io forse di te.- concluse.
Il moro sorrise.
Provava un certo gusto in quella situazione, Sophia l'aveva stuzzicato e, nonostante continuava e avrebbe probabilmente continuato a considerarla una formica, voleva saperne di più.
-Sentiamo.- rispose oramai più calmo nello spirito.
-Voglio Light. Fuori.- sentenziò infine la ragazza.

Sophia si mise il lucidalabbra guardandosi allo specchio, fece schioccare le labbra rosa chiaro e sorrise alla sua immagine riflessa.
Solo ventiquattr'ore prima Angeline aveva cercato di sgozzarla con una sega dentellata.
Ora era chiaro a tutti che la biondina non era l'innocente ragazza che gli altri credevano, quella che cucinava biscotti la mattina e parlava sempre in modo melenso.
Angel era una fottuta svitata e avrebbe pagato le conseguenze del suo gesto.
Chissà, magari avrebbe potuto uccidere lei Marylin.
In ogni modo avrebbe rigirato la sua ossessione per Lukas a proprio favore, anche se non sapeva in cosa sarebbe consistita la sfida successiva.
La biondina sarebbe stata eliminata per sempre, di certo il pubblico non l'amava.
Dante era ridotto malaccio, con ogni probabilità sarebbe morto ancora prima che il pubblico a casa si fosse annoiato di lui.
Il triangolo Light, Jenna, Seth li avrebbe rovinati tutti.
In fondo era a buon punto. Avrebbe potuto farcela, sì. Avrebbe potuto vincere.
Alla faccia di tutti quelli che l'avevano compatita o addirittura disprezzata.
 

Seth venne colpito da un'improvvisa curiosità , forse più legata al suo orgoglio.
Fece scorrere il dito sui libri della libreria.
P, P... Il paradiso degli orchi. Parti in fretta e non tornare. Pigmeo. I pilastri della terra. Polvere di stelle.
Estrasse il libro e ne accarezzò la copertina.
“Di Seth Alleyn”. Suo.
Una storia d'amore. Una storia di due ragazzi alla ricerca di emozioni nuove, come lui.
E quella in cui si trovava era un'emozione nuova, forte, in cui in passato sperava, pregava di trovarsi.
Ora ne era immerso. Nuotava ma non riusciva a stare a galla.
Un turbinio di pensieri si succedeva senza sosta nella sua mente.
Robert era un suo amico. Jenna. Sophia, poteva fidarsi di lei? Marylin, uno di loro l'aveva uccisa. Light.
Aprì il libro.
La prima pagina era scarabocchiata a pennarello.
Il cuore cominciò a battergli più forte.
Anche la seconda.
Sulla quarta e la quinta qualcuno aveva scritto “Seth” in maiuscolo.
Sfogliò il libro con un nodo alla gola, il respiro gli si faceva ogni secondo più affannoso.
“Alleyn”. Chi poteva essere stato?
“Morirai”. Altre pagine erano strappate.
“Qui dentro”. Fine.
“Seth Alleyn morirai qui dentro.” Qualcuno in quella casa lo voleva morto? Che domanda, probabilmente almeno il 50% degli altri. Ma almeno uno era pronto ad ucciderlo?
Erano permessi altri due omicidi. Chiunque fosse avrebbe potuto tranquillamente agire indisturbato.
-Buh!- gridò qualcuno alle sue spalle facendogli cadere il romanzo dalle mani.
Almond lo fissava ridacchiando mentre giocava con la treccia nera.
-Ti sei spaventato?- gli domandò divertita.
-Oh, no, cioè sì, scusami.- rispose agitato.
-Scusarti di che?- ridacchiò la mora.
-Ho fatto cadere il libro.- disse chinandosi -Il mio libro, sì.- lo raccolse e lo rimise nello scaffale.
-Sei proprio un imbranato!- continuò Almond -Ti ricordi quando hai rovesciato il succo addosso a Sophia?-
Seth ci ripensò per davvero.
Sembrava così assurdo, invece era successo per davvero, avevano passato dei bei giorni prima di quell'inferno, eppure ora gli sembrava che l'incubo andasse avanti da settimane.
-Già, che stupido.- sussurrò.
-Non sei stupido, sei intelligente.- sorrise la ragazza.
Il castano le faceva tenerezza, era un'anima sensibile.
Lui la guardava fisso dentro agli occhi, magari era stata proprio lei a rovinare la sua opera. No, stava diventando troppo paranoico.
-Grazie, Almond.- disse la mora imitando la voce di Seth -Figurati, lo penso davvero.- concluse tornando se stessa.
Il ragazzo accennò un sorriso.
-Scusami, sono un po' con la testa per aria.- si giustificò serenamente.
Gli sembrava assurdo che proprio quella strana ragazza gli avesse fatto tornare il buon umore.
-Ci si vede allora.- esclamò Almond voltandosi di spalle e uscendo dalla stanza -Questa casa è piccola.-

Almond tornò nella sua stanza. Sophia non c'era, probabilmente si stava truccando.
Un po' la invidiava. Alta, snella, perfetta. Fisico da modella.
Lei no, non era così.
Era brutta, grassa, sformata, tozza, orribile, era un mostro, era rivoltante e nauseabonda.
Era tutto ciò che non voleva essere.
Lanciò un grido acuto e scaraventò per terra l'abat-jour.


Jenna prese un'altra manciata di corn flakes dalla scatola, l'uomo con la beretta si stava preparando il caffè.
Il bianco luminoso della cucina cominciava ad essere fastidioso.
Tutto l'intorno cominciava ad essere insopportabile per Jenna.
Neanche una finestra, non una sola apertura verso la superficie.
Non trovava più nemmeno la consolazione nell'andare nel giardino al chiuso, era finto, dannatamente finto.
Si sentiva soffocare, come se l'ossigeno non fosse più sufficiente, come se l'avesse respirato tutto.
Crunch. Crunch.
Altri cereali.
 

E' importante ricordarsi che, così come i poveri concorrenti di cui seguiamo in modo più affiatato le vicende, anche gli attentatori sono esseri umani, dunque diversi fra loro.
Come abbiamo potuto notare, per esempio, l'uomo con il fucile è autoritario, lucido nella sua follia, mentre la donna è più nervosa, più impulsiva.
L'uomo con la beretta, invece, è sempre stato solito soddisfare i propri piaceri in tempo zero.
Quando aveva fame mangiava, quando aveva sete beveva.
Si era così reso conto, in quei pochi giorni, che era un po' che non toccava una donna.
La tensione lo rendeva irritabile, doveva sfogarsi.
E quella Jenna non era affatto una brutta ragazza, anzi, giravano nella sua testa così tanti pensieri su di lei che sarebbe stato un vero peccato non realizzarli.


Crunch. Crunch.
I corn flakes si sbriciolavano sotto i denti della mora.
L'uomo, seduto dalla parte opposta del tavolo, la stava ormai fissando da circa un minuto.
Jenna se ne accorse. Si chiese perché era rimasta sola in cucina con uno di quegli svitati.
Era rimasta sola e basta.
Le sue compagne di stanza erano morte. Magari era proprio lei la prossima.
Crunch. Crunch.
L'attentatore non le levava gli occhi di dosso.
Si sarebbe alzata con nonchalance e si sarebbe chiusa in camera, sì.
Avevano un'altra dannata prova quel giorno. Mancava poco.
L'uomo con la beretta si alzò prima di lei, lasciandola pietrificata.
Nessun masticare di cereali, nessun tirarli fuori dalla scatola.
La ragazza era completamente immobile.
L'uomo le si fermò davanti, in piedi.
-Ciao, troietta.- esordì.
Jenna deglutì tenendo la testa bassa per evitare il suo sguardo.
-Che ne dici di venire con me un attimo in dispensa, eh? Lo so che ti va.- continuò, avvicinando il cavallo dei pantaloni all'interessata.
La mora girò il capo verso la direzione opposta, chiudendo gli occhi per qualche istante.
-Non sono niente male, vedrai.- disse accarezzandole i capelli con una mano sudaticcia e appiccicosa.
-Guardami mentre ti parlo, stronzetta.- sibilò infastidito.
Un potente colpo fece saltare sul posto i presenti.
L'uomo col fucile aveva sbattuto con forza una mano contro la porta.
Jenna lo guardò con gli occhi lucidi.
L'uomo con la beretta lo scrutò con gli occhi pieni di odio.
-Vaffanculo.- sbottò prima di andarsene.
L'uomo con il fucile guardò Jenna trattenere un singhiozzo.
-Grazie.- sussurrò la ragazza.

Lukas zoppicò fino alla sala da pranzo aiutandosi con un bastone.
Angeline lo aveva rimproverato di rimanere a letto, ma lui si era stancato, voleva fare qualcosa, voleva guardarsi intorno per cercare di trovare una soluzione.
O più semplicemente cercava qualcuno e non voleva ammetterlo a se stesso.
Il pensiero di quanto fosse stupido gli fece scrollare la testa.
In realtà Angel era andata qualche minuto in bagno, ma una volta che vi era entrata Sophia aveva preferito rimanere nascosta in una delle cabine ad osservarla.
Se solo avesse saputo che Lukas se ne stava andando a zonzo senza la sua supervisione avrebbe sicuramente dato di matto e non sarebbe rimasta a fissare la castana truccarsi alla perfezione.
Il moro sentì un pianto sommesso provenire dalla cucina, spinse piano la porta socchiusa e vi ci trovò dentro Jenna rannicchiata su una sedia, con le mani che le coprivano il volto.
-Jenna.- sussurrò -E' tutto a posto, andrà tutto bene.-
La ragazza sollevò lo sguardo mostrando due occhi rossi e gonfi.
-Non è vero. Moriremo qua dentro.- singhiozzò.
Lukas si chinò e la strinse forte a sé.
Voleva dirle che non era così, ma non poteva.
Una lacrima solcò il suo viso, cercò di trattenersi il più possibile, non avrebbe di certo incoraggiato l'amica così.
Jenna lo sentì tirare su con il naso e scoppiò a ridere, Lukas alzò lo sguardo perplesso.
-Tutto bene?- le chiese.
-Sì!- rispose la ragazza continuando a ridere -E' che siamo proprio patetici.-
Il ragazzo sorrise a sua volta.
Già, chissà cosa pensavano suo padre e sua sorella in quel momento.
Loro sì che erano coraggiosi, ma lui no. Lui non era come loro.
Lui era fragile, ma non in senso negativo.
Lukas era leggero, una piuma che aleggia nell'aria.
Lukas aveva un animo antico, diverso.
-Allora? Riesci di nuovo a camminare?- si interessò la mora asciugandosi il volto.
-Sì, l'uomo con la balestra mi ha medicato. Tu non ti sei ferita con la caduta?- il ragazzo si rese conto di aver risposto con “l'uomo con la balestra”.
Come se fosse una cosa, come se non avesse un'identità. Gli sarebbe piaciuto sapere il suo nome.
-No, per fortuna mi ero arrampicata un po' sulla catena e ho solo dato una culata pazzesca.-
Entrambi scoppiarono in una fragorosa risata.

Light era disteso supino sul letto.
La camicia a quadri neri e blu era gettata in un angolo della stanza, vicino all'armadio.
Indossava solo i pantaloni, mentre sfoggiava i suoi addominali scolpiti.
Con la mano destra si sfiorò la cicatrice sull'addome.
-Erik!-
Il suo volto gli sarebbe rimasto impresso per sempre nella memoria.
Il volto di un bambino biondo, felice, con gli occhi azzurri e sempre sorridente.
Un volto giocoso e pieno di voglia di vivere.
Un volto sporco di sangue e con gli occhi lividi.
Light trasalì.
-Tutto a posto?- gli domandò Seth, entrato silenziosamente proprio in quel momento.
-Sì, amico. Tutto a posto.- sorrise il ragazzo alzandosi in piedi e infilandosi frettolosamente la camicia.
Seth scivolò con lo sguardo sugli addominali dell'amico, anche se non era sicuro di poterlo chiamare in quel modo.
Era invidioso, sì.
Avrebbe desiderato avere lui un fisico del genere, attirare le ragazze come fosse stato una calamita.
Invece no, era solo un maledetto imbranato.
Light sorrise. “Tutto a posto”. Come poteva essere tutto a posto?
-E tu?- si interessò a sua volta.
Seth rispose con un mugugno.
Forse quella risposta era più appropriata, anche se il moro-biondo riteneva avesse altre ragioni per rispondere in quel modo.
-Jenna?- continuò.
Il castano si paralizzò davanti all'armadio dandogli le spalle.
Non voleva sembrare debole, ma cosa doveva rispondergli?
-Se vuoi ci parlo.- si offrì Light.
Il cuore di Seth batteva fortissimo, come se da un momento all'altro potesse schizzargli fuori dal petto.
-Non ce n'è bisogno.- sorrise voltandosi.
Light non rispose, lo avrebbe fatto comunque.
L'ultima cosa che voleva era far star male qualcuno in quella situazione già di per sé orribile, anche se questo significava rinunciare sé.

Angeline era un concentrato di rabbia, eppure non aveva ancora sfoggiato il massimo delle sue potenzialità.
La bionda dal faccino tenero e infantile era una bomba ad orologeria pronta a scoppiare ed il conto alla rovescia si avvicinava sempre di più allo zero.
Chiusa nella toilette a sbirciare dalla porta socchiusa, immaginava come avrebbe potuto uccidere Sophia.
Sarebbe saltata fuori e le avrebbe picchiato la testa contro lo specchio.
Le avrebbe preso la limetta per le unghie dalla trousse e glie l'avrebbe ficcata in gola.
Le avrebbe schiacciato i bulbi oculari dentro il cranio usando i pollici.
Sophia chiuse la cerniera dell'astuccio color tiffany, fece per uscire dal bagno, si fermò sulla porta e senza neanche voltarsi salutò Angel con la mano.
Un formicolio percorse le viscere della ragazza.
Doveva trattenersi se non voleva trovarsi contro l'intera nazione, ed in quel caso significava morire.
Almond, Sophia, Jenna, nessuna delle ragazze in quella casa le andava a genio. Se la fortuna era dalla sua parte allora sarebbero state le prossime a morire.
Sgattaiolò fuori dal bagno assicurandosi che non ci fosse la riccia nelle vicinanze.
Nel salotto l'uomo con fucile discuteva con l'uomo con la pistola mentre la donna sorseggiava un Martini Dry.
La porta del giardino artificiale si era appena richiusa alle spalle di qualcuno.
Che non fosse Lukas, doveva essere impazzito per alzarsi dal letto. Magari delirava.
Magari stava andando ad incontrare Almond.
Camminò noncurante, seguendo i suoi sospetti.
Il frinire preregistrato dei grilli la infastidiva.
Lukas se ne stava seduto sotto il solito albero.
Allora era proprio così, si era allontanato per incontrare qualcuno.
-Che fai?- domandò la bionda impassibile.
Il moro rimase sorpreso, anche se avrebbe dovuto immaginarlo che la ragazza lo avrebbe cercato ovunque.
-Scrivo.- rispose alzando il block-notes.
Il volto di Angel si contrasse in una smorfia, non poteva inventare una scusa più banale.
-Non ti saresti dovuto alzare dal letto. Non stai bene. Non ci pensi? Potresti aggravare la tua situazione.- lo rimproverò la ragazza avvicinandosi a passo sostenuto.
-Ma sto meglio.- obiettò il ragazzo.
-Non abbastanza.- rettificò la bionda.
Lukas era sempre stato un ragazzo tranquillo, riservato, composto, eppure Angeline cominciava ad indisporlo con le sue continue attenzioni indesiderate.
Ma non aveva il coraggio di dirglielo.
-Va bene.- sospirò alzandosi -Annie Wilkes.- bisbigliò.
-Hai detto qualcosa?- lo fulminò la ragazza.
Lukas scosse la testa.


Sanders e MacArthur sarebbero dovute rimanere in centrale ad analizzare i filmati per cercare di scoprire chi aveva ucciso Marylin, come se poi fosse così importante.
Probabilmente sarebbe morta comunque.
In ogni modo avrebbero potuto fare dozzine di cose diverse piuttosto che trovarsi lì, sotto la pioggia, appostate in attesa che i terroristi si facessero vivi.
Il cielo, da qualche giorno, era sempre grigio, uggioso.
Le indicazioni che arrivavano dai piani alti continuavano a cambiare, erano parziali e confuse.
Prima dovevano fare un lavoro, poi un altro.
Adesso sorvegliavano lo stage dove qualche metro più in basso si consumava la strage.
L'FBI pensava a come raggiungere i ragazzi evitando spargimenti di sangue, non potevano permettersi di perderne qualcuno.
Poi rimaneva il mistero degli undici ex-concorrenti scomparsi.
Ovviamente le cose erano collegate, ma come?
Se avessero salvato i ragazzi, i vecchi concorrenti avrebbero con ogni probabilità perso la vita, insomma, era una situazione complessa anche per i più esperti.
L'unico accesso era quel dannato ascensore, ma doveva esserci un'uscita di emergenza in caso di terremoto o incendio.
Che non fosse segnata sulle mappe? Era improbabile. Era quasi come se fosse stato calcolato tutto molto tempo prima.
L'agente Sanders scosse la testa. Era una semplice poliziotta, non una detective.
MacArthur sognava la promozione, lavorava duro, spesso teneva testa ai superiori per dimostrare il suo valore.
Era una donna piena di energia e sapeva come sfruttarla.

Courtney, Heather, Gwen, Duncan, Scarlett, Noah, Alejandro, Trent, Geoff e Scott erano stati fatti salire in fretta e furia su un camion.
Quella volta gli uomini non avevano nemmeno avuto l'accortezza di bendarli, gli avevano solamente legato i polsi dietro la schiena.
Sul dorso blu risaltava una scritta gialla “King” con a fianco una corona.
Gwen pensò che probabilmente gli uomini si erano inventati qualcosa per passare inosservati e portarli chissà dove.
Noah era fiducioso, credeva che la polizia avesse sicuramente istituito dei posti di blocco ad ogni accesso della città.
Non poteva sapere che le forze dell'ordine erano tutte incentrate sugli altri dieci ragazzi e che solo una piccola task-Force si interessava di loro.
Alla guida vi era l'uomo che aveva sparato in testa a Mike.
Su un piccolo suv nero li seguivano la donna dalla felpa azzurra e l'uomo che aveva colpito Courtney.
Erano ben organizzati, troppo bene.
Quel pensiero continuava a turbinare dentro la testa di Scarlett.
Quasi come se fosse stato il loro lavoro, come se avessero dedicato mesi, anni ad organizzare il tutto.
Ma non era possibile.
Non potevano sapere com'era la casa.
L'avrebbero dovuto scoprire solo con la prima diretta.
Nella mezz'ora seguente Geoff pensò a Bridgette, ai suoi lunghi capelli biondi, ai suoi occhi azzurri come il più chiaro dei cieli.
Pensò che gli mancava svegliarsi al suo fianco tutte le mattine, alzarsi prima per farle il caffè, darle un bacio prima di andare al lavoro, tornare a casa prima di lei e farle trovare una buona cena pronta sul tavolo.
Gli mancavano le candele aromatizzate, i petali di rosa sulle lenzuola bianche, il profumo della sua pelle, le sue mani chiuse dentro le sue.
E Bridgette pensava lo stesso, seduta sul divano bianco con le gambe accavallate e un fazzoletto nella mano destra.
Il telefono lo aveva lasciato da un po', ma ancora aveva la speranza che la polizia la chiamasse per dirle che il biondo stava bene, che doveva lasciare una testimonianza e che poi sarebbe tornato a casa.
L'avrebbe abbracciata sulla porta, avrebbero pianto abbracciati sulla soglia, in silenzio, insieme.

Il capo della polizia, di comune accordo con quello del Federal Bureau, non credeva qualcuno sarebbe entrato nuovamente negli studios, il problema era dentro, non fuori.
Così solo una voltante si era ritrovata a sorvegliare l'ingresso, una volante che non poté fare nulla contro un camion blu che sfondava con facilità la sbarra degli studios.
Così per la seconda volta un gruppo di persone entrava per non uscirne mai più.
-Ci siamo.- sospirò Courtney.
-Sta per succedere qualcosa.- sentenziò Scarlett.
Heather strinse con forza la mano di Alejandro.
Il latino la guardò.
Il loro mondo, la loro vita intera era in quel contatto visivo.
C'era Heather e c'era Alejandro, poi tutto il resto.
Quel momento era solo per loro, era magico, sacro.
Forse l'asiatica aveva deciso di perdonarlo.
Forse sarebbero usciti insieme da quella situazione di merda e avrebbero provato a ricominciare.
Avrebbero avuto una figlia e l'avrebbero chiamata Caroline.
Le piaceva quel nome.
Le avrebbero comprato bambole o macchinine, tutto quello che avrebbe desiderato. L'avrebbero amata per sempre.

La donna con la felpa azzurra abbassò il finestrino colpendo con precisione chirurgica i primi tre agenti.
Bang. Bang. Bang.
Il tempo si era fermato.
Gli uccellini aveva smesso di cantare, la pioggia di picchiettare a terra.
Tutto era immerso in un'atmosfera sovrannaturale.
I due agenti davanti all'ascensore, distratti dal rumore, non si accorsero del pulsante di chiamata che si illuminava di giallo e delle porte che sia aprivano alle loro spalle.
Bang. Bang.
L'uomo con la beretta sorrise all'uomo con l'uzi.
Il camion si fermò di traverso, tutti i concorrenti all'interno si sdraiarono nel sentire gli spari.
Sanders e MacArthur si erano accucciate dietro la loro vettura.
Bang. Bang. Bang.
Altri tre agenti a terra.
Sanders doveva permettersi dei medicinali costosi per sua nonna. Non stava bene da qualche mese ormai. Era difficile tirare avanti, ma lo faceva per lei. Respirò intensamente.
MacArthur era sempre stata più coraggiosa, prendeva la mira e sparava, ma c'era troppa confusione, la donna con la felpa azzurra stava facendo scendere dieci ragazzi dal camion.
Non poteva colpirli.
Oltre alle due erano rimasti altri due agenti, nascosti dietro una parete, dalla loro posizione non avevano a tiro nessuno dei bersagli.
Uno si sporse leggermente.
Bang.
L'uomo con l'uzi era proprio lì ad aspettarlo.
L'altro scattò fuori pronto a colpirlo.
Bang.
L'uomo che aveva sparato a Mike lo colpì sfiorando la testa di Noah.
Quello era il momento.
MacArthur si alzò in piedi.
Bang.
L'uomo che aveva appena fatto fuoco cadde a terra.
L'uomo con l'uzi sentì il sangue gelarglisi nelle vene, guardò il compagno morto a terra, poi si girò.
MacArthur sparò, lui pure.
Bang. Bang.
Sanders sentì un tonfo. Chiuse gli occhi. Un solo colpo aveva colpito il bersaglio.
Li riaprì. Il corpo di MacArthur giaceva di fianco a lei.
Era ancora viva. Tossiva sangue e la guardava con gli occhi sbarrati.
Sembrava dirle che non voleva morire, non così, non in quel momento.
Aveva paura, una paura fottuta.
Sentiva il sangue caldo sgorgarle fuori da una ferita al petto.
Non riusciva a muoversi, non sentiva più il suo corpo, sentiva solo i suoi pensieri.
La donna con la felpa azzurra vide la direzione dalla quale venivano gli spari, lasciò che l'uomo con l'uzi e quello con la beretta spingessero i concorrenti nell'ascensore e fece il giro dell'auto della polizia.
Sanders era rannicchiata, aveva ancora fra le mani il polso della collega.
Voleva tornare a casa quella sera, dire a sua nonna che sarebbe andato tutto bene.
Non doveva essere lì. Doveva studiare i filmati, sì.
Bang.

L'uomo con il fucile non ebbe bisogno di convocare i dieci concorrenti rimasti in salotto, erano già stati attirati dai colpi di pistola in superficie.
Alcuni speravano li stessero venendo a salvare, altri credevano fosse arrivata la loro fine, ma non accadde nulla di tutto ciò.
Una volta che le porte si aprirono scesero dieci concorrenti delle vecchie edizioni della serie.
Li guardavano arresi, si lanciarono sguardi angosciati e spaventati.
La donna con la felpa azzurra e un uomo non ancora identificato, quello che noi sappiamo aver colpito Courtney, spinsero silenziosamente i nuovi arrivati verso il corridoi”sportive”.
-Amici! Come potete vedere abbiamo degli ospiti, siate gentili!- esordì l'uomo con il fucile -Ed è proprio così che comincia questa nuova sfida, con l'ausilio dei dieci volti conosciuti che avete visto entrare ora. Ora vi farò scegliere un arco e una faretra sulla quale ci sarà scritto il nome della persona a cui sarete abbinati, fra qualche minuto andremo in palestra, lì i miei colleghi avranno legato gli altri a dei bersagli e li avranno circondati di palloncini, la sfida consiste nel raggiungere prima degli altri i 100 punti, un palloncino scoppiato vale dieci, un arto colpito vale 20, ma il cuore e il cervello valgono il passaggio garantito alla seconda parte della sfida, a cui solo i primi quattro a vincere potranno accedere.-
Sophia fece una smorfia soddisfatta, poteva anche andare peggio. Almeno questa volta non si sarebbe sporcata con dello schifoso sangue di maiale.
Jenna tirò un sospiro di sollievo, era certa che nessuno avrebbe ucciso uno degli altri, lei era brava a tirare con l'arco, avrebbe raggiunto in punti in fretta.
Seth pensò inevitabilmente a Robert, si ricordò di quando il ragazzo gli aveva raccontato di essere un campione al tiro con l'arco, se fosse stato con loro avrebbe potuti salvarli tutti, scoccare frecce rapidamente in mezzo agli occhi di quei bastardi.
Oppure poteva provarci lui.
L'uomo con l'uzi e l'uomo con la beretta portavano rispettivamente gli archi e le faretre.
-E non fatevi venire idee strane, dal primo istante in cui avrete in mano l'arma, noi terremo l'indice saldo sui nostri grilletti.- aggiunse.
Seth distolse lo sguardo.
-Prima le signore, Almond, Angeline, Jenna e Sophia, prego. Scegliete.-
Almond titubò un istante, era la prima poi prese la faretra centrale. Scarlett.
Ad Angeline capitò Alejandro, non male.
Sophia estrasse Geoff, Jenna le scambiò un sorriso e prese Gwen.
Avrebbe preferito avere lei il biondo, il suo mito.
Un po' si rivedeva in lui, non voleva gli accadesse nulla di male.
Alle ragazze seguirono Dante, che a malapena si reggeva in piedi aiutato da Killian, che estrasse Courtney, Killian a cui toccò Noah, Kyte che scelse Trent, Light, Lukas e Seth che ebbero Duncan, Heather e Scott.
-Direi che siamo pronti per cominciare.- sorrise l'uomo puntandogli addosso la canna del fucile.

 

Angolo dell'autore
Va bene, lo ammetto, avevo promesso che avrei pubblicato il capitolo per intero, ma stava venendo davvero troppo troppo lungo (a pagina 15 ancora doveva cominciare la prima sfida)...
Quindi ecco a voi quella che è la prima parte, tutto quello che succede prima della fatidica sfida, spero sia servito per farvi rientrare al meglio nel clima della casa.
Visto che ho pubblicato solo questo, mi sento di garantirvi che la seconda parte arriverà settimana prossima e che probabilmente sarà un pelo più corta.
E così anche i questo cap il conto dei morti sale e sale e sale.
Lo so, non è morto nessuno degli oc, ma ci sono troppo affezionato, la loro morte deve essere il più drammatico possibile e prima, naturalmente, vi farò votare.
Cosa succederà nella seconda parte?! Beh, posso assicurarvi che il sangue non ha ancora smesso di scorrere, affatto.
Che dire? Sono emozionato per aver ripreso questa storia, anche se devo ammettere che è davvero un grande impegno.
Dedico il capitolo a un amico che ha lasciato EFP a causa di alcune persone che si aggirano nel fandom, ma si sa, la feccia c'è un po' ovunque.
Con amore,
Pleurite98

 

  
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