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Autore: elokid78    28/06/2016    2 recensioni
Anna è una diffidente ed intransigente giovane avvocatessa londinese che deve occuparsi di redigere il contratto per il nuovo film della star inglese del momento. Una serie di imprevisti ed equivoci la porterà a dimenticare il suo passato.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAP. 15. CONFESSIONI DI UNA MENTE PERICOLOSA
 
 
N.d.A.
 
Piccolo prologo, direi dovuto...
Questa storia ha avuto uno hiatus, che, diciamocelo, quasi neppure Sherlock riesce a superarmi!
Lo so.
Purtroppo nella mia vita si è abbattuto un evento imprevedibile (non positivo, anzi), che ha catalizzato la mia totale attenzione per molto tempo e mi ha provocato anche una certa dose di... danni collaterali... tra cui la poca voglia di scrivere..
Adesso sto cercando di riacciuffare le redini della mia vita e anche riprendere a fare le cose che più mi piacciono. Adoro scrivere e vorrei portare a termine questa storia, per voi che la leggete e siete state costanti e fedeli, ma soprattutto, sinceramente, per me, per dimostrare a me stessa che posso farcela!
Ora la smetto di tediarvi - ma una breve spiegazione mi pareva doverosa - e vi lascio ad Anna e Tom, sperando che il tempo trascorso non abbia affievolito la vostra curiosità di andare avanti nella lettura.
 
 
 
Tom mi stava ancora guardando con aria smarrita, indeciso su come comportarsi.
L'incubo che mi aveva scosso era ancora nei miei occhi e non usciva dalla mia testa.
Era un sogno ricorrente, tuttavia da parecchio tempo non aveva più turbato le mie notti.
Era chiaro il motivo per cui si era nuovamente affacciato nella mia mente.
Ma non potevo permettere al mio passato di interferire tutte le volte che avevo l'opportunità di essere felice.
Non avevo più dubbi.
Sì, certo, un incubo mi aveva appena ricordato chi ero e che non potevo mai abbassare del tutto la guardia.
Tuttavia sapevo quello che volevo.
E quella sera desideravo solo Tom.
Ma ero veramente così sicura?
Ero disposta a lasciarmi andare e pronta a guardare finalmente al futuro?
In quel momento credevo di potermi perdere totalmente nei suoi occhi, che mi osservavano con un misto di timore e speranza.
Il mio cuore aveva già fatto una scelta.
Senza una parola mi avvicinai a lui, che si era seduto accanto a me sul divano dove mi ero appisolata per svegliarmi da quell’incubo e dove mi ero rannicchiata dopo essermi svegliata.
Lo baciai lievemente, quasi timidamente, a fior di labbra, sperando che ciò solo fosse sufficiente a dissipare i miei stessi dubbi, prima che i suoi.
Il cuore martellava forte nel mio petto, sembrava voler scoppiare, perché mi attanagliava una paura antica, di cui non riuscivo a liberarmi.
Avevo bisogno dei suoi baci, delle sue carezze, di tutto quello che fosse stato in grado di offrirmi.
Bramavo quel contatto, ma allo stesso tempo ne ero terrorizzata.
Volevo con tutta me stessa essere in grado di lasciarmi andare, perché era vero quello che gli avevo detto poco prima.
Mi fidavo di lui, completamente, e mi sentivo protetta ed al sicuro, anche in casa sua.
Così ripresi da dove mi ero interrotta poco prima e presi a sbottonargli delicatamente la camicia.
Tom mi bloccò, posando dolcemente la sua mano gentile sulla mia.
Mi squadrò intensamente, con quei suoi occhi che parevano piccoli laghi, e che sembravano volermi leggere dentro.
Abbassai lo sguardo, timidamente, temendo che potesse interpretare nella mia espressione qualcosa che lo facesse allontanare da me e tentai di riprendere da dove mi ero interrotta.
Allora Tom mi bloccò nuovamente, questa volta con un pizzico di energia in più, ma sempre gentilmente e mise un dito sotto al mio mento in modo da costringermi a guardarlo.
Occhi negli occhi. Eravamo distanti pochi centimetri, ma in quel momento mi sembravano chilometri.
Non volevo che leggesse nel mio sguardo qualche ripensamento, così cercai dentro me la mia espressione più risoluta.
Senza spezzare il silenzio incollai il mio sguardo su quelle iridi verdi e feci un impercettibile cenno di assenso con il capo.
Rincuorato dalle mie rassicurazioni, mi permise finalmente di continuare a slacciare i bottoni della sua camicia, che finì presto sul pavimento.
Lui fece lo stesso con la mia, lentamente, e bottone dopo bottone, scivolò a terra insieme alla sua.
Poi fu il turno del mio corpetto, un po’ più difficile da togliere, con tutti quei lacci e gancetti.
Maledissi per un attimo la mia scelta dell’intimo per quella serata, quando sarebbe stato molto più comodo un semplicissimo reggiseno.
In realtà Tom non sembrava affatto dispiaciuto della mia scelta, anzi.
Sembrava stuzzicato da tutte quelle intriganti stringhe da sciogliere e le sue mani affusolate si muovevano con lentezza, ma agilmente, per liberarmi dalla mia sexy lingerie.
Il colmo era che niente era stato calcolato, perché il programma quella sera era solo la festa a casa di Benedict. Avevo utilizzato quel corpetto unicamente perché la camicia era semitrasparente e non mi piaceva avere il reggiseno “a vista”.
Mentre lui era impegnato in questa delicata operazione e diligentemente si preoccupava di sciogliere i miei laccetti, nel frattempo mi occupai della sua cintura, che feci scivolare dalle asole e slittare fino a toglierla, adagiandola sul divano.
Fu più difficoltoso liberarmi dei suoi pantaloni, così, con una muta richiesta di aiuto, lasciai che fosse lui stesso ad occuparsene.
Mi fermai per un attimo ad osservarlo.
Non era la prima volta che lo vedevo, considerando che era già capitato in una imbarazzatissima occasione nella sua suite in Islanda, ma parevano secoli prima.
Adoravo il fatto che lui fosse completamente a suo agio nel percepire il mio sguardo su di sé, in modo che io potessi godere anche di quel momento.
Indugiai per un po’, beneficiando anche dell’inestimabile piacere di osservare con calma ed un pizzico di soddisfazione l’uomo con cui stavo per fare l’amore.
Lui mantenne ininterrottamente il contatto visivo, anche se era ancora impegnato con la mia lingerie, e ciò mi produsse un lungo brivido di piacere, che mi attraversò fino a concentrarsi nel basso ventre.
Quando finalmente il corpetto raggiunse gli altri indumenti sul pavimento, lui mi sollevò un poco, in modo da agevolare il movimento fluido, ma delicato con cui, in un solo gesto, mi sfilò la gonna.
Ero rimasta solo con slip ed autoreggenti e anche lui si prese un momento per osservarmi, solo che io non ero a mio agio come lui nel mio corpo.
Tuttavia non cercai di protestare, né tentai di coprirmi.
Lasciai che i suoi occhi vagassero sulle mie curve, sperando che per qualche incomprensibile ragione le mie imperfezioni non rovinassero l’atmosfera o lo facessero desistere dai suoi propositi.
Lo sguardo che mi restituì dissolse ogni mio timore.
Mi avvinghiai a lui, allacciando le braccia intorno al suo collo.
A quel punto Tom sembrava indeciso sul da farsi. Poi mi sollevò tra le braccia e mi condusse in camera da letto.
Mi posò delicatamente sul letto e mi baciò, prima con dolcezza, poi con urgenza.
Sembrava che, mentre fino a quel momento aveva controllato ogni mossa, finalmente stesse rinunciando ad ogni autocontrollo per abbandonarsi alla passione.
I suoi sentimenti per me erano forti e veri e me li stava dimostrando in ogni possibile modo, anche quello più fisico.
Sentivo infatti il suo piacere premere con forza contro la mia coscia, mentre le sue mani mi accarezzavano con possessività, facendomi gemere nella sua bocca, che non smetteva di baciarmi.
Un languido desiderio si stava impadronendo di me ed anche io avevo abbandonato ogni controllo ed abbassato tutte le difese, cosa che quasi credevo non fosse più possibile.
Mentre lui si dedicava al mio seno, facendomi gemere di piacere, io, continuando ad accarezzarlo, allungai la mano verso la sua erezione, avvicinandomi lentamente, ma inesorabilmente.
Sentii che si muoveva sopra di me come un felino, pronto ad accogliere la mia mano, anzi, bramando quel contatto.
 Lo afferrai prima con tutta la mano, serrandolo delicatamente ma con decisione, poi mi soffermai sulla punta, già umida, che accarezzai con il pollice con lievi movimenti concentrici.
La sensazione delle mie mani su di lui era potente, ed unita alla dolcissima tortura della sua bocca sui miei capezzoli, e delle sue lunghissime dita affusolate che si muovevano avide su ogni centimetro del mio corpo, mi fecero completamente perdere la testa.
Con un gemito più forte afferrai con la mano libera una delle sue natiche, scolpite nel marmo, e premetti con forza il mio bacino al suo, in modo che capisse che ero pronta.
Lui invece sembrava voler prolungare ancora la sua dolce tortura, ma io non volevo, non potevo, avevo aspettato abbastanza.
Mi inarcai sotto di lui per fare in modo che finalmente lui entrasse dentro di me.
Dopo aver armeggiato un po’ per prendere le dovute precauzioni (il motivo, forse, del suo allontanamento di prima) finalmente lo sentii dentro, che premeva contro le mie pareti più sensibili. Un piccolo urlo involontariamente uscì dalla mia gola e sentii anche in lui un fremito di piacere che, incontrollato, aveva raggiunto ogni fibra del suo corpo, anche dentro di me.
Mi allacciai ancora di più a lui, abbandonandomi senza riserve a quella sensazione meravigliosa.
Finalmente eravamo una cosa sola, stretti in un abbraccio profondo, senza condizionamenti né paranoie, solo un uomo e una donna completamente persi l’uno nell’altra.
I nostri sguardi si incontrarono e nel suo lessi desiderio, appagamento. Felicità. Forse anche un sentimento più profondo, cui, in quel momento non volevo dare un nome.
Restando comunque saldamente allacciato a me, sentii una delle sue mani avvolgermi e insinuarsi dietro la mia schiena, quindi, con un movimento rapido e sinuoso, Tom mi sollevò per fare in modo di invertire le nostre posizioni.
Quindi desiderava che fossi io a condurre il gioco.
Ebbi ancora la lucidità di pensare che fosse una ulteriore premura nei miei confronti, per evitare che mi sentissi in alcun modo costretta o forzata a fare qualcosa che non volessi.
Lo baciai sulla bocca sottile e mi mossi lentamente e ritmicamente, agguantandolo sempre più strettamente, coinvolgendo i muscoli della mia parete vaginale.
Lo sentii sospirare e respirare sempre più affannosamente, consapevole del fatto che il mio respiro, sulla falsariga del suo, seguiva il ritmo delle nostre spinte e si faceva sempre più rumorosamente sentire.
Non lo credevo possibile, tanto che quando percepii i miei gemiti concitati ad alto volume, per un attimo non riconobbi la mia stessa voce, ma quell’uomo mi stava regalando un piacere tanto intenso che non poteva essere contenuto, doveva essere liberato e gridato forte.
Quando si accorse che stavo per arrivare al culmine del mio piacere, Tom rallentò per qualche momento il ritmo, permettendomi di godere ancora di più di quella dolcissima agonia.
A quel punto non potevo proprio più resistergli.
Tornai a muovermi aumentando la velocità ed anche lui amplificò le sue spinte, sia nella velocità, che nell’ampiezza del movimento e finalmente raggiunsi l’apice, contemporaneamente a lui.
Persa completamente nelle sensazioni che mi aveva regalato, lo tenni stretto ancora per un tempo indefinito, poi, totalmente sfinita, mi accasciai sopra di lui, assolutamente incurante di tutto il resto del mondo.
Tom si protese verso di me in avanti, abbracciandomi, posando sul mio corpo sfinito ma appagato una serie di piccoli baci ed io appoggiai la testa sul suo petto.
Gli accarezzai il groviglio di morbidi riccioli biondi, sempre mollemente adagiata su di lui e sulle morbide coltri che avevano fatto da cornice alla nostra straordinaria prima notte di passione.
 
 
Non ero proprio preparata all’intensità delle emozioni che Tom mi aveva fatto provare.
Non potevo assolutamente immaginare la piega che avrebbero preso gli eventi quella notte e non avevo calcolato nulla.
Per una volta avevo totalmente perso il controllo.
E non potevo certo dire che mi fosse dispiaciuto.
Anzi, avevo adorato quella sensazione, quella di perdermi totalmente in lui, assaporare con languida consapevolezza ogni contatto di pelle contro pelle, ogni carezza, la perfetta percezione di essere legata così profondamente ad un altro essere umano.
E non uno qualsiasi.
 
 
Quando alla fine ritornai padrona di me stessa, mi alzai lentamente ed agguantai la prima cosa trovata sul pavimento, ossia la sua camicia candida. Anche Tom si rivestì approssimativamente, e mi prese per mano, allacciando le sue dita alle mie.
Entrambi non osavamo parlare, per paura di rovinare quel momento.
Non prima di averlo baciato con dolcezza, mi diressi verso la toilette e richiusi la porta alle mie spalle.
Serrai le palpebre per un momento e mi abbandonai a rivivere nei miei ricordi più e più volte le ultime ore appena trascorse.
Un ben noto languore ritornò prepotente, tanto da scuotermi sin nel profondo, decisi così di fare una rapida doccia per calmare i bollenti spiriti.
Uscita dalla doccia mi sentivo un’altra persona.
Avevo appena vissuto una delle notti più appaganti della mia vita.
Ero felice. Finalmente.
E lo dovevo soltanto a Tom, alla pazienza ed alla dedizione con le quali aveva fatto in modo di guadagnarsi la mia completa ed incondizionata fiducia.
Mi avvolsi nel suo accappatoio ed uscita dalla toilette osservai che anche lui aveva fatto altrettanto, probabilmente aveva due stanze da bagno.
Era seduto sul letto con solo un asciugamano stretto intorno ai fianchi e mi stava aspettando. Quando mi vide alzò gli occhi, mi sorrise e mi venne incontro, con decisione, senza alcun imbarazzo. Mi prese tra le braccia e mi baciò con calore.
 
- Rimani con me stanotte? – mi domandò, prima di baciarmi la fronte.
 
Decisamente un’ottima scelta delle prime parole da pronunciare dopo aver fatto l’amore.
 
- Certo. Con piacere. Solo posso .. ehm, chiederti qualcosa da indossare?
 
Posò su di me uno sorriso malizioso, sfoderando quell’espressione che faceva impazzire migliaia di ragazzine quando interpretava Loki.
 
- Preferirei di no. Ma se insisti il mio armadio è a tua disposizione. Intanto puoi controllare la presenza di eventuali scheletri.
 
Gli restituii uno sguardo fintamente offeso, quindi mi diressi a larghi passi verso la cabina armadio.
Immensa.
Mi ci volle un po’ per trovare la zona dedicata alle t-shirt e finalmente recuperai quella che faceva al caso mio. Sufficiente per coprirmi fino alle cosce.
Mi sembrava appropriata, per rimanere in tema.
 
Quando tornai da Tom, lui mi sorrise soddisfatto per la scelta del mio pigiama improvvisato.
La maglietta nera raffigurava il personaggio Marvel che lui interpretava e vi era stampata la scritta “You mad? I do what i want”.
 
- Eheh, una delle mie preferite. Ottima scelta. – approvò lui.
- Infatti. – lo apostrofai, sorridendogli a mia volta.
 
Mi fece spazio tra le soffici coperte e cullata dal suo dolce respiro, accoccolata tra le sue braccia, mi addormentai all’istante.
 
Mi svegliò chissà quanto tempo dopo un intenso aroma di caffè.
Il mio dolce ospite mi guardava con un sorriso luminoso, reggendo un vassoio con una capiente tazza di cappuccino e due pancakes.
 
- Mi hai portato la colazione a letto? – gli chiesi stiracchiandomi.
- Hai dormito tantissimo..
- E’ colpa tua. Mi hai distrutto stanotte.
 
Gli lanciai un’occhiata provocante e lui arrossì per un attimo.
 
- Ti ho messo a disagio? Non sembravi tanto a disagio ieri sera.. – continuai con protervia, approfittando del suo apparente imbarazzo.
- Infatti non lo ero. Anna, tu sei fantastica ed è stato.. meraviglioso.
- Anche per me. E sai che non lo dico tanto per dire. Non pensavo di poter stare così bene con te. Ma tu lo hai reso possibile.
- Sei stata tu a renderlo possibile.
- No, non ce l’avrei mai fatta se tu..
- Shhh.. ora baciami e poi bevi il tuo cappuccino.
 
E così feci.
La giornata volò via, senza che entrambi ce ne rendessimo conto.
 
Dopo ore passate a letto a coccolarci, la sera decisi di tornare a casa mia.
Fu veramente difficile staccarmi da lui. Sarei rimasta tra le sue braccia per sempre.
 
Tornata a casa feci mentalmente un planning delle cose da fare e programmai una visita dal ginecologo (che senza dubbio non mi avrebbe neppure riconosciuta, tanto era il tempo trascorso dall’ultima volta che avevo avuto bisogno delle sue competenze professionali) e la ricerca di uno psicoterapeuta, che non poteva più attendere.
Stavo facendo la lista della spesa, quando sentii suonare alla porta.
Rimasi interdetta, perché, ovviamente, non aspettavo nessuno.
Quando guardai dallo spioncino vidi un enorme mazzo di rose rosse.
 
- Consegna per la signorina Martin.
 
Non potevo crederci. Che Tom fosse un uomo romantico e pieno di sorprese, ormai avevo imparato a comprenderlo, ma addirittura questo.
Aprii la porta al fattorino che..
 
- NO!
 
Quando mi resi conto di chi fosse era troppo tardi.
Tentai di richiudere la porta con violenza, ma lui ebbe il tempo di bloccarla con un piede e spingerla in avanti con forza.
Era entrato.
Era dentro la mia casa.
 
- Cosa vuoi? Perché sei qui? VATTENE IMMEDIATAMENTE!
 
Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, sperando che magari qualcuno negli appartamenti vicini mi sentisse.
 
- E’ così che si accolgono i vecchi amici che portano doni?
 
Così dicendo l’uomo che rappresentava il mio peggiore incubo avanzò in casa mia, richiudendo l’uscio dietro di sé e porgendomi il mazzo di rose rosse che avevo creduto fossero un regalo del mio Tom.
 
- Vattene. Non sei il benvenuto. – riuscii a dire, guardandomi intorno in cerca di qualcosa che potesse fungere da arma. Ovviamente non c’era nulla di utilizzabile a portata di mano.
- Non spaventarti, non voglio farti del male. Vengo in pace, voglio solo parlarti.
- Non ho nulla da dirti.
- Io sì. Non sono uno che si arrende facilmente.
- Devi andartene, non otterrai nulla da me.
- Non sono neppure uno che accetta un no come risposta.
- Me ne sono accorta..
- Ancora con questa storia! Quella volta non è successo nulla che anche tu non volessi.
- TU SEI PAZZO! VATTENE DA CASA MIA!
- Così fate sul serio tu e Hiddleston? Curioso come riesci sempre a circuire attori di una certa fama..
 
Nel frattempo la mia mente correva. Ignorai le sue provocazioni e provai a concentrarmi per trovare una soluzione.
Cosa potevo fare?
Chiudermi a chiave in un’altra stanza non avrebbe risolto il problema. Quell’uomo era sufficientemente pazzo da aspettare che uscissi per stanarmi.
Provare a telefonare a qualcuno era un’opzione impraticabile: il cellulare era nella mia borsa in cucina. Troppo distante per non rischiare che lui mi agguantasse nel tragitto prima che lo raggiungessi.
Tentare di fuggire uscendo di casa poteva essere un’alternativa valida, tuttavia c’era sempre la possibilità che lui rimanesse in casa mia ad aspettarmi quando vi avessi fatto ritorno. Però allora avrei potuto chiedere a qualcuno di accompagnarmi. Non mi piaceva l’idea di lasciarlo solo in casa mia, ma non avevo altra scelta, se volevo sfuggirgli.
Dovevo temporeggiare e farlo parlare fino a che non si fosse rilassato, in modo che potessi avvicinarmi alla porta e sgattaiolare via.
 
- Sì, Tom ed io facciamo sul serio, anzi, sta proprio arrivando, dovrebbe essere qui da un momento all’altro.
- Non credo proprio. Ti ha appena accompagnata. – mi rispose, sicuro.
 
Mi immobilizzai, sgranando gli occhi. Ero sconvolta. Quindi mi aveva seguita? Si era appostato sotto casa mia?
Quella rivelazione cambiava tutto.
Non era passato da me per caso. Era un piano premeditato.
Ero terrorizzata, ma dovevo ritornare in me ed attuare il mio piano di fuga il prima possibile. Quell’uomo era anche più pericoloso di quanto immaginassi.
Tentai di avvicinarmi il più possibile alla porta, senza farglielo notare.
 
- Ora, parliamo di noi. – proseguì lui, avvicinandosi pericolosamente.
- Non c’è mai stato e mai ci sarà un noi, vattene!
 
Dovevo uscire subito di lì.
Attraversai con un balzo la distanza che mi separava dalla porta, incapace di attendere oltre per allontanarmi il più possibile da lui, ma fu rapido ad intuire i miei movimenti e nell’attimo in cui tentai di aprirla mi fu addosso e mi spinse violentemente contro di essa, facendomi sbattere brutalmente il viso contro lo stipite e premendomici contro con tutto il suo peso. Mi sfuggì un lamento, poi ripresi fiato.
 
- LASCIAMI! – gridai, con quanto fiato avevo in gola.
 
A quel punto sentii sbattere con forza qualcuno dietro la porta, tanto che le vibrazioni si ripercossero sul mio viso, pigiato contro di essa.
 
  •          Aiuto.. – riuscii a dire, flebilmente.
 
Tutto si svolse in un attimo.
Percepii la sua sorpresa nell’udire che effettivamente c’era qualcuno dietro la mia porta e fu sufficiente perché lui mollasse la presa, indietreggiando di qualche passo.
Allora io approfittai della sua distrazione e feci in tempo ad aprire a chiunque si trovasse là dietro, prima di accasciarmi al suolo sulle ginocchia, facendomi da scudo con le mani per non sbattere sul pavimento.
La porta si spalancò del tutto e percepii i suoni ovattati di una sorta di colluttazione.
Lo zigomo mi faceva male e forse avevo anche un taglio, perché quando lo toccai sentii umido.
Ero confusa, perché probabilmente oltre allo zigomo avevo sbattuto anche la testa contro l’entrata.
Sentii la porta richiudersi completamente e avvertii due mani che tentavano lentamente di risollevarmi.
Ci misi un po’ a mettere a fuoco, decisamente la testa mi doleva e pulsava.
 
- Anna? Anna mi senti? Mi riconosci?
- Ben.. Benedict?
- Oh, grazie al cielo, mi hai spaventato. Sembravi svenuta.
- Sto.. sto bene.
- Diciamo che bene è un’altra cosa. Ti accompagno sul divano e poi chiamo un’ambulanza.
- Cosa? No, no.
- Come no? Guarda come ti ha conciato quel bastardo!
- No, è solo la botta. Non chiamare nessuno per favore.
- Aspetta, intanto ti aiuto a stenderti.
 
Tentai di incamminarmi verso il mio divano, ma la testa non sembrava d’accordo.
Girava tanto che mi sembrava di essere su una giostra a ballare il can-can.
Benedict se ne accorse e mi sollevò senza particolare sforzo, adagiandomi sul divano. Mi allungò la coperta poggiata sulla poltrona e prese il mio viso tra le mani per esaminare lo zigomo ferito.
Mi appoggiai all’indietro sul cuscino, mentre lui accompagnava il mio movimento sorreggendomi con una mano dietro la nuca e socchiusi per un momento gli occhi, assaporando la piacevole sensazione di non essere più prigioniera in casa mia.
 
- Magari ci vorranno dei punti. Hai almeno del disinfettante? – mi domandò.
- In bagno. Cassetta del pronto soccorso. Anta sinistra della specchiera.
- Almeno noto con piacere che sei tornata a connettere.
 
Non replicai. Si allontanò per prendere l’occorrente e tornò dopo qualche minuto.
Prese cotone e disinfettante e cominciò a pulire la ferita.
 
- Perché lo hai fatto entrare? – mi chiese allora, rabbioso.
- Non l’ho fatto entrare! O meglio, non sapevo che fosse lui. Si è finto un fattorino che veniva a consegnarmi dei fiori.
 
Mi guardai intorno e vidi che il mazzo di rose rosse giaceva ancora sul pavimento accanto alla porta.
 
- Credevo che fossero.. – le parole mi si strozzarono in gola.
- Credevi fossero un regalo di Tom – dedusse lui.
 
Annuii e poi finalmente scoppiai in un pianto dirotto.
La tensione si era allentata ed avevo proprio bisogno di sfogarmi.
Non potevo pensare a quello che avevo rischiato..
Benedict si sedette accanto a me sul divano, mi abbracciò e mi cullò, lasciando che dessi libero sfogo alle emozioni.
Rimasi così per un tempo che non so calcolare.
Ero ancora tra le sue braccia quando il campanello squillò.
Feci un balzo, terrorizzata, temendo che Bean fosse tornato alla carica.
 
- Ehi! Tranquilla! Ho chiamato un amico medico. Mi deve un favore.
- Come? Cosa? No, no.           
- Allora, ho accettato di non chiamare l’ambulanza, ma ora ti farai visitare buona buona dal mio amico senza fare storie. – mi disse con tono autoritario, che non ammetteva repliche.
- D’accordo – sbuffai.
 
Si alzò dal divano ed andò ad aprire.
Tornò con Jason, giovane medico di pronto soccorso, che mi fece una visita approfondita e mi medicò il taglio sullo zigomo, ma che, soprattutto, non fece domande.
 
- I punti non sono necessari, basteranno gli sterilstrip – precisò Jason.
- Per fortuna. Grazie Jason.
- Non hai mai perso conoscenza, vero? – indagò il medico.
- No.
- Però era confusa, non presente. Non mi rispondeva. – intervenne Benedict.
- Potresti avere una commozione cerebrale o un trauma cranico. Se fossi venuta da me in ospedale ti avrei tenuto in osservazione 24 ore. In realtà basta fare attenzione che non compaiano determinati sintomi, quali nausea, vomito, convulsioni, stato confusionale o eccessiva sonnolenza. In questi casi devi andare assolutamente in ospedale.
- D’accordo. Grazie infinite.
 
Benedict lo accompagnò alla porta e scambiò con lui qualche parola, poi tornò da me.
 
- Ti ringrazio molto. Me la caverò ora. – aveva perso fin troppo tempo dietro alla sottoscritta.
- Pensi che me ne vada?
- Come?
- Resterò qui stanotte.
- Cosa? No, non c’è bisogno! Sto bene adesso.
- Hai sentito il dottore? Se stessi male chi ti porterebbe in ospedale?
- Chiamerò qualcuno, davvero, vai pure!
- Non se ne parla. Non ti lascio da sola.
 
Si sistemò sulla poltrona accanto a me, fissandomi con uno sguardo risoluto. Sembrava irremovibile. D’altronde certo non mi dispiaceva avere compagnia in quel momento.
 
- Penso che non ti ringrazierò mai abbastanza per questo, ma.. perché sei venuto a casa mia stasera?
- Oh, certo. Te ne parlerò più tardi, magari domani.
- Dimmelo ora.
- No, ora hai bisogno di riposarti un po’.
 
Non protestai, effettivamente mi serviva un po’ di pace.
Cercai di rilassarmi, ma non facevo che ripensare a quello che era successo ed a quello che Bean mi aveva detto. Improvvisamente mi tornò in mente una cosa e mi alzai di soprassalto.
Ma mi ero tirata su troppo in fretta e la testa prese a girare furiosamente.
 
- Che succede? – fece Benedict, avvicinandosi preoccupato. – hai nausea?
- Mi ha seguito.
- Cosa?
- Mi ha pedinato, sapeva che stanotte sono rimasta da Tom e che mi aveva appena riaccompagnato a casa.
 
Lui non replicò e si mise a riflettere.
Poi decise di parlare.
 
- E’ violento e pericoloso, Anna, va fermato in qualche modo.
- Ho paura.
- Lo capisco. Specialmente adesso. Ma devi farti aiutare. Devi denunciarlo.
- Se lo facessi salterebbe fuori tutto.
- Forse, ma ti ripeto, è pericoloso.
- Lo so.
- No, Anna. Sono venuto qui stasera perché volevo parlarti. Mi sono informato su di lui. Ha ridotto la sua ex moglie quasi in fin di vita una volta. È stato arrestato, ma poi l’ha fatta franca.
- Cosa?
- Non lo sapevi?
- No..
 
Cercai di assorbire in silenzio quell’informazione.
Benedict si sedette accanto a me sul divano, senza parlare.
Scostò una ciocca di capelli dal mio viso e rimanemmo così, senza fiatare, per un tempo indefinito.
Fu lui ad interrompere il silenzio.
 
- Cosa dirai a Tom quando ti vedrà?
- Non so, mi inventerò qualcosa.
- Non è uno stupido.
- Lo so che non è stupido, ti ripeto che mi inventerò qualcosa di verosimile.
 
A quel punto lui si accigliò veramente.
 
- Perché vuoi continuare a mentirgli?
- Non gli sto mentendo, sto solo omettendo di..
- Non insultare la mia intelligenza, e soprattutto la sua! – mi interruppe, sempre più infuriato.
- Io non..
- Perché non vuoi farti aiutare? Non sei sola, per amor del cielo! Hai Tom e anche… me, se vuoi.
 
Lo guardai esterrefatta, non sapendo come replicare.
Effettivamente non mi ero soffermata a chiedermi perché gli stesse tanto a cuore avvisarmi circa la pericolosità di Sean Bean, tanto da venire a casa mia immediatamente dopo aver preso informazioni – chissà come, chissà da chi – su di lui. Riflettendo, però era chiaro quanto lui tenesse a Tom e probabilmente non gli faceva piacere che la sua ragazza fosse importunata o minacciata da …
 
- Cosa… cosa è successo mentre io ero sul pavimento? – gli chiesi allora a bruciapelo.
 
Non ero particolarmente presente a me stessa in quel momento e ricordavo solo di aver udito i rumori di quella che immaginavo potesse essere una colluttazione tra i due, ma non sapevo altro.
 
- Gli ho gentilmente mostrato l’uscita e gli ho fatto chiaramente intendere che non era il benvenuto. – replicò lui, ironico ma vago.
- No, sul serio.
- L’ho accompagnato fuori della porta e l’ho minacciato che se ti avesse ancora importunato avrebbe dovuto vedersela con me.
- Oh. E lui?
- Se n’è andato di corsa, da vigliacco qual è, farfugliando qualche vaga minaccia. Se non avessi visto che tu avevi bisogno di aiuto, ti assicuro che non se la sarebbe cavata così a buon mercato. Ma ti ho vista in ginocchio e ferita, dovevo fare qualcosa per te..
- Cos’ha detto?
- Non so, non ricordo.
- Ti prego, dimmi esattamente cosa ha detto.
- Non so, qualcosa tipo: “non mi arrendo” o “non finisce qui”..
- Santo cielo…
 
Mi abbandonai contro lo schienale del divano con la testa tra le mani.
Non intendeva mollare.
Se ero un’ossessione per lui, la questione poteva veramente diventare seria.
Con il mio lavoro mi era capitato di conoscere vittime di stalking e stalker e sapevo che quelle personalità disturbate non andavano sottovalutate.
Già portavo i segni sul viso di quello di cui quell’uomo poteva essere capace.
 
  
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