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Autore: _Blanca_    02/07/2016    2 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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VI. Il demone di Goudhurst Close





Lily andò al tavolo, prese la lampada e tornò accanto ad Anna. Insieme si accovacciarono, per guardar meglio: numeri. Una fila di numeri, incisa sul legno del pavimento. Ed era un lavoro talmente mal abbozzato da far supporre che non fosse stato realizzato con un oggetto apposito. ‘Un chiodo. O uno spillone’ pensò Anna, strofinando la punta dell’indice sul primo numero, del quale restava soltanto un semicerchio: indizio che qualcuno doveva aver provato a grattare via i numeri, abbandonando subito l’opera. Seguivano un sette particolarmente distorto, un tre, un due, un altro tre e un cinque.
«Che cosa bizzarra» sussurrò Lily. «Perché si dovrebbero scrivere dei numeri sul pavimento?»
«Perché si è a corto di carta e inchiostro?»
Lily sbuffò un sorriso.
«Sarà stato qualcuno della vecchia servitù?»
Anna si strinse nelle spalle.
«Forse...
»  sussurrò scherzosamente la cameriera, dopo un attimo di silenzio, «è un messaggio segreto.» 
«O la combinazione di una cassaforte.»
«O le coordinate di un tesoro nascosto!»
Anna colpì l’asse con le nocche: lo spazio sottostante non era vuoto. E lei notò che l’asse era comunque troppo ben incastrata per poter venir rimossa.
Il mistero non trovò soluzione. Non quella sera.
Il ditale venne raccolto e riposto nel cestino del cucito, il letto fu nuovamente spostato e, prima che la pendola battesse un quarto alle undici, Anna se la svignò dall’attico, passando dalle scale di servizio, senza incontrare nessuno e senza udire altri suoni che non fossero i dolenti gemiti della vecchia villa, il familiare ticchettio della pendola e i sibili del vento, che correva giù per i camini spenti e tra gli spifferi delle finestre.
Quando fu al piano inferiore, Anna, già con una mano sulla maniglia, si trattenne davanti alla porta della propria camera: tese il braccio in avanti, scacciando il buio con il suo mozzicone di candela.
I dipinti sorvegliavano il corridoio vuoto con i loro sguardi immobili.
Anna volse l'attenzione alla porta della nursery: chiusa, come sempre.
Entrò in camera.
Nell’esatto istante in cui la porta si richiudeva con dolcezza alle sue spalle, e il buio fagocitava di nuovo il corridoio, la maniglia della nursery ebbe un tremito.
Iniziò a ruotare su se stessa. Lentamente. Senza scatti, né cigolii. Ma la porta non si aprì. Nessuno uscì dalla stanza.
La maniglia tornò immobile.
Intanto, in camera, Anna era seduta allo scrittoio: immerse la punta del pennino nell’inchiostro e appuntò i numeri su d’uno foglio per la corrispondenza; al posto della prima cifra, tracciò un punto interrogativo, aggiungendo poi una colonna di possibili cifre che avrebbero potuto completare il segno rimasto: un otto, uno zero, un altro cinque.
Il mattino seguente, Lily le disse di aver domandato ai Blackwell se sapessero dei numeri, ma quelli erano caduti dalle nuvole. A quel punto, poiché parlarne con la signora Woodhams era fuori discussione, Anna dovette attendere la quotidiana chiacchierata serale con lo zio, in biblioteca.
«Avete trovato che cosa, cara?» sospirò lo zio, rimuovendo una pedina rossa dalla tavola del Backgammon.
Anna ripeté per bene la scoperta.
«Parola mia: non ho davvero idea di chi sia l'artefice» disse il signor Woodhams. «Non mi avventuro nell’attico da anni. Ma Sant’Iddio!» Scosse il capo. «Più passa si avanti e più diventa arduo trovare dei domestici ben educati. Rovinare così il mio pavimento! Da non crederci! - È il tuo turno di tirare i dadi, Anna.»
In breve, Anna e Lily si trovarono d’accordo nel presumere che del significato dei numeri dovesse esserne a conoscenza soltanto colui o colei che li aveva incisi. Era una faccenda curiosa, a suo modo interessante, sopratutto nella piatta cornice di Bon Fleur Place, ma si trattava di un vicolo cieco e, in quanto tale, venne presto dimenticata.
Almeno per qualche tempo.

*

Passò una settimana. Giunse Ognissanti. Ottobre mutò in novembre e il primo venerdì del nuovo mese, il signor Woodhams portò Anna al birrificio. Era una mattina rigida e furono costretti a prendere la carazzo chiusa; a Bon Fleur, possedevano infatti due vetture: il calessino a due posti e la carrozza; e due cavalli: e un giovane purosangue arabo, per la monta, e il grigio boulonnais, che, allo schiocco di frusta di Bert, iniziò a trainare la carrozza giù per il largo viale.
La tramontana spazzava la campagna tinta di ruggine, gli alberi avevano perduto le foglie e la terra dura era coperta di brina. Soltanto quando la carrozza superò il bivio, e Maidstone iniziò a delinearsi in lontananza, come un freddo miraggio, le nubi si diradarono un poco e una stanca sfera di sole apparve nel cielo di metallo. Anna, seduta accanto allo zio, non risentiva del freddo. Trovava, anzi, che fosse un autunno piuttosto tiepido, al confronto con quelli della Nova Scotia; ma fosse anche stata una giornata da battere i denti, la prospettiva di trascorrerla fuori dalla villa, e lontano dalla zia, era sufficiente a riscaldare il buon umore.
«Dove hai preso quel gioiello, Anna?» domandò, d’un tratto, lo zio Woodhams.
Anna abbassò lo sguardo sulle proprie mani. Solo il giorno prima era passata dal tenere l’anello in tasca ad indossarlo all’anulare della destra: per qualche motivo, credeva che indossare l’anello potesse diminuire la sua colpa. Era un’illusione. Ma un’illusione rassicurante.
«Apparteneva a mia madre.»
«Dono del signor Hawkins?»
«Sì...»
‘In un certo senso.’
«Ha una fattura insolita» commentò lo zio. «E la pietra - che cos’è?»
«Cristallo di rocca.»
Il signor Woodhams, con le mani sul pomo del bastone, si voltò a guardare il fiume.
«Quando la mia signora non ci sarà più, erediterai tu i suoi gioielli. Ma perché attendere un evento tanto triste per riempire un portagioie?»
Anna colse l’allusione e abbozzò un sorriso riluttante.
«Non ho bisogno di gioielli, zio. Ho vissuto ventidue anni senza e vi assicuro che non sento il bisogno di cambiare.»
Il signor Woodhams sorrise.
«Questa è una frase che non si sente spesso sulla bocca delle giovani donne.»
«Io credo che molte più donne di quanto si creda siano indifferenti a ninnoli e pietruzze.»
«Allora dev’essere una cospirazione dei gioiellieri d’Inghilterra quella di farci credere il contrario.»
Anna scrollò le spalle. «Di certo, per un gran numero di uomini è più facile seminare gioielli che dimostrare rispetto» borbottò.
Un quarto d’ora più tardi, Maidstone li accolse nella laboriosa confusione mattiniera.
Dal campanile della chiesa di Tutti i Santi, l’orologio adempiva al suo nobile scopo, scandendo il tempo per tutti, dagli impettiti uomini d’affari e ai miserabili accattoni. Nugoli di persone si muovevano lungo le strade, trafficavano nei negozi, nei mercati a cielo aperto e negli uffici fumosi. Le carrozze si fermavano davanti al palazzo del municipio; in stazione, i treni rallentavano e acceleravano, tra neri sbuffi e un assordante sferragliare; omnibus semivuoti, o pieni come un uovo, andavano su e giù per le strade e barche grandi e piccole scivolavano sulle increspate acque grigie del Medway.
Il birrificio Woodhams & Arden sorgeva proprio lungo la sponda del fiume. Era un compatto edificio di mattoni rossi, il più grande e il più elegante di tutta Buckland Road; un cancello si apriva sul piazzale d’ingresso e sulla cima della facciata sventolava, orgogliosa, la croce di San Giorgio.
Anna, al braccio dello zio, visitò la sala di cottura, le cantine per la fermentazione e quelle per la conservazione; ovunque, gli operai la salutarono con una reverenza che lasciò Anna a disagio e incapace di ricambiare. Infine, lo zio la condusse in un elegante ufficio di noce, al terzo e ultimo piano, dove Anna prima venne presentata al segretario - il signor Crofton - e, più tardi, al socio dello zio: Mordecai H. Arden.
Il signor Arden fece irruzione nell’ufficio liberandosi come una furia del cilindro. Era un uomo alto, magro e, all’apparenza, poco più giovane del signor Woodhams. Sfoggiava una fronte spaziosa e sporgente, piccoli occhi grigi e corti baffetti come non se ne vedevano dai tempi del principe Alberto. Aveva talmente tanta fretta di comunicare chissà cosa al signor Woodhams che, sulle prime, non parve accorgersi della presenza di Anna. Quando il signor Woodhams portò la nipote alla sua attenzione, lui salutò con il calore di un generale costretto alla pubblica resa e  disse al signor Woodhams che v’erano affari da discutere,  sottolineando che l’argomento avrebbe senza dubbio alcuno annoiato la signorina.
Anna comprese l’antifona: baciò la guancia dello zio, si armò di  ombrello, perché le nuvole s’erano fatte minacciose, e uscì.
La prima tappa fu la sala della degustazione, al pian terreno: un locale luminoso e chiassosamente allegro. I tavolini di legno erano lucidi come specchi e le pareti affrescate come le mura di una chiesa; ma lì, al posto di aureole e croci, i personaggi portavano in trionfo boccali di birra e fasci di luppoli. Pur col naso all’insù, per osservare gli affreschi, Anna si accorse subito di essere l’unica donna nella sala. Un dettaglio che i gentiluomini presenti, invece, dovevano aver notato fin dal principio, a giudicare dalla quantità di occhiate che Anna sorprese in sua direzione. Infastidita dagli sguardi, e sottilmente innervosita dai sussurri, con uno sbuffo virò verso l’uscita della sala, risoluta a gettarsi in Buckland Road. Sperava che, nella folla generale, nessuno avrebbe badato a lei. E al colore della sua pelle.
Anna era una camminatrice svelta: in pochi minuti, perlustrò Buckland Road, e senza tentennamenti se la lasciò alle spalle, per infilarsi in un dedalo di stradine, nel cuore della cittadina. Smarrirsi non era una conclusione contemplata. Aveva fiducia nel proprio senso dell’orientamento: prestava attenzione alle facciate degli edifici, ai nomi delle strade e a quelle dei negozi; a ogni incrocio e ogni svolta, si guardava indietro. Vagava e gironzolava, attenta a non farsi pestare i piedi e spintonare dalla gente, o peggio ancora investire dalle carrozze; spiava una vetrina dopo l’altra: un giocattolaio, un orologiaio, una libreria, una sala da tè, una farmacia... Intanto, sopra Maidstone, le nubi continuavano ad ammassarsi, sempre più nere e sempre più gonfie. L’aria stillava umidità e, dai bordi delle strade, si levavano lezzi pungenti, che il vento del nord, tanto gentilmente, spargeva di via in via.
A un certo punto, l’attenzione di Anna venne catturata da un campanello di bambini, riuniti in crocicchio: stavano ammucchiando fascine attorno a un fantoccio, con in testa un cappello da pellegrino. Uno dei bambini, accucciato sui talloni, scriveva con un gessetto bianco su un cartello rimediato da un due assi di legno inchiodate assieme: A penny for the Guy. Anna, senza la più pallida idea di cosa stessero organizzando, continuò per la sua strada, prendendo mentalmente nota di chiedere delucidazioni allo zio. Quando, infine, volle prendersi una pausa dallo sgomitare tra la gente, riparò sotto un vecchio arco di pietra, che faceva da imbocco a un vicoletto defilato. Si appoggiò con la schiena alla parete, che trasudava un che di nero e umidiccio; sopra la sua testa, una targa sbiadita: Goudhurst Close.
Mezzodì era vicino. Gocce di pioggia, rade e sottili, ticchettavano sul selciato. La strada sembrava essersi svuotata, sottraendo ad Anna soggetti da osservare per passatempo.
Dal nulla, il rivebero di uno schiato colpì le sue orecchie.
Poi, giunse quello una voce maschile.
«Jenny! Ingrata puttana! Torna subito dentro! Non tollererò un altro secondo di questa sceneggiata!»
Anna si voltò di scatto verso il vicolo. Voce e rumori provenivano dal fondo, ma il vicolo curvava di lato, nascondendole la fonte. Anna si staccò dalla parete con un colpetto di reni e, percorsi i pochi passi che la separavano dall’angolo, si affacciò per sbirciare: in fondo a Goudhurst Close c’era un negozio; cinque lerci gradini, una sola ringhiera sbilenca e una stretta porta nera. Sopra l’architrave, pendeva un’insegna: Bernbaum Pawnbroker.
Un grasso omuncolo in maniche di camicie, con il colletto slacciato sotto il panciotto, caracollò giù per gli scalini. Brandiva un bastone da passeggio e il faccione, acceso e sudaticcio, era accartocciato dalla rabbia. Sbraitava contro due donne, le quali, al grido dell’uomo, si era bloccate a poco più avanti. Erano entrambe giovani, e si tenevano per mano. Una era elegantissima, in un completo da passeggio color lavanda; il cappellino, appuntato sui boccoli neri, le copriva parte della fronte: alta, dritta e bianchissima. L’altra, in abiti modesti, era bassa, magra e dall’aspetto slavato e impaurito.
«Vi dico io cosa non è tollerabile, Bernbaum» disse la donna ben vestita; il mento alto, la voce contenuta e il tono fermo. «La vostra arroganza, la vostra prepotenza e la vostra crudeltà.»
Bernbaum strinse i pugni. Inspirò, allargando le narici arrossate. Aveva il collo teso e le vene gonfie. Anna rimase nascosta dov’era, con il cuore che palpitava per il destino delle due sconosciute. Lei conosceva gli indizi di un’esplosione di collera fisica e si rammaricò per la cecità delle donne. Non avrebbero dovuto fermarsi a fronteggiarlo. Stavano soffiando su di una miccia accesa e vicinissima alla bomba.
«Credete di poter entrare in casa mia e rubarmi la servitù?» ululò Bernbaum.
«Si rubano gli oggetti. Non le persone. Questo non riuscite a comprendere: Jenny non è un oggetto. Non è un vostro oggetto.»
«Vi trascinerò davanti a un giudice!»
«Fatelo! Portiamo i vostri scheletri nell’armadio davanti alla legge.»
«E chi pensate che crederanno, eh? A me? O a quella pezzente?»
«Crederanno ai suoi lividi.»
E l’ira dell’uomo esplose:
Bernbaum si scagliò in avanti e serrò la sua grassa mano attorno al bianco collo della donna.
Jenny lanciò uno strillo, correndo a rifugiarsi accanto al muro.
Bernbaum trascinò la sua vittima verso gli scalini, dando le spalle all’entrata del vicolo. «Ti faccio vedere io qual è il tuo posto!» E con un’ultima poderosa spinta, buttò la donna a terra e sollevò il bastone.
Un colpetto secco, come di un sasso che batte contro un sasso, riecheggiò nel vicolo.
Il braccio armato di verga crollò e l’uomo incassò il capo tra le spalle, coprendosi la testa con la mano libera.
Anna lo aveva colpito alla nuca con il manico dell’ombrello.
Bernbaum girò su stesso, infiammato di dolore e confusione, ma senza il tempo di raccapezzarsi: appena Anna l’ebbe dinanzi, gli sferrò un gran pugno sul naso adunco. Un gancio carico, preciso e veloce. Al pugno seguì una scudisciata dell’ombrello contro la mandibola e un crudele affondo in mezzo all’inguine.
E Bernbaum si accasciò sugli scalini, strabuzzando gli occhi e boccheggiando.
La donna era subito corsa via, ad abbracciare Jenny. La stringeva come una madre stringe una figlia; e tutte e due fissavano Anna, allibite e impaurite.
«Andate via» disse Anna.
Quelle non si mossero.
«Andatevene!»
La donna, con un sussulto, parve riprendersi dallo spavento: prese Jenny per mano e si mosse verso l’uscita del vicolo. Prima di sparire oltre l’angolo, la giovane si voltò a guardare un’ultima volta Anna.
Anna, però, stava tenendo sottocontrollo l’uomo.
Lui tossiva, tra una bestemmia e l’altra. Il sangue gli colava giù dal naso, macchiando i denti e inzuppando le labbra. Mentre con una mano cercava di tamponare il sangue, tendeva l’altra per riappropriarsi del bastone.
Anna lo bloccò:  inchiodò la mano contro il scalino, schicciando il dorso con la punta dell'ombrello.
«Demonio!» sputò Bernbaum.
Anna inarcò un sopracciglio, imperturbata .Gli uomini che s’affannavano a far la voce grossa le suscitavano una blanda insofferenza; erano molesti, come rumorosi galletti dalle piume sempre arruffate, ma non facevano paura.
«Tu... tu... tu non sai in che affari ti sei immischiata! Non sai contro chi ti sei messa contro! Io ve la faccio pagare - a tutte tre! Io vi faccio ammazzare!»
A quell’ultima minaccia, in Anna, l'irritazione mutò in uno scatto di furia ferina. Come una leonessa che ruggisce, o un lupo che mostra le zanne, piombò sopra l’uomo: un ginocchio contro lo sterno e il bastone dell’ombrello contro la gola.
Immobilizzato sotto di lei, Bernbaum cercava di spingerla via. Sforzo invano. Pallido come un morto, e con lo sguardo allucinato di ossesso, si stava rendendo conto che la forza che lo teneva a terra era troppa... per appartenere a un corpicino di donna. 
«Qualunque sia il vostro legame con quelle donne, signore - finisce oggi» soffiò Anna. «In questo momento. Alzate di nuovo un dito su di loro, o su qualsiasi altra donna... e sarò io ad ammazzare voi.»
L’uomo rantolò, rovesciando gli occhi.
Anna tolse l’ombrello e levò il ginocchio.
Qualche secondo ancora e sarebbe morto soffocato.
Anna si voltò e lasciò Bernbaum lì, ai piedi del negozio di pegni, semi-svenuto e col viso pieno di sangue. Raggiunse l’uscita di Goudhurst Close e aprì l’ombrello: stava iniziando a piovere con insistenza. L’altra mano, quella con cui aveva tirato il pugno, era lungo il fianco: Anna fletté le dita. Una, due, tre volte. Un sorriso impercepibile le aleggiava sulle labbra. Erano passati anni dall’ultima volta che quella cosa, dentro di lei, si era svegliata. Non credeva di essere più in grado di attingervi con tanta rapidità.
Si sbagliava.  Sapeva ancora farlo, e almeno di questo si scoprì profondamente lieta.

*

Nessuno, né al birrificio né a Bon Fleur, sospettò mai nulla di quanto accaduto in Goudhurst Close. Al freddo venerdì seguì un sabato ugualmente freddo, ugualmente grigio e ugualmente ventoso. Ma il brutto tempo non scoraggiò Anna dal passeggiare in giardino, nelle prime ore del pomeriggio. Milton la seguiva. Per qualche minuto, la bestiola accettò di farsi tenere in braccio; poi, come ogni gatto degno del suo nome, balzò via dalle braccia di Anna e prese a zampettarle al seguito a proprio piacimento. In quanto ad Anna, a tratti camminava e a tratti sedeva sull’erba; un po’ rifletteva e un po’ osservava.
File di faggi limitavano il terreno dei Woodhams, ma nel giardino crescevano anche noci, gelsi e ciliegi. Nelle aiuole, ora brune e deserte, in primavera sarebbero spuntate primule rosse, azzurre e bianche, grandi margherite gialle e tappeti di tenera malva. Lo aveva detto Bert. Anna, però, faticava ad immaginare fiori e colori trovare spazio in un paesaggio così malinconico.
Quando Anna si distese sulla schiena, in mezzo al prato, Milton le venne vicino, annusandole una guancia; lei smise di giocherellare con l’anello e gli grattò il collo, fissando l’accecante grigiore del cielo. Uno stormo volò, veloce, e svanì oltre il tetto della villa; si udì uno scalpiccio di zoccoli, prima lontano, poi più vicino; da qualche parte, nella campagna, un corvo gracchiava, le greggi belavano e i cani abbaiavano.
Ma Anna stava pian piano sprofondando nei pensieri, e nei ricordi, e per molto tempo non badò a nulla. Solo quando i pensieri divennero troppo cupi, e i ricordi troppo angoscianti, decise che ne aveva abbastanza del giardino. Si diresse alla scalinata, per rientrare dalla veranda.
Per raggiungere la scalinata, dovette passare accanto alla fontana e, nel farlo, mise in fuga una grossa cornacchia, che si era messa a saltellare lungo il bordo di pietra.
Anna si fermò. Seguì con gli occhi il volo del cornacchia. Poi, guardò la fontana. La vasca era profonda quasi sette piedi. Ed era vuota, proprio come aveva intuito vedendola, per la prima volta dalla veranda. Il fondo stava svanendo sotto un strato di fogliame.
Giorni addietro, l’ultima volta che il vecchio Bert aveva pulito la vasca, Anna aveva assistito, seduta sul bordo, con le gambe penzoloni.
«Come mai non c’è acqua?» aveva chiesto.
La risposta si era fatta attendere: Bert, gettato il sacco, gonfio di foglie, dentro la carriola, aveva borbottato a capo chino: «Volere di madam.» La voce, debole e rasposa, quasi era andata perduta tra i sibili del vento d’autunno. «Non le piaceva più vedere la fontana piena d’acqua.»
Ad Anna era sembrata una motivazione assai vaga e bizzarra. Ma d’altro canto,  giudicava la zia Woodhams una creatura incomprensibile da capo a piedi.
In quel pomeriggio di novembre, tuttavia, accadde un genere di bizzarria che Anna avrebbe rimpianto per molto tempo a venire. E ancor di più avrebbe odiato il ricordo di come un gesto semplice e casuale le si fosse ritorto contro. Le sarebbe bastato non farsi distrarre dalla cornacchia. Le sarebbe bastato non abbassare lo sguardo. Le sarebbe bastato non aver mai deciso di indossare l’anello di sua madre.
Ma abbassare lo sguardo fu proprio ciò che fece.
Guardò le proprie mani.
Vide l’anello.
E vide il cristallo tingersi, lentamente, di rosso: fu come vedere una stilla di sangue mischiarsi a una goccia di acqua limpida.
Il terrore pietrificò Anna. Sapeva cosa stava accadendo al cristallo. Sapeva perché stava accadendo. Da principio, fu incapace di muoversi, incapace di respirare, incapace di pensare. Poi, il cuore esplose in battiti forsennati e Anna temette di essere sul punto di crollare sulla ginocchia. Il vento freddo le batteva il viso e scarmigliava i capelli, eppure lei sentiva la fronte e le guance ardere, come in preda alla febbre.
«Anna!»
Anna trasalì: era la voce di Lily. Udì i passetti della cameriera, giù per la scalinata.
«Ti stavo cercando! Il padrone ti vuole in biblioteca. È appena arrivato il signor Hall.»
Anna nascose l’anello sotto la mancina, stringendo le mani al ventre. Aveva lo sguardo fisso, imbambolato, ma le girava la testa. A stento, trovò la forza di strapparsi di bocca un roco mormorio.
«Arrivo subito.»








   
 
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