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Autore: releuse    17/04/2009    4 recensioni
C'era qualcosa che Ken Wakashimazu aveva perso. Qualcosa che gli impediva di giocare, qualcosa che il principe di vetro possedeva. "Incatenato nelle braccia e nelle gambe, avevo l’impressione di essere uno schiavo privo di qualsiasi facoltà di decisione, ormai rassegnato alla sconfitta e annichilito nell’animo, dominato da un potere troppo sacro per essere abbattuto. Atterrito dai suoi occhi decisi." Fanfiction interamente rivista, corretta e modificata. La trama di base è la stessa, ma arricchita con nuovi dialoghi, descrizioni e situazioni.
Genere: Romantico, Sportivo, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Ed Warner/Ken Wakashimazu, Jun Misugi/Julian Ross
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Rieccomi qui, in grande ritardo rispetto alla mia tabella di marcia;) Ma non troppo, vero? Purtroppo complici le vacanze e la mia povera tesi ho un po’ tardato...ma proprio per questo avrete un regalino...un capitolino un po’ più lungo del solito...non trovavo un punto esatto dove poterlo tagliare, per non risultare uno troppo corto e l’altro più lungo...quindi ho deciso di lasciarlo così com’è nato! A voi il peso di leggerlo ;p

Come sempre grazie infinite a tutte voi che leggete e commentate, siete dei veri tesssori !>///<  Kara, Mel, Nene, Eos...Grazie di cuore !!Ai vostri bellissimi commenti ho risposto su endless *_*


Un grazie grandissimo va anche a Haley per i suoi commenti così approfonditi...(tesoro dove ti sei nascosta? Lo so che sei da qualche parte nel mio cervellino matto) e al suo supporto morale a questa storia che ci ha fatte conoscere, vero amica mia? ^__^

Il Grazie speciale come sempre è per Ichigo, mia carissima e adorabile Oneechan ^O^  Che nel betaggio mi ha fatta sbellicare dalle risate per i suoi commenti poco carini verso il povero Bals...ehm, Kennino! Dice giusto lei, inutile dare la colpa a Jun...chi è causa del suo male pianga se stessoXDDD Grande Oneechan!!

Diciamo che Ken avrà pane per i suoi denti in questo capitolo è___é


Bene Bene...finito questo auguro a voi tutte...Buona lettura!


IL CUORE E IL PALLONE
Di Releuse



Il soffitto era completamente bianco.

Il mio sguardo lo fissava da interminabili minuti, mentre, disteso sul letto, inconsapevole dei primi raggi di sole che filtravano dall’ampia finestra, facevo vagare i miei pensieri. Ormai non sapevo più da quanto tempo l’osservavo. L’ultimo ricordo che avevo della sera prima era sempre quel muro e ancora la stessa immagine si riproponeva il mattino successivo.

Non sapevo neppure se avessi dormito, ma la cosa non mi importava.

Erano giorni ormai che mi svegliavo in quello stato, con lo sguardo perso verso il vuoto, incapace di muovere un muscolo, come se fossi una bambola priva di vita. Avevo perso il conto delle mattinate inconsistenti che lasciavo alle mie spalle, senza mai uscire da quella che era diventata un rifugio, ma anche una prigione: la mia stanza. Da quando ero tornato da ciò che doveva essere una vacanza mi ci sono rinchiuso con prepotenza, chiedendo di non aver contatti con nessuno al di fuori dei miei familiari che vedevo soltanto all’ora dei pasti, quando non decidevo di saltarli, perchè sentivo lo stomaco farmi tremendamente male.

Non rispondevo al telefono e parlavo con i miei genitori lo stretto necessario, scatenando i pianti improvvisi della mia emotiva madre, sfinita dall’atteggiamento di distacco che avevo assunto in maniera tanto serrata. Mio padre, invece, si comportava come se non esistessi, ignorando il mio comportamento, spesso neanche guardandomi quando ci incontravamo nei corridoi della casa. Lui mi aveva offerto il suo aiuto ed io l’avevo bruciato in quel modo; mi dispiaceva averlo deluso, avere illuso la sua fiducia, ma lui non poteva sapere. Tutti quanti loro non potevano sapere.

“...mi sembra giusto! Basterà far finta di niente....”

Quella frase era diventata una presenza ossessiva e martellante, non faceva che dilaniarmi la testa e per quanto cercassi di scacciarla dai miei pensieri lei riemergeva ostinata, più aggressiva di prima, forte nella sua convinzione di non voler essere dimenticata.

‘Fare finta di niente...ti viene facile fingere, vero principe del calcio? È qualcosa che tu hai sempre fatto...’

Pensavo con amarezza, quella mattina, mentre ancora osservavo il soffitto, incurante dei minuti che passavano scanditi dall’orologio appeso sulla parete.

Eppure, quella volta, ero stato più bravo di lui, avevo mentito egregiamente, in maniera davvero spudorata e disperata. Per questo, in tutti quei giorni trascorsi dal mio ritorno, durante le mie vuote giornate, circondato da quelle pareti insonorizzate, mi sentivo uno stupido. Dannatamente stupido.

I primi giorni sono stato arrabbiato, assurdamente arrabbiato con lui, per come se n’era andato, per come mi aveva...lasciato. “Se quello che avevo detto non gli andava bene, perchè non si è pronunciato?” Era una frase che ripetevo in continuazione, carico di rabbia e frustrazione. Dentro di me lo incolpavo, cercando nel suo comportamento un modo per ripulirmi la coscienza, lavare via quella sensazione di colpevolezza che in qualsiasi istante bussava alla mia porta.

Ma alla fine l’avevo afferrata la verità e non potevo più sfuggirle.

Ero spaventato, turbato da quel qualcosa che avevo sentito crearsi fra di noi e che lentamente ci aveva legato, qualcosa che aveva preso forma nella sua voce, l’ultima sera.

“Sono pazzo di...come te...” Aveva detto lui, con voce affannata e la pelle ancora bruciante dal piacere appena provato. Era stato impercettibile, ma io l’avevo colto il suono che si correggeva fra i suoi denti ed avevo avuto paura. Quel timore aveva serpeggiato a lungo nelle mie vene, scatenandosi dopo la telefonata di Sawada e Hyuga, portandomi a sputare quelle parole che non rispecchiavano di certo i miei reali pensieri.

In verità, forse, inconsciamente l’avevo fatto apposta.  

Avevo bisogno che lui mi rincuorasse, come aveva fatto fino a quel momento, che mi dicesse una parola di conforto e che sdrammatizzasse alla sua solita maniera, come aveva fatto col calcio, ma quella volta sbagliai i miei conti, finendo per considerare il principe del calcio come tutti gli altri, trattandolo come una persona sempre disponibile e pacata.  Ferendolo profondamente.

Con grande ritardo mi rendevo conto di quell’errore, pentendomi amaramente delle parole pronunciate; per questo a volte vi cercavo rimedio, alzando la mano nel tentativo di toccare e rassicurare quel viso di fronte al mio, facendola però galleggiare nel vuoto ed accarezzare l’aria, perchè ciò che vedevo era solo un’illusione creata dalla mia mente. Lui non c’era più di fronte a me e io non avrei mai pensato che potessi provare una tale sensazione di solitudine devastante, privato della presenza del suo corpo, senza la quale mi lasciavo agonizzare sul letto, poiché la mia mano non era in grado di darmi lo stesso piacere del principe.

Privato del suo viso sorridente che mi faceva illudere di poter risolvere la qualunque cosa.



SBAM!

La porta si aprì di colpo, sbattendo violenta sulla parete, facendomi sobbalzare.

Fu grande la mia sorpresa nel trovarmi a faccia a faccia con Hyuga che stava immobile e mi fissava con occhi visibilmente severi ed arrabbiati, senza dire una parola. Dopo un primo momento di incertezza in cui i nostri sguardi si incontrarono, feci un lieve sorriso ironico, masticando un ‘tzè’ e guardando poi altrove. Sinceramente non avevo alcuna voglia di parlare con Kojiro, né volevo dargli alcuna spiegazione, tanto sapevo per cosa fosse venuto.

“Em, ciao Wakashimazu! Come va?” Una voce squillante ruppe quegli istanti di silenzio. Solo in quel momento mi accorsi che, di fianco al capitano, c’era anche Takeshi il quale cercava di sorridere per acquietare quell’atmosfera gelida che era calata fra me e Hyuga.

Di fronte alla presenza di Sawada mi sollevai un poco. Il silenzio che invase la stanza dopo il suo saluto era raggelante, nell’aria dominava un timore misto ad imbarazzo anche perchè non avevo risposto al saluto del mio compagno. Ero particolarmente nervoso.

“Em, scusaci...” Tentò nuovamente Takeshi, chiudendosi la porta alle spalle. “Abbiamo insistito noi con tua madre per farci entrare, quindi...” Hyuga allungò un braccio verso di lui, facendogli cenno di smetterla.

“Non c’è bisogno di giustificarsi, Takeshi...” Disse il capitano con un sorriso ironico a fior di labbra “...non siamo venuti qui per i convenevoli...”

Il suo tono era eccessivamente calmo.

“Allora, Wakashimazu?” La domanda arrivò diretta e decisa, così come il suo sguardo aspro che nuovamente cercava il mio.
“Allora cosa, Hyuga?” Risposi, ricambiando l’occhiata con ferrea strafottenza, ma senza accennare alcun movimento, rimanendo disteso sul letto con le mani dietro la testa.
“Sei proprio un cretino...” Il capitano si appoggiò con la schiena alla porta, mettendosi a braccia conserte. “Hai intenzione di continuare a poltrire sul questo letto o ti decidi a tornare in campo? Fra due giorni c’è il ritiro con la Nazionale, lo sai questo o no?” Domandò, mantenendo un ammirevole autocontrollo che poco gli si addiceva.

“Certo che lo so...” Sospirai, fingendo uno sbadiglio annoiato.
“Senti...” La voce del capitano cominciava ad alterarsi, segno che la sua pazienza avrebbe avuto vita breve “...se non ti presenti perderai la maglia di titolare, questo invece lo sai? E non solo per questa amichevole, ma finché Mikami guiderà la Nazionale...”

A quelle parole una sensazione fastidiosa mi saettò nel sangue, ma cercai abilmente di placarla. “Faccia quello che vuole...a me non interessa!”

“Come sarebbe a dire che non ti interessa, eh?” Hyuga si staccò dalla porta stringendo i pugni con rabbia; la tigre cominciava a spazientirsi. “Ma vuoi davvero lasciare la maglia a Wakabayashi?”

Non risposi, non seppi dare alcuna risposta a quella domanda del capitano. Certo, non potevo negare che l’idea di gettare la spugna mi ripugnasse, che il solo immaginare Genzo Wakabayashi indossare la maglia di titolare senza un vero confronto e solo per la mia codardia, mi faceva ribrezzo. Ma ormai non era più una questione di calcio...non era più solo quello. Tornare in campo a giocare...a che scopo? Mi chiesi in quel momento, sotto lo sguardo in attesa di risposta dei miei due compagni di squadra. Mi sentivo come se mi avessero risucchiato le energie una volta per tutte, come se non avessi più neppure la forza per sollevare un pallone da calcio.

Non avevo finito di elaborare i miei pensieri che mi sentii soffocare, sotto la presa stretta di Kojiro che mi stringeva la maglia sul collo.

“Capitano!” Gridò Takeshi, spaventato da quello scatto improvviso e carico di rabbia.

“Sei solamente un codardo...” Ringhiò Hyuga a pochi centimetri dal mio viso “Guarda che io non ho nessuna intenzione di perdere questa partita per colpa tua, anche se è un amichevole io voglio vincere! Non ce lo voglio Morisaki in porta, hai capito?” La presa si fece più stretta e cominciai ad annaspare.

“Adesso basta, Kojiro!” La voce calma e salda di Takeshi dominò l’aria all’improvviso, mentre la sua mano afferrava il polso del capitano, costringendogli a mollare la presa.

Io iniziai a tossire, riprendendo a respirare.

“Senti, Ken...” Il tono di Takeshi si fece improvvisamente preoccupato. “Hyuga ha garantito per te...” Per la prima volta alzai lo sguardo, prestando attenzione alle parole del mio compagno. “...ha assicurato che dopodomani ti saresti presentato al ritiro, dicendo che se fino adesso non ti eri presentato alle riunioni era solamente per problemi familiari...solo che se tu non ti presenterai, anche al capitano sarà impedito di giocare...”

Udii Hyuga sbuffare spazientito ed irritato da quella rivelazione di Takeshi, sicuramente non voleva che io lo venissi a sapere, ma, per come si stavano mettendo le cose, Sawada non aveva potuto fare altrimenti.

Io ero senza parole, stupito da ciò che avevo appena sentito. Eppure, avrei dovuto aspettarmelo da uno come Hyuga. Ma cosa voleva che gli dicessi? Che lo ringraziassi e cambiassi idea? Che mi sentissi in colpa per la possibilità che Kojiro venisse tagliato fuori dalla Nazionale? No, nonostante quello fosse veramente ciò che provavo non ce l’avrei fatta a tornare sul campo, perciò diedi quell’amara risposta, pronto a ricevere il sicuro attacco fisico del mio capitano.

“Io non gli ho chiesto nulla...” Sputai, mostrandomi spazientito.

Ma il pugno di Hyuga non arrivò mai. Al contrario, il capitano mi afferrò il braccio strattonandomi fuori dal letto, costringendomi ad alzarmi. “Ora tu vieni con me...” Ordinò con tono deciso e con lo sguardo fiammante, quello di chi non avrebbe dato ascolto ad alcuna remora.

Ed io non potei fare altro che seguirlo, ipnotizzato dalla determinazione che leggevo in quegli occhi, le iridi dominatrici della tigre.




Appena uscito di casa sospirai infastidito, sentendomi strappato da quel ‘rifugio’ che mi ero accuratamente costruito; uscire di casa, invece, mi faceva sentire particolarmente inquieto nonché vulnerabile. Intanto alzavo il viso al cielo: il sole mi abbagliò gli occhi e subito li coprì con la mano, mentre l’aria tiepida mi accarezzava i capelli e le guance, ravvivandole. Mi sentii come se venissi rianimato dopo uno shock improvviso, il sangue ricominciava a scorrere, i miei occhi a riconoscere l’ambiente circostante, le emozioni a vorticare nel corpo.
Riconobbi quella strada sin da subito, quello era il percorso che facevo ogni mattina per raggiungere l’istituto Toho. In silenzio, seguivo a poca distanza il capitano e Takeshi che stavano più avanti di me e che non dicevano una parola e allo stesso tempo mi chiedevo che diavolo avessero in mente.

Non mi ero sbagliato, arrivammo proprio davanti al Toho, entrando precisamente nel campo da calcio che, nonostante fosse domenica, era aperto. Esitai, fermandomi all’entrata. Ma Kojiro non mi diede neppure il tempo di manifestare il mio disappunto che mi afferrò nuovamente il braccio, trascinandomi fin dentro il campo e proseguendo verso la porta. Arrivati davanti ad essa mi scaraventò con violenza in avanti come se mi stesse gettando dentro una cella i cui confini erano segnati dai due pali e dalla linea bianca che li congiungeva; caduto in mezzo alla rete, ero prigioniero della porta da calcio...che strano scherzo del destino. Alzai lo sguardo confuso e vidi il capitano lanciarmi un’occhiata aggressiva.

“Indossa questi!” Ordinò, porgendomi i guantoni probabilmente presi dalla mia stanza, prima di rivolgersi al nostro compagno che era stato in disparte tutto il tempo. “Takeshi!” Gridò “Portali qui...”

Sawada annuì, tenendo lo sguardo basso, sapeva sicuramente quali fossero le intenzioni di Hyuga. Infatti, dopo essere sparito per pochi attimi, ritornò tenendo di peso la cesta di palloni da calcio. Kojiro gli si avvicinò scocciato, strappandogliela dalle mani e rovesciandola per terra. Tutti i palloni rotolarono per diversi secondi sul campo, alcuni finendo dentro l’area di rigore, altri arrestandosi prima di essa. Il mio sguardo era ancora perso in quel loro oscillare sull’erba, quando la voce di Hyuga si infranse nell’aria.

“Sei pronto, Wakashimazu?”

“Cos..” Non ebbi il tempo di comprendere ciò che stava succedendo, in un millesimo di secondo vidi la tigre gettarsi su uno di quei palloni e caricare un bolide nella mia direzione. D’istinto incrociai le braccia all’altezza del viso ed il pallone vi urtò con violenza, causandomi un fortissimo dolore alla pelle e alle ossa, costringendomi ad indietreggiare, strisciando i piedi.

“È così che pari i tiri, eh, codardo?” Gridò Hyuga da dentro l’area, stizzito.

Stavo ancora abbassando le braccia, quando lo vidi scattare sulla destra, puntare un altro pallone e tirare con maggiore potenza, sempre più arrabbiato. E stavolta io non riuscì a proteggermi. Quel tiro mi colpì diritto nello stomaco, gettandomi violentemente sopra la rete, mentre la palla centrifugava ancora  sopra le mie viscere, facendomi salire un conato di vomito che si scontrò con la bolla di ossigeno bloccata nel mezzo della gola. Cominciai a tossire convulsamente non appena la sfera rotolò in terra liberandomi il respiro, mentre io mi inginocchiavo tenendomi lo stomaco.

“Ma non ti vergogni?” La voce gelatinosa del capitano giungeva da qualche parte dal campo. “Non hai alcun diritto di essere un portiere...non hai la carica, non hai le palle!”

Un altro tiro, ancora, forse più debole, ma sempre più carico di rabbia e delusione. Stavolta mi colpì la spalla, rimbalzando sul lato e subito la mia mano fu pronta a stringerla con forza, come per alleviare quel dolore che ormai era andato in metastasi in tutto il corpo, raggiungendo anche il cuore. Ero davvero deluso da me stesso, da quel comportamento che non riuscivo ad abbandonare, da quella sensazione di impotenza ed avvilimento che mi attanagliava.

“Io credevo che il calcio ti piacesse!” Gridò Kojiro all’improvviso e in quel frangente la sua voce mi sembrò supplichevole. Ma, forse, era solo la mia impressione, perchè subito dopo un nuovo ruggito di collera si unì all’ennesimo tiro del capitano che mi colpì in testa scagliandomi definitivamente in terra, agonizzante.

“Basta, capitano!” Takeshi raggiunse Hyuga, parandoglisi di fronte a braccia larghe, impedendogli di infierire nuovamente e placando la sua furia. “Adesso basta Kojiro, davvero...”

Anch’io credevo che il calcio mi piacesse, Kojiro...anzi, credo che dopotutto mi piaccia ancora, ma il mio problema è che non sono ancora riuscito a ritrovare quella passione di cui parlava...

“Basta, sono stanco...” Il capitano rilassò le spalle, rivolgendo a Takeshi un sorriso rassegnato. “Impegnatevi anche per me nella partita contro la Francia!”

Con grande sforzo tentai di rimettermi in piedi, le gambe mi tremavano e sentivo ancora un dolore lancinante pulsare per tutto il corpo.

“Ma capitano!” Potevo intravedere il viso combattuto di Takeshi a poca distanza da me. “Lo sai che senza di voi sarà difficile vincere...”
“Già...in effetti manca anche Ozoora, impegnato col suo club in Brasile...” Sospirò Hyuga, voltando le spalle ed in procinto di andarsene. “A questo punto sarà inutile anche scomodare  Jun Misugi, il suo quarto d’ora sarà inutile con la squadra in questo stato...”

Un tuffo al cuore improvviso, i ricordi che si mescolavano l’un l’altro, l’agitazione che scuoteva tutto il mio corpo, ridestandolo, i nervi tesi che laceravano la carne, mentre ancora nelle mie orecchie echeggiavano le parole del capitano. Io non l’avevo più pronunciato e non avevo ancora sentito nessuno nominarlo, cosicché avevo quasi dimenticato  il suono del suo nome: Jun Misugi.  

Io...ero convinto che non avrebbe giocato, mi aveva detto che aspettava i risultati di quelle analisi, ma dalle sue parole mi era sembrato di cogliere che per quella partita non ci sarebbe stato nulla da fare, invece...

“Già...”Annuì Takeshi, ignaro, insieme al capitano, di ciò che le loro parole stavano suscitando nel sottoscritto. “Mi è sembrato un po’ stanco alla riunione dell’altro giorno, quasi assente...” Le sue riflessioni si persero nell’aria, poiché Kojiro girò le spalle senza prestargli troppa attenzione, avanzando verso l’uscita in silenzio.

Stavo iniziando a capire quello che provavo e quello che stavo perdendo?

Hyuga fece solo pochi passi, quando il suo viso venne sfiorato da una pallonata che tagliò in due l’aria, andando a sbattere violentemente contro il muro laterale. Vidi il capitano trasalire impercettibilmente, poi arrestare il suo passo e voltarsi, lentamente, nella mia direzione.

“Allora, tigre? Hai già finito il tuo ‘allenamento speciale'?” Gli gridai sarcastico, ormai completamente in piedi e in posizione di parata. “Avanti!” Lo incitai con voce calma e ferma.

“Non ne hai avuto abbastanza?” Hyuga pensava sicuramente che mi stessi prendendo gioco di lui, per questo non esitò a scattare verso uno dei palloni rimasti sul campo e a caricare uno dei suoi tiri più potenti, imprimendogli tutta la forza che la tigre del Giappone sapeva scatenare.

Confidenza col proprio corpo e sicurezza nelle proprie capacità.

Non avrei più dovuto dimenticare le parole di mio padre.

Il pallone che sfonda l’aria, come se fosse stato sparato da un cannone, il mio corpo che si lancia nella sua direzione, mentre le mani si aprono, pronte ad afferrarlo.

Infine lo stupore, negli occhi di Takeshi, così come in quelli del capitano.

“Tzè, che incapaci!” Sorrisi ironico, mentre, con un ginocchio in terra, tenevo ben saldo fra le mani il pallone. “Senza il sottoscritto il trio Toho non è in grado di funzionare a quanto vedo...”

“Ken...” Il capitano mi guardava, nei suoi occhi uno scorcio di speranza.

“Credo che allora non potrò rinunciare a questa partita...proprio non posso farlo, vero capitano?” I miei occhi cercano quelli di Hyuga.

“Ben detto, Wakashimazu!” Lo sguardo fiero di Hyuga e il suo sorriso complice alimentarono il mio spirito improvvisamente rinnovato.
“E poi...” Sussurrai fra me “Ho ancora un conto in sospeso con Jun Misugi dopo l’ultimo campionato...” Dissi infine, guardando i miei compagni.

“Giusto!” Esclamò Takeshi.
“Già, devi dimostrargli di poter parare i suoi tiri!” Il capitano strinse i pugni entusiasta, convinto che le mie parole si riferissero all’ultima partita del campionato.

Ed io annuì, fingendo che fosse davvero così.

Ma, quando ci vedremo, basterà solo fingere, principe del calcio?

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Quella mattina il sole era particolarmente caldo, non capivo se era a causa di esso, o per il colletto troppo stretto della camicia che mi sentivo soffocare. Avvertivo le mani sudate ed il cuore che ad ogni passo aumentava la frequenza dei suoi battiti, sempre più inquieto man mano che mi avvicinavo al palazzetto dello sport, dove mi aspettava l’autobus per il ritiro. Provavo una strana sensazione nel pensare di tornare in campo dopo tutto quel periodo di inattività. Dalla fine del campionato non mi ero più allenato, a parte quei brevi momenti di sfida con Misugi.

Già, Jun.

Tremavo al solo pensarlo, solamente ad immaginare che di lì a poco l’avrei rivisto e ciò mi mandava in confusione, travolto da infinite sensazioni di paura ed emozione. Mi chiedevo come sarebbe stato rivederlo, perchè se mi sentivo così ora che eravamo lontani, come mi sarei comportato nel trovarmelo di fronte? In verità mi preoccupavo di come avrebbe reagito lui, avevo timore che mi evitasse, anzi, sicuramente l’avrebbe fatto. Probabilmente si sarebbe comportato come se non esistessi.

Temevo di non poter  reggere l'indifferenza nei suoi occhi.

Con un sospiro profondo cercai di infondermi coraggio ed affrettai il passo, ormai non aveva più alcun senso tergiversare. Dopo alcuni isolati raggiunsi il palazzetto e da lontano notai l’autobus della Nazionale già parcheggiato, intorno al quale stavano i miei compagni.

Un passo...Kojiro e Sawada  sono già arrivati e chiacchierano con qualcuno.
Due passi...Hikaru Matsuyama e Shun Nitta, sono loro che parlano con i miei due compagni.
Cinque passi...Mamoru Izawa e Yuzo Morisaki che scherzano, lo si nota dalle loro risate.
Ancora pochi passi...i gemelli Tachibana, Soda, Jito e...

“Hey ragazzi! C'è Wakashimazu!” Ishizaki, era proprio lui che avevo intravisto e che ora gridava il mio nome.

D’improvviso l’attenzione di tutti i presenti si concentrò nella mia direzione e in pochi secondi mi trovai circondato da voci festanti ed amichevoli che mi distrassero dall’ossessiva ricerca alla quale mi stavo dedicando fino a pochi istanti prima.

“Wakashimazu, bentornato fra noi! Sono felice di vederti!” Una pacca gentile da parte di Matsuyama mi strappò un sorriso sincero; già dalla partita contro la Furano avevo cominciato ad accusare i primi cedimenti e Hikaru sicuramente se n’era accorto.

Poco distante intravidi Hyuga lanciarmi un sorriso soddisfatto e io ricambiai con la medesima espressione.

“Finalmente sei tornato fra noi! E ora chi ci ferma più?” Rideva Masao Tachibana.
“Come stai?” Domandava il fratello.
“Spero tutto bene in casa...” Aggiungeva Jito. Ah, sì, Kojiro aveva tirato fuori la storia che avevo avuto problemi di famiglia.

Tante domande insieme, le risate dei ragazzi, le loro voci amiche... sentirli così calorosi mi rendeva davvero felice e cominciai a pentirmi di aver pensato di poterli abbandonare.

“Eh, eh, scusate ragazzi, ho avuto degli impegni, ma ora è tutto a posto...”
Vidi il capitano avvicinarsi, finalmente, e poggiarmi una mano sulla spalla, sorridendo. “L'importante è che ora stai bene e che ti senta in forma, Wakashimazu. Bentornato.”

Direi una bugia se non ammettessi che le parole del capitano ebbero la forza di commuovermi, anche se nascosi egregiamente quel moto di emozione; Hyuga, nonostante quello che era successo, continuava ad avere fiducia in me...e non solo lui, tutti i miei compagni dimostravano lo stesso. In quegli attimi i miei pensieri e gli sguardi erano rivolti a tutti loro, al rispetto e alla comprensione che mi dimostravano. Mi avvicinai con loro al pullman, mentre continuavamo a chiacchierare ed alzai gli occhi verso la scaletta d'entrata ormai a poca distanza. Notai Taro Misaki che stava scendendo dal bus borbottando qualcosa, mentre rideva. Stavo per salutarlo, quando mi accorsi che parlava con qualcuno; seguii il movimento del suo viso che si voltava indietro, mi allineai con i suoi occhi, finché il mio sguardo si arrestò, incapace di muoversi ancora.

Jun Misugi stava scendendo insieme a lui.

La sua mano che cercava un appoggio, i capelli castani che, smossi dalla tenue brezza, gli solleticavano il viso, la maglia della nazionale che faceva onore al suo bellissimo corpo. Ed anche lui lo era: bellissimo, da togliere il fiato. Stava ridendo il principe del calcio, sfoggiando una delle sue espressioni più belle che più volte avevo visto rivolgere a me, nata per sua volontà o a causa di una mia battuta. Quanto mi era piaciuto vedere Misugi sorridere durante quei giorni.  

D’improvviso sentii il sangue congelarsi nelle vene, mentre il mio corpo s’intorpidiva, diventando di pietra; un turbine di sensazioni violente e confuse si impadronì di ogni terminazione nervosa, bloccandomi il respiro in gola. Sarà stato perchè avevo davanti Misugi, dopo tutti quei giorni in cui la lontananza aveva finito per soffocarmi; sarà stato perchè vedevo il suo sorriso rivolto a Misaki, non più mia esclusiva prerogativa.

Furono attimi che sembrarono un'eternità.

Jun inizialmente non mi stava vedendo, poi, mentre continuava a sorridere e parlare,  alzò lo sguardo e i suoi occhi, finalmente, incrociarono i miei.

Ed io mi sentii travolto dal suo sguardo folgorante che sembrò annientarmi sul posto, veloce e fulmineo come una saetta. Ma fu solo un impercettibile istante in seguito al quale Jun stava continuando a parlare tranquillamente con Misaki e io mi chiesi se non fosse stata solo la mia impressione

“Hey, Wakashimazu!” D’improvviso Misaki si accorse della mia presenza, quindi si avvicinò sorridente. Un secondo dopo Misugi lo affiancava. “Sei tornato! Come va?” Mi chiese Taro, con la sua consueta gentilezza.

Io deglutii, cercando di mantenere una parvenza d’autocontrollo. “Sì...tutto bene, grazie Misaki!” Risposi e dalla mia bocca sembravano uscire parole incandescenti che mi ustionavano la gola.

“Ti sei ripreso? Il mister ci ha detto che non stavi bene...”

No, non era la voce di Misaki quella, non potevo sbagliarmi, non potevo non riconoscere quel suono. Con movimento meccanico passai il mio sguardo da Misaki a colui che aveva parlato, Jun Misugi, il quale mi rivolgeva un sorriso...gentile, freddamente gentile.

Rimasi immobile, esterrefatto, incapace di dire una parola. La voce per un istante tremò. I miei occhi non riuscivano a staccarsi dai suoi, da quello sguardo improvvisamente  inaccessibile.

“Che c'è? Hai perso la lingua, Wakashimazu?” Ancora un sorriso da parte di Misugi, una battuta in apparenza ingenua ed amichevole, una voce priva di tensione, esageratamente tranquilla.

Decisamente nel suo stile.

Ero disorientato. “No, scusa, mi sono distratto!” Ricambiai il sorriso con grande sforzo, ma, purtroppo, io non ero altrettanto bravo a fingere. “Comunque...tutto bene, grazie” Furono le uniche parole che uscirono dalle mie labbra, perchè non sapevo cosa dire. Avevo creduto che Jun mi avrebbe tenuto alla larga, evitando di parlarmi, invece quel suo atteggiamento mi spiazzava e agitava in una maniera impressionante.

Già, evitarsi sarebbe stato molto più semplice, ma non era nello stile di Misugi, avrei dovuto aspettarmelo. Continuavo a guardarlo negli occhi, senza aggiungere una sola sillaba, cercando nel suo sguardo qualcosa, rabbia, astio, risentimento... qualsiasi cosa che mi mostrasse un Jun Misugi vivo, il vero Jun Misugi, non quella maschera dipinta di un sorriso plastico e surreale.

Non so quante frazioni di secondo trascorsero, prima che quell’atmosfera di tensione venisse spezzata dalle labbra del principe che si mossero meccaniche e fredde.“Ah, benissimo! Ora la squadra è al completo. Fra poco si parte allora!”

Non so cosa mi trattenne dal non saltargli addosso e prenderlo a pugni fino a fargli seriamente male. Cominciavo a provare una profonda rabbia mista a frustrazione. No, non era Jun, non lo era! Per Misaki, Kojiro, tutti quanti quello poteva essere Jun Misugi, ma io sapevo che non lo era, che quella che indossava era la classica maschera dietro la quale nascondeva i suoi veri sentimenti.

Solo io conoscevo il suo vero volto, solo io avevo visto al di là di quell’involucro trasparente sul suo viso, solo con me lui si era confidato...ed ora, vederlo in quello stato mi dilaniava il cuore.


“Ora che non c’è Tsubasa dovremo studiare nuove tattiche di gioco, mi darai una mano, Misaki?”
“Sì, certo, Misugi, con piacere!”
“Allora vieni, ne parlo col Mister!”

Si allontanò con Taro, tranquillamente, senza battere ciglio, come se nulla fosse, come se non mi avesse neanche parlato. Mentre lo seguivo con lo sguardo strinsi i pugni nervosamente, decisamente tormentato. Alla fine c’era riuscito a “fare finta di nulla”, ma ero io a non sopportare la sua indifferenza.

Ma non hai finto abbastanza, principe del calcio?

“Ken...”

“...Ken, mi ascolti?”

Improvvisamente mi trovai di fronte la faccia stranita di Hyuga. “Qualcosa non va?” Mi chiese perplesso il capitano.

“Ah, no! È che mi fa uno strano effetto tornare a giocare dopo il periodo trascorso.” Risposi, cercando una scusa banale.
“Dai, tranquillo. È normale, non pensarci troppo.” Mi rassicurò Kojiro. “Vedrai che ti basterà solo un po’ di allenamento!”

Mi sforzai tantissimo per sorridergli e ringraziarlo.

****




Sul pullman sembrava tutto tranquillo, nell’aria risuonavano le voci squillanti di tutta la squadra. In verità non capivo quello che dicevano, poiché me ne stavo assorto nei miei pensieri, non ascoltando neppure Takeshi che, seduto di fianco a me, tentava di dirmi qualcosa.

Dopo diversi chilometri non resistevo più. Lentamente e timidamente, sentendomi in colpa come se dovessi compiere qualche reato, mi voltai verso i sedili di dietro, cercando Jun. Alla partenza non avevo visto dove si era seduto, avendo notato solamente che mi aveva superato senza neppure rivolgermi un’occhiata.

‘Eccolo’ Pensai, non appena lo intravidi in uno dei sedili più esterni.

Ed ebbi un tuffo al cuore.

Lo sentivo parlare serenamente con qualcuno, Matsuyama che stava seduto dietro di lui e Ishizaki, del quale sentivo le risa sguaiate. Poi, Misaki, che sedeva nel sedile dietro il mio, gli chiese qualcosa che non afferrai e lui si affacciò per rispondergli.

Ed ecco che i nostri sguardi s’incrociarono e, stavolta, lo vidi irrigidirsi per un breve istante. Sicuramente non si aspettava di trovare i miei occhi a fissarlo e non era riuscito a mantenere il controllo del suo corpo.

Agghiaccianti. Così li avevo percepiti i suoi occhi in quel breve attimo, rivolti a me freddissimi e carichi di rancore.

“Misugi, qualcosa non va?” Chiese Misaki, voltandosi verso di me, seguendo con molta probabilità la direzione dei suoi occhi.

Fortunatamente levai lo sguardo più in fretta di lui, tornando composto, ma riuscii comunque a sentire la voce di Jun.

“No, no, Misaki, scusa, non è nulla...dicevi?”

Ancora una volta il suo autocontrollo aveva avuto la meglio. Ed io non ebbi più il coraggio di voltarmi per tutta la durata del viaggio, turbato da quello sguardo che mi aveva soffocato il respiro, spaventandomi. Non avevo mai visto quell’espressione sul viso di Jun.





In serata arrivammo all'albergo che ci avrebbe ospitato durante quei giorni d’allenamento. Meno di due settimane e ci sarebbe stata la partita con la Francia. Non che la cosa avesse troppa importanza per me in quel momento, dovevo ammetterlo. Il mio primo pensiero era rivolto a Jun e al mio rapporto con lui. Non potevo lasciare che le cose si deteriorassero a quel modo, anche se a dire il vero non sapevo neppure come gestire la situazione, né che avrei dovuto dirgli, se avessi trovato il coraggio di parlargli seriamente. Cosa volevo io da lui?

“Ken? Ti sei imbambolato? Vuoi dormire in pullman?” Ancora una volta Kojiro mi guardava con sguardo interrogativo.

Mi osservai intorno, notando che erano scesi  quasi tutti.  “Cavolo, arrivo!” Esclamai un po' confuso.

Hyuga sospirò. “Non capisco cosa ti prende, Ken. Per tutto il viaggio sei stato completamente assente.”

Abbassai gli occhi, un ciuffo di capelli mi cadde sul viso. “Lo so. Mi dispiace...” Riuscii a dire, con un filo di voce.

Sceso dal pullman mi unii al resto dei compagni fermi a contemplare la maestosità di quell’albergo, la cui facciata era color platino molto chiaro, le finestre rotondeggianti. Ero proprio stupito.

“Eh, eh, ci trattano bene, eh, Hyu...” Scherzai, voltandomi sul lato convinto di stare parlando con il capitano, ma di colpo ammutolii: Misugi era al mio fianco in compagnia di Matsuyama.

Credo fece finta di non sentire, perchè non mosse neanche un muscolo per degnarmi di  un minimo di attenzione, continuando  a fissare un punto indefinito di fronte a sé. Era nervoso, lo percepivo. Ma Matsuyama sembrava aver seguito bene le mie parole e si sporse dal fianco di Jun per rispondermi un poco imbronciato.

“Ci tratteranno anche bene, ma tutto questo lusso a me non piace proprio. Dobbiamo allenarci, mica fare una vacanza. Da parte mia avrei preferito una di quelle pensioni di legno, tranquille con la fonte termale in pietra...come quelle dove vai in vacanza tu, Misugi! Non trovi?”

Trasalii e sperai fino all’ultimo che non si fosse percepito lo scossone che subì il mio corpo nell’udire quelle parole.

Ma, ancora una volta, il principe del calcio non si scompose. “No, questo albergo va più che bene.” Rispose un po' bruscamente e avanzò verso l'entrata.

Hikaru sbatté le ciglia, perplesso. “Ho detto qualcosa di male?” Fece un’alzata di spalle, mi sorrise e andò avanti anche lui.

Io rimasi immobile per qualche secondo, mentre un sottile senso di rimorso cominciava a farsi strada nel mio cuore, perchè avevo costretto Jun a comportarsi in quel modo, ad assumere un atteggiamento che non era il suo. Infine, m’incamminai anch’io verso la hall, dove l’allenatore, i tecnici e il resto della squadra attendeva la distribuzione delle camere.

Fu grande il mio stupore quando scoprii che le stanze erano già state assegnate. Certo, avrei potuto immaginarlo, però per un secondo avevo sperato di essere mandato nella camera di Misugi. Solo in quel modo saremmo stati costretti a confrontarci.  

“Dai, bell’addormentato, andiamo!” Mi chiamò il capitano, sventolandomi le chiavi sotto il naso; naturalmente ero in stanza con lui e Takeshi, quindi mia avviai con loro, non resistendo, però, a dare un’occhiata furtiva a Misugi che vidi allontanarsi con Misaki fino all’ascensore dell’ala est.

Possibile che fossero soli nella stanza? Mi chiedevo, sentendo il fegato arrovellarsi sempre di più, molestato da una sensazione fastidiosa che cominciavo a riconoscere e, amaramente, ad ammettere...gelosia. Ero geloso di Jun e non sopportavo l'idea che qualcuno lo vedesse...che vedesse il suo corpo...

...che potesse toccarlo...


Quando il nostro ascensore si chiuse, impedendomi di continuare a guardare Misugi e Misaki, avvertii un brivido di sudore freddo sulla schiena e un pesante senso di soffocamento, come se improvvisamente soffrissi di claustrofobia.

Ma, a causarmi tali sensazioni, era quel macigno che pesava sul cuore.





Entrati in camera Hyuga e Takeshi poggiarono le borse. Io tenevo ancora la mia sulla spalla.

“Tutto Bene, Ken?” Chiese Takeshi, titubante.
“É inutile parlargli. Sembra che al nostro amico abbiano tagliato la lingua ultimamente.” Ironizzò Hyuga.

Io feci finta di nulla e sorrisi noncurante, appoggiando finalmente la mia borsa in terra. “Faccio la doccia per primo!” Dissi, senza aspettare il consenso dei miei compagni; avevo bisogno di una rinfrescata che lavasse via tutta quell’angoscia, anche se solo per pochi istanti.






Stare chiuso in quella stanza mi rendeva alquanto nervoso, seduto sul bordo del letto continuavo a picchiettare le dita sulle ginocchia, mentre i miei due compagni si alternavano per la doccia. Anche l’aria cominciava a farsi irrespirabile, probabilmente per l’umidità che proveniva dal bagno, ma anche per quelle pareti che mi sembravano stringersi sempre di più intorno a noi. “Beh, io esco un attimo a dare un'occhiata in giro...” Dissi all’improvviso, alzandomi di scatto dal letto e, senza neanche dare tempo a Takeshi e Hyuga di ribattere, chiusi la porta dietro di me. Avevo bisogno di respirare e tranquillizzarmi un poco e stare serrato dentro quella camera non mi avrebbe aiutato di certo. Fare una passeggiata fuori dell’albergo mi avrebbe invece fatto bene, il mister Mikami ci aveva detto che quella sera avremmo potuto rilassarci in vista degli allenamenti che sarebbero cominciati il giorno successivo. Iniziai ad incamminarmi lungo quell'immenso corridoio, scesi le scale a piedi, deciso a fare circolare il sangue dentro il mio corpo che sentivo sempre più teso ed intorpidito; neppure quella doccia tiepida era riuscita a calmarmi, era come se nel petto avessi un martello pneumatico che incessantemente cercava di demolirmi. Ogni tanto, mentre passavo per i vari piani, sentivo le voci dei miei compagni mescolarsi, ma nessuna era la sua. Purtroppo Misugi stava nell’ala opposta dell’albergo e sarebbe stato difficile incontrarlo. Probabilmente ci saremmo visti durante la cena e ancora una volta avrei dovuto sopportare quello sguardo indifferente nei miei confronti. Sospirai, uscendo dall’albergo ed avviandomi verso il parco che lo circondava.

Il sole stava tramontando e l’aria si era fatta più fresca. Respirai a pieni polmoni, mentre mi addentravo sempre di più, senza neppure guardare davanti a me, concentrando invece l’attenzione sui miei passi pesanti.

All’improvviso udii un rumore che riconobbi come passi, quindi alzai distratto lo sguardo, cercandone il responsabile.

“Cazzo!” Dissi a denti serrati e spalancando gli occhi per lo stupore.

Jun era di fronte a me e, nel vedermi, arrestò anche lui il passo. Lo vidi assumere per un istante un'espressione smarrita e in un primo momento sembrò non realizzare chi avesse di fronte. Ebbi l’impressione che anche lui fosse pervaso dalla stessa sensazione d’angoscia che mi stava tormentando da quando ci eravamo rivisti ed era per quello che aveva deciso di prendere una boccata d’aria, nel tentativo di scacciarla, come avevo fatto io.

Ma bastarono pochi secondi perchè il principe del calcio si ricomponesse. Ancora una volta sfoggiò il suo sorriso placido e artificioso, riprendendo a camminare nella mia direzione.

“..'ao...” Disse, alzando la mano in un cenno di saluto, tentando di scansarmi, ma io istintivamente gli afferrai con forza un braccio, bloccandolo. Avvertii il sussulto del suo corpo, prima che lo tirassi verso di me, costringendolo a reggere il mio sguardo. Lo guardavo negli occhi con serietà, in quei suoi profondi occhi castani in quel momento confusi e sentivo tremare ogni terminazione nervosa del mio corpo nel sentirlo così vicino.

“E lasciami!” Strattonandomi il braccio, Jun si liberò dalla mia presa, guardandomi con collera, quasi disprezzo.

O era tristezza la sua?

Non disse una parola e cercò nuovamente di andarsene, ignorandomi.

Messo nuovamente di fronte alla sua indifferenza, sentii una gran rabbia salirmi al cervello, una forte confusione annebbiarmi la mente. All’improvviso persi il controllo, afferrai Jun con entrambe le braccia e lo scaraventai con forza contro un albero.

“Che diavolo stai...mhpf!”

Non gli diedi il tempo di parlare, poiché mi gettai su di lui, baciandolo con foga. Jun cercò di divincolarsi, ma non glielo permisi. Affondai la lingua dentro la sua bocca, cercando di catturare la sua ed intanto lo tenevo stretto per i polsi, premuto contro l’albero con tutta la forza che avevo. Il mio corpo era completamente avvinghiato al suo, potevo sentire il cuore di Jun battere come un orologio impazzito che, mescolato al mio, rimbombava nella cassa toracica. Percepivo il calore del suo corpo, finalmente, rendendomi conto di quanto mi fosse mancato. Avvertii un gemito soffocato provenire dalle sue labbra, il respiro che si confondeva con il mio...forse anche lui in quell'istante riuscì ad abbandonarsi. Forse per un millesimo di secondo non pensò più a nulla, lasciandosi andare.

Ma, all’improvviso, un intenso dolore mi soffocò il respiro, costringendomi ad indietreggiare: il pugno di Jun mi aveva colpito all’altezza dello stomaco.

“Bene, se sei soddisfatto ora me ne posso andare.” Disse lui con freddezza.

Io lo guardavo, sconvolto dal suo gesto e da quei suoi occhi scostanti. “No, senti!” Le parole mi uscirono con enorme sforzo.

“Cosa vuoi da me, Wakashimazu?”  Domandò, sempre più severo e lapidario.

Respirai profondamente, cercando di rilassarmi. “Perchè mi eviti?”  

“Eviti?” Lo sguardo di Jun improvvisamente si trasformò, assumendo un’espressione meravigliata. “Non so di cosa tu stia parlando, Wakashimazu!” Esclamò con un sorriso gentile e terribilmente calmo ed io ancora una volta mi stupii di come riuscisse a modellare le espressioni del proprio volto.
“Si, eviti...” Continuai, cercando di non dare peso alle sue risposte. “E, soprattutto, voglio sapere perchè te ne sei andato dalla pensione senza dirmi nulla...”

Lo vidi irrigidirsi, indietreggiando di un passo, ma, nuovamente, mantenne la padronanza della sua voce e dei gesti. Scrollando le spalle, il principe del calcio assunse un’altra espressione incerta ed innocente. “Ripeto, non so di cosa parli, Wakashimazu...forse ti stai confondendo, no?”

Un ‘no’ abbastanza ironico il suo, ma pur sempre sostenuto da un candido sorriso che mi scatenò una nuova ondata di rabbia.

“Non usare la tua maschera con me, Jun Misugi, non regge!” Sputai irritato e, a quelle parole, vidi i suoi occhi assottigliarsi e le sue mani stringersi in un pugno.

“Ma, veramente, mi sembra che fossero questi i patti, no?” La sua voce, improvvisamente roca ed alterata. “Cosa vuoi che ti dica, Wakashimazu? Hai preso tu questa decisione!” Il tono sempre più alto, lo sguardo furente. “Mi pare che avessi” e ‘avessi’ lo sottolineò non poco “...detto che dovessimo fare come se nulla fosse accaduto, tornare ai rapporti di prima. E mi pare che noi non avessimo alcun tipo di rapporto prima, neanche d'amicizia. O mi sbaglio?” Mi fissò negli occhi con sfida, sapeva che era la verità, che ero stato io stesso a dire quelle parole, quelle maledettissime parole.

“Si, è vero” Ammisi con amarezza. “Ma tu non hai battuto ciglio!” Esclamai amareggiato “...potevi dirmi qualcosa, io...”

Non riuscivo più a parlare, non sapevo cosa dire né come spiegarmi.

“Ma cosa volevi che ti dicessi, eh? Se avevi già preso una decisione!” Sbuffò Misugi, visibilmente infastidito. “Non mi vedrai mai pregare nessuno, Wakashimazu! Soprattutto una persona così indecisa che non è in grado di prendere una decisione definitiva e portarla a termine!”

Ero sconvolto dal suo tono e dalle sue parole severe.

“Cosa vuoi da me, me lo dici?”  Disse ancora, con un sorriso accennato che mi parve ironico, perchè sapeva che non avrei risposto.

Io abbassai gli occhi, sconfitto.

“Devi essere tu a sapere ciò che vuoi, non puoi sempre aspettare che gli altri ti dicano cosa sia giusto o no fare...io non faccio da bambinaia a nessuno, mettitelo in testa!” Esclamò, serio e velenoso.“E vedi di darti una controllata, perchè se il tuo istinto ti porta a gesti come quello di prima, sappi che io non ci sto. Non mi va più di giocare con te, Wakashimazu.”
 
Le sue parole affondarono nella mia carne come una lama affilata che infieriva sempre di più. Poi il silenzio calò pesantemente su di noi; forse Jun si aspettava che io ribattessi, ma mi sentivo completamente annientato, incapace di reagire. Allora lo sentii riprendere a camminare, avanzando, finché mi superò, senza che io facessi nulla per fermarlo.

Ma fu lui ad arrestare il passo, dietro di me.

“Ah...” Cominciò con tono indecifrabile. “Sarebbe stato meglio che il pugno nello stomaco me l’avessi dato tu, quel giorno...”

Terminò, prima di riprendere a camminare per allontanarsi, scomparendo definitivamente.

“Però...io non mi sono trovato con un pugno nello stomaco...devo sentirmi onorato?” Le ricordai, all’improvviso, le sue parole, quel pomeriggio nel bosco.

“Con te... è diverso...” Gli avevo risposto, accarezzandogli le labbra con le dita, in un gesto spontaneo e ormai terribilmente lontano.





A quel ricordo il mio corpo cominciò a tremare ed io mi maledì drasticamente, per non averlo fermato, perchè mi aveva appena dato una possibilità e l'avevo bruciata in quel modo.  
Improvvisamente mi accasciai in terra, in ginocchio, stringendo le braccia allo stomaco, in preda ad un dolore lancinante.  Provai un moto di nausea e sentivo le tempie che mi pulsavano. Era come se solamente in quel momento avessi avvertito il dolore del pugno che Jun mi aveva sferrato. Un dolore penetrante che nemmeno le pallonate di Hyuga erano riuscite a causarmi.


Una sensazione angosciante, causata sia dalla mano di Jun  che dal mio stesso corpo.


Fine IV capitolo






  
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