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Autore: lolasmiley    27/06/2016    2 recensioni
Aria, una bambina di sette anni, confessa il suo più grande desiderio alla carta scrivendolo sulla letterina destinata a Babbo Natale perché, infondo, lui esaudisce sempre i desideri dei bambini.
Ashton per qualche settimana all'anno si cala nei buffi panni di uno degli elfi di Babbo Natale, è un ragazzo solitario, che cerca di soffocare e dimenticare un passato triste e complicato regalando un sorriso a chi non ce l'ha.
E' proprio lui a trovarsi tra le mani la lettera di Aria che lo commuove con le sue parole sincere e profonde. Ashton si sente responsabile, perché alla fine è a lui che la piccola ha chiesto aiuto, ma sa di non poter fare nulla. Si sente colpevole, perché non è riuscito a cambiare il “mondo dei grandi” e a renderlo un po’ meno brutto.
Sa che non è giusto quello che sta succedendo ad Aria e, che se non troverà il modo per realizzare il suo desiderio, la mattina del venticinque dicembre lei smetterà di credere nella magia, nel Natale, e si ritroverà faccia a faccia con la realtà cupa, triste e amara degli adulti.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(11)

Wonderful

26 dicembre 2015

 

 

I close my eyes when I get too sad

I think thoughts that I know are bad

Close my eyes and I count to ten

Hope it’s over when I open them

 

I want the things that I had before

Like a Star Wars poster on my bedroom door

I wish I could count to ten

Make everything be wonderful again

 

Hope my mom and I hope my dad

Will figure out why they get so mad

Hear them scream, I hear them fight

They say bad words that make me wanna cry

 

Close my eyes when I go to bed

And I dream of angels who make me smile

I feel better when I hear them say

Everything will be wonderful someday

 

Promises mean everything when you’re little

And the world’s so big

I just don’t understand how

You can smile with all those tears in your eyes

Tell me everything is wonderful now

 

Please don’t tell me everything is wonderful now

 

I go to school and I run and play

I tell the kids that it’s all okay

I laugh aloud so my friends won’t know

When the bell rings I just don’t wanna go home

 

Go to my room and I close my eyes

I make believe that I have a new life

I don’t believe you when you say

Everything will be wonderful someday

 

No, I don’t wanna hear you tell me everything is wonderful now

I don’t wanna hear you say

That I will understand someday

No, no, no, no

I don’t wanna hear you say

You both have grown in a different way

No, no, no, no

I don’t wanna meet your friends

And I don’t wanna start over again

I just want my life to be the same

Just like it used to be

Some days I hate everything

Everyone and everything

Please don’t tell me everything is wonderful now

 

 

 

Chris si morse le labbra e trattenne il respiro, come se ciò l’avrebbe resa invisibile o avrebbe cancellato le parole che le erano scivolate di bocca. Restò immobile sperando di mimetizzarsi contro il petto di Ashton e aspettò. 

Aspettò una reazione da parte sua, aspettò così tanto che dovette concedersi un respiro leggero per non restare senz’aria. 

Aspettò, ma non successe nulla. O meglio, lei non notò nulla: così nascosta, non vide il sorriso che illuminò il volto di Ashton in modo tanto spontaneo che lui neanche se ne accorse. 

Quel sorriso rivelava ogni parola non detta e sarebbe bastato a spiegare ogni cosa.

Chris chiuse gli occhi, sempre più convinta di aver sbagliato a dare vita ai suoi pensieri e si chiese se Ashton la stesse abbracciando solo perché provava pena nei suoi confronti. Si sentiva una stupida. Un piccolo silenzio era bastato a farle dubitare di tutto, a renderla completamente insicura. Raccolse quello che le sembrava restasse della sua dignità insieme a un briciolo di coraggio e cercò di allontanare Ashton, decisa a salutarlo e ad andarsene in fretta dimenticando tutto quello che era appena successo. Lo spinse prima leggermente, sicura che bastasse a fargli capire che doveva lasciarla andare, ma senza risultati. Riprovò con più forza e in tutta risposta si sentì stringere ancora più forte.

«Ashton...» si sentì ancora più in imbarazzo a parlare di nuovo, ma le sembrava fosse l’unica opzione rimasta per convincerlo ad allontanarsi.

«Sì?»

«Lasciami»

«Perché?»

«Così me ne vado» rispose, un po’ seccata.

«Ah, okay»

Chris sospirò di sollievo, pensando di aver vinto, e spinse di nuovo Ashton, felice di potersene andare al più presto e tornare a casa a rimpiangere di aver mai lasciato la sua stanza. Ma, di nuovo, al suo tentativo di ribellione si sentì stringere con più forza.

«...perché non mi lasci?»

Ashton rise, ma lei non ci trovò nulla di divertente.

«Perché non voglio»

Chris finalmente sollevò la testa e lo guardò, ma la confusione che provava svanì non appena vide il sorriso sulle labbra di Ashton. Si morse la lingua per non esserne contagiata e sostenne il suo sguardo, poi lui sospirò.

«Chris, non c’è un modo per renderlo più giusto. Mi sento assolutamente inutile»

La rossa fu presa alla sprovvista: si sarebbe aspettata una ripresa dell’ultimo argomento che lei stessa aveva appena affrontato e fu confusa dal fatto che Ashton stesse quasi ignorando la sua ammissione. Si accigliò, ripensando alla giornata che avevano appena passato e rispose di getto.

«Non sei inutile»

«Mi dispiace non poter fare nulla per...»

Voleva parlare dei suoi genitori?

«Hai già fatto più di quanto dovessi, Ashton»

Chris continuava a non capire se lui avesse cambiato argomento perché si sentiva in imbarazzo o se, siccome non ricambiava i suoi sentimenti -che in realtà lei non aveva espresso in modo poi così chiaro-, aveva deciso di ignorare la sua piccola confessione. Decise di ignorarla a sua volta, almeno fin quando non avesse avuto un quadro più certo della situazione. In ogni caso non le sembrava più, come qualche istante prima, di aver rovinato tutto, e si sentì più rilassata.

«Non m’importa. Sono comunque impotente»

«Lo so, ma non capisco come tu possa fartene una colpa»

Ogni traccia del sorriso era ormai scomparsa dal volto di Ashton e la tristezza trapelava dai suoi occhi, tanto che Chris dovette davvero ricredersi e si sentì male per aver dubitato che lui le volesse almeno un po’ di bene.

«Non è questione di farsene una colpa, è che sto davvero male vedendoti soffrire e non potendo fare nulla»

«Ti ho già detto che hai fatto anche troppo»

Ashton scosse la testa e avvicinò con delicatezza una mano verso il viso di Chris, accarezzandole la guancia.

«Niente potrebbe essere troppo»

Chris gli sorrise, commossa, e, prima di finire di nuovo in lacrime, si nascose un’altra volta contro il suo petto. Si sentì ancora una stupida, ma per un altro motivo. L’ansia l’aveva aggredita dopo aver ammesso che forse provava dei sentimenti più forti della semplice amicizia nei confronti di Ashton -anche se questo non l’aveva specificato era certa che lui l’avesse capito. Adesso le sembrava molto più chiaro che quell’ansia fosse stata inutile e immotivata, l’ansia di una quattordicenne che si dichiara per la prima volta; ora stava tornando in sé e non aveva dubbi che Ashton tenesse a lei. Certo, forse non in quel senso, ma le voleva bene.

«Se trovassi delle parole che riuscissero farti sentire meglio le direi» le sussurrò lui.

«Ma le parole non servono a niente»

«Forse no. Non in questo caso, non credo»

«No, infatti» Chris pensò di aver messo fine a quel discorso, ma Ashton continuò.

«Io...»

«Smettila» lo zittì, tornando a guardarlo negli occhi. Una piccola ruga buffa si era formata tra le sopracciglia di Ashton mentre la guardava.

«Di fare cosa?»

«Di cercare di consolarmi»

«Chris, sarei un mostro se non ci provassi»

«E perché mai?»

«Sembrerebbe che non me ne importi nulla di te»

«Be’, e cosa vorresti dirmi? Che ti dispiace per me? Che non dovrei incolparmi, che tutto si aggiusterà alla fine?» rispose Chris, ironica. Ashton sospirò e abbassò gli occhi. Avrebbe voluto cambiare tutto, avrebbe voluto trovare una soluzione, avrebbe voluto...

«Lo so, so che hai ragione, so che non servirebbe a nulla e, sinceramente?»

«Sinceramente..?» lo incalzò, curiosa.

«Non è detto che alla fine tutto si aggiusti. Non come vorresti tu, quantomeno»

«Io lo so, ma non credevo l’avresti mai detto»

«No, aspetta» si corresse Ashton «voglio dire, non penso che i tuoi torneranno insieme dall’oggi al domani. Tuttavia, questo non esclude un altro possibile finale più felice»

«Tipo quale?»

«Non lo so. Non vengo dal futuro, ricordi?»

Chris sorrise e sciolse lentamente l’abbraccio -questa volta lui la lasciò fare- ma non si allontanò da Ashton.

«Be’, grazie di tutto. Ora me ne vado sul serio e ti lascio dormire» Chris raccolse la giacca e si bloccò un attimo, indecisa se abbracciarlo di nuovo molto velocemente, se dargli un bacio sulla guancia o semplicemente correre fuori dall’appartamento e tornare a casa.

«Ma non dire cazzate» prima che lei prendesse una decisione, Ashton le strappò la giacca dalle mani e la rimise sulla sedia «non ti rimando a casa a quest’ora»

Chris gli sorrise riconoscente. Un po’ aveva sperato in una reazione simile, ma non credeva che sarebbe davvero successo. Ashton si avvicinò per prenderla per mano, ma poi si ricordò di quello che lei gli aveva detto prima e decise invece di porgerle il gomito. Chris rise della galanteria con cui Ashton si era atteggiato compiendo quel gesto e poi si aggrappò al suo braccio mentre lui la conduceva fuori dalla cucina.

«Miss Price, vi prego di perdonare il disordine della mia umile dimora. Non attendevo visite e non ho avuto abbastanza tempo per nascondere tutto ciò che era fuori posto dentro qualche armadio» il tono buffo e il tentativo di simulare un accento inglese di Ashton divertirono Chris.

«Oh, Mr Irwin, dovrebbe vedere la mia stanza da letto!»

«Inaudito, una signorina disordinata! Qual rara notizia! Dovete essere davvero speciale» si complimentò. Poi, abbandonando il tono che imitava ironicamente i nobili inglesi dei libri della Austen, aggiunse «però in due non ci si sale per la scala a chiocciola. Volevo dire... perdonatemi se vi lascio procedere sola, ma lo spazio angusto non permette che io goda della vostra compagnia mentre saliamo le scale»

Chris rise e si avventurò per prima ma, appena mise un piede in camera, Ashton la sorpassò per affrettarsi a sistemare quanto poteva i vestiti sparsi sul letto sfatto. 

«Se non ti fa troppo schifo, puoi dormire qui. Il materasso è morbido» 

«Non mi fa schifo, ma mi dispiace spodestarti... Posso aiutarti?» la rossa allungò una mano per prendere una maglietta, ma Ashton scosse la testa.

«No, figurati. Comunque le poltrone non sono poi così scomode» scrollò le spalle, poi si avvicinò all’armadio pensando di offrire alla ragazza un pigiama ma, lanciando una rapida occhiata a Chris, sorrise accorgendosi che non ne aveva bisogno.

«Carino» Ashton indicò l’orso bianco. Chris arrossì e incrociò le braccia al petto per coprire la palla di lardo stampata sul suo maglioncino. Appena le parve che Ashton avesse finito di mettere in ordine si infilò sotto le coperte, rannicchiandosi in un angolo, e se le tirò sopra la testa per qualche secondo. Profumavano di bucato. Poi sbucò di nuovo fuori con un’espressione buffa ed Ashton rise, sedendosi sul letto. Chris picchiettò con la mano sulle coperte per invitarlo ad avvicinarsi.

«Potrebbe venirti mal di schiena se dormissi sulla poltrona e io non voglio sentirmi in colpa» gli spiegò con nonchalance. 

«Se è così...» Ashton spense la luce, scostò le coperte e si sdraiò accanto alla ragazza, che si rannicchiò sul suo petto, e la strinse a sé. Chris sorrise: sentiva il suo respiro, il suo cuore, il suo calore, il suo profumo. Chiuse gli occhi.

Provò a ricordare quand’era stata l’ultima volta che era andata dormire e aveva chiuso gli occhi con così tanta leggerezza, felice, senza pensieri cupi che la tenevano sveglia e si trasformavano in incubi nelle poche ore di sonno. L’ultima volta che aveva chiuso gli occhi senza desiderare di essere in un altro posto, o in un altro momento.

L’ultima volta che aveva chiuso gli occhi, e non per allontanarsi dalla realtà e sperare che, una volta riaperti, le cose fossero diverse.

Non se lo ricordava.

«Chris, te lo prometto» il sussurro di Ashton ridestò la rossa dai suoi pensieri.

«Che cosa?»

«Che sarai felice. Vedrai che un giorno sarai davvero felice»

Chris sorrise ma non aprì gli occhi. Che ingenuo, pensò.

«Non fare promesse che non puoi mantenere»

«Chi ti dice che non possa mantenerla?»

Dico che non puoi esserne davvero certo, tuttavia Chris non disse nulla e sorrise di nuovo. Lui ci credeva, ci credeva davvero.

 

 

 

«Sai, ci avevo pensato, non voglio dire “a lungo” perché probabilmente sembrerei pazza, ma ci avevo pensato. Mi chiedevo se ce l’avessi qualche difetto» spiegò ironicamente Chris, passeggiando su e giù per la stanza. Aveva svegliato Ashton, che si stropicciò gli occhi e si tirò su a sedere scompostamente sul letto. Sbadigliò. Si era perso buona parte dell’inizio del discorso e così cercò di mettere a fuoco quello che Chris stava dicendo. Nel mentre, si accorse che la rossa stava gesticolando con qualcosa che teneva nella mano. 

Si passò una mano tra i capelli ricci. Non capiva di cosa stesse parlando Chris.

«E finalmente mi si è aperto un mondo!» gli puntò contro una forchetta e lui sollevò le braccia, quasi Chris l’avesse minacciato con un’arma vera «Ashton, tu russi!»

Lui la guardò sempre più confuso. L’aveva svegliato solo per dirgli questo brandendo una posata? 

«Cos..?» 

«Russi» ripeté lei, scandendo bene le lettere.

«Davvero?»

Chris fece per ribattere ma si bloccò a labbra dischiuse e lasciò cadere il braccio con la forchetta lungo i fianchi, stupita.

«Tu...non lo sapevi?»

Ashton scrollò le spalle «sai com’è, Chris, non mi sento mentre dormo» 

«Nessuno t-» te l’ha mai detto? ma si bloccò prima di finire la domanda. Si premette leggermente con l’indice sulla punta del naso come faceva sempre quando rifletteva, e il gesto sembrò divertire molto Ashton, che ridacchiò.

Chris sventolò la mano come a dire di lasciar perdere «comunque, passando alle cose importanti: devo correre e sperare di essere a casa prima che là qualcuno si svegli...»

Ashton guardò prima la finestra, che rivelava un paesaggio invernale quasi notturno, e poi si sporse per dare un’occhiata all’orologio spostato troppo di lato per permettergli di leggere cosa indicavano le lancette.

«Ma che ore sono?»

«Le cinque»

Lui fece una smorfia di disgusto e si lasciò cadere di nuovo sul materasso. Chris ridacchiò e si infilò la giacca.

«Anche a me piacerebbe restare qui a dormire ancora un po’, ma devo andare. Comunque, siccome dormire con una locomotiva in parte non è così semplice» la sua voce fu accompagnato dai passi veloci quando si precipitò giù per la scala a chiocciola «mi sono alzata e ti ho preparato la colazione. Be’, non sono una gran cuoca ma non è male. Quindi... vado, ciao» concluse.

«Ehi, be’, grazie» si sentì dal piano di sopra.

«Ti ho rubato una maglietta, addio» urlò lei, mentre usciva «sì, nel senso... a presto» specificò poi chiudendosi la porta alle spalle.

 

 

 

La serratura scattò con un rumore secco, nonostante Chris avesse cercato di trattarla nel modo più delicato possibile, guadagnandosi un “vaffanculo” bisbigliato. La ragazza entrò in casa in punta di piedi e si richiuse la porta alle spalle, facendo ancora più attenzione mentre girava la chiave e questa volta fu ripagata da un clack più sommesso del precedente.

Chris appese la giacca e attraversò il corridoio diretta in cucina: non intendeva tornare in camera, prima di tutto per paura di svegliare sua madre o Aria, ma anche perché ogni traccia di sonno l’aveva ormai abbandonata. Non entrava molta luce dalle finestre, ma per Chris era abbastanza. Si preparò un caffè e ci versò una dose abbondante di latte, prese un paio di biscotti e decise di stendersi sulla poltrona in salotto finché qualcun altro non si fosse svegliato.

Inizialmente, presa dai suoi pensieri, non vi fece caso, ma una volta arrivata davanti al divano se ne accorse: suo padre aveva dormito lì. I cuscini riposti tutti contro il bracciolo destro, la coperta piegata male, la macchia di caffè lasciata da una tazza sul giornale appoggiato sopra il tavolino erano degli indizi inequivocabili, a cui, ora che ci pensava, si aggiungeva anche il pacco di biscotti già aperto. 

La ragazza rubò un paio di cuscini, per sistemare la poltrona a soffice rifugio, e la coperta con cui si infagottò prima di rannicchiarsi nella sua posa preferita. Restò con la tazza bollente a scaldarle le mani mentre si perdeva tra i suoi pensieri.

La sera precedente era andata a dormire abbastanza presto, insieme ad Aria, e si chiese se, prima di coricarsi, avesse visto suo padre andar via. No, decisamente no. Credeva che fosse rimasto per poter parlare -litigare- ancora un po’ con Eve, in fondo di certo avevano qualcosa di carino da dirsi che avevano trattenuto per tutta la giornata, ma che se ne sarebbe andato presto. E invece era rimasto a dormire.

Chris lanciò un’occhiata all’orologio. Erano quasi le sei. Com’era possibile che suo padre avesse dormito lì e se ne fosse andato prima che lei arrivasse?

Si morse il labbro. Suo padre l’aveva notata sgattaiolare fuori di casa, la sera precedente? Chris pregò di no, ma poi pensò che, anche se fosse stato così... Be’, chi se ne frega

Erano le sette e mezza quando i passi strascicati di Evelyn che scendeva le scale ridestarono Chris dai suoi pensieri. Sua madre si stava dirigendo in cucina, probabilmente per prepararsi del caffè, ma si fermò per un momento sulla porta del salotto notando la figlia rannicchiata sulla poltrona.

«Ehi»

Chris rispose con un cenno del capo.

«Credevo fossi ancora a letto»

«Non riuscivo a dormire»

Eve annuì, anche se dubitava che ciò fosse vero, distolse lo sguardo dondolandosi da una gamba all’altra e poi  batté la mano con delicatezza un paio di volte contro lo stipite della porta su cui si era appoggiata, come per salutarlo, e riprese la sua strada.

«Papà ha dormito qui?» chiese Chris, senza spostarsi dalla poltrona. 

«Per un po’... abbiamo parlato» ammise Evelyn, quasi sottovoce «ti vanno dei pancakes?»

«Sul serio, pancakes? Tu? Ma stai bene?» 

Eve ridacchiò e l’espressione di Chris si fece sempre più corrucciata.

Era da parecchio che nessuno provava a cucinare qualcosa, tanto che Chris ormai aveva scordato il sapore dei pancakes a colazione, o delle uova strapazzate.

«Di che avete parlato?»

«Sai, credo che... le cose andranno meglio, ora» sussurrò Eve, dalla cucina. La ragazza saltò a sedere in modo più composto e si voltò, incredula. Possibile che..?

«Cosa? Vuoi dire che volete...rimettervi insieme?» farfugliò, sorpresa.

«Rimetterci..? Oh santo cielo, no» 

Certo, era ovvio. Chris si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona, scoraggiata. Che sciocca, cosa aveva creduto? Degli stupidi dolcetti erano bastati a darle qualche assurda speranza. Probabilmente con la chiacchierata che aveva tanto allietato l’umore di Evelyn erano soltanto stati stabiliti i termini del divorzio. Termini che dovevano essere più favorevoli per lei che per James, evidentemente.

«E allora non dirmi che le cose andranno meglio» sbottò.

«Chris...» sospirò Eve, ma venne interrotta dalla figlia.

«Non ci credo. Perché dovrei? Cosa vuol dire che credi le cose andranno meglio? Hai imparato a leggere il futuro? Sei andata da una chiromante? Ti sei provata a informare su cosa vorremmo io e Aria, per una volta? Hai lanciato una monetina o guardato le statistiche? Il meteo promette bene la settimana prossima?»

«Smettila»

«Ma smettila tu. Come fai a sparare una cosa del genere, così a caso. Giochiamo a indovina indovinello, già che ci siamo. Credo che... più tardi pioveranno conigli!»

Sua madre stava iniziando ad arrabbiarsi e aveva abbandonato l’impasto dei pancakes sul ripiano della cucina, tornando in salotto. L’espressione sul suo viso andava facendosi sempre più severa.

«Chris, è impossibile parlare con te!»

«Già, forse perché le volte che ci ho provato non hai mai -non avete mai- voluto ascoltarmi, e ora mi sono stancata delle vostre stronzate!» la ragazza si alzò in piedi, incapace di contenere la collera.

Sua madre avrebbe voluto ribattere, ma si fermò e rimase in silenzio per un attimo, sperando che Chris assorbisse le sue stesse parole e che si rendesse conto di quanto fossero state dure. Non successe nulla. La ragazza se ne stava zitta, in piedi, pronta a scattare, a difendersi e ad attaccare, le guance imporporate e le mani chiuse a pugno.

Eve sospirò.

«Tu credi che sia colpa mia, se io e tuo padre ci stiamo lasciando?»

«Io credo sia colpa di entrambi» non aveva bisogno di rifletterci, ne era più che certa.

«Perché ti comporti così con me, allora?»

«Forse perché, a prescindere da quello che può essere successo tra voi, sei tu che di solito ci tratti di merda..?» ribatté, ironica.

«Chris, questo non è vero»

La rossa sollevò le braccia in segno di resa: «ah, no, hai ragione, scusa. Errore mio»

«Lo vedi? Non si può parlare con te!» urlò Evelyn, ferita.

«Parlare? Sentiamo, di cosa vorresti parlare?»

«Capisco che tu stia soffrendo, ma non è che per me non sia così...»

«Vedi, è proprio questo il punto. Io non credo proprio che tu capisca un bel niente, altrimenti ti comporteresti diversamente. Sembra che non te ne importi nulla di me e di Aria. Neanche a papà granché, in realtà»

«Non è così!» provò a difendersi Eve «Credimi, un giorno capirai» 

«No! Mamma, no! Non dirmi che un giorno capirò, dannazione!»

«Chris, purtroppo l’amore a volte finisce...»

«Questo l’ho capito fin troppo bene, ma non capirò mai perché avete fatto me se non vi amavate! Non lo capirò mai! “Facciamo un bambino, risolverà tutti i nostri problemi” ma i problemi li avevate in testa, cazzo. Egoisti» gridò, frustrata. Era stanca. Voleva andarsene.

«E a te non sembra di essere un po’ egoista?» la incalzò Evelyn.

Il colpo decisivo. Chris tremava da quanto era nervosa e incrociò le braccia al petto per non darlo a vedere. Annuì, deglutendo a fatica il groppo che le si era formato il gola.

«Se a me non..?» sussurrò «Dio mio! Sì, sono terribilmente egoista per criticare il fatto che da prima che nascessi, fino ad ora, a nessuno di voi importa di me, di Aria, di quello che vorremmo, perché siete troppo impegnati a farvi la guerra e a discutere ad ogni parola. Accidenti, grazie di avermelo fatto notare! Sai che c’è? Hai ragione, con me non si può parlare. Non ho altro da dirti» Chris indietreggiò fino ad uscire dal salotto e poi corse su per le scale, fino alla sua camera, e ci si chiuse dentro. Spalancò la finestra e si sedette sul balcone a respirare un po’ d’aria fredda.

Eve, di sotto, restò immobile per un paio di minuti e si concesse di versare qualche lacrima in silenzio. Poi si asciugò le guance e tirò su con naso, tornò in cucina a cercare una delle vecchie bottiglie di James.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

scusate il ritardo LO SO SONO PIU’ INCOSTANTE DEL TEMPO QUESTI GIORNI mi schifo da sola

raga come vanno le vacanze?

qui la situa si è evoluta: si passa da 18° a 36° in due giorni............

poi mia nonna vede il brutto tempo arrivare (nuvole nere nerissime), esce con la candela benedetta e BENEDICE IL TEMPO, OKAY?, così che non venga la pioggia. 

cinque minuti dopo diluvia+lampi tuoni saette che ti scuotono anche le budella RIDO TANTISSIMO AHAHAHHAH

(in realtà sono felice perché amo i temporali ed è bellissimo stare in camera rannicchiata sul letto con la copertina a scrivere con i tuoni di sottofondo)

btw questo capitolo è stato un PARTO e non so neanche il perché, soprattutto la parte in cui litiga con sua madre oh god. A momenti vado da mia mamma piangendo a chiederle scusa se la protagonista della mia storia ha urlato contro sua madre AHAHA

scusate eventuali errori, ma sono stufa e potrei rileggere quello che scrivo ottanta volte e non accorgermi di un “un’altro” o che ne so. 

quindi addiooo

 

 

 

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