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Autore: rora02L    28/06/2016    0 recensioni
SPOILER!
Tratto dal testo:"Elena, non sai cosa ti aspetta: appena ti svegli, voglio fare un po’ di ginnastica da letto con te in stile vampiro, per l’ultima volta. Ti stravolgerò, piccola. Poi, quando sarò umano anche io, voglio una caterva di figli da te."
Ho scritto un possibile finale della storia, ovviamente frutto della mia immaginazione.
Ispirato dalla canzone "Di nuovo umani" di La Bella e la Bestia, Disney.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Elena Gilbert, Nuovo personaggio, Stefan Salvatore | Coppie: Damon/Elena
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3.


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Tornare a fare cose normali da umani è strano per entrambi, ma sicuramente di più per me, che sono stato vampiro per così tanto tempo. Per fortuna, Elena appartiene a quest’epoca e non ha problemi nell’aiutarmi a fare cose come pagare le tasse o non uccidere il figlio impertinente del vicino staccandogli la testa dal collo. Odio quel moccioso, mi provoca di continuo e mi fa le linguacce… che cosa non gli farei se potessi! Ma devo fare il bravo anche per Elena, altrimenti dovranno cacciarci da casa nostra e l’idea non mi piace per nulla. Anche perché ho intenzione di invitare mio fratello a trovarci presto, come avevo promesso. So che è in Madagascar a guardare i lemuri o al Polo Nord per salutarmi i pinguini, ma non può perdersi l’evento che tra pochi mesi accadrà. Eh già, ragazzi: il vecchio Damon non fa mai cilecca ed Elena adesso ha uno splendido pancione.
Entro in casa e la trovo ai fornelli, intenta a lottare con la padella per girare il suo terzo pancakes. Sorrido, adoro vederla così indaffarata per prepararmi la colazione. Appoggio allora le braccia allo schienale di legno di una delle nostre sedie in cucina, finché Elena non esclama: “Potresti aiutarmi, invece che stare lì a fissarmi, che ne dici?”
Ridacchio e, mentre mi avvicino a lei, ribatto: “Ma dai, mi stavo divertendo! Vederti indaffarata a cucinare… è uno spettacolo imperdibile, specie con questo stupendo pancione!”
Lei mi lancia una occhiataccia torva, ma non ribatte solo perché ho nominato il pancione. I primi tempi, mia moglie era sempre attenta affinché la casa fosse in ordine e la sua bellezza non sfiorisse. Nonostante i turni di lavoro massacranti per lei e la gestione del bar per me, trovavamo sempre un modo per stare insieme tutti i giorni, per almeno un’ora. Magari io staccavo dal bar prima, passavo dal fiorista e compravo un gigantesco mazzo di fiori multicolori con cui mi presentavo in ospedale… e passavamo una oretta a coccolarci in una stanza abbandonata e debitamente chiusa a chiave. Oppure Elena tornava dall’ospedale prima del tempo grazie a qualche cambio di turni, lo aveva fatto il mio compleanno, facendomi trovare a casa una splendida cena italiana (preparata miracolosamente da lei… o dalla vicina che di cognome fa Verdini) accompagnata da una bottiglia di bourbon e in linea al telefono mio fratello.
Le faccio segno di spostarsi, insistendo per ultimare da me la colazione per quel giorno. Elena mi fa il broncio e borbotta qualcosa sul fatto che essere incinta non la rende paraplegica. Sospiro, roteando gli occhi esasperato: “Non insistere, signora Salvatore! Porti in grembo il mio piccolino e non tollero che tu possa mangiare pancakes mezzi crudi o interamente bruciati… come quelli che hai fatto fino ad ora.”
Lei abbassa lo sguardo colpevole, facendomi ridere. Porto in tavola la colazione e mi siedo accanto a lei, dandole un dolce bacio sul capo. Sento Elena sussultare: “Ha dato un calcetto.”
Il suo sorriso è stupendo e mi contagia. Non so bene come comportarmi con un pargoletto e nemmeno che cosa significhi il calcio per cui mia moglie è così entusiasta. Ma mi sento immensamente grato per questo dono. Elena mi prende per mano e la guida fino al suo grembo da madre: sento calciare il nascituro. Ed il mio cuore perde un battito. Elena mi chiede di salutarlo, di chinarmi e parlargli: “Così quando sarà nato riconoscerà la tua voce. Avanti, tesoro… saluta tuo figlio.”
Mi chino verso il pancione, un po’ imbarazzato, ma inizio ugualmente a parlare: “Ehi, campione… emh, rifacciamolo, direi che non è da me. Ciao, piccola peste. Immagino si stia bene dentro la pancia della tua dolce mammina, ma qua fuori c’è un sacco di gente che aspetta solo di conoscerti, soprattutto io e la mamma. Vedi di uscire presto.”
Mia moglie ride, felice come non mai. Ma un pensiero oscuro mi prende per le viscere: sto per avere un figlio. Io, Damon Salvatore, sto per diventare padre e forse sarà l’unica cosa buona che avrò fatto nella mia esistenza fino ad ora, oltre a sposare Elena. Ma… come potrò essere un buon padre, se il mio è stato pessimo e se fino a qualche mese fa ero un mostro assetato di sangue? Mi risveglio dai miei pensieri al tocco di mia moglie, che mi accarezza il viso: “Damon, che succede?”
Scuoto la testa e la rassicuro: “Assolutamente nulla, mia dolcezza. Ora direi che è arrivato il momento della pappa, magari il piccolo scalcia perché non vede l’ora di assaggiare la specialità del suo magnifico papà.”
Certe abitudini non me le toglierò mai… ad esempio mentire ad Elena quando qualcosa non va.

“Damon, smettila di farneticare sul fatto che nostro padre fosse un pessimo genitore! Tu non sei lui, ricordi? Magari ora che vengo a trovare te ed Elena riesco a farti ragionare…” mi sgrida Stefan, dopo aver sentito le mie paure sulla paternità. Forse ho sbagliato persona con cui confidarmi. Ritorno a girare per il soggiorno, irrequieto: “Non me lo perdonerei mai se crescessi nostro figlio come ha fatto nostro padre! Ma io… non ho idea di come sia essere un bravo genitore.”
Ecco, l’ho detto. Forse è stato un errore o un passo troppo affrettato. Mi immagino già Stefan che rotea gli occhi spazientito: “Ne hai parlato con Elena?”
Ero dannatamente certo che me lo avrebbe chiesto, Stefan non cambia mai! Rispondo scocciato: “No, certo che no. Magari penserebbe che non voglio questo figlio, quando invece sapere che presto nascerà è la gioia più grande che mi sia mai capitata nella vita!”
Mio fratello completa la frase per me, mi conosce bene: “Ed hai paura di rovinare tutto, come hai fatto in passato. Damon, smettila di privarti della felicità e di punirti, come se non meritassi alcun bene nella tua vita. Hai voltato pagina, stai con Elena, sei umano e sei cambiato. Devi concederti la possibilità di provare cosa significa essere padre.”
Ma il panico si è ormai impossessato di me e ribatto: “E se dovessi sbagliare e combinare uno dei miei soliti casini? E se perdessi l’amore di mio figlio e di Elena per un mio errore?” Dopo un attimo di silenzio, mio fratello risponde sereno: “Rimedierai. Lo hai sempre fatto e loro ti perdoneranno. Elena ti ama ed anche tuo figlio ti amerà. Al massimo, verrò io a rimediare ai tuoi errori, come ho sempre fatto negli ultimi 150 anni e passa. Smettila di preoccuparti, Damon, e sii felice per il dono che ti è stato dato. Ah, a proposito, avete scelto il nome? Non mi sembra giusto continuare a chiamarlo piccolo, bambino o tuo figlio.”
Sorrido e ridacchio, consapevole che la mia risposta sorprenderà il mio caro fratellino: “Pensi davvero che non abbiamo provveduto? Elena è stata notti intere sveglia a scrivere un intero elenco di nomi, da Alarich a Zain… ma alla fina abbiamo scelto un nome. Presto verrai a salutare tuo nipote, Stefan Salvatore.”

Fisso mio figlio dritto negli occhi bruni, studiandone i lineamenti con attenzione. Dev’essermi sfuggito qualcosa, non mi assomiglia per nulla. Sembra più un misto tra mia moglie e mio fratello. Il piccolo Stefan gira la testa di lato e mi ritrovo a fare lo stesso per non perdere il contatto visivo con lui. Mio figlio tiene i piccoli pugnetti candidi serrati, mentre se ne sta sdraiato nella culletta d’ospedale che porta il suo nome su un orribile cartello azzurro a forma di cicogna. Mi viene quasi il dubbio che abbia preso tutto da Stefan, la cosa mi irriterebbe un po’: ne basta uno di eroe Salvatore su questo pianeta, due sarebbero seccanti. Specie se il secondo è mio figlio.
In quel momento, entra nella stanza mio fratello. Lo saluto con un sorriso: “Sono contento che tu sia venuto, fratellino.” Lui mi sorride di rimando, chiedendomi del parto e di Elena. “Direi che è andato tutto bene, mamma e pargoletto sono in splendida salute. Vieni, te lo presento.”
Gli faccio cenno di avvicinarsi e noto già che mio fratello cerca il nipote con lo sguardo, scandagliando i vari cognomi presenti nella stanza dei neonati. Finché i suoi occhi non si posano sulla culla di mio figlio e rimane stupito. Volta il viso verso di me, avrei voglia di ridere per la sua bocca aperta: “Lui… ha il mio nome?”
Aggrotto le sopracciglia, mi sembrava di essere stato chiaro poche settimane fa al telefono. Pare di no, così ribatto: “Certo che ha il tuo nome, Stefan. Tu sei sempre importante per me ed Elena… e poi, cavolo, mi sembrava di avertelo detto al telefono, no?”
Stefan scuote la testa, incredulo: “Io… credevo fosse un gioco di parole o un tuo stupido scherzo, non pensavo che…” Smette subito di parlare, fissando il pargoletto nella culla. Sorrido orgoglioso e commento: “Ti assomiglia. Anzi, sembra la tua fotocopia. Ah, speravo somigliasse almeno un po’ a me. Diciamocelo, fratello, sono decisamente più attraente di te, con la tua aria da santarellino.”
Stefan ride, ma questa volta è davvero felice, vedo i suoi occhi brillare: “Non contarci per troppo tempo, Damon. Ne riparleremo tra trent’anni, quando tu sarai un mezzo vecchietto ed io avrò ancora il mio aspetto da giovane ragazzetto.” Alzo le mani in segno di resa e fingo un colpo di fioretto al petto: “Touchè, fratellino!”
Scherziamo su queste cose perché, attualmente, è l’unico modo in cui possiamo sopportarle. So bene che Stefan non sopporta l’idea di vedermi morire e di non poter invecchiare con me o almeno restare immortali insieme. Sa che mi vedrà con il bastone della vecchiaia, a prendere pillole per il diabete o a scarrozzare Elena sulla sua sedia a rotelle, mentre le ricordo che le sue ginocchia non sono più quelle di un tempo.
Sento mio fratello tirare un grosso respiro, sta pensando le stesse cose a cui penso io. Gli do una pacca sulla spalla, cercando di fargli coraggio. Perché la morte non mi fa paura, sono già morto due volte. Non è quello, perché è il prezzo da pagare per avere una vita piena col mio amore. No, mi preoccupa mio fratello: come reagirà quando me ne andrò?
Guardo mio figlio ancora e lo indico a Stefan: “Lo vedi, quel pargoletto che porta il tuo stesso nome? Lui saprà la verità. Non voglio che cresca senza il suo zio Stefan, dato che ne ha uno solo. E quel piccolo birbante, lo vedo già dal suo sguardo ammiccante alle culle con il fiocco rosa, farà una schiera di pargoletti paffuti quanto lui. E tutti ti chiameranno zio Stefan. Non sarai mai solo, fratello.”

Devo dire che vedere Elena mentre allatta nostro figlio è uno spettacolo ancora più meraviglioso di quanto immaginassi. Almeno tutte quelle volte a sopportare gli sbalzi d’umore improvvisi e le voglie di ciliegie d’inverno di Elena sono servite a qualcosa. Ora che ci penso, il piccolo Stefan, mio fratello, adorava le ciliegie, tanto che a volte le rubava dai frutteti. Sorrido a quel ricordo, mentre Elena parlotta con mio figlio. Tutto sotto lo sguardo incantato di mio fratello: sembra che il piccolo sia per lui una specie di magico neonato o di essere sovrannaturale, mentre… bè, adesso è solo lui l’essere sovrannaturale, essendo un vampiro. Mia moglie allora gli chiede se lo vuole tenere in braccio e lui sgrana gli occhi, sorpreso: “Posso…?”
La mia adorata annuisce, sorridendogli rassicurante. Stefan si allunga verso il suo caro nipotino, prendendolo come se fosse un vaso di terracotta del periodo Ming, col timore reverenziale di romperlo. Allora io esclamo: “Stefan, stai tranquillo, non morde. Tienilo bene, dai… - mi avvicino e sposto il braccio di mio fratello- coosì, perfetto.”
Lui guarda il neonato ancora più emozionato, neanche gli avessi messo tra le braccia l’Oscar di Leonardo Di Caprio. Ma sorrido compiaciuto, so che mio figlio è fantastico. Appoggio una mano sulla spalla della mia mogliettina ed commento, orgoglioso, rivolto a lei: “Abbiamo fatto proprio un bel bambino, eh?”
Lei mi sorride, noto la stanchezza sul suo volto, ma non basta ad oscurare la felicità per quel momento.

Stefan Junior è peggio di mio fratello da piccolo: si sveglia urlando nel cuore della notte, piange spesso, fa chili di popù… Ma è bellissimo vedere Elena che lo allatta, cullarlo tra le braccia e vedere i suoi occhietti scrutarmi incuriositi, per poi sorridermi con quella boccuccia sdentata da neonato, emettendo gridolini che neanche i delfini sono capaci di fare. Ma a volte mi fa davvero impazzire. Sono steso sul letto, finalmente il pupo si è addormentato ed accanto a me c’è una sfinita Elena. La sento sospirare, per poi chiedermi dal nulla: “Secondo te, quale sarà la prima parola di Stef?”
Alzo un sopracciglio, leggermente turbato per la domanda: non ci avevo mai pensato. Così rispondo ad istinto: “Suppongo qualcosa del tipo pappa, mamma o cacca, perché me lo chiedi?” La vedo sorridere, guardando il soffitto: “Secondo me ti sbagli.”
Ridacchio, odio sbagliare: “Allora mi illumini, professoressa Elena. Da quando vedi nel futuro, abbiamo per caso comprato una palla di cristallo da qualche strega bididibodibi?” Anche lei ride ora, rispondendo poi seria: “No, è solo… me lo sento. Forse riguarda il mio istinto femminile.”
Appoggio la testa sulla sua spalla, giocando coi lunghi capelli corvini di mia moglie: “E quale pensi sarà la prima parola di nostro figlio?”
Lei sorride e mi risponde con una semplicità disarmante, tanto che rimango senza parole. Mentre chiudo gli occhi e cerco di addormentarmi, quella parola rimbomba ancora nella mia testa. Forse perché temevo di non essere adatto per questo compito o che sarei stato un disastro totale, rovinando tutto come al mio solito. Ma Elena crede in me. Per questo lo ha detto.

“Papà.”

  
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