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Autore: Marilia__88    02/07/2016    2 recensioni
Una nuova storia che come "Ti brucerò il cuore" riparte dal presunto ritorno di Moriarty e dallo stesso momento. Un'altra versione della quarta stagione con nuove teorie e nuove congetture completamente diverse.
Dalla storia:
“Sherlock, aspetta, spiegami… Moriarty è vivo allora?” chiese John, mentre cercava di tenere il passo dell’amico.
“Non ho detto che è vivo, ho detto che è tornato” rispose Sherlock, fermandosi e voltandosi verso di lui.
“Quindi è morto?” intervenne Mary nel tentativo di capirci qualcosa.
“Certo che è morto! Gli è esploso il cervello, nessuno sopravvivrebbe!” esclamò Sherlock con il suo solito tono di chi deve spiegare qualcosa di ovvio “…Mi sono quasi sparato un’overdose per dimostrarlo!”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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                    Miss me?







                                           The promise






… Per un attimo si era quasi dimenticato della missione. Era così concentrato a capire di chi fosse quel biglietto, da non rendersi conto che, nonostante tutto, il destino del suo migliore amico era comunque segnato. Ma questa volta, però, lo avrebbe seguito. Se Sherlock doveva andare incontro alla morte nell’Europa dell’Est, sarebbe stato al suo fianco e sarebbe morto con lui. Qualunque cosa avrebbero dovuto affrontare, l’avrebbero fatta insieme. Sarebbero stati, come sempre, loro due da soli contro il resto del mondo. 
 
 



 
Sherlock dovette rimanere in ospedale per una settimana. I giorni da scontare agli arresti domiciliari erano dunque conclusi e Lestrade cercò in tutti i modi di mascherare la fuga del detective di quella notte.
Il consulente investigativo venne dimesso il giovedì pomeriggio. La pioggia, quel giorno, continuava a cadere con insistenza, rendendo le strade scure e nebulose.
Greg si propose di accompagnare Sherlock e John a Baker Street. Aveva un’espressione cupa in volto e per tutto il tragitto, mostrò un atteggiamento nervoso, come se avesse qualcosa da dire, ma non trovasse il modo giusto per farlo.
“Avanti, Lestrade! Cosa devi dirmi?” sputò Sherlock con un sospiro.
“La partenza…” iniziò con la gola incredibilmente secca. Tossicchiò per schiarirsi la voce “…la partenza è stata fissata per domani mattina”.
Quelle parole colpirono John come una coltellata dritta allo stomaco. Strinse i pugni e voltò lo sguardo pensieroso verso il finestrino.  
Da quel momento, fino all’arrivo a Baker Street, nessuno disse niente. Non c’era niente da aggiungere e, soprattutto, niente che si potesse dire o fare per cambiare le cose.

 
L’auto di Lestrade si fermò davanti al 221B. Sherlock e John salutarono e, in silenzio, si avviarono dentro.
Il detective salì le scale per primo, arrivando prontamente nel soggiorno e lasciandosi cadere esausto sulla sua amata poltrona. Voltò lo sguardo di fronte a sé e notò qualcosa sul tavolo della cucina. Si alzò di scatto e si avvicinò incuriosito. Era un’altra rosa rossa con allegato un altro biglietto. Prese il pezzo di carta, lo aprì e lo lesse velocemente.
 

 
- Credo di poter risolvere il suo problema, ma ho bisogno del suo aiuto. Vediamoci questa sera, lontano da occhi indiscreti. Ore 22:00, Paddington Street Gardens.
 

 
Dopo aver letto il biglietto, lo annusò nuovamente ed un lieve sorriso apparve sulle sue labbra. Poi lo mise velocemente in tasca e si andò a sedere sulla sua poltrona.
 
 
Il medico, intanto, si era fermato dalla signora Hudson per prendere Victoria. Erano cinque giorni che vedeva sua figlia di sfuggita, in quelle poche occasioni in cui era passato da casa per rinfrescarsi o per prendere qualcosa che potesse servire al suo migliore amico ricoverato. La prese dolcemente in braccio e le stampò un bacio sulla guancia. La bimba gli sorrise e, fu in quel momento, che John sentì una forte fitta allo stomaco. Aveva deciso di seguire Sherlock, di andare con lui incontro alla morte, ma aveva tralasciato un particolare, il più importante: Victoria. Come poteva abbandonarla? Quel piccolo fagottino tra le sue braccia aveva già perso sua madre, era giusto privarla anche di suo padre? E poi chi si sarebbe occupato di lei? Tutte quelle domande lo travolsero all’improvviso. Si sentì mancare l’aria e dovette chiudere gli occhi, nel tentativo di regolarizzare i propri respiri.
“John, caro…stai bene?” chiese la signora Hudson con uno sguardo preoccupato.
“Si, si sto bene!” rispose prontamente il medico, riaprendo gli occhi. Guardò nuovamente sua figlia e, con la mano tremante, le accarezzò il viso. Sospirò pesantemente e, stringendola tra le sue braccia, salì di sopra con questo doloroso peso sul cuore.
 
John aprì lentamente la porta dell’appartamento. Sapeva che Sherlock avrebbe letto dalla sua espressione, tutti i pensieri e tutti i dubbi che avevano iniziato a tormentarlo. Lo trovò seduto sulla sua poltrona, le mani congiunte sotto il mento e gli occhi chiusi. Sul suo volto, pallido e scarno, decisamente provato da quei giorni di ricovero, appariva un’espressione seria e pensierosa. Aprì più volte la bocca per parlare, ma non sapeva cosa dire. Sospirò e si guardò nervosamente intorno, e fu allora che la vide. Sul tavolo della cucina c’era l’ennesima rosa rossa. “E quella com’è arrivata lì?” domandò confuso.
Il detective aprì gli occhi e fece spallucce.
Il medico si avvicinò alla rosa e la scrutò alla ricerca di qualche biglietto. “Che strano, questa volta non c’è nessun messaggio!” esclamò, voltandosi ed osservando con attenzione l’espressione di Sherlock. “Tu non hai idea di chi te l’abbia mandata?”.
“No, John… e saperlo non è tra le mie priorità al momento!” sbottò il consulente investigativo, sbuffando irritato.
John sospirò e si andò a sedere sulla sua poltrona, mantenendo Victoria tra le sue braccia. Era davvero curioso di sapere chi fosse quella donna misteriosa, ma d’altra parte, Sherlock aveva ragione: c’erano altre priorità al momento. Il suo migliore amico sarebbe dovuto partire l’indomani mattina per una missione suicida, e lui ancora non sapeva cosa fare.
 

 
Erano le 21:30 e fuori aveva smesso di piovere.
John era riuscito a far addormentare Victoria nella sua culla. Era così bella mentre dormiva, che sarebbe rimasto lì, a guardarla per ore. Non poteva lasciarla, non poteva farle questo. D’altra parte, però, non poteva neanche lasciare che Sherlock partisse da solo, non poteva perderlo di nuovo. Si passò le mani sul viso in un gesto disperato. “Cosa devo fare?” si chiese tra sé e sé. Decisamente avvilito, si recò in soggiorno e rimase sorpreso nel vedere il detective pronto per uscire.
“Dove stai andando?” chiese confuso.
“Ho bisogno di prendere aria, John…vado a fare due passi fuori” rispose il consulente investigativo, mentre finiva di abbottonare il cappotto.
D’istinto John afferrò la sua giacca. “Vengo con te! Chiederò alla signora Hudson di controllare Victoria…”.
Sherlock si voltò di scatto, lanciandogli uno sguardo seccato. “No, vado da solo!”.
Il medico rise nervosamente e finì di indossare la giacca. “Credi davvero che ti lasci andare da solo?”.
“Santo cielo, John!” esclamò il detective, supplicandolo con gli occhi. “Pensi che sia così stupido da tentare di nuovo il suicidio?”.
John serrò la mascella e distolse lo sguardo. Quella parola, suicidio, gli faceva raggelare il sangue. Poteva ancora vederlo, a terra, morente sotto i suoi occhi.
“Credi davvero che se avessi voluto rifarlo, non ne avrei avuto l’occasione? Pensi che sarei uscito così, tranquillamente davanti ai tuoi occhi?” continuò Sherlock, con un tono più dolce e convincente. “…Ho solo bisogno di schiarirmi le idee…per favore…”.
“Va bene” disse il medico, togliendosi la giacca “Mi raccomando, Sherlock…niente cavolate…me lo prometti?”.
Il detective sorrise “Te lo prometto…”. Poi uscì velocemente fuori dall’appartamento.


 
Erano le 22:00 in punto e Sherlock stava vagando nel parco, in attesa della donna misteriosa.
“Signor Holmes…sono contenta che sia venuto!” esclamò lei alle sue spalle.
Il detective si lasciò sfuggire un mezzo sorriso prima di voltarsi. “Noto con piacere che non ha cambiato la fragranza del suo profumo!”.
“Contavo proprio sul suo infallibile spirito di osservazione! Sapevo che lei è un uomo attento ai dettagli!” rispose la donna con un sorriso.
Sherlock si voltò e sorrise anche lui. “Nel biglietto mi ha scritto che poteva risolvere il mio problema…”.



 
John era seduto sulla sua poltrona, intento a guardare fuori dalla finestra. Stava tentando in tutti i modi di distrarsi, per non pensare all’imminente partenza di Sherlock e, di conseguenza, alla sua decisione. Si alzò di scatto e si recò in cucina con l’intenzione di preparare del tè. La rosa rossa giaceva ancora sul tavolo e si fermò qualche istante a guardarla con aria sospetta. In quel momento si ricordò del biglietto che aveva conservato nella giacca e corse a prenderlo. Quel giorno, in ospedale, qualcosa, in quel pezzo di carta, aveva attirato la sua attenzione. Lo prese tra le mani e lo annusò attentamente. Il profumo che emanava gli risultava stranamente familiare, ma non ne capiva il motivo. Solo dopo una seconda annusata, riuscì a riconoscere la fragranza e a spiegarsi il perché la conoscesse così bene: era il profumo che usava Mary, Claire de la Lune.
 


 
La donna si guardò intorno e si avvicinò al detective. “Si, posso risolvere il suo problema, ma lei deve darmi una mano”.
“Nonostante lei sia una donna molto influente, Lady Smallwood, non credo che da sola riesca ad evitare la mia partenza. La decisione è stata presa all’unanimità…stiamo parlando di un vero e proprio complotto governativo” disse Sherlock, mettendo le mani nelle tasche del cappotto.
“Non sottovaluti le armi che ho a disposizione, signor Homes!” rispose lei con aria compiaciuta. “…Le armi che mi ha fornito suo fratello!”.
Il detective rimase sorpreso da quella frase. “Mio fratello?”.
“Si. Il giorno dopo essere stato minacciato da Moran, suo fratello mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha lasciato dei fascicoli con delle informazioni compromettenti su alcuni membri del governo. Aveva capito che Moran, grazie ai suoi favori, stava cercando dei seguaci nel Parlamento. E soprattutto, sapeva che se gli fosse successo qualcosa, questi uomini avrebbero trovato un modo per prendersela con lei, signor Holmes!” spiegò Lady Smallwood.
“Quello che non capisco…è perché non ha usato prima queste informazioni!” rispose prontamente Sherlock.
“Crede che avrebbero raggiunto l’unanimità se fossi stata presente alla votazione?” domandò lei, sollevando le maniche del cappotto e mostrando dei segni sui polsi.
“Cosa le hanno fatto?” chiese il detective, continuando a guardare quelle ferite.
“Mi hanno attirato fuori città con la scusa di un problema internazionale, che richiedeva la mia attenzione e mi hanno tenuta rinchiusa in un capanno abbandonato per giorni. Sono stata liberata la mattina in cui lei sarebbe dovuto partire, in modo da non avere il tempo di contestare quella decisione. Inoltre hanno minacciato di uccidere mia nipote, che abita con me, se mi fossi rivolta alla polizia per denunciare l’accaduto. È così che hanno convinto il resto dei membri del Parlamento, hanno minacciato di uccidere le loro famiglie, i loro figli, se non avessero votato a favore della sua partenza” raccontò la donna con voce tremante.
Sherlock sospirò e abbassò lo sguardo. “La partenza è stata fissata per domani mattina…non abbiamo più tempo”.
“No, non ne abbiamo…per questo mi serve il suo aiuto!” rispose prontamente Lady Smallwood. “…L’unico modo che abbiamo per incastrare i seguaci di Moran, è quello di metterli alle strette e farli confessare. Sono riuscita ad ottenere una riunione straordinaria per domani mattina alle 9:00. Ho un piano per incastrarli, grazie all’aiuto alle informazioni che mi ha dato suo fratello, ma ho bisogno di tempo. Anche la sua partenza è stata fissata per le 9:00, ma deve fare in modo di ritardarla! Si inventi qualcosa, qualsiasi cosa…mi serve qualche ora e le assicuro che quei bastardi finiranno dietro le sbarre!” aggiunse con uno sguardo deciso.
“Non sarebbe più semplice se partissi e poi, dopo aver risolto tutto, mi rimandasse indietro?” chiese il detective confuso.
La donna sospirò e negò con il capo. “Non hanno intenzione di aspettare che lei muoia in missione, signor Holmes...c’è una bomba su quell’aereo, pronta ad esplodere subito dopo il decollo”.
Il detective deglutì a vuoto ed annuì. “Allora dovrò inventarmi qualcosa” disse pensieroso. Poi si fermò un attimo a guardare la donna che aveva di fronte con attenzione “…Perché sta facendo tutto questo per me?”.
Lei sorrise con dolcezza. “Perché ho sempre stimato suo fratello e, soprattutto, per quello che ha fatto per me…”.
“Ma non sono riuscito ad evitare a suo marito lo scandalo per quelle lettere, non sono riuscito a salvarlo…” rispose Sherlock, abbassando lo sguardo.
“No…” disse la donna con uno sguardo triste “…ma è stato l’unico che ha avuto il coraggio di provarci…l’unico che ha rischiato persino di essere ucciso, nel tentativo di recuperare quelle lettere…” aggiunse, sorridendogli appena “…sa, per me è stato davvero difficile, allora, dover confermare la sua pena per l’omicidio di Magnussen, ma l’ho fatto perché me lo ha chiesto Mycroft, spiegandomi che lei aveva deciso di partire, pur di non dover passare la sua vita in prigione…Se fosse stato per me, non lo avrei mai fatto…Magnussen era un uomo spregevole e disgustoso e, a mio avviso, meritava di morire!”.
Sherlock si lasciò sfuggire un sorriso triste ed annuì. Ricordava quando Mycroft si era presentato nella sua cella, ponendolo di fronte a quella scelta. Ricordava l’espressione spaventata di suo fratello, ben nascosta dietro alla sua maschera di freddezza, quando gli aveva comunicato la sua decisione.
“Ora devo andare…mi raccomando, si nasconda, faccia qualsiasi cosa, ma non salga su quell’aereo” riprese Lady Smallwood seria “…aspetti una mia telefonata, la avviserò non appena sarà tutto risolto…si fidi di me…” aggiunse, prima di sparire nell’oscurità.
 
Sherlock rimase fermo, in quel parco, a pensare. L’unica soluzione era quella di nascondersi ed aspettare che la questione fosse risolta. Non poteva avvisare John, non poteva trascinarlo in quell’assurda fuga, non poteva rischiare di metterlo in pericolo. Doveva trovare un posto al di sopra di ogni sospetto, dove a nessuno sarebbe venuto in mente di cercarlo. Si diresse fuori dal Paddington Street Gardens e fermò un taxi. Per cominciare si sarebbe allontanato da Londra, perché non c’era nessun luogo nella città, completamente sicuro. Salì velocemente sulla vettura ed uno strano senso di colpa lo travolse. “Mi raccomando, Sherlock…niente cavolate…me lo prometti?” gli aveva detto John prima di uscire. Non poteva sparire senza dirgli niente, non poteva farlo preoccupare nuovamente, perché sapeva che, questa volta, non lo avrebbe mai perdonato. Gli aveva fatto una promessa e non aveva intenzione di deluderlo di nuovo. 
“Dove la porto?” chiese il tassista impaziente.
Sherlock non rispose. Rimase immobile, immerso nei suoi ragionamenti, indeciso sul da farsi.
“Signore, dove la porto?” insistette l’uomo.
Il detective sospirò. “221B, Baker Street”.

 
John era ancora intento ad analizzare quel biglietto. Il fatto che il profumo fosse uguale a quello usato da Mary, però, non lo portava a nessuna conclusione. Era ad un punto morto, di nuovo. Tornò in cucina, finì di prepararsi una tazza di tè e si recò verso la sua poltrona. Guardò l’orologio: erano le 22:35. Era passata poco più di una mezz’ora da quando Sherlock era uscito e non vedeva l’ora che rientrasse a casa. Nonostante la promessa che gli aveva fatto, non riusciva comunque a stare tranquillo. Era preoccupato, non poteva negarlo.
Dopo un’altra mezz’ora sentì qualcuno entrare e correre su per le scale.
Sherlock aprì la porta e si precipitò velocemente nel soggiorno.
“Che succede?” chiese il medico, alzandosi di scatto dalla poltrona.
“John, non ho tempo di spiegarti…ho trovato qualcuno che può aiutarmi a revocare la mia partenza, ma devo nascondermi fuori città fino a quando la questione non verrà risolta…mi farò vivo io appena possibile...” disse il detective con urgenza, stampandogli un bacio sulle labbra “…non preoccuparti…andrà tutto bene…” aggiunse, prima di voltarsi verso la porta per uscire.
John, però, con uno scatto repentino, si parò davanti a lui, bloccandogli l’uscita. Era stordito da tutte quelle informazioni improvvise e voleva assolutamente una spiegazione. “Si può sapere che diamine sta succedendo?”.
“John, ti spiegherò tutto appena possibile…ora lasciami andare, il taxi mi aspetta qui sotto!” rispose Sherlock.
“Cristo Santo, Sherlock! Non puoi presentarti qui in questo modo e pretendere che ti lasci andare chissà dove, senza capire che diamine sta succedendo!” esclamò il medico furioso.
Il detective sbuffò spazientito. “John, ti prego…”.
“No, Sherlock! Tu non uscirai da questo dannato appartamento, senza prima avermi spiegato cosa sta succedendo!” urlò John, minacciandolo con lo sguardo.
Sherlock sospirò rassegnato e gli riassunse, brevemente, la conversazione che aveva avuto con Lady Smallwood. “Ora capisci perché devo nascondermi?”.
Il medico era rimasto senza parole. Ciò che lo aveva sconvolto maggiormente, era stata l’idea che su quell’aereo ci fosse una bomba. E se quella donna non lo avesse avvisato? Se Sherlock lo avesse preso? Rabbrividì al solo pensiero. “I-io vengo con te!” disse con voce tremante.
“John, non essere ridicolo! Devi pensare a Victoria…” esclamò il detective.
“Se ne occuperà la signora Hudson…e poi se le cose andranno per il verso giusto, entro la giornata di domani dovrebbe essere tutto risolto…” rispose prontamente John.
“E se qualcosa andasse storto? Lo capisci che se Lady Smallwood dovesse fallire, diventerei un ricercato? Non posso farti correre questo rischio, John…è troppo pericoloso!” ribatté Sherlock, abbassando lo sguardo.
Il medico si mise a ridere, attirando l’attenzione del suo migliore amico. “Tu hai detto pericoloso…ed eccomi ancora qua…”. 









Angolo dell'autrice:
Salve! Eccovi il ventiquattresimo capitolo! Non è ancora l'ultimo, perché concentrare tutti gli avvenimenti in uno solo, lo avrebbe reso troppo lungo. 
La donna in questione non era la Adler come tutti avevano pensato (vi avevo messo volutamente sulla strada sbagliata)!. Anche se nel capitolo precedente c'era l'accenno al profumo che a John risultava familiare, che poteva darvi un indizio.

Sherlock forse potrebbe salvarsi dalla partenza.
Comunque non è riuscito a scappare senza dire niente a John, non questa volta, non dopo che gli aveva fatto una promessa. 

Le sorti di Sherlock e John le scoprirete nel prossimo capitolo. Spero che questo vi sia piaciuto a grazie come sempre a chi segue la storia e chi vuole lasciare un commento. Alla prossima ;)

 
   
 
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