Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Marilia__88    24/06/2016    3 recensioni
Una nuova storia che come "Ti brucerò il cuore" riparte dal presunto ritorno di Moriarty e dallo stesso momento. Un'altra versione della quarta stagione con nuove teorie e nuove congetture completamente diverse.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” chiese John, mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock, fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary nel tentativo di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!” esclamò Sherlock con il suo solito tono di chi deve spiegare qualcosa di ovvio “…Mi sono quasi sparato un’overdose per dimostrarlo!”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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                                         Eastern Europe






… “Dannazione…è da stupidi lasciarsi condizionare da questi sentimentalismi!”
“Non è da stupidi…” ribatté prontamente il medico “…è normale provare queste cose, Sherlock…non devi vergognartene…”.
“Sarà normale per gli altri, John…ma non per me!” esclamò il detective “…Scusami…” aggiunse soltanto, prima di andare in camera sua e chiudersi la porta alle spalle.
 
 
 




Quella sera Sherlock non uscì dalla sua camera. Durante il tragitto verso casa, subito dopo il processo, avevano comunque stabilito che John si sarebbe trasferito nuovamente al 221B.
Il medico, allora, scese di sotto dalla signora Hudson e andò a prendere Victoria. La bimba dormiva tranquillamente nel passeggino e, facendo attenzione a non svegliarla, ritornò con lei di sopra in soggiorno. Dopo aver visto Sherlock in quelle condizioni non ebbe il coraggio di andare in camera sua. Avrebbe dormito lì, sul divano. Si sdraiò, mise il cuscino con la bandiera britannica sotto la testa e si coprì con un plaid. Nonostante si sentisse esausto da quella giornata, però, non riuscì a prendere sonno. Sospirò pesantemente e si mise a fissare il soffitto, immergendosi nei suoi pensieri.
 

Sherlock, dopo essersi chiuso in camera sua, si buttò sul letto con sconforto. Tutti quei sentimenti lo stavano confondendo. Si sentiva oppresso da tutto ciò che stava provando per John e per Mycroft, tanto da non riuscire a respirare. Cercò di fare dei respiri profondi e si voltò di lato coprendosi con il lenzuolo. Forse una bella dormita era ciò che ci voleva per farlo stare meglio.
 

John venne svegliato da alcuni strani rumori. Non si era nemmeno accorto di essersi addormentato. Guardò l’orologio: erano le 4.00. Si alzò lentamente e si stropicciò gli occhi ancora assonnati. Si mise in ascolto con attenzione e si accorse che quei rumori provenivano dalla camera di Sherlock. Decisamente preoccupato si precipitò nella stanza, aprendo la porta di scatto. Lo vide a letto, con il lenzuolo aggrovigliato intorno al suo corpo, mentre si lamentava nel sonno. “Sherlock…” lo chiamò, scuotendolo leggermente. Solo in quel momento si accorse di una lacrima che bagnava la sua guancia destra. “Sherlock…svegliati…” provò di nuovo. Aveva la fronte madida di sudore e appena spostò con dolcezza i capelli bagnati, si accorse che scottava. Si alzò di scatto e accese la luce. “Sherlock…devi svegliarti!” esclamò, alzando maggiormente il tono di voce.
Sherlock aprì gli occhi lentamente ed incontrò lo sguardo del suo migliore amico. “John…” disse con un filo di voce.
“Sherlock, guardami…devi essere completamente sincero con me…hai preso qualcosa?” chiese il medico allarmato.
Il detective non rispose, ma si limitò a negare con il capo, continuando a guardare John dritto negli occhi. Fu allora che altre lacrime gli uscirono senza controllo, finendo sul cuscino.
In quel momento John capì cosa stava succedendo. Dopo tutto quello che era successo, la morte di Mycroft, la crisi d’astinenza, i giorni passati in prigione, il processo, Sherlock era semplicemente crollato. Mai come allora, il suo migliore amico gli sembrò debole e indifeso. Mai lo aveva visto cedere mentalmente e fisicamente come stava succedendo quella notte davanti ai suoi occhi increduli. Vederlo in quelle condizioni gli provocò una dolorosa fitta al cuore. Alzò la mano, poggiandola sui suoi riccioli bagnati ed iniziò ad accarezzargli i capelli con dolcezza. “Passerà, Sherlock…passerà…ed io sono qui per aiutarti…” disse con gli occhi lucidi.
Sherlock si mise le mani sul volto nel tentativo di nascondere le lacrime che continuavano a bagnargli il viso. Provò un’improvvisa vergogna di sé stesso; non si era mai mostrato a nessuno così fragile, così umano.
John gli prese le mani e gliele spostò delicatamente dal viso. “Non hai bisogno di nasconderti, Sherlock…non con me…” disse, sorridendogli. Poi si sdraiò sul letto vicino a lui e lo abbracciò con forza, cullandolo tra le sue braccia.
Quella notte il detective si sfogò contro il petto del suo migliore amico e pianse come mai aveva fatto in vita sua. Dopo che i singhiozzi si furono placati si addormentò esausto tra le braccia di John.
Il medico rimase fermò in quella posizione, continuando ad accarezzarlo dolcemente, fino a quando anche lui crollò in un sonno profondo.
 


Dopo quella notte l’umore di Sherlock parve migliorare leggermente. Nonostante tutto, però, non riusciva ancora a suonare il suo amato violino. Era struggente vederlo avvicinarsi allo strumento, metterlo in posizione e non riuscire a produrre nemmeno un suono. Ci provava spesso durante la giornata ed ogni volta che falliva nel suo intento, sospirava demoralizzato e si chiudeva in camera sua. Il fatto che non potesse uscire di casa e non potesse dedicarsi al suo lavoro, non facevano che peggiorare le cose.
John avrebbe voluto tanto mettere in chiaro finalmente la loro situazione, ma non voleva caricarlo di maggiore stress, considerando quanto fosse già abbastanza irritato tra le crisi di astinenza e gli arresti domiciliari.
 



Due settimane dopo, però, accadde qualcosa di sorprendente. John aveva lasciato Victoria dalla signora Hudson ed era uscito per fare un po' di spesa. Al suo rientro a Baker Street sentì un suono familiare. Era il suono di un violino, del violino di Sherlock. Gli era mancato così tanto, che rimase fermo sulle scale con la busta in mano, estasiato da quella meravigliosa melodia. Dopo alcuni istanti si ridestò e salì velocemente di sopra, entrando nel soggiorno con un enorme sorriso. E lo vide. Sherlock suonava rivolto verso la finestra con la sua solita ed incantevole eleganza. Era talmente immerso nella sua musica che non si accorse nemmeno della sua presenza. Appena terminò di suonare, si voltò verso la porta. “John!” esclamò sorpreso.
Il medico non disse niente, ma rimase immobile a fissarlo, mantenendo un’espressione sorridente. Poi lasciò cadere la busta a terra e si avvicinò lentamente a lui senza interrompere il contatto visivo. Appena fu abbastanza vicino lo abbracciò con forza. “Mi sei mancato…” disse.
Sherlock non rispose. Si limitò a fare un mezzo sorriso e, dopo aver poggiato il violino sulla scrivania, ricambiò la stretta.
 



Da quel giorno le cose iniziarono ad andare per il verso giusto. Una mattina, perciò, John, approfittando della ritrovata serenità del suo migliore amico, decise che era il momento di parlare di ciò che stava accadendo tra loro.
Sherlock era seduto sulla sua poltrona nella sua classica posizione meditativa.
Il medico, dopo essersi preparato una tazza di tè, si andò a sedere di fronte a lui ed aspettò con pazienza che uscisse dal suo palazzo mentale.
Dopo un’ora circa, il detective aprì gli occhi. “John…da quanto tempo sei qui?” chiese confuso.
“Da un po'…” rispose John.
Sherlock sospirò pesantemente. Riusciva a leggere dall’espressione di John, che era giunto il momento di affrontare l’argomento che aveva cercato di evitare in quei giorni. “Avanti…spara…”.
“Credo che dovremmo parlare di ciò che è successo…dovremmo parlare di…noi…” disse John titubante. “Cosa siamo io e te?” chiese a bruciapelo.
Il detective cercò di mantenere la sua espressione seria e impassibile. “Considerando il fatto che vivi di nuovo qui, direi coinquilini…ma anche amici, certo!” rispose con sarcasmo.
“Sherlock…” lo ammonì il medico “…Dannazione, sto cercando di fare un discorso serio…”.
“Cosa vuoi che ti dica, John?” sputò Sherlock leggermente irritato “…Sai bene che non sono bravo con…queste cose!” aggiunse, gesticolando ed abbassando lo sguardo.
John si passò una mano sugli occhi con sconforto. Possibile che con Sherlock le cose dovevano essere sempre così complicate? “Ti ho detto che ti amo…” disse con un leggero imbarazzo “…in quella cella tu mi hai baciato…v-vuol dire che stiamo insieme o cosa?” continuò con voce tremante.
“Analizzando questi dati…beh, direi di sì…” rispose il detective.
“Non stai prendendo questa conversazione sul serio, Sherlock!” esclamò il medico infastidito.
“Certo che la sto prendendo sul serio! …Mi hai fornito dei dati, mi hai chiesto di formulare un’ipotesi ed io ti ho esposto il mio punto di vista…” ribatté Sherlock con ovvietà.
In quel momento a John venne un’idea. Avrebbe tolto quell’espressione da saputello dal suo viso. Sapeva che quell’atteggiamento, in realtà, era il modo che aveva per difendersi dalle situazioni che gli creavano disagio ed imbarazzo, ma questa volta lo avrebbe preso in contropiede. Si alzò di scatto dalla poltrona e si avvicinò lentamente a lui. “Se io e te stiamo insieme…allora…non ti dispiacerà quello che sto per fare…” disse con uno sguardo malizioso.
Il consulente investigativo rimase sorpreso da quel comportamento e si pietrificò sulla sua poltrona, mentre fissava il suo migliore amico farsi sempre più vicino.
Appena fu di fronte a lui, John si abbassò, sfiorando con il suo viso quello del detective. “Se io e te stiamo insieme…allora…non ti dispiacerà se mi prendo ciò che mi spetta…” continuò, parlandogli a fior di labbra. Aveva colto nel segno. Chiaramente Sherlock non si aspettava niente del genere e continuava a rimanere immobile. Aprì più volte la bocca con l’intenzione di dire qualcosa, ma era così spiazzato da non riuscire a produrre nemmeno un suono. Lo guardò negli occhi per qualche istante, godendosi quello sguardo disorientato, che raramente aveva visto su di lui. Poi poggiò le labbra sulle sue e lo baciò con dolcezza.
Il detective chiuse d’istinto gli occhi e ricambiò il bacio, socchiudendo la bocca e lasciando che le loro lingue venissero in contatto.
Dopo alcuni istanti John si staccò da lui all’improvviso, soddisfatto di essere riuscito a provocarlo fino a quel punto. Lo guardò, curioso di vedere la sua reazione.  
Sherlock aveva gli occhi chiusi. L’espressione che aveva in volto non era più quella da saputello, ma era rilassata, quasi estasiata. Con un gesto improvviso, che stupì il medico, e senza riaprire gli occhi, lo afferrò dal maglione e lo attirò a sé, continuando a baciarlo con maggiore passione e intensità.
John rimase piacevolmente sorpreso da quel gesto e non riuscì a trattenere un lieve sorriso. Poi si mise a cavalcioni su di lui, gli prese il volto tra le mani e continuò a deliziarsi del sapore delle sue labbra e della sua bocca.
Dopo un tempo che sembrò infinito i due si staccarono e si guardarono dritto negli occhi. Avevano entrambi il respiro affannato, decisamente provati ed eccitati da quel bacio interminabile. Poi, nello stesso istante, si misero a ridere e lì, in quel momento, si sentirono completi, appagati e finalmente felici. Proprio mentre stavano ridendo, ancora in quella posizione, qualcuno entrò nel soggiorno.
“Sherlock devo parlarti…” disse Greg “…Oh, Santo cielo…d’ora in poi devo ricordarmi di bussare!” esclamò, mettendosi una mano sugli occhi imbarazzato. “…Scusate…davvero…io non volevo…” continuò mortificato.
John si alzò dal detective e si aggiustò i vestiti. “Non preoccuparti, Greg…” disse, divertito dall’imbarazzo dell’ispettore.
Sherlock stranamente non proferì parola. Continuò a fissare Lestrade con il suo solito sguardo indagatore. “È successo qualcosa…” affermò convinto.
Greg ritornò serio ed abbassò lo sguardo, annuendo semplicemente.  
“Quella busta è per me…” disse il detective. Non era una domanda ma era nuovamente un’affermazione.
“Si…” rispose Lestrade, porgendogli la busta.
Sherlock la guardò di sfuggita e qualcosa attirò la sua curiosità: c’era il timbro governativo. “Deduco dalla tua espressione che l’hai già letta…potresti risparmiarmi tempo e dirmi direttamente di cosa si tratta!”.
L’ispettore tossicchiò nervosamente. “Dopo gli ultimi avvenimenti che ti hanno visto coinvolto…hanno deciso di riaprire il caso Magnussen…e a quanto pare…vorrebbero riconfermare la tua pena…” disse con voce tremante.
Il detective sbiancò all’improvviso e non riuscì a rispondere. Aprì velocemente la lettera con le mani tremanti ed iniziò a leggerla.
“Vorrebbero rimandarlo in prigione?” sbottò John all’improvviso.
“No, John…” rispose Sherlock con una voce cupa ed un’espressione scura in volto.
Il medico sgranò gli occhi, leggendo tutto dal suo sguardo. “No, non in missione…non nell’Europa dell’Est!” esclamò spaventato.
Il consulente investigativo annuì e si passò nervosamente una mano sugli occhi.
“Ma non possono farlo!” urlò John, voltandosi a guardare Greg per avere una conferma da lui. “Mycroft aveva fatto in modo di fargli revocare la pena, se si fosse dedicato al caso del presunto ritorno di Moriarty!”.
“John non è così semplice!... Mycroft aveva convinto quasi tutti a revocare la pena, ma la questione non era stata ancora confermata. Attendevano che Sherlock risolvesse il caso, prima di metterla agli atti. Ma ora che Mycroft non c’è più, qualcuno deve aver cambiato idea!” rispose Lestrade “…In ogni caso, non c’è ancora niente di stabilito…per quel che so ci sarà una riunione, dove si deciderà tutto con certezza…” aggiunse, cercando di apparire calmo.
“Ma considerando il fatto che mi hanno già avvisato con questa lettera, non ci vuole un genio per capire quale decisione verrà confermata…dico bene?” sputò il detective irritato.
Greg non rispose ed abbassò lo sguardo.
“E se la confermassero…quando dovresti partire?” chiese il medico.
“Tra una settimana…” rispose Sherlock. Poi sospirò pesantemente e si alzò dalla poltrona. Appallottolò la lettera, la buttò a terra e, senza degnare gli altri due di uno sguardo, si diresse in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle.
John era spiazzato da tutta quella situazione. Non sapeva cosa dire e rimase immobile a fissare la lettera appallottolata, che giaceva sul pavimento.
L’ispettore si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. “John, ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per trovare una soluzione…abbiamo ancora tempo…”.
Il medico lo guardò negli occhi ed annuì poco convinto. Sapeva che solo qualcuno come Mycroft avrebbe potuto tirare fuori Sherlock da quel problema e, purtroppo, Greg, per quanto impegno potesse metterci, non era uno di quelli.
 



Erano passati 5 giorni da quando avevano ricevuto quella notizia. Era mercoledì e quella mattina si sarebbe tenuta la riunione per confermare o meno la partenza di Sherlock, prevista per venerdì. Stanco di aspettare notizie da parte di Greg, John si recò impaziente a Scotland Yard.
“John!” esclamò l’ispettore, sorpreso di vederlo lì.
“Allora? Novità?” chiese il medico.
“Sto giusto aspettando una telefonata…” rispose Lestrade serio. “Come sta Sherlock?”
“Come vuoi che stia, Greg…è terrorizzato, anche se cerca in tutti i modi di nasconderlo!... Non mangia, non dorme, a malapena parla e passa gran parte delle giornate sulla sua poltrona immerso nel suo palazzo mentale…!... Finalmente avevamo chiarito il nostro rapporto, ma sento che si sta allontanando di nuovo da me…si sta isolando e non so cosa fare…” rispose John con voce tremante. “…ho paura che possa fare qualcosa di avventato…ho paura che possa ripetere il gesto di quel giorno, quando stava per partire prima del video di Moriarty…”.
“E lo hai lasciato solo a casa?” chiese Greg allarmato.
“No, ogni volta che esco chiedo alla signora Hudson di stare con lui e Victoria…” rispose il medico.
In quel momento il cellulare dell’ispettore squillò. Lestrade lo afferrò velocemente e rispose, uscendo a parlare fuori dal suo ufficio. Quando rientrò la sua espressione era scura e triste.
“Allora?” domandò prontamente John.
Greg ci mise un po' a rispondere, come se non riuscisse a trovare le parole giuste. “Hanno confermato la sua partenza e l’hanno anticipata a domani mattina” rispose con sconforto.
John si passò le mani tra i capelli in un gesto disperato. “Ma come hanno potuto?” urlò furioso.
“John, la questione è molto più complicata di come sembra…” ribatté Greg, sospirando pesantemente “…come ben sai, Moran era il ministro dello sviluppo d’oltremare, un vero a proprio pilastro del governo e, come tale, ha sempre avuto molte persone dalla sua parte. Nonostante fosse un assassino e un criminale, ha comunque fatto molti favori ad un vasto gruppo di persone importanti e, naturalmente, con la sua morte, queste persone hanno perso i vantaggi che Moran garantiva loro…!... Si tratta di un vero a proprio complotto, John…un complotto contro Sherlock…”.
Il medico era sconvolto da ciò che aveva appena sentito. “Ma è un’ingiustizia!... Qualcuno dovrebbe fermarli!”.
“E chi, John?... Stiamo parlando degli uomini più potenti del Paese!... Potrebbe fermarli soltanto qualcuno di ugualmente importante!” esclamò l’ispettore.
“Ma come mai prima avevano acconsentito alla revoca della pena?” chiese ingenuamente John.
“Perché c’era Mycroft…e nessuno si sarebbe mai messo contro di lui!” spiegò Greg.
“Mi stai dicendo che…n-non c’è più niente che possiamo fare?” domandò il medico con un velo di disperazione nella voce.
Lestrade sospirò rassegnato. “A meno che tu non conosca qualcuno che faccia parte del governo e che possa prendere le difese di Sherlock…no, non possiamo fare più niente!”.
Dopo quella risposta il volto di John divenne improvvisamente pallido. Alcune lacrime gli inumidirono gli occhi ed iniziò ad ansimare, come se non riuscisse a prendere aria.
L’ispettore, preoccupato dal suo improvviso pallore, si avventò subito su di lui. “John, siediti…vado a prenderti un bicchiere d’acqua” disse, aiutandolo a mettersi seduto. Dopo alcuni istanti tornò con un bicchiere e lo porse al medico.
In quel momento John non riuscì più a trattenersi. Poggiò il bicchiere sulla scrivania e si mise le mani sul volto, mentre alcune lacrime iniziarono a scendere senza controllo. “Non posso perderlo, Greg…non di nuovo…non adesso che noi…” provò a dire con la voce rotta dal pianto.
Greg gli passò una mano sulle spalle per fargli sentire la sua vicinanza. “Lo so, John…vorrei tanto poter fare qualcosa…mi dispiace…davvero…”.










Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il ventunesimo capitolo! Diciamo che ci stiamo avvicinando alla fine della storia, ma come potete notare ancora non sembra intravedersi un lieto fine per i nostri protagonisti. 

Sherlock aveva finalmente superato il suo blocco che gli impediva di suonare ed era riuscito a chiarire il rapporto con John. Purtroppo, però, la notizia di Greg ha scombussolato nuovamente gli equilibri psicologici del nostro detective. 

La decisione è stata presa e Sherlock l'indomani mattina dovrà partire per la missione suicida nell'Europe dell'Est da cui era scampato all'inizio della storia. Cosa succederà appena John andrà a Baker Street a dirglielo? Questo lo scoprirete nel prossimo capitolo. 

Grazie a tutti quelli che stanno seguendo la storia e tutti coloro che vorranno lasciare un commento.
Alla prossima ;)

 
   
 
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