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Autore: endif    17/04/2009    7 recensioni
"Il buio si fece più buio. Una voragine si spalancò nel mio petto. All’improvviso sentii il dolore, immenso, pulsante, invadermi la testa. «Non c’è più…» mormorai. Chiusi gli occhi e con tutto il fiato che avevo in gola urlai tutta la mia disperazione."
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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- Questa storia fa parte della serie 'Change'
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EDIT: Capitolo revisionato e corretto.

CAP. 11
PENSIERI

EDWARD

Il viaggio in aereo era stato un vero incubo. I secondi sembravano distillarsi goccia a goccia nell’enorme ampolla del tempo con una lentezza esasperante.
Jasper ed Alice erano seduti nei posti dietro al mio. Mi ero rassegnato ad essere paziente non potendo fare null’altro, ed avevo apprezzato molto che i miei fratelli durante tutto il tragitto non avessero formulato alcun pensiero su quella che poteva essere la situazione attuale di Bella. Cercavo disperatamente di non soffermarmi troppo sugli scenari più terrificanti che potessi immaginare e che avevano Bella come soggetto principale. Sapevo che dovevo essere preparato ad affrontare situazioni difficili. La prima con cui mi sarei dovuto scontrare era Charlie. Direi che odio dovesse, probabilmente, rendere bene il sentimento che avrebbe provato per me a quest’ora. Non che potessi dargli torto, ma avevo bisogno di sapere da lui dove trovare Bella, visto che Alice non riusciva a vederla.
Già che cosa strana. Alice aveva detto che la visione su Bella aveva come avuto un’improvvisa interferenza e poi si era dissolta. Io d’altro canto non riuscivo più ad avere alcuna percezione su di lei.
Amore mio resisti. Avevo pensato per tutto il tempo in aereo intensamente sperando di riuscire ad infondere alla mia amata la forza necessaria a sostenere questa situazione. Ero stato distratto solo una volta dai pensieri di Alice che mi mostrava una visione di lei che discuteva di Bella con Charlie nella sua cucina. Io ero di fuori in ascolto. Pensi che potrebbe funzionare, Edward?
«Credo di sì» avevo mormorato e ora eravamo quasi fuori casa di Charlie.
Sarei rimasto nei paraggi abbastanza vicino da leggergli nella mente le informazioni che ci servivano. E se Alice non fosse riuscita a farglielo anche solo pensare, mi sarei appostato giorno e notte di fuori e l’avrei seguito. Prima o poi sarebbe andato a trovarla.
Ero sceso dalla Mercedes appena passato il cartello di Forks e seguivo l’auto con i miei fratelli correndo attraverso il bosco.
Jasper si fermò proprio dove Bella usava parcheggiare il suo pick-up e provai una stretta al cuore non vedendolo al suo solito posto. Forse Charlie l’aveva portato in qualche garage preventivando un lungo allontanamento del suo proprietario.
Mi posizionai dietro un albero di fronte alla cucina. Ero abbastanza vicino che avrei potuto sentire anche le voci dall’interno.
Alice salì i gradini della veranda da sola. Jasper l’aspettava in macchina.
Inspirò e bussò al campanello. Sentii i passi pesanti del capo Swan apprestarsi alla porta e la vidi aprirsi.
«Ciao Charlie.» La voce di mia sorella tradiva emozione. Era molto legata al padre di Bella.
Nella mente di Charlie lessi un susseguirsi di sensazioni forti e contrastanti. Sorpresa, dolore, rabbia, rassegnazione. Poi, gioia.
Mi rilassai, almeno le avrebbe permesso di parlare.
«Oh Alice, quanto tempo …» la voce di Charlie si era incrinata. Esitò, poi, l’abbracciò e si scostò per farla entrare.
Acuì tutti i miei sensi e attesi.
Vedevo il volto stanco di Charlie attraverso gli occhi di Alice e sentivo i pensieri dispiaciuti di mia sorella. Quell’uomo aveva passato, e stava passando tuttora, dei brutti momenti. Isolai tutti i pensieri e le immagini superflue e mi concentrai su Charlie. Parlarono per un po’ del più e del meno. Per la nostra partenza, Alice aveva sfoderato la scusa della manifestazione di una rara sintomatologia che l’aveva obbligata a degli esami speciali eseguibili solo a Los Angeles. Lui le prese la mano toccato e le chiese delle sue attuali condizioni di salute. «Ora sto bene, ma ti prego, Charlie, parlami di Bella. Mi è mancata tanto, sapessi quanto è stato difficile per me non averle potuto più parlare. Come sta, dov’è?»
Lui la guardò con sofferenza e disse solo: «E’ stata molto male Alice e non si è ancora ripresa.» Mi colpirono dei ricordi di Charlie che osservava Bella.
Bella seduta in cucina sciupata, il capo chino e gli occhi tristi persi nel piatto intatto davanti a sé.
E ancora
Charlie che si alzava la notte per controllarla e la sentiva singhiozzare dietro la porta.
Serrai forte la mascella.
Presi un paio di respiri per calmarmi.
«Capisco.» Il tono di Alice si era fatto serio. Aveva capito che non sarebbe stato facile estorcere a Charlie qualsivoglia informazione che potesse esporre la figlia ad un possibile ritorno al passato che avrebbe riacutizzato il dolore. Poi, la dolcezza fatta persona, continuò in tono dimesso e implorante: «Ah come vorrei poterla rivedere! Ma mi rendo conto che potrebbe essere un po’ prematuro se non è in condizioni di salute ottimali. Magari potrei scriverle una lettera? Pensi che potrebbe farle piacere?»
Mi protesi un po’ in avanti per ascoltare la risposta di lui. Attesi impaziente, ma i suoi pensieri mi raggiunsero per primi.
Mi dispiace tesoro, ma non esporrò Bella ad alcun trauma a causa di voi Cullen. Lo so che tu sei in buona fede, ma quell’altro … No, non posso darti l’indirizzo della clinica. Decise infine.
Sospirai affranto. Ci sarebbe voluto più tempo di quanto avessi immaginato.
«Non lo so, Alice, non so se gliela farebbero recapitare. E’ in una clinica dove si stanno prendendo cura di lei, ma è ancora molto debole, ha bisogno di tranquillità …» le parole di lui erano gentili, ma il tono era fermo. Vidi un’immagine della clinica nella mente di Charlie
Un palazzo a sette piani, un giardino dinnanzi, un cancello verde … Mi sarebbe stato utile.
«Certo, mi rendo conto perfettamente.» Alice si era alzata e si avviava alla porta. Lui l’accompagnava e disse esitante con aria preoccupata: «Scusami se te lo chiedo Alice, ma non tornerà anche lui vero?»
Lei ritenne più cauto mentire in questo frangente. «Non per il momento credo» Poi, si girò e disse furba:« Magari la lettera potrei darla a te domani, così potresti portargliela tu la prossima volta che vai a trovarla!»

Lui la guardò teneramente. Gli dispiaceva mentirle, lo leggevo chiaramente, ma per Bella avrebbe affrontato le peggiori torture. Si affrettò a dire:« Certo cara, dalla pure a me quando l’avrai scritta, gliela consegnerò io.» Intanto aveva aperto la porta e la salutava dispiaciuto per lei. Pensieri contriti accompagnavano i convenevoli.
Poveretta, so che le vuole bene, ma non credo che porterò la sua lettera con me, la prossima volta che andrò a Seattle.
SEATTLE!
Mi voltai e cominciai a correre come il vento.

JACOB
Me ne stavo nascosto fuori al giardino della clinica. L’orario di visite era finito e non mi permettevano più di rimanere con Bella. Di ritornare a casa non se ne parlava proprio. Non la lasciavo lì da sola. Avrei trascorso tutta la notte fuori, ma non mi sarei allontanato da lei di un altro metro.
Piccola Bella, piccola mia.
In realtà non è che potessi proprio usare l’aggettivo mia, ma avevamo fatto notevoli progressi in quel senso. Andavo a casa sua tutti i giorni, chiacchieravamo, e lei desiderava la mia compagnia. Mi pareva proprio che le cose stessero andando meglio. E poi, c’era stato quel bacio, quell’unico meraviglioso bacio. Forse era stato un po’ prematuro, ed io un po’ impetuoso, ma lei mi aveva chiesto di non andarmene, di stringerla. Lei me lo aveva chiesto. Ed io non sarei riuscito a resisterle ancora per molto.
Stava andando tutto per il verso giusto fino a quando Charlie non l’aveva portata a Port Angeles da quegli strizzacervelli e lei aveva visto quella piccola sanguisuga.
Mi sentivo un po’ in colpa, a dire il vero.
Quel giorno quando i medici erano piombati nella stanza dove si trovava Bella, mi ero precipitato anch’io dentro. Lei era quasi riuscita ad aprire una finestra ed era agitatissima. Mormorava il nome della succhiasangue tra le lacrime. Poi, l’avevano afferrata e lei aveva cominciato ad urlare e a dibattersi. Mi ero avvicinato anche io e dalla finestra mi era giunta chiaramente la scia puzzolente di quegli schifosi vampiri. Senza pensarci molto, senza smentire i loro sospetti di un tentativo di suicidio avevo lasciato che la sedassero e la ricoverassero qui a Seattle.
Non sapevo se quell’Alice l’avesse vista o sentita ma, nel dubbio, la possibilità di allontanarla da Forks mi sembrava un’occasione capitata proprio a fagiolo. Sarebbe trascorso un lasso di tempo utile ad accertarmi dell’eventuale ritorno dei Cullen e in quel caso li avrei affrontati. Non avrei permesso che facessero ancora del male a Bella. Al diavolo il patto, gli avrei sciolto tutti i lupi addosso e li avrei fatti a polpette!
Non mi piaceva l’idea di Bella chiusa in un manicomio, ma quelli erano medici, giusto? Aiutavano le persone non facevano loro del male. Era di certo più sicuro tenerla qui dentro che a casa sua a Forks. Almeno per il momento. Almeno fino a quando non avessi avuto più tempo a disposizione per rafforzare il nostro legame nascente.
Restavano ancora troppe questioni irrisolte. Non le avevo ancora spiegato la mia natura di lupo. Benchè avessi accennato a qualche leggenda che narrava delle trasformazioni dei licantropi, e, inconsapevolmente avessi fatto riferimento al patto che i miei avi avevano stipulato con i Cullen, non mi ero rivelato nella mia vera natura, perché allora io stesso credevo che quelle fossero solo storielle. Ma l’anno prima era avvenuta la mia trasformazione. Sam mi aveva aiutato, confortato e spiegato che l’aumento dei vampiri nella nostra zona aveva innescato la mia trasformazione. Mi aveva parlato dell’alpha e mi aveva detto che nel branco attuale io ero l’alpha per diritto di nascita, ma che lui mi avrebbe aiutato e sostenuto fino a quando non mi sarei sentito pronto ad accettare il comando.
Beh, ora mi sentivo pronto.
Mi appoggiai al tronco di un albero con stanchezza. Non mi facevo una dormita decente da un po’, magari avrei schiacciato un pisolino … già solo qualche minuto per far riposare gli occhi … neanche mi resi conto di scivolare nel sonno.


   
 
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