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Autore: Pluma    18/04/2009    1 recensioni
(Dal II° capitolo) “Molto piacere. Come ho già detto io sono Richard Heart. Questa bellissima donna è Sheril Water, il mio braccio destro. Il più vecchio tra noi è Asriel Stern. La ragazza che le ha recuperato la borsetta si chiama Savannah Runner; infine, lui è Jack Salvador, in realtà non si chiama così, ma il suo nome è per tutti noi impronunciabile perciò…Jack.” (...) “E ora che abbiamo fatto tutte le presentazioni, cosa volete dai Predators?” I Predators è un'agenzia tutto fare formata da cinque persone decisamente molto diverse tra loro... partendo dall'età, per continuare con la nazionalità, finendo con il loro carattere. Non disdegnano commissioni che li portano in giro per il mondo, sebbene siano lavori che hanno poco a che vedere con la legalità. Sinceramente non mi importa se li amerete o li odierete, dato che sono degli anti-eroi, la mia speranza è che non vi lascino indifferenti. Per questo spero tanto che recensirete, almeno un pochino...
Genere: Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIII° CAPITOLO

ANCHE IO SORRIDEVO

 

When you’re sure had enough of this life, well hang on

Don’t let yourself go, everybody cries and everybody hurts sometimes (*)

 

 

“Io ho il nome di una città, il luogo di origine della mia famiglia: i Runner. Savannah si trova nella parte sud-orientale della Georgia, al confine con il Sud Carolina e dista pochissimi chilometri dalle acque dell’Oceano Atlantico; capoluogo della contea di Chatam.

“Nonno David e nonna Roxie, i genitori di mio padre, mi hanno, da sempre, riempito le orecchie con Savannah. Abitazioni, edifici pubblici, le ventiquattro piazze sparse un po’ ovunque decorate con fontane, monumenti ed obelischi; tutto a Savannah racconta la propria storia. Non la vidi mai con i miei occhi perché mio padre, con l’appoggio di mio zio Bruce, convinse i nonni a trasferirsi; non per questo, però, fui dispensata dal conoscere tutto di questo posto. Fondata il 12 febbraio 1733 dal generale inglese James Oglethorpe, Savannah è la più antica città della Georgia. Grazie alla sua collocazione strategica sull’Oceano Atlantico, divenne un’importante roccaforte dell’esercito sudista nella Guerra Civile, anche se fu risparmiata dalle vicende belliche. Secondo la leggenda, il generale unionista William Tocumseh Sherman  non distrusse la città perché rimase impressionato dalla sua bellezza storica.

“Questo vi dovrebbe far capire che i Runner e i Rizzo non sono parenti. La realtà, però, penso che sia decisamente peggio. Quando la mia famiglia si trasferì, papà divenne uno dei protetti di Salvatore Rizzo, il signore con cui abbiamo parlato questa mattina. Ha dato, letteralmente, la sua vita a quell’uomo; infatti fu ucciso, poco dopo la mia nascita, durante una guerra tra famiglie. Mia madre non era propriamente una donna affidabile e, senza entrare nello specifico, i nonni riuscirono a toglierle la Patria Podestà che esercitava su di me. Non che riscontrarono grosse obiezioni, quella donna era troppo interessata ai suoi buchi, per occuparsi di me; alla fine dei conti le avevano fatto solo un favore. I Rizzo trovarono un degno sostituto nella persona di mio zio Bruce.

“I nonni fecero di tutto perché io fossi migliore dei loro figli. Una delle tante tattiche fu il non risparmiarmi la verità, nonostante fossi, effettivamente, un po’ troppo piccola per avere una così bassa opinione di mio padre. Praticamente sono un’orfana, ma non ho sentito la mancanza di un padre né, tanto meno, di una madre: David e Roxie supplirono abilmente a queste perdite. Non consideravo Bruce una persona furba, pensavo che, prima o poi, avrebbe condiviso il destino fatale di suo fratello maggiore. Però lo amavo, come se fosse un fratello.

“La soddisfazione e l’orgoglio che provavano i nonni, nei miei confronti, raggiunse l’apice quando il mio insegnante di educazione fisica scoprii in me un vero talento da velocista. Non eravamo molto ricchi, anche perché, Roxie e David rifiutavano categoricamente qualsiasi tipo di aiuto finanziario offerto dallo zio Bruce, arrivando persino a rifiutare regali i regali di Natale e di compleanno. Nonostante le ristrettezze, però, decisero di mandarmi in quei campi estivi per giovani promesse dell’atletica. Non ne sono sicura, ma penso che fosse un modo come un altro per farmi vedere quanto potesse essere bello il mondo, anche senza i soldi dei Rizzo. Erano semplicemente terrorizzati dall’idea che quella maledetta famiglia rubasse loro anche la nipote; si erano già presi troppi Runner.

“Al campo estivo conobbi Michael, un ragazzo della mia età che, scoprii mi sarei ritrovata a settembre nella scuola nuova. L’ultima settimana del campo, glia allenatori programmarono due giornate di gare sportive che comprendevano tutte le categorie. I vincitori avrebbero ottenuto il permesso di rimanere alzati l’ultimo sabato sera che avremmo passato lontano da casa, partecipando ad una party, rigorosamente analcolico. Vinsi nella gara dei 100 m piani, mentre Michael si dimostrò un vero campione del salto in lungo.

“In quegli anni non ero come ora. Mi piaceva ridere, mi piaceva stare bene, ma soprattutto mi piacevano gli sguardi dei ragazzi che accarezzavano il mio corpo da atleta. Ho sempre fatto di tutto per apparire carina. Michael era un bel ragazzo: capelli neri sempre in ordine grazie al gel, occhi verdi e, ovviamente lo sport contribuiva a non passare inosservato. Io lo avevo già notato durante le gare, sarebbe stato un po’ impossibile il contrario. Non mi intendevo molto della sua disciplina, ma la sua tecnica mi sembrava perfetta; purtroppo per lui l’allenatore non era dello stesso avviso. C’era sempre qualche cosa che non andava, piccole imprecisioni che quelli non mancavano mai di farti notare, ma infondo era il loro mestiere. Durante la serata-premio, ci ritrovammo vicini e quando, per errore (o forse no), gli rovesciai sulla camicia una bibita cominciammo a parlare e non smettemmo più fino all’orario di coprifuoco.

“Il resto delle vacanze estive lo trascorsi a pensare a lui, buona distrazione dall’incubo della scuola nuova con nuovi compagni.

-Nonno dovevi vederlo quando saltava. Sembrava una pantera con i suoi movimenti aggraziati, quasi poetici e potenti allo stesso tempo.-

-Nonna dovevi vedere i suoi occhi, non riuscivo a smettere di fissarli quel sabato.-

“David, Roxie e anche Bruce si fecero molte risate in quei giorni, mentre ascoltavano le mie descrizioni iperboliche di Michael; commentando, poi, i luccichini dei miei occhi e la mia voce spezzata dall’emozione.

“La notte prima dell’inizio della scuola ero talmente in ansia che quasi non chiusi occhio. La mia testa era un guazzabuglio di domande:

-E se lui si era dimenticato di me?

-E se lui non prova ciò che provo io?

-E se si è trovato la fidanzata in questo periodo?

-E se, e se, e se, e se…

“Fu con grande gioia che, la mattina seguente scoprii che Michael non si era affatto dimenticato di me, non aveva la fidanzata e, anche se era più bravo di me a dissimularlo in pubblico, nemmeno io gli ero indifferente. Lui faceva già parte della squadra di atletica, ovviamente, e, fortunatamente riuscii ad entrare anche io; inutile dire che tutto ciò fu molto utile a far salire di qualche gradino la nostra amicizia. Era bello stare insieme a Michael. Per la scuola eravamo due ragazzi divertenti, belle ed atletici che non si davano troppe arie; l’unico nostro difetto, secondo gli altri, era la mancanza di vizi. Non fumavamo e non ci ubriacavamo nemmeno alle feste più scalmanate a cui ci invitavano. Il nostro comportamento irreprensibile era giustificato dal fatto che, entrambi, volevamo diventare professionisti. Persino i teppisti della scuola, sebbene ci trovassero noiosi, ci esclusero dalle loro liste nere. Noi eravamo la coppia che portava prestigio all’istituto. Fu questa la mia vita per qualche anno: scuola e campo estivo, sempre con Michael, innamorata di lui ogni giorno di più.

“Era l’8 novembre 1999, il giorno del mio sedicesimo compleanno. Nonostante il giorno dopo ci fosse lezione, il nonno e la nonna permisero al mio ragazzo di portarmi fuori quella sera. Fu Roxie ad aiutarmi a farmi bella. In realtà storse un po’ il naso quando mi vide indosso il tubino nero dalla scollatura generosa, ma non si lasciò sfuggire nemmeno un commento di disapprovazione. Abbinate al vestito lungo fino al ginocchio, calzai un paio di Chanel nere tacco sei; un modello molto semplice che si limitava a lasciare scoperto il delcolté del piede e la punta delle dita dell’alluce e dell’indice. Quelle scarpe mi costrinsero a mesi di addestramento per imparare a fare qualche metro senza inciampare clamorosamente, ma per Michael avrei imparato a camminare anche sui carboni ardenti.

“Mi lasciai truccare da una professionista che risaltò i miei occhi con l’ombretto marrone sfumandolo in viola; i capelli che, dieci anni fa, erano lunghi fin sotto le spalle, vennero raccolti in un’acconciatura stile dea greca. I tocchi finali furono una collana a più fila di perline nere, lunga il giusto per mettere più in risalto il mio petto; un paio di orecchini al lobo e un bracciale al polso sinistro formato da tre giri di perle grosse.

“Quella sera mi sentii particolarmente bella e Michael dovette pensarla allo stesso modo. I suoi occhi verdi non smettevano di fissarmi, con un’espressione che non compresi fino in fondo. Molte mie amiche erano abituate a sguardi simili, ma io no. Mi curavo di più rispetto a ora, ma alla fine dei conti sono sempre stata più sportiva che elegante. Fino a quel momento pensavo che fosse sufficiente avere gli occhi dei ragazzi incollati sul mio sedere da velocista, ma l’aria soddisfatta di Micheal mi lusingò molto di più, soddisfò il mio narcisismo molto di più di qualsiasi fischio.

“Mchael aveva già la patente da qualche mese, avevamo a disposizione, quindi, la sua macchina, con la quale mi venne a prendere. Immaginavo mi portasse in qualche ristorante alla mano, non pretendevo più di tanto dal suo portafoglio, speravo solo che evitasse i fast food evitandomi l’imbarazzo per il mio abbigliamento. Fu, invece, più sveglio e romantico di quanto mi fossi aspettata. Mi portò nel campo di atletica dove la squadra si allenava tutti i pomeriggi; vicino alla pedana del lancio del peso aveva adagiato una coperta scozzese da pic-nic.

“L’erba fu un problema per me. Avevo imparato a camminare, ma non avevo pensato al terreno dei campi di atletica. Rendendosi conto delle mie difficoltà, Michael mi prese in braccio, come avrebbe fatto un neo-sposino alla prima entrata ufficiale nella casa coniugale. La pizza dentro al cestino si era raffreddata; mentre la glassa sopra i tortini di cioccolata si era un po’ sciolta, appiccicandosi alle dita. Ma tutto andava bene così, nelle sue dolci imperfezioni.

- Runner, 200 giri di corsa- scherzò Michael scimmiottando la voce del mio allenatore.

-Perché mister?-

-Come perché, Runner? Per quella bomba che hai in mano!- continuò Michael, trattenendo a stento le risate.

-Tu scherzi, ma domani dovrò allenarmi il doppio, ora che mi ci fai pensare- risposi, leggermente in colpa per tutto quello che avevo mangiato.

-Sciocchezze Savannah! Sei in formissima-

Sentii le gote arrossarsi e ringraziai la poca luce che nascondeva il mio nuovo colorito.

Micheal, sorprendendomi per la seconda volta quella sera, spostò i piattini che ci separavano uno dall’altra e, avvicinandosi a me, cominciò a baciarmi le labbra. A causa di ciò che dopo trovai a casa, la mia mente non ha mantenuta una gran memoria per i particolari di quel appuntamento. Ricordo che Michael non fece niente che io non volessi, fermandosi, senza nemmeno chiederlo, esattamente dove lo avrei bloccato io; non che gli permisi solo baci e carezze, ma oltre un certo limite non ero ancora pronta ad andare, nemmeno con lui. Per il resto la mia pelle era percorsa da brividi e scariche elettriche. Mi ricordo due cose che mi mandarono veramente in estasi.

“La prima fu il suo respiro nel mio orecchio e il calore del suo fiato sul collo, un miscuglio di udito e tatto, che mi suscitò la pelle d’oca. La seconda fu la punta della sua lingua che seguiva la linea delle vene del mio polso, lasciando una traccia umida. Quelle carezze, perché è così che le percepii, intervallate da piccoli bacetti, mi fecero buttare la testa indietro, con lo sguardo verso il cielo stellato. Le costellazioni erano forse un elemento fondamentale per una pozione d’amore e romanticismo, ma solo per i film, perché in quel momento i miei occhi non videro l’paca luce della Luna che eclissava quelle più brillanti delle stelle; i miei occhi non videro nulla. Tutti i sensi erano concentrati su Michael e sul contatto che avevo con il suo corpo.

“Il coprifuoco era fissato per le ventitré. Lo rispettammo ampiamente fermandoci davanti al vialetto di casa mia cinque minuti prima, anticipo che usammo in macchina per salutarci e chiudere nel migliore dei modi quella fantastica serata. Michael aspettò che inserissi la chiave nella toppa della porta, prima di ingranare la marcia  partire. Entrai in casa con espressione sognante, poco preoccupata delle luci della sala ancora accese. Avevo immaginato che i nonni sarebbero rimasti alzati fino al mio ritorno; la mia intenzione era quella di salutarli e dare loro la buona notte, rimandando il racconto al giorno dopo, quando sarei stata abbastanza calma da non lasciarmi sfuggire particolari che, i nonni non avrebbero voluto sentire e io non avrei voluto far sapere loro. Entrai nella sala e ciò che vidi mi cancellò dal viso il mio sorriso…

“Tre corpi riversi a terra in una pozza innaturalmente grande di sangue. Il mio cervello impiegò qualche secondo per registrare ed elaborare le informazioni, ma non appena vi riuscì, la mia reazione fu tale che metà quartiere la udì. Da quello che mi venne detto i vicini mi trovarono in stato confusionale, in ginocchio, vicino ai corpi dei miei nonni. Lo zio Bruce si salvò per miracolo, grazie ad una equipe di chirurghi, svegliata appositamente per la sua operazione d’urgenza. Ma per nonno David e nonna Roxie era troppo tardi. Quando la polizia interrogò Bruce sull’accaduto, accusò una forte perdita di memoria, affermando e giurando più volte di non ricordare assolutamente nulla.

“Da quella sera mi rifiutai di uscire di casa persino per andare a scuola, e quando lo zio fu dimesso, cercai di diminuire il più possibile anche le escursioni dalla camera. Non potevo sapere i particolari, ma la verità era una storia che i nonni mi avevano raccontato molte volte. In fondo sapevo che, prima o poi, mio zio si sarebbe bruciato con il fuoco con cui stava giocando, ma mai avrei pensato che le scintille sarebbero scoppiate in faccia ai suoi genitori. E perché mai avrei dovuto prevedere una cosa simile? Loro erano innocenti, cosa cazzo c’entravano loro con i giochetti di mio padre e suo fratello?

“Una sera che mio zio era fuori per una riunione, uscii dalla mia stanza da letto e scesi in sala. Aprii la credenza dove il nonno teneva i suoi liquori e, fottendomene ampiamente del futuro che avevo sognato, presi la mia prima sbronza. La prima di una lunga serie che mi sembra infinita. Bruce rientrò che io ero ancora attaccata al collo di una bottiglia.

-Cosa combini Savannah?- mi chiese.

-Fatti i cazzi tuoi!-

-Come ti permetti ragazzina?-

“Bruce fece qualche pazzo verso di me, forse con l’intenzione di mollarmi una sberla ma, miracolosamente, fui più veloce io a mettere in mezzo, tra me e lui, il divano. Credo che l’alcool perse 20 a 1 contro la rabbia.

-Io come mi permetto?- strillai. –Tu come ti sei permesso a farci questo!-

-Di cosa diavolo stai parlando Annah?-

-Non sono scema e smettila di chiamarmi Annah. Non sono più una bambina e ora voglio sapere cosa è successo-

-Vaneggi-

-Giuro che faccio tanto di quel casino da farti scoppiare i timpani se non mi racconti ORA cos’è successo!- parlavo di fretta, come un treno lanciato a tutta velocità.

“Probabilmente per calmarmi, sicuro che il giorno dopo non mi sarei ricordata di niente, Bruce mi spiegò perchè i nonni avessero fatto quella fine. I Rizzo stavano sbarrando la strada ad una famiglia emergente, che stava lottando con le unghie e con i denti per conquistarsi il loro territorio. Nascenti ma, a quanto pare, forti o fortunati, furono questi ultimi ad avere la meglio. Salvatore perse quasi tutti i suoi uomini di fiducia; si salvarono Bruce e suo genero, il padre del piccolo Salvatore. Il primo grazie all’abilità, a mio parere sprecata, dei medici; il secondo perché era con Maria, sua moglie, che cercavano di concepire un altro piccolo Rizzo. Salvatore stesso subì un attentato, ma fu ben protetto e ci rimise solo una gamba con cui, ora, zoppica vistosamente, che gli possa andare in cancrena in questo momento!

“come ho già detto, quella sera l’alcool perse contro la rabbia 20 a 1 e le conseguenze della sconfitta si devono essere protratte anche il giorno successivo, ricordavo ogni singola parola. Quando scesi per la colazione affrontai mio zio, prendendolo in contropiede dato che era seriamente convinto che mi sarei scordato ogni singola sillaba della sua confessione.

-Mi dispiace deluderti, ma mi ricordo tutto- dissi entrando, evitando di salutarlo. Perché augurargli un buon giorno, quando sperava vivamente che, uscendo di casa una tegola gli cadesse in testa?

“Bruce si girò verso di me con la faccia sconcertata:

-Come prego?-

-Basta con le cazzate zio. Io ricordo tutto e tu hai capito di cosa sto parlando!-

-Cosa hai intenzione di fare?- mi chiese guardingo.

-Di farti una proposta. Voglio che tu firmi le carte che mi permetteranno di essere indipendente. Voglio dei soldi per potermene andare via abbastanza lontano da evitare di vedere, anche per sbaglio, la tua brutta faccia-

-E se non accettassi?-

“Non stava facendo il furbo, lo capii dalla sua espressione. Stava semplicemente valutando ogni possibilità.

-Andrò dalla polizia-

-Non ti crederanno mai. Sei una bambina confusa per lo shock subito- mi schernì.

-Credi? Possiamo provare, vuoi? Io non ho nulla da perdere. E poi, nel caso tu abbia ragione, giuro che ti ammazzo. In fondo sono una bambina confusa per lo shock subito- non stavo facendo la furba nemmeno io e lo zio lo sapeva.

“Ero sempre stata una ragazzina per bene, poco incline alla violenza ma, del resto, ero solita ridere spesso…

-Se non lo faccio prima io- mi minacciò.

-Devi riuscire a prendermi prima!- gli feci notare, ricordandogli che ero molto più veloce e agile di quanto fosse lui.

“Non so perché, ma non tentò arrischiò nemmeno un movimento per cercare di sopraffarmi. E’ vero che, se avessi voluto sarei potuta essere fuori di casa in pochi secondi, ma non ero stupida e sapevo che Bruce aveva non poche possibilità di farmi fuori in un tempo minore. Forse era stanco di pulire dal sangue la casa; o forse si sentiva in colpa per ciò che era successo ai suoi genitori, non dubitavo che avesse un cuore. Magari, invece, la mia proposta era la soluzione che glia avrebbe fatto sprecare meno energie; oppure perché, guardandomi, era un po’ come guardare una sua foto, di quando era giovane e questo gli ricordava suo fratello, di cui io ero figlia e che lui aveva sempre messo su un piedistallo, come un idolo da adorare ed emulare. Qualunque fosse stata la sua motivazione, Bruce mi accontentò, in tutto e per tutto. Prima di uscire, per l’ultima volta, da quella casa mi girai e gli promisi che se mai lo avessi rivisto lo avrei ucciso. Lui non reagì; era troppo stanco per farlo,                      

“Tutto ciò che feci o ciò che mi successe non ha nulla a che vedere con il mio rapporto con i Rizzo o con Bruce né, tanto meno, con quel Trojan. Riguarda me che, stupidamente, lasciai sciogliere il mio sogno di diventare un’atleta professionista, come un cubetto di ghiaccio dentro ad un bicchiere.”

 

 

(*) “Everybody hurts” by R.E.M.

 

A tutti i lettori: c’è un motivo per cui ho scelto questa canzone. No in realtà la scelta era rivolta ai R.E.M. perché come la famiglia di Savannah anche loro provengono dalla Georgia, mi sembrava quindi appropriato mettere una loro canzone.

Vorrei motivare anche un’altra cosa: il fatto che Michael e Savannah non abbiano fatto l’amore sulla pista d’atletica. Questa era l’intenzione iniziale, in fondo stavano insieme da qualche anno, la situazione era carina, i sentimenti c’erano…Però quando sono arrivata nel momento in cui avevano finito di cenare ho capito che Savannah a 16 anni non era pronta. Mi piaceva anche l’idea che Michael capisse questo da solo e si comportasse di conseguenza. Sarò ingenua, ma Savannah è un personaggio che crede molto nell’amore, tanto è vero che non ha avuto più nessuno dopo il suo bel atleta, perché nessun ragazzo le ha mai fatto perdere la testa come Michael. La domanda è: riuscirà a trovarlo questo uomo? Non lo so nemmeno io ora, ma sicuramente durante la storia lo verremo a sapere.

 

Ringrazio i lettori e tutti quelli che mi hanno inserito tra i preferiti, un bacio grande!

   
 
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