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Autore: lullublu    29/06/2016    0 recensioni
Oboro era sempre stato solo.
Ma giunto nella terra dei samurai, aveva intravisto qualcosa, qualcuno dotato di una ferrea volontà, qualcuno dall'anima d'argento.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Gintoki Sakata, Kotaro Katsura, Takasugi Shinsuke
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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oboro 2 Quella sera Makoto divenne la star del momento.
Dopotutto, poteva vantare di aver passato il suo turno di guardia insieme all'indecifrabile Oboro.
All'ora di cena, i Naraku solevano chiacchierare per stemperare la tensione della giornata.
A volte parlavano di cose serie ma perlopiù i loro erano pettegolezzi, anche perchè dopo un'intera giornata di lavoro anche la mente di quei guerrieri scelti aveva bisogno di distrarsi e riposare.
Oboro, essendo l'unico che non partecipava mai a quelle discussioni e che in genere si isolava, era spesso l'argomento delle conversazioni.
Questo può quindi farvi capire perchè Makoto quella sera fosse al centro dell'attenzione.
Tutti erano curiosi di sapere cos'altro avesse combinato il corvo.
Makoto prese quindi a raccontare, soprattutto inventando ed esagerando su quella che in realtà era stata una giornata come le altre.
Serviva perlomeno a darsi delle arie, vantandosi di una temerarietà che in realtà non aveva avuto, anzi, era stato teso e spaventato per tutto il tempo.
Non credeva però (ed aveva ragione su questo) di essere l'unico ad esagerare ed inventare particolari.
Come ad esempio il suo compagno Higuchi che per giustificare un taglio sul ginocchio, aveva detto di essersi fatto valere contro Oboro su una qualche questione e questo si era vendicato.
In realtà era caduto su di una roccia perchè Oboro gli aveva chiesto se volesse fare una pausa e lui, sussultando per lo spavento di sentirlo improvvisamente parlare, era inciampato.
Su di una cosa però Makoto non mentì.
Disse ai suoi compagni che Oboro aveva mostrato interesse verso lo Shiroyasha.
Nessuno si stupì molto nel sentire che il corvo non aveva mai sentito parlare di quel samurai così famoso.
Dopotutto, non parlando mai con nessuno, erano molte le informazioni che non gli arrivavano.
I superiori infatti si limitavano a riferire solo il minimo necessario affinchè loro compissero gli ordini correttamente, la maggior parte delle notizie, venivano passate in modo informale.
"Poverino, non vorrei essere nei suoi panni" disse uno.
Molti dei presenti annuirono, qualcuno tremò al pensiero.
"Chissà cosa potrebbe combinare, se quel corvo maledetto si è veramente fissato con lui, è meglio che quel samurai inizi a pregare gli dei".
                                                                                             ***

La piccola mano tremava,  tracciando incerta gli ideogrammi sul suo quaderno.
Non era ancora molto brava, ma avendo iniziato da poco ad imparare i kanji, la bambina dimostrava abilità ed un'ottima memoria.
Se il suo destino non fosse già stato segnato, se non fosse stata costretta a diventare un'assassina, la piccola Mukuro avrebbe potuto aspirare a diventare qualcuno.
Ma ai suoi capi, non era certo la sua intelligenza che interessava.
A loro bastava che fosse abile con la spada e che eliminasse senza problemi e senza porsi domande, qualsiasi obbiettivo le venisse assegnato.
"Ho finito" disse la bambina, sorridendo leggermente e mostrando il quaderno al prigioniero che aveva l'ordine di sorvegliare.
Il prigioniero si chiamava Yoshida Shoyo.
Quando era un uomo libero aveva un dojo nel quale accoglieva i bambini che non avevano un luogo in cui vivere e nulla in cui credere.
In quei tempi di guerra di bambini del genere ce ne erano parecchi.
Orfani o abbandonati, erano lasciati semplicemente al loro destino, e solo chi riusciva a crescere in fretta e diventare astuto oltre che forte, riusciva a sopravvivere.
Non sopportando quella realtà, Shoyo aveva fondato il suo dojo.
Oltre all'arte della spada, insegnava ai suoi allievi a leggere e scrivere.
Ma più di quel che poteva offrire loro materialmente, cercava di suscitare in loro una coscienza morale.
Secondo lui il vero samurai era colui che viveva la propria vita a testa alta, rispettando le proprie leggi.
Questo di certo al governo oppressivo che esisteva in quell'epoca non piaceva.
Perciò l'avevano arrestato.
O almeno, cosi avevano detto, ma questa era solo una scusa.
Anche all'interno del Tendoshu, erano ben pochi a conoscere il mistero che nascondeva quell'uomo.
Anche se aveva forma umana, Shoyo era un amanto.
Il suo vero nome era Utsuro ed era a capo dell'esercito dei Naraku, l'organizzazione di cui faceva parte Oboro.
Nessuno sapeva come, o perchè quando era venuto sulla terra avesse perso la memoria.
Per parecchi anni si era creduto fosse morto, fino a che non l'avevano trovato sulla terra con l'identità di Shoyo.
Molte erano state le teorie, c'era chi credeva semplicemente avesse tradito il Tendoshu, ma indagando si era scoperto che non stava fingendo, aveva davvero perso la memoria.
Per questo lo avevano arrestato, cercando nel frattempo un modo di farlo tornare com'era.

Shoyo prese il quaderno, guardando gli esercizi che la bambina aveva svolto.
"Ma che brava" disse, regalandole un sorriso "magari i miei allievi fossero stati così svegli".
Mukuro adorava ascoltarlo mentre raccontava dei suoi allievi.
Di Takasugi che era sveglio ed intelligente ma troppo permaloso.
Di Katsura volenteroso e dotato di un po' troppa fantasia.
Ma il preferito della bambina era Gintoki, e per come il maestro parlava di lui, Mukuro pensava fosse anche il suo prediletto.
Un giorno Shoyo le aveva raccontato la sua storia.
L'aveva trovato quando era ancora piccolo.
Derubava i cadaveri per trovare qualcosa da mangiare, uccideva se necessario.
Mukuro, quasi si era rispecchiata in lui sentendo la storia.
Shoyo le aveva detto di come fosse pigro e svogliato, ma abile con la spada più di tutti gli altri.
E nonostante i suoi difetti, aveva un animo grande.
Il maestro le restituì il quaderno.
"Raccontami qualcosa" disse la carceriera, stringendosi il quaderno al petto come un piccolo tesoro.
Shoyo sorrise e ci pensò un attimo, gli piaceva raccontare.
"Ci sono" disse il maestro "vuoi sentire di quella volta che Gin tentò di rubare il mio latte alla fragola?".
Mukuro annuì guardando il maestro con aria adorante, curiosa di conoscere quella storia.
Sapeva che quella era la bevanda preferita del maestro.
Una volta aveva tentato di portargliela di nascosto,  ma era stata scoperta.
Portava ancora sulla schiena i segni della punizione.
Anche se era ancora una bambina, i suoi superiori di certo non erano clementi.
"Allora" inziò Shoyo.
Mukuro si avvicinò alle sbarre aspettando, ma invece della storia sentì dei passi.
Era Oboro.
L'albino guardò la bambina con aria di rimprovero.
"Ti avevo detto di non parlare con quest'uomo".
Mukuro abbassò lo sguardo al pavimento, rimanendo in silenzio per non peggiorare la sua situazione.
Per fortuna Oboro non le badò.
"Lasciaci soli" le disse soltanto.
Lei si allontanò in tutta fretta.
Quando se ne fu andata, il corvo rivolse la sua attenzione a Shoyo.
Odiava quell'uomo.
Il suo maestro era stato Utsuro. Lui era quello che gli aveva insegnato tutto ciò che sapeva.
Era l'unico che stimasse e verso cui portava davvero rispetto.
Se non fosse stato per Utsuro probabilmente sarebbe diventato un uomo diverso.
Quando, anni addietro, aveva saputo della sua scomparsa, ne era rimasto profondamente turbato.
E quando era venuto a sapere che il maestro che tanto stimava era diventato uno stupido uomo senza spina dorsale, si era sentito furioso.
Avrebbe voluto ucciderlo con le sue mani quando l'aveva incontrato per la prima volta.
Fu infatti lui ad arrestarlo.
Ma era fermamente convinto che in qualche modo avrebbe potuto fargli ritornare la memoria.
"Cosa ti porta qui a farmi visita?" chiese Shoyo, quel miserabile individuo che Oboro detestava, sorridendo.
L'albino non capiva e non sopportava quel comportamento.
L'avevano imprigionato, eppure lui continuava a comportarsi pacatamente ed a sorridere a chiunque.
L'avrebbe apprezzato maggiormente se avesse espresso il suo dissenso.
Se l'avesse guardato con odio.
Avrebbe perfino preferito farsi sputare addosso da lui, ma non quel sorriso.
Trattenne i suoi istinti omicidi.
"Voglio sapere dello Shiroyasha, so che è stato un tuo allievo, parlami di lui" disse nel tono autoritario che era abituato ad usare negli interrogatori.
Il sorriso morì sul volto del miserabile individuo.
Oboro lo vide sbiancare ed il suo atteggiamento divenne rigido.
Il corvo sentì una sorta di soddisfazione nel vederlo quasi spaventato alle sue parole e capì già da questo di aver indovinato.
"Non so di chi tu stia parlando,  non conosco nessuno Shiroyasha" provò a mentire Shoyo.
Ma era inutile perchè tutto in lui tradiva la menzogna.
Oboro era abituato a non farsi ingannare e sapeva anche come scucire la bocca di chi era restio a parlare.
Si avvicinò alle sbarre guardandolo attentamente.
"Non provarci nemmeno a prendermi in giro" lo avvertì.
"E' la verità" provò nuovamente Shoyo, con voce flebile, quasi supplicante.
Non voleva che i suoi allievi pagassero al suo posto, se gli fosse stato possibile li avrebbe protetti.
Non aveva paura di morire, ma non voleva che fossero loro a farlo.
Aveva immaginato che alcuni di loro sarebbero andati in guerra, e non avrebbe potuto fare nulla per trattenerli.
Oboro lo guardò con disprezzo e decise che non avrebbe avuto pietà.
Prese la sua lancia e con abilità la fece passare tra le sbarre, trafiggendogli la mano.
Guardò con sadica soddisfazione la smorfia di dolore sul volto dell'altro.
"Ti conviene dirmi tutto se non vuoi che uccida i tuoi allievi uno ad uno".
Vide che dalla ferita non usciva nemmeno una goccia di sangue, e la pelle, ancora con la lama nel mezzo, stava già rigenerandosi.
Quella era un'abilità di Utsuro.
"Potrei portarne qui uno alla volta ed ucciderli davanti ai tuoi occhi, che ne dici?".
Ora, oltre al dolore fisico c'era vero e proprio terrore negli occhi di Shoyo.
"N-non oseresti" cercò di replicare il maestro, ma non era molto convinto.
Conosceva quegli amanto, sapeva quanto potessero essere crudeli.
"Sai benissimo che potrei farlo" rispose Oboro, guardandolo dritto.
Vide che il maestro tentava ancora di resistere, ma non durò a lungo.
"Ti dirò tutto" si arrese.
"Bene" disse Oboro e si decise ad estrarre la lama dalla mano dell'altro.
La ferita si rimarginò immediatamente, quasi non fosse mai esistita.
Anche se non era sporca, Oboro passò lo straccio sulla lama, disgustato dal pensiero che avesse toccato quell'uomo che insultava il corpo di Utsuro.
"Gintoki Sakata" esordì Shoyo "così si chiama lo Shiroyasha, anzi, per essere corretti questo è il nome che gli ho dato io".
Oboro ascoltò con attenzione ogni parola dell'uomo.
Credeva che una volta che ne avesse saputo di più avrebbe cambiato idea notando che era solo un miserabile come tutti gli altri.
Invece, più ne sentiva parlare, più il suo interesse cresceva.
Lo Shiroyasha sembrava davvero l'incarnazione dello spirito del samurai.
Tutti quegli ideali che Oboro credeva fossero solo storielle per i creduloni, trovavano vita e orgoglio in quell'uomo.
Oboro voleva conoscerlo personalmente.

  
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