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Autore: gattina04    26/06/2016    3 recensioni
Tanti personaggi nuovi, le cui storie non sono mai state raccontate, sono arrivati a Storybrooke. E se tra questi si celasse qualcuno legato al passato di Hook? Come potrebbe reagire se una persona che credeva ormai perduta per sempre si aggirasse tra le vie di Storybrooke? E oltre a tutto questo cosa faranno Hyde e la Regina Cattiva?
Storia ambientata tra la quinta e la sesta stagione, cercando di immaginare ciò che sarebbe potuto accadere all'inizio di questa nuova stagione di OUAT.
Dal testo: "Non sapevo più chi guardare, non ci stavo capendo più nulla. Avrei voluto rassicurare Killian ma non sapevo neanche da cosa fosse turbato. Chi diavolo era quella donna?"
"Non era il solito bacio; sapevamo entrambi che aveva un significato diverso. Era un gesto disperato di due amanti costretti a lasciarsi troppo presto, era una atto di due innamorati separati dal destino"
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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3. L’incubo del protagonista
 
Un bambino è seduto per terra, piange non sa cosa fare. Vorrebbe uscire, vorrebbe andare a cercare aiuto, ma lei gli ha detto di non allontanarsi. Non deve mai più uscire da solo, per nessuna ragione. Vorrebbe che qualcuno tornasse a casa, che qualcuno sentisse il suo pianto, vorrebbe che lei si svegliasse. Ma niente di tutto questo sta per succedere, lei è ancora per terra, esattamente nella stessa posizione di quando è caduta; per quanto lui possa chiamarla forte lei non sembra svegliarsi.
«Mamma! Mamma!».
Non l’ha mai vista così, non l’hai mai sentita così fredda, così distante nonostante sia esattamente lì accanto. Lei non lo tratta mai così, risponde sempre quando lui la chiama.
«Mamma! Mamma!», continua il suo inutile appello. Ma sembra tutto superfluo, come in un terribile incubo. Vorrebbe svegliarsi, o vorrebbe che suo fratello saltasse fuori facendogli capire che è tutto uno scherzo, che l’ha fatto solo per spaventarlo. Accetterebbe di essere preso in giro da lui, di essere chiamato fifone, tutto pur di far cessare quel momento. Però la sua mamma non lo terrorizzerebbe mai in quella maniera.
Guarda di nuovo la porta man non può andare via, deve obbedire, non può lasciarla sola, ma perché allora ha come la netta impressione che lei stia lasciando solo lui? Torna a guardarla, non riuscendo più a distogliere lo sguardo da quella figura tanto famigliare. Ormai ha capito, non può fare nulla, può soltanto restare lì ed aspettare.
Si stringe le ginocchia con le braccia e cerca di prendere aria mentre i singhiozzi lo stanno mandando in apnea. Adesso non riesce più a chiamarla, non riesce più neanche a parlare. È seduto accanto al suo corpo e aspetta anche se non sa bene che cosa. Aspetta che qualcuno torni, che qualcuno lo porti via da lì, che qualcuno faccia svegliare la sua mamma.
Il tempo sembra essersi fermato: i secondi sembrano minuti, i minuti ore, le ore anni. Il sole continua a fare il suo percorso ma in quella casa tutto rimane immutato: resta solo un bambino che piange accanto al corpo privo di vita della madre. Nessuno può più fare niente, nessuno può aiutarla e nessuno può più neanche aiutare lui. È troppo tardi anche per quello.
 
Mi svegliai di soprassalto con il cuore che batteva all’impazzata. Ero sudato e avevo il respiro ansante. Il sogno era stato talmente vivido che quasi mi sembrava di essere stato catapultato di nuovo lì.
Tentai di prendere aria e di focalizzarmi sul presente, sulla quella che era la realtà. Ero nella mia camera, nella nostra camera, mia e di Emma, quella della nostra nuova casa. Era notte fonda e la mia Swan dormiva serenamente accanto a me, il suo sonno era profondo e il suo respiro sembrava tranquillo. Cercai di concentrarmi su quello in modo da poter regolarizzare anche il mio.
Mi misi a sedere e affondai la faccia nella mano. Non ero certo che sarebbe successo, ma col senno di poi sembrava inevitabile che gli incubi tornassero. Ci avevo messo così tanto a scacciarli e ora dopo secoli bastava ritrovarmela lì per riportare tutto a galla. Odiavo sentirmi così vulnerabile, un bersaglio facile, debole.
Era stato un incubo diverso, non era stato come quelli che facevo da bambino, quelli che mi facevano svegliare nel cuore della notte urlando, che costringevano Liam o mio padre a restare con me fino a che non mi fossi riaddormentato; quelli il cui contenuto non avevo mai raccontato a nessuno, ma sarebbe rimasto un peso che avrei portato con me nella tomba.
Era stato come un ricordo, un ricordo orribile, una scena che avevo seppellito per secoli. Avevo cercato di cancellarla dalla mia memoria fin da subito e invece era incredibile come dopo decine di anni riuscissi a ricordare anche i minimi particolari. Ricordavo che c’era qualcosa che perdeva, il rumore di gocce che cadevano, il sapore salato delle lacrime, il suo odore che andava svanendo, il suo corpo ogni secondo più freddo.
Scossi la testa per cercare di scacciare via quelle immagini. L’avevo fatto per secoli, uno stupido sogno non bastava certo ad abbattere tutte le mie difese. Ero troppo abituato a nascondere quella ferita, potevo farlo anche in quel momento. Potevo fingere che lei non esistesse. O meglio volevo fingere che lei non esistesse ma riuscirci non era poi così facile.
Sapevo con certezza che non si sarebbe arresa così, ma anche io ero una testa dura. Avevo rimosso quel capitolo della mia vita e l’avevo nascosto dove non c’era più bisogno di andarlo a cercare. Lei non sarebbe riuscita a dissotterrare tutti quei demoni che avevo faticosamente sepolto. Non mi importava cosa potesse dire o fare, una cosa era certa: io non l’avrei ascoltata. Di sicuro non dopo che con la sua sola presenza aveva mandato in frantumi gli unici ricordi felici della mia infanzia, i momenti prima della sua morte, prima che la tessera iniziale crollasse e causasse un effetto domino.
Ancora una volta scossi la testa per mandare via anche quei pensieri. Dovevo concentrarmi su altro per riuscire a calmarmi, ma non era affatto facile; era già stato un traguardo riuscire ad addormentarmi! Quel maledetto incubo mi aveva svegliato nel cuore della notte, e se l’ora della sveglia sopra il comodino era esatta, mi aveva concesso solo due ore di sonno.
Quando ero piccolo, e miei incubi mi svegliavano, di solito mi rifugiavo nel letto di Liam, oppure lui veniva nel mio. Ma non ero più un bambino; avevo più di due secoli alle spalle. Potevo e dovevo riuscire a calmarmi da solo. Tuttavia, il mio cuore batteva sempre all’impazzata, anche se avevo regolarizzato i respiri, sembrava volesse uscirmi fuori dal petto. Chiusi gli occhi ma le immagini del sogno, della realtà, tornarono vivide come non mai.
“Bene non le bastava togliermi i miei ricordi felici, doveva anche togliermi il sonno!”.
Mi voltai a guardare Emma, distesa accanto a me, forse concentrandomi su di lei sarei riuscito a ritrovare la calma. Era distesa su un fianco, in posizione fetale, con le coperte strette avvolte tutte intorno. Mi ero accorto più volte che aveva il vizio di rubare le coperte, avrei dovuto già farglielo notare con qualche frecciatina.
Mi voltai di più verso di lei, e le scostai una ciocca di capelli che le era caduta sugli occhi. Adoravo guardarla dormire; fin da subito, fin da quando eravamo andati sull’Isola che non c’è, avevo capito che quello era uno dei rari momenti in cui tutte le sue difese crollavano. Anche se mi piacevano i suoi muri e soprattutto mi piaceva riuscire ad abbatterli, quando era addormentata restava solamente Emma, la mia dolce e piccola Swan.
Sentii il mio cuore rallentare e tornare a battere regolarmente mentre cercavo di concentrarmi sul mio cigno. Mi distesi di nuovo e chiusi gli occhi, continuando a pensare ad Emma, al suo sorriso, all’effetto calmante che inevitabilmente aveva su di me. Quando era tornata a cercarmi sulla nave era riuscita a fare ciò che non avevo ottenuto con la distruzione della mia povera cabina. Mi aveva tranquillizzato nonostante tutto, mi aveva consolato pur non sapendo quasi niente.
«Ehi». All’improvviso la sua voce arrivò distinta vicina al mio orecchio e appena aprii gli occhi mi ritrovai perso nel suo immenso prato verde. Nonostante l’oscurità, sulla sua fronte riuscivo a scorgere una piccola ruga di preoccupazione.
«Scusa non volevo svegliarti».
«Non importa, ho sentito la tua mano accarezzarmi. Perché sei sveglio?».
«Ho fatto solo un brutto sogno», minimizzai.
«Mm». Mi passò le dita tra i capelli studiando la mia espressione. «Non riesci più a riaddormentarti?».
«No. Però guardarti dormire mi ha aiutato a calmarmi un po’, forse adesso riuscirò a riprendere sonno».
«Ti va di parlarne?». Feci una smorfia e non dovetti aggiungere altro perché lei capisse.
«O forse ti va di non parlarne?», aggiunse sfoderando uno dei suoi meravigliosi sorrisi.
«Che cosa intendi Swan?». Studiai la sua espressione, passandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio per poterla osservare meglio.
«Beh io conosco un metodo infallibile per riuscire a distrarti. Sono sicura che dimenticherai il tuo incubo in un batter d’occhio». Il suo tono aveva un che di malizioso
«Ah sì? Sono curioso, sembri molto sicura di te. Forse dovremo provare».
«D’accordo». In un istante si mise a cavalcioni sopra di me e mi baciò con passione. Beh sicuramente aveva ragione: quello era un ottimo modo per distrarmi.
Intrecciai la mia lingua alla sua, gustando il suo sapore e stringendola di più contro il mio petto; le sue mani stavano già vagando esperte lungo il mio corpo, verso i miei pantaloni. Una cosa fu subito certa: la mia mente si dimenticò di tutto; riuscivo solo a pensare al corpo di Emma avvinghiato a me, ai suoi baci, alla sua esuberante passione.
Con un colpo di reni riuscii a ribaltare la situazione, portandomi sopra di lei. Mi soffermai ad ammirarla con i capelli sparsi sul cuscino, lo sguardo acceso e l’accenno di un sorriso sulle labbra. Anche se aveva indosso solo una vecchia e larga maglietta era più sexy che mai.
«D’accordo, avevi ragione», affermai. «Il tuo metodo è davvero infallibile». Mi rituffai sulle sue labbra, lasciando che nella mia mente restasse solo una parola: Emma.
 
La mattina dopo lasciai che Emma andasse dagli altri per aiutarli in chissà quali ricerche. Inventai una scusa per poter rimanere da solo, e nonostante le sue proteste alla fine riuscii a convincerla. Ero più calmo rispetto al giorno prima, ma ancora fermamente deciso a tagliare fuori dalla mia vita mia madre senza ascoltare quello che aveva da dire. Se da una parte non volevo le sue spiegazioni, dall’altra però avrei ascoltato volentieri quelle di qualcun altro. Hyde mi doveva molto più che delle semplici spiegazioni. Dovevo sapere se c’era lui dietro a tutto quello che stava accadendo. Lui sapeva di mia madre? Sapeva fin da subito chi ero io e chi era lei? Era per questo che l’aveva portata a Storybrooke? Dovevo assolutamente avere delle risposte.
Sapevo che se avessi rivelato ad Emma le mie intenzioni di andare a cercare Hyde e di costringerlo a parlare con le buone o con le cattive, lei avrebbe cercato di fermarmi; probabilmente ci sarebbe anche riuscita. Non avevo uno straccio di piano, non sapevo dove era, come l’avrei costretto a parlare o cosa avrei fatto dopo. Insomma non sapevo nulla, ma ero certo che né potevo starmene con le mani in mano né potevo rimanere tranquillo a sfogliare libri con loro. Dovevo agire, che fosse una mossa stupida o meno.
Per prima cosa decisi di tentare al negozio di Gold. Non ce lo vedevo proprio Hyde ad andare tranquillamente in giro per Storybrooke come se nulla fosse. Se davvero il coccodrillo gli aveva lasciato la città era probabile che si trovasse in quello che probabilmente era il suo nuovo negozio, oltre ad essere il luogo con il più alto numero di oggetti magici non ben identificati, un requisito da non sottovalutare. Mi chiesi dove fosse Tremotino, se fosse tornato anche lui in città e se fosse finalmente riuscito a risvegliare Belle. Hyde doveva avergli dato informazioni importanti se Gold aveva deciso di regalargli Storybrooke senza protestare. Mi chiesi come avrebbe reagito Belle una volta scoperto tutto quanto, se mai il coccodrillo avesse deciso di rivelarle la verità.
Lasciai perdere Tremotino, non avevo tempo di concentrarmi su di lui; avevo già fin troppi grattacapi per lasciarmi coinvolgere dal caos che il Signore Oscuro lasciava ogni volta dietro di sé.
Arrivai di fronte al negozio di Gold. Il cartello diceva che il locale era chiuso, ma non fu difficile entrare. Bastò un colpo ben assestato alla maniglia col mio uncino che la porta si aprì cigolando. L’interno era buio, sembrava che non ci fosse nessuno e che fosse rimasto chiuso da un bel po’. Richiusi con attenzione la porta dietro di me; ci mancava solo che qualcuno notasse qualche irregolarità e mandasse lo sceriffo a controllare. Ero sicuro che Emma non l’avrebbe presa bene.
«Hyde!», chiamai. La mia voce rimbombò nella stanza, che poi piombò di nuovo nel più totale silenzio. Potevo essermi sbagliato e aver fatto un buco nell’acqua ma avevo come il presentimento che se c’era un posto dove potessi trovarlo, era proprio quello.
«Hyde! Fatti vedere, so che sei qui». La mia voce suonò più sicura di quanto fossi in realtà.
Per una volta, però, la fortuna sembrò girare dalla mia parte. Una figura si mosse nell’ombra, rilevando il volto di Hyde con il suo sguardo agghiacciante.
«Ma guarda», sospirò calmo con tono freddo e calcolatore. «Sei proprio l’ultima persona che mi aspettavo di vedere».
«Beh anche tu sei proprio l’ultima persona con cui mi aspettavo di aver bisogno di parlare», ribattei con il mio miglior atteggiamento sprezzante. Non era certo un tipo come lui a farmi  paura.
«Immagino che tu sia qui per Sylvia».
«Tu sapevi chi era? Lo hai sempre saputo?». Non misi tempo in mezzo e feci subito la domanda fondamentale.
«Sì e no. Vedi al contrario di ciò che pensate tu e i tuoi amici io voglio solo un mondo in cui le storie perse possano realizzarsi. E la sua sicuramente è una storia andata persa molto ma molto tempo fa».
«Non provare ad usare i tuoi giri di parole con me. Rispondimi: lo sapevi? Quando mi hai incontrato la prima volta mi hai subito ricollegato a lei?». Ero solo una pedina nel suo stupido piano?
«E se anche fosse? Che cosa cambierebbe adesso? Lei è qui, tu l’hai vista e ormai sai la verità. Lei non è morta come pensavi, giusto?».
Aveva perfettamente ragione, non avrebbe fatto la differenza visto che ormai avevo scoperto la sua enorme bugia. Allora perché volevo così disperatamente saperlo?
«Rispondimi», replicai in un sussurro. Non avrebbe cambiato nulla o forse avrebbe cambiato quello che provavo io. Volevo solo sapere se era lui a tirare i fili di quella assurda situazione.
«Non lo sapevo con certezza; si da il caso che mentre ti stavo strangolando abbia notato una leggera somiglianza. Dovrei forse ringraziare Jekyll per questo, non sono un tipo socievole al contrario del mio alterego. Se non fosse stato per lui non avrei saputo neanche che faccia avesse tua madre».
«E così l’hai portata qui di proposito», fremetti di rabbia.
«Oh no. Voi tendete proprio a non capire. Voglio spiegarti una cosa Capitan Uncino: le storie perse meritano di essere raccontate proprio come le vostre grandi avventure. Io sono solo responsabile di averle portate qua, in una cittadina dove tutto è possibile. Quindi quando affermi che io ho portato qua Sylvia di proposito per indebolirti, beh ti sbagli. Io l’ho portata qui perché lei è fondamentale come tutti gli altri che sono arrivati dal mio mondo».
Non riuscivo a seguire il suo discorso, non riuscivo a capire quale fosse il suo piano e cosa c’entrasse mia madre. Forse stava solo cercando di raggirarmi con le parole o forse ero semplicemente io che non riuscivo a capire quello che per lui era una cosa ovvia.
Hyde continuò a parlare nonostante le mie perplessità. «Voglio farti una domanda, credi che tua madre sia l’unica che abbia avuto a che fare con i canonici presunti eroi? Certo che no. Ogni nuovo abitante di Storybrooke si è visto scivolare via la possibilità di essere un eroe con la “e” maiuscola, il protagonista indiscusso di una storia. Ma solo perché la sua storia non è mai stata raccontata non significa che non sia stato un protagonista o altrettanto importante come Biancaneve, il Principe Azzurro o la Regina Cattiva».
«Cosa stai cercando di dirmi? Che mia madre è importante? Che l’hai portata qui per questo?».
«Sylvia è importantissima, non sai quanto. E sì possiamo affermare che l’ho portata qui con la speranza che voi insulsi protagonisti riusciste a capire come senza personaggi di contorno o storie perse voi non sareste diventati nessuno. Credi davvero che Biancaneve sarebbe riuscita a sconfiggere la Regina Cattiva e a riconquistare il regno senza un popolo a sostenerla? Hai mai pensato a quante storie perse e mai raccontate possono celarsi dietro ai sostenitori della vostra eroina? Oppure pensi che il Principe avrebbe mai rintracciato Cenerentola senza il duro lavoro dei servi di corte? Non crederai davvero che sia andato a far calzare la scarpetta di cristallo a tutte le giovani del paese da solo!».
Lo guardai senza parlare cercando di assorbire le sue parole. Quante altre sorprese dovevamo aspettarci? Dalle sue frasi sembrava che ogni nuovo arrivato fosse lì per diventare finalmente protagonista, ma la gente che avevo visto da Granny non mi era sembrata avere la stessa intenzione.
«Voglio farti un’ultima domanda?», proseguì. «Credi che saresti mai diventato Hook se non avessi creduto veramente alla morte di tua madre? Saresti diventato lo stesso oppure la morte di Sylvia è stata fondamentale per renderti quello che sei?». Certo che era stata fondamentale! Se era stato così facile cedere all’oscurità era stato anche per ciò che era successo in passato.
Il mio ringhio di rabbia fu l’unica risposta che ottenne.
«Immaginavo. Ora scusami ma credo che tu debba andartene, non ho più niente da dirti».
«Non riuscirai nei tuoi piani», fremetti.
«Davvero? E quali sarebbero i miei piani?». Il suo tono era beffardo, si stava prendendo gioco di me, ma non potevo neanche dargli tutti i torti. Non avevamo niente in mano contro di lui, avevamo solo mille domande. Era lui che aveva il coltello dalla parte del manico.
«Credo che dovresti portare un messaggio ai tuoi amici. Non potete fare nulla, siete con le spalle al muro e sai perché? Non potete attaccarmi perché non sto facendo niente. Sono solo arrivato qui e ho rivendicato quello che il Signore Oscuro mi ha accordato; io voglio solo dare importanza a persone finora sconosciute, voglio dare un finale diverso alle molte storie perse che nessuno ha mai raccontato. Voi eroi non mi attaccherete ingiustamente visto che ancora non ho fatto niente e credimi non sarò certo io a fare la prima mossa e a togliermi il vantaggio di avervi tutti con le spalle al muro. E adesso credo che tu debba proprio andare». Mi indicò la porta ed io non potetti fare altro che obbedire ed uscire.
Aveva perfettamente ragione: avevamo le mani legate fino a che lui non avesse rivelato i suoi piani. Era vero che in quel momento non stava facendo niente, ma le sue parole non lasciavano forse intendere che c’era qualcosa di più sotto?
Quel che aveva detto sulle storie mai raccontate doveva farci riflettere tutti. Avrei dovuto chiedere ad Henry se avesse scoperto qualcosa con il censimento. Ma era probabile che molte persone non avessero rivelato completamente la loro identità. Mia madre avrebbe mai ammesso di essere Sylvia Jones se io non l’avessi riconosciuta? Probabilmente no e probabilmente si faceva chiamare anche in un altro modo.
Forse Hyde aveva ragione, voleva solo dare spazio a nuovi protagonisti, ma bisognava chiedersi se anche tutti gli “amici” di Hyde volevano la stessa cosa. Ero sicuro che mia madre avrebbe portato la nostra storia nella tomba se non mi avesse incontrato, avevo potuto leggerglielo negli occhi. Sicuramente la vergogna per il suo gesto avrebbe contribuito a mantenere il suo segreto.
Scossi la testa, scacciando quei pensieri. Se avessi continuato per quella strada sarei arrivato a considerarla meno colpevole di quanto fosse in realtà. Probabilmente se le circostanze fossero state diverse, se non mi avesse lasciato in quel modo, avrei ascoltato le sue spiegazioni; ma quello che era successo era stato davvero troppo, troppo soprattutto per un bambino di quattro anni.
Dovetti scuotere la testa più forte per riuscire a scacciare quei nuovi pensieri. Avrei voluto tanto riuscire a mettere un freno alla mia mente almeno per un attimo. Cercai di concentrarmi sui miei passi ma era difficile non avendo una direzione precisa; non avevo idea di cosa fare, come potevo sapere dove andare? Sarei potuto andare da Emma, ma ero davvero pronto ad affrontare gli inevitabili sguardi colmi di domande da parte di tutti gli altri? Potevo tornare alla Jolly Roger e affrontare la devastazione della mia cabina? No, neanche quella sembrava una soluzione. Potevo andare a casa, ma una volta lì sarei stato di nuovo solo con i miei pensieri. Andare al porto ad osservare l’oceano avrebbe causato lo stesso problema. Potevo andare a bere da Granny ma c’era il rischio che incontrassi mia madre: era più che probabile che fosse lì per cercarmi, visto che era proprio là che mi aveva incontrato.
Bere! Rhum! Forse quella era una parte della soluzione. Mi fermai di colpo e tirai fuori la mia fidata fiaschetta. L’ondeggiai e constatai che per fortuna era piena.
“Alla salute mia vecchia e fedele amica”. Bevvi un’abbondante sorsata e il liquore mi bruciò la gola in una sensazione più che famigliare. Ubriacarmi non sembrava un’idea così malvagia, a parte il fatto che forse avrei potuto perdere il controllo e fare qualcosa di stupido. Forse potevo barricarmi in casa e bere fino a che non fossi stato abbastanza sbronzo da addormentarmi; Emma si sarebbe infastidita ma ero sicuro che avrebbe capito. Poi una volta passata la sbornia avrei aiutato lei e gli altri in qualsiasi cosa stessero facendo. Era solo uno stupido modo di rimandare l’inevitabile, ma ero stanco di dover fare sempre le scelte giuste. Si trattava solo di una sbronza, non era niente di trascendentale.
Rimisi a posto la fiaschetta, ormai consapevole della mia prossima mossa, e fu solo in quel momento che mi accorsi dove mi ero fermato. Non mi ero neanche accorto di essermi allontanato tanto dal centro di Storybrooke e di essere arrivato al limitare della radura, quella dove un tempo c’era l’accampamento di re Artù; la stessa radura che adesso ospitava i nuovi arrivati. E proprio lì fuori da una tenda di fortuna c’era lei. Era mai possibile che anche inconsciamente il mio corpo mi tradisse in quel modo!
Sylvia era lì in piedi e stava stendendo dei panni. Era un gesto che le avevo visto fare centinaia di volte e fu come se non fosse passato neanche un giorno, da quando io mi mettevo seduto a guardarla svolgere le faccende di casa. Era più vecchia di quando ero bambino, aveva delle rughe sotto gli occhi, ma sembrava che avesse solo una trentina di anni in più rispetto alla giovane donna dei miei ricordi. Non erano certo stati quei leggeri cambiamenti ad impedirmi di riconoscerla. La cosa strana era che sembrava invecchiata esattamente come me, sembravamo ancora madre e figlio nonostante tutto, non come Emma e Mary Margaret che invece sembravano coetanee.
Comunque a parte quegli anni in più, era esattamente la stessa; aveva la stessa acconciatura, i capelli raccolti una treccia ordinata, gli stessi occhi, lo stesso portamento. Era assurdo come potessi ricordarla così bene nonostante avessi avuto solo quattro anni.
Sbuffai e feci per voltarmi, quando sfortunatamente lei alzò gli occhi, quasi sentendosi osservata, e mi vide.
«Killian», mi chiamò. «Killian ti prego aspetta». Mi ero già voltato ma mi sembrava stupido mettermi a correre per evitarla; mi avrebbe solo fatto sembrare più colpevole. Non ero io quello che sarebbe dovuto scappare, e se l’avessi fatto avrebbe confermato ciò che in realtà non era: io non ero assolutamente andato a cercarla, ero solo maledettamente sfortunato.
«Oh Killian sei venuto! Non posso credere che tu sia qui».
«No ti sbagli». Mi voltai di scatto e me la ritrovai davanti a meno di un metro di distanza. «Non sono venuto a cercarti, sono solo così sfortunato da essere capitato qua per caso».
«Non importa, voglio solo parlare».
«Te l’ho detto, sono io che non voglio parlare con te Sylvia». Vederla trasalire sentendosi chiamare con il suo nome da me era solo una magra consolazione.
«Lo so non vuoi ascoltare le mie spiegazioni e va bene. Non cercherò scusanti per il mio comportamento, voglio solo che sia tu a parlare con me».
«E cosa dovrei dirti? Mi sembra che ieri mi sia già espresso chiaramente». Feci per voltarmi e andarmene, mi ero già trattenuto fin troppo, ma lei fece un passo in avanti e mi afferrò. Solo che al posto della mia mano si ritrovò tra le dita il mio uncino. Capii dalla sua espressione che fino ad allora quel particolare doveva esserle sfuggito.
«Come non lo sai?», la pungolai. «Adesso sono il famoso Capitan Uncino, non dirmi che non ne hai mai sentito parlare».
«Io… non sapevo che fossi tu. Mi dispiace per la tua mano». Fu quella la goccia che fece traboccare il vaso.
«Ti dispiace per la mia mano?», scattai liberandomi dalla sua stretta. «Non è di certo per quella che dovresti dispiacerti».
«Sì lo so, mi sono espressa male».
«Vuoi che io ti parli? E va bene. Vuoi sapere una cosa? Tu non sai niente! Non sai un accidente di me, di chi sono diventato, di cosa è successo dopo che te ne sei andata. Tu arrivi qui e pretendi di potermi spiegare le tue ragioni, ma lo sai un’altra cosa? Non mi interessano».
«D’accordo…». Non le diedi neanche il tempo di parlare, ormai ero esploso e non mi sarei certo fermato. Mi sentivo come una bomba e lei aveva appena acceso la miccia.
«Non mi interessano perché come ho già detto tu non sai minimamente cosa abbiamo passato io e Liam. Lo sapevi che ho avuto gli incubi per anni dopo la tua morte? Mi svegliavo ogni notte urlando, ogni notte con in testa una sola immagine. Avevo quattro anni e ho passato ore accanto al tuo cadavere, hai la minima idea del trauma che ho subito?». La sua espressione divenne una maschera di dolore proprio ad indicare che avevo colpito nel segno. Ma quello non bastò a fermarmi.
«Lo sapevi che nostro padre dopo la tua morte ha iniziato a bere e a giocare? Era così ubriaco da indebitarsi fino al collo ed essere costretto a scappare dalla legge. Lo sapevi che ha venduto me e Liam come schiavi su una nave per riuscire a scappare?».
La sua espressione si tramutò da dolore in sorpresa, poi in rabbia e poi di nuovo in dolore. «Vostro padre vi ha venduti?».
«Sì ci ha abbandonati esattamente come te. Liam è stata la mia sola famiglia, lui si è preso cura di me, lui si è sempre preso cura di me. Abbiamo lavorato come schiavi fino a che non siamo riusciti ad arruolarci nella marina e poi lui è morto. Ci sono tante altre cose che tu non sai, altre sofferenze, ma quelle sono venute dopo».
«Killian io non ne avevo idea».
«Appunto tu non ne avevi idea ed io non voglio le tue spiegazioni perché non voglio perdonarti. Devo complimentarmi con te Sylvia sei stata fondamentale nella mia vita e lo sai perché? Perché la tua morte è stata la causa di tutto, se tu non ci avessi lasciato niente di tutto quello che ti ho appena raccontato sarebbe successo. Quindi scusami se preferivo sapere che eri morta, e che non avresti potuto fare nulla per i tuoi figli, piuttosto di sapere che avresti potuto fare qualcosa e invece sei stata parte integrante di tutte le sofferenze della mia infanzia e della mia giovinezza».
Feci un passo indietro fremendo di rabbia e me ne andai senza mai voltarmi indietro. Non volevo vedere la sua espressione, ne concederle di farle vedere la mia.
Finalmente capivo in pieno le parole di Hyde. Sylvia era stata fondamentale, non aveva fatto nulla ma allo stesso tempo era stata la causa di tutto. La sua sola assenza era bastata a rendermi quel che ero: il protagonista di una delle tante favole del libro di Henry, ma a quale prezzo? Ed ecco ciò di cui Hyde non si rendeva conto: essere gli eroi delle favole significava pagare il prezzo più grande. Tutta quella sofferenza, quella continua lotta tra bene e male, valeva davvero la pena? Essere i protagonisti era davvero così importante? Purtroppo non ne ero più così sicuro.

 
Angolo dell’autrice:
Ciao a tutti ecco un altro capitolo! Ed ecco qui un piccolo pezzo di ciò che è successo tra Killian e sua madre. Piano piano si iniziano a scoprire piccole verità che forse cominciano a spiegare anche l’eccessiva reazione di Hook.
Vorrei ringraziare come sempre chi recensisce o semplicemente legge la mia storia! Grazie mille di cuore!
Fino ad ora sono riuscita ad aggiornare ogni domenica, spero di riuscirci anche la prossima settimana nonostante mi aspettino giorni piuttosto intensi.
Un abbraccio e a presto!
 
Sara
 
  
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