Videogiochi > Assassin's Creed
Segui la storia  |       
Autore: cartacciabianca    18/04/2009    4 recensioni
[…] I due assassini si issarono sui bastioni della fortezza e furono a portata degli arcieri. -Via, via, via!- Altair l’afferrò per il cappuccio e la trascinò di corsa verso l’angolo della fortezza, che culminava con una torre, la quale facciata dava sull’immenso piazzale del distretto nobiliare. -Salta!- Altair la spinse giù e i due assassini, accompagnati dal ruggito di un’aquila, si gettarono nel vuoto. Nel bel mezzo del volo Altair la strinse a sé, ed Elena si avvinghiò a lui che, capovolgendosi in aria, atterrò di schiena nel cesto. Poi fu il silenzio, scortato dal canto delle campane d’allarme, ma almeno le voci dei soldati e le grida degli arcieri erano cessate. […]
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Dea tra gli Angeli' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Una strana rabbia, un dolce ricordo











Il legno freddo sotto i piedi scalzi e i suoi passi leggeri che si diffondevano nell’aria immobile della mattina. Elena corse nel corridoio e scese le scale poggiando una mano sulla parete. Indosso aveva i cortissimi pantaloncini e la maglia bianca a maniche lunghe. Della sua uniforme non aveva altro con sé, neppure gli stivali.
D’un tratto, dalla stanza infondo si levò un grido rabbioso e la ragazza udì il suo maestro che sfogava tutta la sua ira sulla poca mobilia intatta del salone della Dimora.
Raggiunse il piano terra, si fermò spaventata e si appiattì contro il muro. Si sporse a dare un’occhiata, ma il piatto di ceramica volò a pochi centimetri dal suo naso andandosi a frantumare in pezzetti contro la parete e, terrorizzata, ella si ritrasse senza fiato.
Se prima c’era stata la confusione, ora era l’Inferno. Ai ruggiti collerici del suo maestro si alternavano lo sbattere incessante di oggetti quali posate, piatti e bicchieri! Ma Altair non risparmiò neppure sedie, libri e pergamene.
Elena si maledisse per quello che aveva fatto e quello che aveva comportato. Ancora una volta era stata solo una stupida, e se lo ripeté ancora e ancora.
Quando improvvisamente tutto tacque, ella si permise di adocchiare la sala invasa dal caos di mobili rovesciati e carte sparse e ancora svolazzanti nell’aria. Il pavimento era celato sotto cumuli di pergamene e tappeti strappati. Altair, invece, respirava affannosamente coi pugni chiusi poggiati su un tavolo. La pelle bronzea era imperlata di goccioline di sudore e le sue spalle si alzavano e si abbassavano in un ritmo frenetico e costante. I denti serrati, gli occhi neri persi nel vuoto di fronte a sé. In quel momento, Elena poté saggiare la sua stessa rabbia, e se la sua coscienza non l’avesse frenata, ella si sarebbe aggiunta al suo maestro aumentando il casino! Spaccare cose era il miglior modo per sfogare le proprie colpe, le proprie collere e reprimere i propri ardori. Meglio su “qualcosa” che “qualcuno”, no? Sorrise, ma il suo sorriso fu un ridacchiare malsano che in un frangente come quello poteva farla sembrare solo una pazza.
La ragazza mosse un passo nel salone, ancora sorridente come se tutto ciò fosse una messa in scena.
Altair si raddrizzò voltandosi e scorse la sua allieva scendere la tromba delle scale.
Era assurdo, ma era capitato proprio a loro che meno tra tutti sarebbero dovuti inciampare in una simile situazione.
In pochi secondi, il sorriso sornione di lei divenne una risatina striminzita che si diffuse per tutto il locale. Rideva perché se avesse pianto, chissà dove sarebbero finiti.
Altair la fissò allungo perplesso, mentre il suo respiro si faceva lentamente più regolare. Un istante più tardi, gli angoli della sua bocca si allungarono e neppure il suo maestro poté far a meno di cogliere l’ilarità di quella buffa mattina.
Risero insieme, mescolando le loro voci tanto differente l’una dall’altra. D’un tratto, Altair scosse la testa e la sua gioia si consumò in un ultimo sorriso benevolo. Le volse un’occhiata, ed Elena sfuggì al suo sguardo che la metteva parecchio in soggezione.
L’uomo incrociò le braccia al petto. –Hai fame?- chiese.
La ragazza sobbalzò colta in contropiede dalla domanda. –Io…- balbettò flebile.
Altair attese composto una sua risposta, ammirando nel mentre ogni centimetro del suo corpo.
Era bello sapere che la stesse di nuovo guardando, come potesse toccarla. Il rossore sulle sue guance comparve inatteso e prepotente. –Io…- ripeté timidamente.
Non era scesa lì sotto per fare colazione, ma bensì per chiarire certe sue vane affermazioni una volta per tutte! Non poteva posticipare ancora, non poteva permettersi di lasciar correre ogni cosa, di dimenticare (che non sarebbe mai stato possibile) o di accettare quella verità! Doveva in tutti i modi contrastarla, ma prima di tutto… era scesa in quel salone per conoscere la verità. Tutta la verità.
La luce entrava dalle finestre senza vetri illuminando la Dimora del chiarore intenso della mattina presto. Il canto degli uccellini appollaiati sul tetto giungeva fin qui e una calda brezza estiva traversava la valle inebriando il salone dei profumi dei boschi.
Altair si schiarì la gola.
La ragazza, richiamata dai suoi pensieri, chinò il capo e annuì.
-Bene- l’assassino si diresse al bancone e vi frugò nelle dispense più in basso.
Elena rimase immobile dov’era e lo osservò ammutolita. –Ho già cercato del cibo lì, e ieri non ve n’era- mormorò stupita.
-Aspetta e vedrai- proferì l’assassino chinandosi a terra e sollevando lento una tegola del pavimento. Sotto di questa vi era una piccola botola scura dalla quale trasse un panno bianco avvolto grande quanto un libro. Lo poggiò sul bancone e cominciò a srotolarlo, mostrando in fine il suo contenuto.
Vi erano due mele, una banana e una forma di formaggio stretta a sua volta in un secondo involucro. Altair sorrise soddisfatto e afferrò da un cassetto un coltello. Stagliò a spicchi entrambe le mele e li raggruppò sul panno.
La ragazza si avvicinò al tavolo ancora stupefatta. –Ma dove…- non capiva.
L’uomo sorrise soddisfatto. -Buon appetito- disse voltandosi e chinandosi a risistemare al suo posto la tegola di legno.
-Ma dove… come sapevate…?- sussurrò estremamente confusa.
Altair si tirò su lentamente. -La donna a capo di questa Dimora- proferì in un sussurro. –Metteva da parte per me in questa botola quello che non volevo condividere con gli altri assassini-.
Elena si adombrò. –E come mai?-.
-È una storia vecchia!- ridacchiò l’assassino. –Quando le chiesi per la prima volta di raggruppare per me questo fagotto- cominciò lui –ero ancora giovane, inesperto e senza il rango di adesso. Nonostante sia cresciuto fin dalla culla nella confraternita, ho disprezzato per parecchio tempo la setta stessa e gli uomini che la componevano, miei compagni. Quello che pensi di me è il vero. Non ero molto sociale, all’epoca- disse con rammarico. –Geloso di me, della mia abilità e di tutto ciò che potesse entrare a far parte della mia vita. Non permettevo a nessuno di toccare questo fagotto! A costo di difenderlo con la vita!- rise. –Ma adesso sono cambiato. Profondamente cambiato-.
-L’ho notato- borbottò Elena.
L’assassino emise un gran sospiro. –Avanti, mangia-.
La ragazza spostò lo sguardo sugli spicchi di mela adagiati sul telo bianco, accanto alla banana e alla forma di formaggio.
-Forza! Mica è avvelenato- fece allegro.
Elena sollevò il volto e la sua occhiata smarrita trattenne la gioia dell’assassino. -Veramente non sono venuta per fare colazione, maestro- sibilò.
-Lo so- fu la sua risposta schietta e tranquilla. –Ma adesso mangia. Ti prego-.
La Dea ubbidì, afferrò uno sgabello ancora integro e vi sedette poggiando le mani in grembo. Esitò alcuni istanti, ma anticipando il gorgoglio del suo stomaco, alzò un braccio e afferrò il primo spicchio.
-Dov’è…- mormorò Elena lanciando un’occhiata dietro il bancone, sul pavimento del quale ricordava ci fosse quel corpo dilaniato.
Altair si rattristò. –L’ho sepolta, questa mattina presto, qui fuori- chiuse gli occhi.
-Ah…- mormorò la ragazza. –Mi dispiace. Se metteva da parte il vostro pranzo, dovevate essere molto… legati- intuì sorridendo mesta.
Nei suoi occhi balenò un luccichio di gioia, ma durò solo un istante brevissimo. –No, non proprio. Era una ragazza molto dolce e premurosa verso chiunque. Suo fratello maggiore è il Rafik di Damasco da molto tempo; ci conoscevamo per i contatti che avevamo in comune, ma non ero certo il suo prediletto-.
-Come si chiamava?- domandò ella.
Altair tacque per diversi secondi. –Anisa-.
-E suo fratello…- sussurrò Elena.
-La notizia giungerà con noi a Gerusalemme; una volta lì sarà Malik stesso ad informare prima Tharidl e di conseguenza Aban, suo fratello. Solo allora egli lo saprà- sospirò.
La ragazza rifletté in silenzio. –Vuol dire che nessun assassino sa di questo scempio?- eruppe.
L’assassino si strine nelle spalle. –Non tutte le Dimore del Regno sono state attaccate. Alcune sono intatte e ancora nascoste tra le montagne. Altre, come questa, sono state saccheggiate. Altre ancora bruciate- digrignò.
-Malik…- ripensò Elena. –Questo nome non mi è nuovo- sorrise.
-È ovvio. Marhim e Halef ti portarono a Gerusalemme quando ti trovarono sul ciglio della strada. Fu lui, Malik a guarirti delle infezioni più gravi. E fu sempre lui a trovare il tatuaggio sul tuo braccio- dichiarò serio.
Elena addentò un nuovo spicchio di mela, ma non aggiunse nulla.
Altair si appoggiò con la schiena alla parete e si mise a braccia conserte. –Cosa farai quando salveremo tuo padre?- chiese ad un tratto.
Elena per poco non si strozzò col boccone. Lo guardò allungo interrogativa, ingoiò e poi chiese: -perché v’interessa saperlo?-.
Altair abbassò il mento sul petto ma non disse nulla.
La ragazza tossì. –Resterò nella setta, e lui potrebbe essere utile lì. Dopotutto, sa usare una spada. È stato un ottimo maestro, mi ha insegnato nel migliore dei modi l’arte del combattimento ed è questo che lo terrà impegnato a Masyaf. Sono sicura che Tharidl stesso ne convennero- annuì fiera.
-Ho chiesto cosa farai tu- ribadì l’assassino con tono truce.
Elena non seppe che rispondere. –Non lo so…- provò a dire. –Sono ancora troppo…- s’interruppe abbassando lo sguardo. –troppo confusa, in questo momento- bofonchiò.
Ascoltò il silenzio del suo maestro trafiggerla come un colpo di lama. Sapeva che la stava guardando, sapeva che stava studiando ogni sua reazione e sapeva che stava tentando di interpretare ogni suo pensiero. Pertanto, era terribilmente spaventata dal fatto che presto o tardi, in quella conversazione sarebbe saltato fuori qualcosa di spiacevole. Per ora stavano entrambi girando intorno all’argomento, deviando su propositi secondari e dall’importanza meno tagliente. Ma quanto avrebbero resistito senza dirsi la verità? Quanto tempo ancora avrebbero tenuto saldi i loro mutismi e chi, si chiese, avrebbe fatto la prima… mossa?
-Confusa? E perché?-.
-Basta!- sbottò improvvisamente. –Sapete benissimo perché!- ruggì. –Avete ascoltato quello che ho detto, non sono né cieca né sorda, non ancora! Ecco perché sono confusa…-.
Altair soffocò una risata. –E sei venuta fin quaggiù per rimangiarti ogni tua parola? Un gesto davvero infantile, non me l’aspettavo- la rimproverò.
-Non siete più tenuto a giudicarmi. Quando saremo a Gerusalemme, io…-.
-Tu cosa?- sibilò in tono di sfida.
Provò un incredibile timore. Quel suo sguardo truce la metteva parecchio a disagio. I punti fermi di quel discorso si erano volatilizzati nel nulla. Non aveva più nulla per cui combattere. Non sapeva cosa dire, cosa fare, cosa pensare.
-Io…- ripeté. –Io…-.
Altair si voltò di profilo ridendo.
Elena parve innervosirsi. -Dove vorreste arrivare comportandovi così?!- strillò.
L’assassino tornò serio all’istante. –Dove “io” voglio arrivare?- domandò sarcastico.
-Cosa volete ottenere facendomi questo?!- ribadì la Dea stringendo i pugni sul tavolo.
-Io ho già ottenuto quello che volevo. Sei tu che ti ostini a non voler sapere cosa desideri davvero!-.
-So benissimo cosa voglio!-.
-E cioè?-.
Elena esitò. La sua bocca era aperta, ma da essa non veniva suono se il suo respiro forzato a tenersi regolare. -Voglio dimenticare, ogni cosa… nascondermi, come non fosse mai successo… nulla- mormorò, e ci mancava pochissimo che scoppiasse a piangere.
Altair addolcì il suo atteggiamento presuntuoso. Si scostò dal muro allungandosi sul tavolo, poggiando i gomiti su di esso. Dopo un minuto di silenzio che parve un’eternità, l’assassino parlò in un sussurro. –Chiedimelo-.
Elena levò mento dal petto e una lacrima argentata scivolò sul suo volto. -Chiedervi cosa?-.
-Avanti, chiedimelo- insisté lui. -Forza- fece con tono soave.
-Non capisco…-.
-Chiedimelo; e dimenticherò le ultime ventiquattro ore-.
Il suo maestro dimenticava a comando? Alquanto strano, pensò. Forse era semplicemente un modo retorico per dire che, come lei desiderava, avrebbe ignorato ogni cosa, dimenticando per l’appunto… le ultime ventiquattro ore.
-Chiedimelo- disse ancora.
Che cosa doveva chiedere precisamente? Elena fissava quegli occhi neri, bellissimi che ricambiavano il suo sguardo sperduto in modo del tutto innaturale. Sembrava così tranquillo, rilassato, e la sua sola voce le infondeva sicurezza. Era magnifico poter tornare a vedere nel suo maestro qualcuno in cui porre la propria fiducia. Fu elettrizzante sapere che, anche dopo quello che avevano passato, presto sarebbe potuto tornare tutto come prima.
-Chiedimelo- Altair avvicinò ulteriormente il volto al suo, ed Elena in principio si ritrasse.
-Sai bene che è l’unico modo- aggiunse l’assassino, e poteva sentire il suo respiro arrivarle sul naso.
Era vicinissimo. –Io…- mormorò per la quinta volta. –Io…- ecco la sesta.
-A meno che- intervenne Altair. –A meno che tu non lo voglia davvero; a meno che tu non voglia dimenticare niente e…-.
Elena gli bloccò le parole ancora in gola. Si sporse verso di lui e gli sfiorò appena le labbra con le sue. Persino quel contatto leggerissimo durò troppo allungo. Doveva trattarsi di un solo piccolo e innocuo mordi e fuggi, ma la ragazza non riuscì a scollarsi da lì per diversi secondi. Troppi secondi, che si agglomerarono in un minuto che lentamente diede i suoi frutti.
Altair si staccò una frazione impercettibile di tempo e scavalcò il tavolo trovandosi dall’altra parte del bancone, precisamente di fronte a lei che, prima di poter capire cosa stesse succedendo, percepì la bocca del suo maestro riappiccicarsi alla sua con il doppio del trasporto.
La ragazza si sollevò in piedi, alzò le braccia e le avvinghiò attorno al suo collo mentre lui l’attirava a sé.
Elena chinò la testa da un lato, smarrita nel momento in cui le mani del suo maestro riscesero la curva dei suoi fianchi fino a sollevarla e allacciarle le gambe attorno al suo bacino. Poi egli la prese in braccio facendola sedere sul tavolo. La ragazza si staccò dalle sue labbra per riprendere fiato, ma Altair non le diede tregua andando ad assaggiare la pelle di una sua spalla scoperta.
Era il colmo! Si disse Elena. Stava ricominciando tutto da capo, la sola differenza quella volta era che nelle vene sentiva il suo sangue pulito e bollente scorrere senza la compagnia di nessuna tossina d’alcol. A quel punto si sentì ancor più confusa di prima.
Poteva essere tutto vero, si disse. Quello che provava per il suo maestro, quello che aveva confessato alla sua falchetta. Poteva trattarsi della verità; ma cosa la faceva star così male, dunque? Quali torti stava facendo e a chi? Immediatamente pensò a Marhim, ma quel pensiero si dissolse come polvere nell’istante in cui Altair le sollevò un lembo della maglia sfiorandola con le dita appena sotto la curva del seno.
Un brivido la percorse da cima a fondo svegliandole i sensi. Con gli occhi chiusi e le labbra arrossate, Elena smontò giù dal ripiano e tentò di allontanarsi da lui, ma l’assassino le prese il mento con una mano e riallacciò le loro bocche in un bacio tutto nuovo, che quasi le mise paura.
La ragazza rabbrividì. Le stava indirettamente chiedendo qualcosa… una conferma, e pazientemente aspettava… se, se, come no… pazientemente per modo di dire.
Elena poggiò una mano sul suo petto, toccando appena la garza bianca che passava da parte a parte del torace. Ribellandosi a se stessa e a quella seconda personalità che aveva imparato ad odiare, lo spinse via sfuggendo al contatto delle loro labbra e dalla piega passionale che stava prendendo tutto questo.
La ragazza fece uno, due passi indietro spalancando gli occhi, atterrando in quel modo violento nella realtà. -No!- gemé.
-Siamo al punto di partenza, a quanto pare- sbuffò l’assassino.
-Cioè… sì! Insomma, no!- balbettò.
-Sei stata tu a baciarmi!-.
-E se voi aveste avuto un minimo di buonsenso mi avreste fermata!-.
-Ti sbagli- sibilò.
-E perché mai!?-.
Tacque. Incerto, il suo maestro tacque. Non poté credere di essere riuscita ad azzittirlo, a lasciarlo senza parole. O forse le parole le aveva, ma chissà… cosa gli costava dirle.
E all’improvviso, inaspettatamente, Elena capì e sbiancò letteralmente.
-Elena, non è come credi- cominciò Altair venendole incontro.
-Razza di!…- lasciò in sospeso la frase alzando un ginocchio e colpendolo lì, dove i maschietti sono più fragili.
L’assassino serrò i denti e si piegò appena in avanti. Sulla sua tempia comparve una piccola vena. –perché l’hai fatto?- la sua voce era salita di un tono.
Elena indietreggiò ancora finendo ad urtare uno dei tavolini bassi della sala. -Vi rammento che ho 17 anni!-.
Altair si appoggiò al bancone distendendo il braccio, mentre la mano libera era… lì. –Che cosa stai dicendo?!- proruppe nervoso.
-Chi vi ha dato il permesso di usarmi così?!-.
-Elena!- digrignò lui sopportando a malapena il dolore.
La ragazza proseguì, imperterrita. –Dio! Solo pensandoci mi fate schifo!- ruggì guardandolo con disprezzo. -Adha se n’è andata prima che poteste ottenere quello che volevate, e ora siete passato a me?! E senza neppure chiedermi il consenso! E senza neppure immaginare che potessi restarci parecchio, parecchio avvilita!- si strinse un braccio attorno al ventre. –Sono senza parole…- mormorò in fine.
Altair la lasciò proseguire senza interromperla.
-Non vi bastava trattare me come fossi vostra figlia- tirò su col naso stringendosi nelle spalle. –Non vi siete fermato a questo, certo che no- borbottò e una lacrima le bagnò la guancia, ma la ragazza se l’asciugò prima che potesse precipitare al suolo. –Quando avete capito che stavo dalla vostra parte, quando avete compreso che ci sarebbe stato un minimo di speranza avete agito, ingannando me per prima e voi stesso. Vi consolava il fatto che la “casualità” dell’evenienza avrebbe nascosto ogni vostra bugia, ma logorato dalla rabbia e spinto a farlo per chissà quale motivo, mi avete usata… per i vostri meri… avidi… ma da una parte dolci… scopi- dichiarò schietta, immensamente afflitta.
-Che cosa stai dicendo?…- sussurrò lui tornando dritto.
Elena sollevò il mento puntando gli occhi azzurri, lucidi e gonfi in quelli neri del suo maestro.
-Non so come dirvelo, ma sapete benissimo di cosa sto parlando!- strillò senza riuscire a trattenersi oltre. Si portò le mani al viso, coprendoselo coi palmi chiusi e vagando nel buio, mentre i suoi singhiozzi riempivano l’aria immobile e silenziosa della Dimora.
La ragazza, traballante, crollò a terra in ginocchio nascondendo il volto tra le dita, senza arrestare il pianto euforico che si levava dalla sua gola.
Altair si allontanò dal bancone e andò a chinarsi al suo fianco. La prese sottobraccio, ma Elena si stanziò da lui con violenza andandosi a rifugiare contro la parete.
-Mi fai davvero così privo di etica?- ridacchiò l’assassino.
Elena si voltò a guardarlo, arrestando improvvisamente i suoi singhiozzi.
-Non sono quel genere di mostro. Non ti farei mai una cosa simile, mai- mormorò flebile. –Piuttosto, avresti potuto risparmiarti questo colpo basso- mugolò sedendosi a terra accanto a lei.
-Mi spiace- proferì spiaciuta. -Se mio padre non me l’avesse insegnato, probabilmente non avrei mai saputo che potesse fare tanto male…- sorrise triste.
Altair le lanciò un’occhiata divertita, mentre una sua mano si stringeva attorno alle dita affusolate della sua allieva. -No probabilmente no; ma tuo padre era un ottimo insegnante-.
-È…- lo corresse lei.
Altair annuì ridendo. -È un ottimo insegnante, perdonami-.
-Dunque…- proseguì Elena poggiando una guancia sulla sua spalla. –Mi devo ricredere?- domandò.
-Sì- assentì lui.
-E allora, se non era per lasciarmi incinta che l’avete fatto…- sussurrò ella. –per che cosa?-.
L’assassino sospirò. –A questo punto penso sia abbastanza ovvio, non credi?- chiese guardandola dall’altro.
La ragazza scosse la testa.
-Non so come dirvelo, ma sapete benissimo di cosa sto parlando!- le fece il verso.
Elena scoppiò in una fragorosa risata.
-Avanti, quello bacato ero io, no?- le accarezzò una guancia.
-Non posso…-.
-Che intendi?-.
-Ho capito che vi siete innamorato di me, maestro, ma vedete, io… non posso-.
-Perché?-.
-Marhim… io credo di… averlo già tradito abbastanza-.
-Sapevo che avresti detto così- sibilò. –Ma non sarò tanto crudele da strapparti da ciò a cui tieni. Perciò- disse alzandosi. –non farti venire altre strane idee, chiaro?- le porse una mano che Elena afferrò aiutandola a tirarsi su.
-Grazie- l’abbraccio senza preavviso, aderendo perfettamente al suo corpo, potendo ascoltare i battiti regolari del suo cuore. -Grazie- ripeté.
Altair le pettinò i capelli dietro l’orecchio. –Dimmelo ora se serve che dimentichi- le sussurrò.
-No, non serve. Sarebbe ancor più doloroso-.
-Sei pronta a sopportare il fardello?-.
-Sì!- gemé ancora avvinghiata a lui, ed una nuova lacrima le bagnò il volto.
Il suo maestro gliel’asciugò con dolcezza. -È bellissimo sentirtelo dire, perché per me sarebbe stato impossibile-.
-Mi associo- sorrise stanziandosi di un passo indietro.
Altair la contemplò diversi istanti, poi Rashy comparve d’un tratto dalla finestra e svolazzò nella stanza, andando a posarsi sul bancone della Dimora. Il suo grido invase l’aria asciutta del salone.
-Ha ragione- disse l’assassino.
Elena assunse un’espressione interrogativa. –Perché, che cosa ha detto?-.
-Siamo troppo in ritardo. I soldati di Corrado muovono su Gerusalemme e noi siamo ancora qui- eruppe avviandosi sulle scale, ed Elena lo seguì. –Dobbiamo muoversi: Malik sarà su tutte le furie e rischiamo di non arrivare in tempo per l’incoronazione!- dichiarò mentre entravano in camera, dove la gran parte dei loro vestiti era mischiata alla confusione della stanza.
-Su, rivestiti- le disse raccogliendo la sua roba da terra.
-Certo, ma voi? La vostra uniforme è piena di sangue! Se vi vedessero passare in questo stato, attirereste troppo l’attenzione delle guardie- commentò ella.
-Lo so perfettamente, ma ho già trovato la soluzione, non preoccuparti. Ora fa’ come ti ho detto!- le ordinò uscendo dalla camera e percorrendo il corridoio.
I suoi passi si persero fino in una delle stanze vicino, ed Elena si vestì in tutta fretta cercando ogni parte del suo equipaggiamento. Quand’ebbe finito, si fermò un istante, meravigliata da cosa aveva tra le mani.
Erano gli astucci dei cinque pugnali da lancio che portava sulla spalla, attaccati ai lacci di cuoio che percorrevano il petto e s’interrompevano giunti da quel triangolo di metallo tanto ben lavorato. La cosa che la colpì in particolar modo fu ritrovare negli astucci i due pugnali che aveva prestato al suo maestro. Ma ancor più estasiata la lasciò il fatto che ci fosse un terzo piccolo pugnale. Era finemente lavorato, con un impugnatura d’argento e delle piume intarsiate nel manico. Elena riconobbe subito quel pugnale, e nella sua mente si aprì un ricordo lontano che copriva i giorni più felici passati alla fortezza. Ovvero quelli dell’addestramento. Si ricordò di una sera passata a scagliare coltelli da lancio contro un manichino di paglia. Anzi, non una sera soltanto, ma una giornata intera trascorsa a far avanti e indietro per raccogliere quelli finiti a terra. Fu un ricordo dolcissimo e piacevole, e quel pugnale lavorato un tempo l’aveva cercato credendo di averlo perso poiché i conti non tornavano. Invece, Altair gliel’aveva nascosto sotto il naso scagliandolo poi addosso al manichino con incredibile precisione, tanto per farla rosicare. Sorrise malinconica. Quei giorni le erano piaciuti parecchio, e ricominciare da capo era il suo grande sogno. Ma ormai, che senso aveva ricominciare se tutto quello che desiderava ardentemente era già tra le sue mani?
No. Non tutto, si disse.
Corrado doveva ancora morire.

____________________________________________-


Ok, in questo capitolo mi prendo la rara libertà di scrivere i ringraziamenti. XD Ma per prima cosa, famo dei piccoli chiarimenti. XD fa anche rima!

1.    Elena stupida, io sapere, ma per ragioni di… *interruzione acustica a difesa degli spoiler* … ho dovuto deviare la vita sentimentale dell’allieva. Eh, sì. Mi dispiace un casino, ma almeno ho risolto non alla svelta, ma con meno impicci la questione. Sennò qui mi scappava il pianto anche dal maestro.
2.    Tharidl non voleva che maestro e allieva si mettessero assieme, Manu! Era Elena che, come suo solito, si faceva le cosiddette pippe mentali! XD
3.    … veramente non ho altro da aggiungere.

Ringrazio i seguenti adorabili utenti! XD

Saphira87 (Sorpresa: oddio, so che speravi molto che la storia andasse a finire in un altro modo, ma ti prego… abbi pietà! Non sono brava a prendere delle scelte, ed Elena [ho deciso] starà con Marhim, ma… vedremo! <.< )
Goku94 (l’idea della ginocchiata nei marones è tua!!! GRAZIE, fratellino, sei un genio! XD)
Carty_Sbaut (Donde stai?!?!?)
Lilyna_93 (Saluti all’accaunt!!!)
Assassin e Diaras (Donde state, pure voi? O-O)
Angelic Shadow (Riprenditi sto cazzo di PC! Ups… eheh)
Renault (Arriva presto a buon punto!)
Kasdeya (Adoro le tue recensioni, e mi chiedo come tu faccia ad andare a capo quando ti aggrada o.o)


Bene miei giovani allocchi! XD Che cosa abbiamo intenzione di fare, adesso??? EH? Ovvio, lasciare una recensione e… sperare che non rovini anche il prossimo capitolo! Cauuuu!! O.O Cau??? XD Caiuuu!!! (Puntiamo sul banale: Ciaoooo!!!) XD













   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Assassin's Creed / Vai alla pagina dell'autore: cartacciabianca