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Autore: Castiga Akirashi    28/06/2016    0 recensioni
- ATTENZIONE: questa storia è il seguito di Black Hole. Se non avete l'avete letta, la comprensione potrebbe risultare difficile. -
Due anime gemelle sono due metà che si compongono.
Una non può vivere senza l'altra.
Raphael ha perso la sua e, ora, la sua unica gioia è Lily.
Ma capirà presto che non è mai troppo tardi per essere felici...
Questa storia è un po' diversa dalle altre sui Pokémon... diciamo che ci sono lotte, ci sono Pokémon ma c'è anche altro. Ho cercato di inserire il più possibile inerente all'argomento.
Buona lettura!
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lance, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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La notizia era su tutti i telegiornali e su tutti i quotidiani di tutta la nazione. E anche oltre oceano.
L'avvocato Raphael Grayhowl era un corrotto e difendeva una bestia perché ne era innamorato.
La belva tornata e mai dimenticata aveva sedotto uno dei più grandi avvocati del continente e lui ci era cascato.
Lilith Grayhowl è figlia del Demone Rosso.
Tre notizie, scritte in tutti i modi possibili, che dicevano sostanzialmente la stessa cosa.
L’avvocato ormai, non veniva più richiesto, perché dicevano fosse un corrotto, e i suoi “amici” in procura lo canzonavano, dicendogli che aveva rotto il suo giuramento, che doveva solo vergognarsi di ciò che stava facendo. Ma a lui non importava. Lui doveva salvare Athena. Lei non lo avrebbe mai tradito. Sarebbe stata sempre e comunque con lui, nel bene e nel male. La batosta più grande fu quando Gabriel lo cercò per inveirgli contro, concludendo con: «Mi hai molto deluso. Ti credevo una brava persona e, invece, scopro che ti sei fatto intortare da una pazza psicopatica. Per fortuna, ho aperto gli occhi.»
Raphael, sconvolto, cercò di chiedere spiegazioni, di capire il motivo di tanta ostilità e di questo voltafaccia dal suo migliore amico, ma lui, con un’occhiataccia gelida degna del fratello, l'aveva salutato, dicendo: «Le tue giustificazioni non mi toccano.»
Poi, aveva preso la porta ed era andato via, per non farsi vedere mai più. Raphael non poteva credere che la loro amicizia fosse finita così. Tentò di chiamarlo, di parlargli, ma nulla. Distrutto, andò da Lance e lo pregò in ginocchio di poter vedere la sua ragazza, trattenendo a stento le lacrime. Il Campione vide quanto fosse disperato, così ovviamente acconsentì, sentendosi però tremendamente in colpa. Era stato lui a far uscire quel macello. Athena entrò poco dopo nella stanza degli interrogatori, isolata e sigillata, e lo vide in lacrime.
«Raphael! Che cosa succede?!» esclamò, correndogli vicino mentre le catene tintinnavano.
Lui l’abbracciò, quasi aggrappandosi a lei con disperazione, piangendo sulla sua spalla; lei lo strinse piano, non capendo cosa gli fosse successo ma dandogli tutto il conforto possibile in quel momento. Un crollo del genere non era da lui. Lance le aveva detto ciò che era successo e lei immaginava che ora gli dessero tutti contro, ma non capiva cosa potesse averlo distrutto in quel modo. Lui si calmò un momento e singhiozzò, per spiegarle: «Non vuole più vedermi, Athena. Pensavo che la nostra amicizia avrebbe resistito a tutto e invece mi sbagliavo. Gabriel non vuole più vedermi!»
Lei lo cullò dolcemente, accarezzandolo piano, con un quadro chiaro della situazione. Raphael le aveva spesso parlato di questo Gabriel, di come fossero amici, quindi poteva capire il motivo della sua sofferenza. Cercava di consolarlo, conscia che però la colpa era sia di Lance ma anche sua, per via della sua brutta fama di Bestia del Continente. Se Raphael non si fosse mai innamorato di lei, ora non avrebbe avuto tutti questi problemi.
“Il fratellino di mister Legge ha fatto proprio un bel lavoro. Non avevo mai visto Raphael così distrutto.” pensò mentre cercava di confortarlo in qualche modo, nel limite delle sue capacità di psicotica.
Quando si fu sfogato del tutto, la spalla di Athena era bagnata fradicia e lui aveva gli occhi rossi.
«Scusami…» mormorò, asciugandosi le ultime lacrime e sentendosi un po' in imbarazzo.
Lei gli sorrise e rispose, accarezzandogli la testa: «Shh.. va tutto bene scemo… tutto bene…»
Lui si posò ancora a lei, in cerca di conforto. Sapeva che con Athena non doveva vergognarsi di nulla. La sua piccola pazza sarebbe stata sempre al suo fianco. Come lui per lei.
«Credevo che la nostra amicizia avrebbe superato tutto.» borbottò, chiudendo gli occhi al tocco sulla sua testa: «Ma evidentemente mi sbagliavo.»
«Secondo me ritorna.» rispose lei, in un tentativo di risollevargli il morale: «Sai, quando Belle e Cheren mi videro sistemare Maxus, scoprendo poi chi ero veramente, mi evitarono per parecchio tempo. Poi non so cosa li ha fatti cambiare, ma hanno deciso che mi volevano bene e che era stupido starmi lontana. A loro non avevo mai torto un capello.»
«Credi che una volta elaborata la cosa, tornerà?» chiese lui, quasi speranzoso; Gabriel era stato il suo unico e vero amico in un momento di grande dolore, quindi non poteva pensare di non vederlo mai più, di non uscire più con lui, di non divertirsi più insieme a lui.
Lei alzò le spalle, rispondendo automaticamente in maniera lievemente insensibile ma diretta, come voleva la sua malattia mentale: «Non lo so. È una delle opzioni. Le reazioni sono soggettive.»
Raphael ignorò il commento, sapendo che la sua compagna faceva del suo meglio per consolarlo, si drizzò in piedi, ritrovando un po' di dignità e disse, abbracciandola e stringendola a sé: «Grazie, piccola pazza.»
«E di cosa, scemotto?» rispose lei, sorridendogli. Aveva, però, un sorriso strano, velato da qualcosa. Sembrava inquieta e non pareva rilassarsi un momento, neanche tra le sue braccia. Raphael non ci diede peso, pur sentendo dal suo corpo che qualcosa non andava. Era normale. Dopotutto, erano loro contro il mondo: il peso di quella responsabilità era enorme ma solo insieme sarebbero potuti resistere. Athena tornò in cella, dopo averlo salutato e si massaggiò le tempie, chiudendo gli occhi... ma quando cominciò a parlare con Thomas, sembrava tutto normale.
Anche Lily non se la passava bene. Non poteva più andare a scuola senza che la tormentassero.
«Mostro! Mostro!» le urlavano tutti nella scuola: «Tua madre è un mostro e anche tu lo sei!»
La gente per strada la additava e mormorava malignità, additandola come una pazza criminale pronta ad uccidere senza motivo. Era tutti i giorni la stessa storia. Lei smise di andare a trovare la madre, non riusciva nemmeno a pensarla senza arrabbiarsi; non parlò né con N, né con suo padre, perché difendevano quella donna che le stava rovinando la vita; nemmeno con Giovanni, nonostante il loro rapporto fosse migliorato parecchio. Alla fine, snervata da tutto e da tutti, soprattutto dalla pressione di quel periodo nero e dall’accanimento del mondo verso di lei, urlò contro il padre: «Sarebbe stato meglio se non fosse mai tornata! La odio! È un mostro e mi ha rovinato la vita!»
Raphael cercò di parlarle, ma lei non era lucida. L'ira per l'incomprensione di tutto quello che le stava accadendo l'aveva portata a chiudere gli occhi e vedere la madre come la vedevano tutti: una bestia. Lui cercò di farla ragionare, ma non riuscendoci, andò da Athena. Aveva bisogno di parlarle e di chiederle consiglio. Lily le assomigliava molto e magari lei aveva qualche idea per calmarla.
«Non mi meraviglia.» rispose la donna, con un’alzata di spalle alla fine del racconto: «Me lo immaginavo. Per lei deve essere dura. Finché danno del mostro a me, non è un problema. In fin dei conti è quello che sono. Ma lei non c'entra nulla. È solo vittima dell’ignoranza della gente.»
Lui si rattristò, pensando a quanto avesse ragione, anche se odiava sentirla darsi della bestia, e ribatté: «Sì, però… non voglio che lei odi sua madre… almeno lei dovrebbe…»
«Lei non deve niente, Raphael.» borbottò la donna, interrompendolo decisa a chiarire la questione: «È normale che ce l’abbia con me. Da un giorno all’altro è stata additata come una belva malata di mente per causa mia. Cosa pretendi? Dai tempo al tempo. Forse capirà, forse no… non lo so, ma voglio solo che lei sia felice. E se lo è odiandomi, ben venga.»
Raphael non seppe che replicare. Non voleva darle ragione. Guardandola, notò delle marcate occhiaie, così chiese: «Senti, Athena ma... va tutto bene? Cioè, lo so, è un periodo di inferno, ma...»
«Sì, sì.» rispose distrattamente lei, leccandosi le labbra, in un tic involontario che aveva un preciso significato e che lui conosceva bene: «Tutto bene.»
A lui il segnale non sfuggì. Sapeva bene cosa voleva dire. La strinse, cercando di darle un po' di affetto, di farle capire che lui era con lei e che non l'avrebbe mai abbandonata. Poi la salutò, uscì, ma quando fu fuori, chiamò Lance: «Senti, Campione. Qualcosa non va. Tieni d'occhio, Athena; credo sia un po' troppo sotto pressione.»
Lui annuì e promise di stare in guardia. Così Raphael tornò a casa tranquillo. Athena faceva quel gesto quando voleva uccidere. Se lo ricordava troppo bene. Ma se l'avessero tenuta d'occhio, non sarebbe successo niente. Purtroppo per lui, l'avvocato sottovalutava l'imprevedibilità della mente della compagna. Lei non aveva ancora incontrollabili istinti omicidi. Non ancora. Ma da troppo tempo la sentiva. Da quando era uscita la notizia e Raphael le aveva detto che per loro cominciava ad andare male. Era cominciata con un lieve sussurro, che spariva quando era in compagnia di qualcuno. Poi, aveva cominciato ad essere più forte, permanente, persistente... Quella voce, nell'antro più remoto del suo cervello, come succedeva in passato; usciva di testa per colpa di quella voce. Cercava di ignorarla, ma si faceva opprimente, sempre più opprimente... le aveva provate tutte per farla sparire: distrarsi, giocare a scacchi, parlare con Thomas ma niente serviva più. L'unica cosa che non aveva provato non poteva farla, quindi l'aveva scartata a prescindere.
“Sei un mostro, il mio mostro. Rovini la vita a chi ti sta intorno perché ti ho creata io così. Sei mia, sarai sempre mia...”
Athena si prese la testa, camminando inquieta nella piccola cella. Il suo amico non c'era, era sola, in compagnia dei suoi fantasmi che, nelle orecchie, le sussurravano: “Bestia, sei una bestia. La mia arma. Sai solo uccidere, prima o poi ucciderai di nuovo e tutti ti odieranno. Odieranno te, la tua famiglia, tutti. Stolta. Non puoi farne a meno, mia creatura... uccidi. Uccidi per me.”
Tirò una testata al muro, in un estremo tentativo di zittire tutto; un taglio sanguinò sulla fronte ma la voce non se ne andava. Lui era sempre lì, in agguato, pronto a reclamarla. A reclamare la sua creazione che non avrebbe avuto pace. Mai. Ma se neanche ucciderlo aveva aiutato a eliminarlo, cos'altro poteva fare? Sarebbe vissuto per sempre nella sua testa, senza lasciarle scampo? Senza darle tregua? Pronto a riapparire al minimo problema?
Prese un lenzuolo, salì sul letto a castello e lo legò al lampadario. Se uccidere lui non era servito, uccidere la fonte della voce avrebbe funzionato. La voce viveva nella sua testa. Era ora di estirparla. Non ce la faceva più, non voleva più sopportare quel continuo mormorio nella sua mente. La portava sull'orlo della follia. Non voleva impazzire di nuovo. Non voleva rischiare ancora di fare del male a qualche persona importante. O fare del male a qualcuno e mettere ancora più nei guai le persone importanti. Fece un cappio molto vicino alla lampada, di modo da non toccare a terra. Se lo mise intorno al collo, poi legò le mani tra di loro.
Sorrise e disse: «Ciao, capo.»
Poi si lasciò cadere. L’aria si bloccò, trovando la trachea occlusa. I polmoni non avevano più aria, il cuore cominciò a battere più forte.
Poi divenne tutto buio.
 

  
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