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Autore: gattina04    19/06/2016    4 recensioni
Tanti personaggi nuovi, le cui storie non sono mai state raccontate, sono arrivati a Storybrooke. E se tra questi si celasse qualcuno legato al passato di Hook? Come potrebbe reagire se una persona che credeva ormai perduta per sempre si aggirasse tra le vie di Storybrooke? E oltre a tutto questo cosa faranno Hyde e la Regina Cattiva?
Storia ambientata tra la quinta e la sesta stagione, cercando di immaginare ciò che sarebbe potuto accadere all'inizio di questa nuova stagione di OUAT.
Dal testo: "Non sapevo più chi guardare, non ci stavo capendo più nulla. Avrei voluto rassicurare Killian ma non sapevo neanche da cosa fosse turbato. Chi diavolo era quella donna?"
"Non era il solito bacio; sapevamo entrambi che aveva un significato diverso. Era un gesto disperato di due amanti costretti a lasciarsi troppo presto, era una atto di due innamorati separati dal destino"
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Regina Mills, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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2. Dalla tua parte
 
«Sono tuo figlio». Per un attimo pensai di aver sentito male, tuttavia Killian aveva pronunciato esattamente quelle tre parole e il suo tono non lasciava posto a fraintendimenti.
D’altro canto anche la donna di fronte a noi, sembrava sorpresa e sconvolta quanto me. Probabilmente quelle erano proprio le ultime parole che si era aspettata di sentire. Forse, nonostante tutto, Killian si era sbagliato? Come faceva una madre a non riconoscere il proprio figlio?
Cercai di ricordare cosa mi avesse detto Hook su sua madre; non molto a dir la verità. Mi aveva solo raccontato che era morta quando lui era piccolo, senza specificare nessun particolare, e cambiando subito argomento. Beh se non lo vedeva da quando era bambino era probabile che non l’avesse potuto riconoscere.
Sylvia scrutò Killian studiandolo da cima a fondo, quasi non credesse che la persona che aveva di fronte agli occhi fosse reale.
«Killian?», sussurrò infine.
«Già». Di nuovo mi ritrovai a non saper chi guardare, mi sentivo quasi di troppo in tutta quella strana situazione.
«Ma come è possibile?», domandò. «Dopo tutti questi secoli…».
«Questa domanda forse dovrei farla io». Il tono di Killian era duro, suonava quasi rabbioso. Mi voltai per afferrargli la mano e poterlo scrutare meglio. I suoi occhi scintillavano di rabbia; sembrava ferito, furioso, oltre che incredulo. Pensavo che avrebbe reagito diversamente, che sarebbe stato felice di ritrovare parte della sua famiglia, un po’ come lo era stato con Liam nell’Oltretomba, invece sembrava esattamente il contrario.
«Oh mio Dio Killian! Non posso crederci». Sylvia fece un passo in avanti tendendo le mani, la voce piene di commozione, gli occhi lucidi, sulle labbra le si disegnò un enorme sorriso.
«Non ti avvicinare». Killian si ritrasse prima che lei potesse avvicinarsi anche solo di mezzo centimetro. «Non osare toccarmi».
«Oh tesoro, capisco che tu possa essere sconvolto, ma lascia che ti spieghi». Il suo sorriso diminuì, ma non scomparve del tutto. Probabilmente si doveva essere aspettata un iniziale rifiuto.
«NO!». Il suo fu un urlo di rabbia. Lasciò andare la mia mano per poter puntare il dito contro di lei. «Tu non hai nessun diritto di spiegare».
«Killian lo so che sei arrabbiato ma se adesso mi ascolti…».
«Tu eri morta!», gridò sovrastando la sua voce. «Beh forse è opportuno dire che io ti credevo morta!».
«Lo so Killian ma lasciami il tempo di spiegare, giuro che dopo…».
«Dopo cosa? Dopo sarà tutto risolto?».
«Non credo che basterà tesoro, ma sarebbe un inizio».
«Non provare a chiamarmi tesoro. Te l’ho detto, non hai il diritto di spiegarti, ed io non ho nessuna intenzione di starti ad ascoltare».
«Ti prego non fare così», lo supplicò. Il sorriso ormai si era completamente spento di fronte a quella sua reazione.
«Io non ti ascolterò e lo sai perché? Hai perso il tuo diritto alle spiegazioni quando hai deciso di abbandonare me e Liam e di lasciarci da soli a crescere senza di te».
«Io non volevo», proruppe scoppiando in lacrime.
«Le tue lacrime non mi incantano Sylvia». Marcò l’ultima parola, in un evidente tentativo di ferirla ancora di più. «Tu potrai avere anche il mio stesso sangue, ma per quel che mi riguarda mia madre è morta quando avevo quattro anni. Tu non sei più mia madre». Se ne andò, scappando da quella situazione, il passo spedito, quasi di corsa, la mano stretta in un pugno. Restai per un attimo perplessa a guardare la donna di fronte a me; stava piangendo, pallida e tremante sembrava ancora più esile e di una fragilità disarmante. La felicità che aveva provato nel ritrovare suo figlio era stata del tutto spazzata via dalle parole che le aveva rivolto, frasi che non lasciavano intravedere nessun punto di contatto.
Mi ridestai dai miei pensieri e decisi che non avevo tempo di restare a fissare quella donna; dovevo rincorrere Killian e assicurarmi che stesse bene. Non riuscivo a capire il perché della sua totale opposizione e mi ritrovai a pensare che forse si trattava solo di una prima reazione ad una notizia tanto sconvolgente; probabilmente ripensandoci con calma avrebbe capito di aver esagerato e avrebbe accettato di sentire cosa avesse da dire sua madre. Come poteva prendere una decisione equa se non aveva anche la sua versione dei fatti?
Corsi velocemente verso il porto intuendo che si sarebbe diretto da quella parte; infatti lo trovai che stava guardando il mare, la mano ancora stretta in un pugno.
«Killian stai bene?».
Sussultò sentendo la mia voce e si volto lentamente. «Che razza di domanda è? Come posso stare bene?». Il suo sguardo era ancora scuro, l’aria sconvolta; pensai di non averlo mai visto così turbato.
«Hai ragione, la mia è stata una domanda stupida». Mi avvicinai a lui e gli presi la mano costringendo ad aprirla e ad intrecciare le dita alle mie.
«Io non ci posso credere!», proruppe. «Dio! Io non ci posso credere».
«Lo so, dopo tutto questo tempo ritrovare tua madre…».
«No Swan», mi interruppe bruscamente. «Quella donna non è più mia madre, non lo è stata per più di due secoli, non lo è adesso e non lo sarà mai». Mi morsi le labbra cercando le parole per riuscire a fargli capire che forse stava assumendo una posizione un po’ troppo estrema.
«Killian forse è solo che adesso sei ancora troppo scosso, forse dovresti prenderti un po’ di tempo per calmarti e poi ripensarci a mente fredda, con più lucidità».
Si staccò dalla mia mano e mi guardò come se non capisse il senso delle mie parole. «Che diavolo stai dicendo? Io non ho bisogno di ripensarci a mente fredda».
«Killian credo che dovresti ascoltare ciò che tua madre ha da dire».
«No!», gridò. «Io non la ascolterò, non hai sentito cosa le ho detto? Lei non ha il diritto alle spiegazioni».
«Tutti hanno il diritto alle spiegazioni», ribattei a mezza voce.
«Non una madre che ha abbandonato i suoi figli».
Cercai di cambiare approccio facendogli capire il mio punto di vista. «Prima di conoscere i miei genitori, prima di capire chi fossi veramente, avrei dato la mia stessa vita per avere delle spiegazioni, per capire il motivo per cui mi avevano abbandonata».
Il suo sguardo sembrò addolcirsi, ma durò solo un istante, subito dopo ricomparve l’espressione dura. «Emma è diverso. Io non ho mai creduto che mi avesse abbandonato, ho sempre pensato che non avesse potuto crescermi perché non c’era più, non perché non mi voleva più».
«Non puoi saperlo, forse non è così».
«Se avesse voluto avrebbe trovato il modo per tornare dai suoi figli, qualunque sia stata la ragione iniziale della sua colossale menzogna avrebbe trovato il modo per tornare».
«Però se non la ascolti come potrai sapere se non ci ha provato?».
«Dio Emma!», urlò. «Io non la starò ad ascoltare, non voglio le sue spiegazioni. Vorrei non averla mai incontrata oggi, vorrei non aver scoperto di aver creduto per secoli ad una fottuta bugia».
«Sei solo furioso e ti capisco, ma…».
«No tu non capisci Emma. Dio! Sei impossibile quando fai così». Si voltò per darmi le spalle e si portò la mano a massaggiarsi le tempie.
«Lo so che adesso non riesci a capire il mio punto di vista, ma non dico che devi perdonarla. Non so cosa è successo tra voi…».
«Ecco!». Si voltò di scatto puntandomi il dito contro. «Questo è il punto. Tu non sai niente, non puoi dirmi cosa dovrei provare o come mi dovrei comportare, non conosci niente di questa storia. Non puoi pretendere di capire cose di cui non hai mai sentito parlare».
«Sei tu che non me ne hai mai parlato», mi scappò. Non avrei voluto dirlo; sapevo che non mi aveva detto niente perché non se la sentiva. Qualunque cosa fosse successa non doveva essere stata piacevole, già il fatto di perdere la madre a quattro anni parlava per sé.
Fece un profondo respiro per cercare di calmarsi. «Hai ragione, io non te l’ho mai raccontato, fammene pure una colpa se vuoi; ma se non te ne ho parlato avrò sicuramente avuto le mie ragioni».
«Lo so. Scusa non avrei dovuto dirlo». Tentai di avvicinarmi e prendergli la mano e ma lui scivolò via.
«Emma ti chiedo solo una cosa: quando eri all’orfanotrofio e ti chiedevi chi fossero i tuoi genitori avresti preferito sapere che non ti avevano cresciuta perché erano morti o perché avevano scelto di abbandonarti e di non cercarti più?».
Non risposi e il mio silenzio parlò per me. Era ovvio che lui si sentisse tradito, aveva creduto per secoli in qualcosa che in realtà si era rivelato una bugia. Quell’incontro doveva aver cambiato radicalmente il modo in cui lui vedeva il suo passato, qualunque cosa fosse accaduta all’epoca.
«Adesso ti prego vai via, lasciami da solo. Ho solo bisogno di stare da solo». Avrei protestato ma il suo sguardo mi fece desistere. Così mi voltai e tornai lentamente verso il centro di Storybrooke.
Avevamo appena litigato, me ne rendevo conto, e per buona parte era stata colpa mia. La notte appena trascorsa sembrava lontana anni luce. Avrei voluto tanto sapere tutta la verità su quella strana storia, la verità di Killian, quella di Sylvia, avere un quadro generale della situazione. Invece non sapevo niente, non ci capivo niente e avevo in testa solo mille domande.
Forse aver passato ventotto anni della mia vita a cercare risposte sui miei genitori, mi rendeva impossibile capire perché lui non volesse fare altrettanto. Mi andava bene la rabbia, il non volerla perdonare, l’avevo provato anche io quando avevo scoperto cosa i miei avessero fatto a Lily e a Malefica, però tagliarla fuori senza nemmeno ascoltarla mi sembrava stupido. Ripensai alla faccenda di Lily quando non avevo voluto perdonare mia madre, neanche io volevo ascoltarla, però era diverso perché lei mi aveva già raccontato la storia dal suo punto di vista.
Senza neanche accorgermene mi ritrovai di fronte a Granny. Entrai come un automa, e trovai il locale più vuoto rispetto a come l’avevo lasciato. Regina ed Henry avevano interrotto il censimento ed ora erano con il dottore, mia madre e altre due persone attorno ad un tavolo. Solo dopo uno sguardo più attento notai che al centro era seduta Sylvia, un bicchiere d’acqua tra le mani tremanti, gli occhi lucidi, l’espressione stravolta.
«Emma». Regina mi venne incontro non appena mi vide. «È davvero la madre di Hook?».
Annuii stancamente non sapendo cosa altro aggiungere. Dovevo ammettere che non sapevo molto più di loro.
«Dove è Hook adesso?», continuò.
«Penso sia sulla sua nave. Voleva stare da solo. È sconvolto, pensava fosse morta, non la vedeva da quando aveva quattro anni».
«Immagino che chiunque lo sarebbe al suo posto».
«Voi siete la fidanzata di Killian?». Sylvia aveva posato il bicchiere e mi stava fissando. Doveva aver cercato di seguire la conversazione tra me e Regina.
«Sì. Sono Emma». Mi avvicinai a lei e le allungai la mano. «Piacere di conoscervi».
«Oh ti prego diamoci del tu, non ho mai sopportato tutta questa formalità». La sua voce uscì un po’ incrinata e si affretto ad asciugarsi le lacrime dagli occhi.
«Mi dispiace per prima». Non so perché mi stessi scusando, ma provavo una sorta di empatia per quella donna e vederla così mi faceva pena. Non sembrava una persona capace di abbandonare i propri figli.
«E per cosa dovresti dispiacerti?».
«Killian è solo…». Non sapevo come continuare. “È solo sconvolto adesso, ma poi sono sicura che cambierà idea?”. Ne ero davvero così sicura? Come aveva detto lui non sapevo niente. Potevo aver ragione e poteva trattarsi di una rabbia momentanea, ma Killian era testardo, proprio come me. E se così dicendo avessi alimentato solo false speranze?
Fu lei a togliermi dall’impiccio. «Killian ha ragione. Mi merito tutta la sua rabbia».
«Potrà essere arrabbiato ma non credo che lei non abbia il diritto di spiegarsi». Era più forte di me, non riuscivo ad essere d’accordo con lui su quel punto. Capivo fin troppo bene il senso di abbandono e forse era proprio il mio lato da bambina sperduta che mi faceva agire in quel modo.
«Sei molto gentile». Posò una mano sulla mia, che avevo lasciato appoggiata sul tavolo. «Killian ti ha raccontato cosa…». Si interruppe non sapendo come continuare, ma io intuii il senso della frase.
«Cosa è successo? Come credeva che sua madre fosse morta? No, non ha voluto, penso non se la sia mai sentita». Ripensai alla discussione avuta poco prima e sentii un groppo in gola; forse avevo un po’ esagerato, forse lo avevamo fatto entrambi.
«Beh immagino che sia così, non è una bella storia». Non aggiunse altro, sapendo che non era suo compito raccontarmi quella vicenda e io, d’altro canto, non domandai oltre perché non era da lei che dovevo conoscere la verità, prima spettava a Killian raccontarmi la sua versione dei fatti.
«Sylvia». Fu la donna seduta accanto a lei a parlare, la stessa che era venuta a chiamarla. Aveva un braccio intorno alle sue spalle in un vano tentativo di consolarla. «Ti va se adesso andiamo? Il dottor Jekyll ci mostrerà il nostro temporaneo accampamento». Sylvia annuì e si alzò lentamente.
Lasciai che uscissero accompagnate dal dottore, in modo da poter parlare da sola con gli altri. Vedevo dallo sguardo di Regina che voleva chiedermi altro.
«Emma credi che possiamo fidarci?».
«Penso di sì, non credo che si aspettasse di incontrare suo figlio qui».
«Già probabilmente no», convenne. «Ma il tempismo è pazzesco».
«Dopo secoli…», intervenne mia madre incredula. «Penso che credesse che nessuno fosse ancora vivo».
«Ecco. Questa è la cosa strana. Come è possibile che lei sia ancora viva? Dovrebbe essere già morta da un pezzo». Regina aveva ragione: non avrebbe dovuto essere ancora viva. Non ci avevo pensato perché a volte tendevo a dimenticarmi che Killian avesse secoli più di me. Lui era stato sull’Isola che non c’è, ma lei? Come era riuscita a non invecchiare?
«Beh questa sarà sicuramente un’ottima domanda da rivolgerle quando si sarà calmata». In quel momento non avremmo ottenuto nulla, i diretti interessati, gli unici due che sapevano tutto, non erano presenti e a noi non restava altro che un elenco di domande.
«Secondo voi», intervenne Henry, «Hyde sa chi è? Intendo lo sapeva ancor prima di portarla qui? Jekyll ha detto di non saperlo, ma Hyde può averglielo tenuto nascosto».
«Altra ottima domanda ragazzino».
«Se lo sapeva», constatò Regina, «può averla portata qui di proposito. Deve aver capito chi fosse Hook quando eravate prigionieri e questo potrebbe far parte del suo piano per minarci dall’interno. Beh sono contenta che il pirata non abbia dato relazione a quella donna, se è stata capace di abbandonarlo chissà cos’altro potrà fare».
«Non credo sia così», replicai risentita. «Non penso che lei sia al corrente dei piani di Hyde, se i suoi piani sono effettivamente questi».
«Comunque sia a quanto pare Hyde vuole Storybrooke e vuole Storybrooke senza gli eroi, i protagonisti delle storie. Se questo è opera di Hyde, come ho tutto il sospetto che sia, è un attacco volto ad indebolirti».
«Indebolire me?». Alzai un sopracciglio mostrandomi scettica.
«Oh andiamo Swan, non ragioni se si tratta del pirata. Colpire lui è come colpire te».
Stavo per protestare, ma Henry intervenne al mio posto. «In ogni modo, non credo che sia strano. Sono persone le cui storie non sono mai state raccontate, probabilmente sono entrati a far parte della vita di tutti voi senza neanche accorgervene. Penso che più scopriremo chi sono e più capiremo che sono coinvolti con tutti noi». La saggezza di Henry certe volte mi disarmava, ormai sembrava essere il migliore a gestire le crisi.
«Hai ragione Henry. Adesso non ci resta che cominciare le nostre ricerche. Dobbiamo sbrigarci prima che Hyde metta in atto il suo piano qualunque esso sia. D’altronde per ora le sue sono solo minacce, possiamo capire cosa ha in mente, fermarlo e rispedirlo da dove è venuto». Regina si avviò verso la porta, seguita da Henry. Avevano perfettamente ragione, non dovevamo perdere tempo e metterci subito a lavoro.
Feci per seguirli ma mia madre mi fermò. «Emma, aspetta». Mi fece voltare e mi prese le mani tra le sue. «Dov’è Hook? Perché non sei con lui?».
«È sulla nave, credo. Voleva stare solo».
«Cosa è successo dopo che se ne è andato?». Come diavolo aveva fatto a capire che era successo qualcosa tra me e lui?
«Niente», tergiversai. «È solo sconvolto e arrabbiato. È normale».
«Certo che è normale. Ma ti conosco Emma e non mi stai guardando negli occhi, cosa non mi stai dicendo?».
Alzai lo sguardo e le lanciai un’occhiata colpevole. «Abbiamo discusso, ho provato a spiegargli che forse stava reagendo eccessivamente, che forse a mente fredda ci avrebbe ripensato, almeno riguardo alla storia di non voler sentire le ragioni di Sylvia. Ma non mi ha dato ascolto».
Mia madre sospirò e mi trascino verso un tavolo costringendomi a mettermi a sedere davanti a lei. «Ascolta Emma, io lo so perché tu vorresti che Hook ascoltasse sua madre. So che in parte è colpa mia perché io ti ho abbandonata».
«Tu non volevi abbandonarmi», protestai prendendole la mano.
«Lo so, ma lasciami finire. Tu forse hai ragione, probabilmente è così. Killian dovrebbe ascoltare quello che Sylvia ha da dire per riuscire a capire cosa è successo veramente».
«Esatto». Mi fulminò con lo sguardo e io mi rimisi in silenzio.
«Forse parlarle sarebbe la cosa migliore, ma Emma tu non sai cosa è successo, lo sa lui, lo sa lei ma non tu. Se dici che lui non può giudicare in maniera razionale se non conosce anche la versione di sua madre, perché tu puoi esprimere il tuo giudizio non conoscendo neanche i fatti?».
«Io…», balbettai, ma in effetti aveva completamente ragione e io non sapevo cosa risponderle.
«Senti Emma. So che tu pensi di capire ciò che sta passando Killian ma non è così. Non sai cosa significa perdere un genitore da bambini. Francamente se mia madre comparisse qui all’improvviso, penso che reagirei come Hook, neanche io vorrei parlarle. Né io né te sappiamo come è stato il loro rapporto, ma credimi la morte di un genitore non è mai facile a qualunque età, figurati per un bambino di quattro anni. Puoi riuscire ad immaginare come si sia sentito tradito capendo che non era vero?».
Le sue parole mi travolsero come un fiume in piena. Quello che mi stava dicendo aveva perfettamente senso, ma io ero stata così cieca da non vederlo. Mi ero impuntata e avevo perso di vista la cosa fondamentale: Killian. «Pensi che io abbia sbagliato?». Nonostante fosse una domanda sapevo che la risposta era affermativa.
«Penso che forse tu abbia ragione, che forse parlandone potrebbero saltare fuori tante verità. Però non sempre dire le cose come stanno è la cosa migliore. Oggi Hook ha scoperto che per tutta la vita ha creduto ad una bugia, ha scoperto che sua madre non è morta ma lo ha abbandonato. Non pensi che il dolore provato quando era piccolo sia saltato di nuovo tutto fuori oggi? Non pensi che forse avrebbe soltanto voluto che tu fossi dalla sua parte?».
Senti un groppo in gola, le lacrime pungere per uscire. Certo che l’avrebbe voluto! Invece si doveva essere sentito tradito anche da me. Che razza di fidanzata ero? Dovevo restare con lui, lasciarlo sfogare, consolarlo e invece mi ci ero schierata contro. Cosa mi era saltato in mente? Avrei avuto tutto il tempo per farlo ragionare, perché non avevo capito che in quel momento era troppo per lui? Dovevo semplicemente fargli comprendere che io ero lì per lui, che sarei sempre stata lì, esattamente come lui lo era per me e invece avevo fallito anche in quello. Killian l’aveva fatto quando avevo litigato con i miei genitori, mi aveva lasciato sfogare, mi aveva fatto fare come volevo, appoggiandomi, e solo dopo mi aveva fatta ragionare. Perché non ero riuscita a fare altrettanto?
«Perché non vai da lui adesso? Sono sicura che ha ancora bisogno di te». Mi passò una mano sulla spalla e mi rivolse un sorriso incoraggiante.
«Grazie».
«È questo il compito di un genitore, farti capire quando stai sbagliando». Le rivolsi un mezzo sorriso e mi alzai, andando di corsa verso la Jolly Roger. Non ero certa di trovarlo lì ma dove altro sarebbe potuto andare?
Quando arrivai alla nave salii sul ponte, conoscendola ormai alla perfezione. Non c’era nessuno ma provai lo stesso a chiamarlo. «Killian?». Nessuna risposta.
Immaginai che fosse nella sua cabina, così scesi sotto coperta, incrociando le dita e sperando che il mio intuito non si sbagliasse.
Quando entrai nella cabina del capitano, rimasi per un attimo spiazzata. Era tutto sottosopra: libri e fogli erano sparsi per terra, insieme ad una serie indistinta di oggetti e di vestiti; il tavolo era rovesciato e c’erano delle schegge di legno lì intorno, il letto era disfatto con le coperte sotto sopra. E lì, seduto per terra, con la schiena appoggiata a una parete, il braccio sopra un ginocchio e la mano a coprirsi il volto, c’era Killian. Vederlo così mi fece sentire ancora più in colpa.
«Killian», sussurrai. Mi feci largo tra la confusione e mi accucciai accanto a lui.
«Mi dispiace per prima», bisbigliò in un tono appena udibile. Era lui a scusarsi? Il mio magone sarebbe diventato presto un pallone da calcio!
«No invece, avevi ragione. Sono io che devo scusarmi. Tu non hai fatto niente di male, tutto quello che mi hai detto è vero. Non ho nessun diritto di intromettermi nelle tue decisioni».
«Certo che puoi intrometterti nelle mie decisioni». Il suo tono era esasperato.
«Mi sono espressa male, quello che intendo dire è che non dovevo farti pressioni, avrei dovuto sostenerti, avrei dovuto consolarti. Invece ho solo pensato a quello che avrei provato io, ma non so cosa è successo e quindi non posso capire».
«Vorrei davvero raccontarti», ammise, «non vorrei avere segreti con te; ma proprio non ce la faccio Emma, è una storia che non ho mai raccontato a nessuno».
«Non importa e va bene così. So che quando sarai pronto lo farai, fino ad allora io sarò dalla tua parte, sempre». Gli passai le dita tra i capelli e lasciai che assorbisse il significato delle mie parole.
«Se non vuoi ascoltare tua madre», continuai, «per me va bene. Faremo tutto quello che vuoi e soltanto ciò che ti sentirai di fare».
«Perché questo cambiamento Swan?».
«Perché ti amo e avrei dovuto essere dalla tua parte fin da subito, anche se posso non essere del tutto d’accordo. Avrei dovuto pensare a te ed invece non l’ho fatto».
«Se qui adesso». Le sue labbra si curvarono in su per un secondo, un tempo davvero troppo breve. Aveva ancora la mano sugli occhi in modo da nascondere la sua espressione. Solo allora mi accorsi che aveva le nocche rosse, la pelle piena di tagli e probabilmente anche piena di schegge.
«Oh Killian». Presi la sua mano tra le mie e lo costrinsi a farmela vedere.
«Non è niente», minimizzò. «Avevo solo bisogno di sfogarmi».
«E così hai deciso di distruggere la tua cabina?», scherzai. «Adesso ci penso io». Usai la magia per togliere le schegge e rimarginare tutti quei piccoli taglietti.
«Ecco qua, come nuova». Solo allora alzai lo sguardo sul suo viso. Aveva la testa appoggiata al muro, gli occhi chiusi, l’espressione indecifrabile.
«Ehi». Gli accarezzai la guancia e fu il mio tocco a far apparire il mio oceano personale. E fu precisamente in quell’istante che capii quanto fossi stata insensibile. Il suo sguardo non era solo triste, era ferito.
«Oh Killian», sospirai abbracciandolo. Lui si lasciò trascinare dal mio abbraccio, in modo tale da appoggiare la testa sulla mia spalla.
«Odio sentirmi così per lei», sospirò con il viso tra i miei capelli. «Sono furioso ma sono anche…».
«Va tutto bene amore», lo interruppi. Lasciai che appoggiasse la testa sulle mie gambe ed iniziai ad accarezzargli i capelli, lasciando che fosse il mio gesto a calmarlo. Lui chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi sotto il mio tocco.
«Lo sai qual è la cosa peggiore?», disse dopo un po’. Rimasi in silenzio sapendo che non si aspettava una mia risposta ma che avrebbe continuato da solo. «La cosa peggiore è che io amavo mia madre. Quando è morta è stato orribile, però ho sempre pensato a lei come la madre migliore del mondo. Ho sempre pensato che lei non avrebbe mai voluto lasciarci orfani, avrebbe voluto crescere me e Liam ma non aveva potuto. E invece adesso me la ritrovo davanti viva e vegeta ed io la odio per questo».
«Perché ti ha mentito e ha scelto di andarsene?».
«Anche. Io la consideravo la madre migliore del mondo, la parte buona della mia famiglia, invece non è stata migliore di mio padre».
«Lo sai vero che tendi ad idolatrare un po’ troppo gli altri membri della tua famiglia? Prima con Liam, pensavi che fosse impeccabile e invece non lo era poi così tanto. Killian nessuno è perfetto, hai mai pensato che forse la parte migliore della tua famiglia sei proprio tu?».
Fece un mezzo sorriso. «Lo dici solo perché sei innamorata di me».
Gli passai un dito lungo la guancia, risalendo poi verso il suo orecchio. «Può darsi, però tu sei cambiato; come vedi tutti fanno scelte sbagliate ma non significa che le tue siano state le peggiori. C’è sempre un modo per redimesi e tu l’hai trovato».
«Ed è per questo che non voglio le sue spiegazioni», concluse.
«Per cosa?», gli domandai non capendo a cosa si riferisse.
«Non voglio le sue spiegazioni perché non voglio perdonarla per aver rovinato gli unici ricordi che avevo di lei. Ed Emma il ricordo di mia madre è sempre stato una delle cose più preziose che avessi». Beh detto così non suonava neanche tanto assurdo: non voleva ascoltarla perché quello che gli aveva fatto era troppo per riuscire a perdonarla, e sapeva che forse ascoltando le parole di Sylvia la sua determinazione avrebbe potuto vacillare.
Rimasi in silenzio continuando ad accarezzarlo, la sua testa sempre sulle mie ginocchia, le mie dita che passavano dolcemente tra i suoi capelli, sopra le sue palpebre, sulle sue labbra. Quello era il miglior modo che avessi per farmi perdonare.
«Devi andare adesso?», mi chiese dopo un po’. «Dagli altri, per Hyde? Devo venire anche io?».
«No. Gli altri se la caveranno, tu hai più bisogno di me. Possiamo fare tutto ciò che vuoi».
«Allora non ti dispiace se rimaniamo così un altro po’?».
«No va benissimo».
«Emma», sospirò aprendo gli occhi e inchiodandomi al suo sguardo. «Grazie per essere tornata».
Sorrisi e non risposi, iniziando di nuovo a coccolarlo e a dargli ciò di cui aveva bisogno in quel momento.

 
Angolo dell'autrice:
Buongiorno a tutti! Sono riuscita a rispettare la mia tabella di marcia e ad aggiornare oggi!
Vorrei ringraziare chi ha recensito lo scorso capitolo, chi ha inserito la mia storia nelle varie categorie e anche chi solamente la sta leggendo silenziosamente.
Spero che anche questo secondo capitolo vi piaccia, se volete fatemi sapere cosa ne pensate!
Un abbraccio e alla prossima
Sara
  
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