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Autore: kissenlove    05/07/2016    3 recensioni
Quando Amu, giovane ragazza sedicenne viene "costretta" a sposare un "bel tipo" - come lo definisce lei, chiamato Ikuto, tutto ciò che desidera è uscire viva da quella situazione incresciosa. Stare con uno sconosciuto le sembra paradossale, condividere la casa, il letto, la vita intera, ogni cosa.. ma nulla si dimostrerà semplice sopratutto quando capirà che..
Genere: Fluff, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amu Hinamori, Ikuto Tsukiyomi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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                                      Innamorata di mio “Marito” 
                                                                                                    capitolo 5


Per stare qui a scrivere il quinto capitolo significa che sono salva dalla terza prova, quella più dura a parere di tutti i maturandi e ora al via con gli orali, mi raccomando incrociate i pollicini per la vostra Kiss! A quanto pare sono sempre più autori ad amare, anzi a sentirsi proprio ossessionati da Ikuto e Amu, la prima sono io... e ne sono letteralmente fiera di esserlo. Come già detto poco fa in vista degli orali purtroppo non potrò stare molto qui, la linea poi è pessima e ci vorranno sì o no tre giorni affinché tutto ritorni normale. Meno male che il telefono aiuta sempre in certi casi a sentirsi in contatto col mondo. Pazienza, vorrà dire che aspetterete - come si fa sempre - comunque ho deciso di cambiare "-" in qualcosa tipo "«»" seguendo il consiglio di una recensitrice. Grazie mille per i consigli, aumentate sempre di più! 
Mi raccomando, leggete e mandatemi qualche opinione sugli sviluppi hihi. 




Dovrebbero proibire i rumori molesti di prima mattina.
L’assordante rumore di un camion mi fece spalancare gli occhi alle dieci e mezza.
«Capisco che fate il vostro lavoro, ma abbiate pietà per una ragazza che sta poltrendo nel letto. — come direbbe quello stupido gattaccio pervertito.» mi sollevo di soprassalto, accarezzandomi a rallentatore le labbra che poco prima avevano nominato quel nome con una dolcezza che non mi aspettavo, una dolcezza che la mia ragione non gli avrebbe mai riservato. Mi presi la testa fra le mani arruffandomi i capelli. La mia testa si ostinava a odiarlo, ma il mio cuore aveva deciso che non poteva essere così. Da qualche giorno poi mi sento ancora più confusa su ciò che il mio cuore prova realmente, l’ho sempre tra i piedi, e quando non c’è percepisco la sua presenza invisibile dietro di me, e quando realizzo che non può essere lì, mi sento addirittura delusa di questo disincanto. Lui cambia le mie giornate, lo ammetto. Anche ieri eravamo stati insieme per colpa dei preparatevi del matrimonio. Lui mi aveva riaccompagnato a casa a un orario accettabile, ed era stato diverso rispetto a tutte le altre volte. Avevo conosciuto il secondo Ikuto, quello che nascondeva dietro quella corazza di ferro. Amichevole, calmo, persino piacevole. Ovviamente il suo era un mero tentativo di smorzare la tensione, alleggerire il peso, ma in realtà stare nello stesso posto senza azzannarci a vicenda era un miracolo della natura. I rapporti in casa inoltre erano insostenibili. Non parlavo più con mio padre dal momento in cui avevo saputo che era stato tutto programmato, che la mia vita intera era stata manovrata da loro, come fossi stata un burattino piuttosto che un essere umano. Fissai la sveglietta luminosa, scostandomi una ciocca di capelli dal viso. Spostai il cumulo di lenzuola e abbandonai il caldo giaciglio. Scesi le scale ancorandomi al corrimano per evitare capitomboli della scale, e poi non volevo che papà sentisse. 
Non appena fui nel corridoio notai che la luce naturale già invadeva con prepotenza la cucina, e quando feci capolino vidi mio padre, insonne come me, appoggiato al bordo del lavandino che fissava con malinconia il paesaggio mattutino. Non volevo che mi vedesse, non volevo discutere con lui, provai a tornare indietro con discrezione, ma proprio in quel momento alzò lo sguardo dalla tazza di caffè e mi inquadrò. 
«Buongiorno, Amu.» — rilassai le spalle provando a fingere di stare bene, ma non ci riuscivo. Nella mia mente echeggiavano quelle mostruose parole, e la tempesta invadeva i miei sensi. «Ti ho preparato la colazione, tesoro.» — continuò avvicinandosi piano, come se io fossi un animale selvatico pronto a darsela a gamba. Avrei voluto tanto, ma non ci riuscii e rimasi allora immobile. «Sono i pancakes.» mi toccò lievemente le spalle, mentre la sua voce si incrinava nel pianto più silenzioso. 
Davvero credeva che con uno dei suoi trucchi avrebbe risolto tutto quanto? Che saremmo tornati ad essere quelli di prima, sapendo che lui mi aveva rovinato la vita. Sapendo che poteva avere più fegato e opporsi alle volontà di quella donna infernale travestita da dolce nonnina? Se la pensava così, si sbagliava. 
«Grazie.» — increspai un lieve sorriso, mentre ci sedevamo intorno al tavolo dinanzi ai nostri piatti. 
Amavo i pancakes, forse per questo quella mattina papà li aveva preparati. Stava facendo di tutto per ottenere il mio perdono, ma non me la sentivo, non dopo quel cambiamento radicale. 
«Amu... forse dovremmo discutere di quello che è accaduto il giorno del tuo compleanno.» — ruppe improvvisamente il silenzio che si era creato. Da parte mia regnava il silenzio tombale e impenetrabile. 
Presi la forchetta e il coltello, e ingoiai in due o tre boccate quel povero pancakes. Disposi le posate sporche nel piatto, e mi alzai posando tutto nel lavabo fra gli altri piatti. Mi voltai e senza rispondere nulla, camminai spedita verso la mia camera al piano superiore. Tutto ciò senza emettere un singolo suono, una singola parola, sotto gli occhi abbassati di mio padre con metà pancakes ancora da finire. Il problema non era quello che aveva fatto “rovinarmi la vita” dato che prima o poi avrei cestinato questo ricordo, no... non ero pronta per discuterne con lui, non ero pronta ad ascoltare le sue ragioni paterne. Volevo allontanarmi da qualsiasi dramma, dalle sue scuse, dalle sue spiegazioni, dalla sua vigliaccheria, preferivo chiudermi a chiave e disintegrare ogni cosa fragile, fino a che non mi sarei scaricata del tutto. 
Quando tornai su mi sistemai sul letto sfatto e decisi di trascorrere qualche altra ora a sonnecchiare come un ghiro, ma improvvisamente fui catapultata fuori dai miei pensieri dal suono del cellulare sul comodino. 
Chi poteva disturbarmi alle dieci e mezza di mattina? Di certo non un sano di mente.. ma Ikuto, che a mio parere, è fuori come un balcone
Forse avrei fatto meglio a rifiutare quella chiamata, chiudergli il telefono in faccia così avrebbe smesso di infastidirmi nel cuore della “mattina” ma poi riflettei sul fatto che poteva riguardare la cerimonia. Sicuramente Ayu gli aveva detto di chiamarmi per un nuovo incontro, forse voglio ascoltare la sua voce? 
Scuoto la testa come un’ossessa. Cosa diamine vado a pensare!
Il mio dito dissolse definitamente le mie decisioni e rispose per me. 
«Buongiorno, confettino. Sapevo che mi avresti risposto.. » — feci una smorfia e sussurrai illuso.
«Posso sempre riattaccare.» 
«Non lo faresti credimi.» — risponde lui con una sicurezza invidiabile. 
«Perché, di grazia?»
«Semplice.» — il suo tono divenne sensuale. «Perché tu hai bisogno di me
La mia faccia si colorò di rosso. 
«Bando alle chiacchiere stasera un mio amico da una festa.» 
«Dovrebbe importarmi di questa stupida festa?» — domando senza interesse. 
«Sì, perché ci verrai con me.» — aveva deciso di scegliere per me l’eventualità di andarci. 
Gonfiai le guance, restando seduta per riflettere se accettare o meno la proposta, anzi la minaccia. 
«Ci verrai con me, niente storie. Casa tua non è poi confortevole in questo periodo dopotutto.» 
«Hai ragione, Ikuto. Credo che per distrarmi verrò con te, non mi dovrai obbligare.» 
Lui rimase silenzioso, e dalla cornetta si sentì il suo respiro, caldo, avvolgente, cadenzato da pause. 
«Ti ha rapito qualche alieno, Amu?» 
«Perché?»
«Questo è insolito, vedere Amu docile come un cucciolo appena nato.» — rise eccitato all’idea, ma poi tornò serio come prima. «Vieni a casa mia verso le otto, ti manderò l’indirizzo per messaggio.»
«Allora a dopo, Ikuto.» 
«A dopo... Amu.» — pose fine alla chiamata. 
Una parte di me si domandava insistentemente se Ikuto fosse stato un buon partito per me, se ci fossimo conosciuto così per caso, o se in ogni caso sarebbe stato l’emblema della perversione. Forse questa circostanza ha attizzato il mio odio nei suoi confronti, forse mi sarebbe piaciuto addirittura se lo avessi testato io e non mia nonna e mio padre prima di me. Questa situazione però aveva complicato ulteriormente il nostro rapporto: entrambi volevamo evadere da un matrimonio che ci avrebbe intrappolato per sempre, ma entrambi non potevamo ammettere che in fondo eravamo simili, che avevamo gli stessi obiettivi e desideri, perché era il nostro orgoglio a decidere per noi, perché nessuno in certi casi ammette che l’altro diventa necessario. 
Probabilmente avrei dovuto chiamare Rima e Yaya e organizzare qualcosa con loro, così almeno avrei disdetto quella festa con Ikuto. Provai con Yaya. 
«Amu, che bello sentirti!» 
«Scusa tanto Yaya se ieri Ikuto mi ha praticamente costretto a seguirlo.» — mi scusai, ma Yaya non sembrava avercela con me, anzi blaterava in favore di quel gattastro. «Oh no... dopotutto è il tuo futuro marito. L’abbiamo vista la vostra “intesa” era quasi palpabile con un tipo come quell’Ikuto.»
«Cosa?!» — chiesi arrossendo per ciò che aveva appena ipotizzato. 
«Dai Amu, per favore non prenderti per i fondelli. Quello sì che è un tipo da.. » 
«Yaya!» — la rimproverai per i suoi pensieri poco puri su Ikuto, il mio futuro marito. 
«Quel ragazzo è bello da guardare, sul serio.» 
Mi sentivo davvero imbarazzata. Sì, sapevo che Yaya non era più piccolina, ma non mi aspettavo che il suo cervello sviluppasse questi pensieri così poco casti, e non volevo ammettere che Ikuto oltre che un pervertito era anche bello da guardare. 
«Lo è e anche tu lo sai, Amu ma preferisci mentire a te stessa. Fossi in te, salterei dalla gioia perché diventerai sua moglie di uno dei ragazzi più ricchi e belli della terra. É sexy... e tu avrai la fortuna di dormirci insieme. Immagina come sarà bello il sesso con un tipo come lui!» — iniziò ad eccitarsi oltremisura. 
«Ehm, è il mio fidanzato.. non il tuo Yaya.» 
«Allora sei gelosa?»
«Io gelosa? Pff... neanche per sogno.» — ripresi. «La sua personalità rovina del tutto il suo aspetto statuario e muscoloso, e sicuramente noi due non dormiremo mai insieme.» — la informai prima che si facesse strane idee su me e Ikuto, che solo a pensarci mi saliva il sangue al cervello e il cuore mi rimbalzava nel petto. 
«Ti credo, Amu.» 
«Comunque... volevo solamente organizzare un’uscita fra amiche, io, tu e Rima, ti va bene per stasera? Purtroppo non mi va a genio fare la fidanzatina di Ikuto per tutta la sera per quella festa a cui lui mi ha invitato dei suoi amici.» — sbuffai. 
«Ikuto ti ha invitato a una festa con i suoi amici?» — a cui io non volevo proprio andare. «Voglio venirci! Ti prego.. ti prego, devo conoscere uno dei suoi amici palestrati, e magari sposarmelo.» 
«Ti ho appena detto che non ci andrò.» — la fermai. 
«No, Amu. Quella festa è la mia occasione per trovarmi un fidanzato, ti prego! Non essere egoista.. non tenerti tutti quei ragazzi per te.. anche io e Rima vogliamo partecipare.»
«Ma non è mica un’orgia?»
«No.. comunque, a che ora è l’appuntamento?» 
Sospirai rassegnata. 
«Alle otto. Chiamerò un taxi, quindi tu e Rima fatevi trovare a casa mia alle diciannove e trenta.»
«Saremo puntualissime.» — strillò emozionata, rompendomi un timpano. 
«Va bene, ci vediamo dopo.»
Piano fallito. Oltre che andare a quella festa, Io e Ikuto non avremo l’opportunità di passare un secondo da soli. Peccato.. — ghignai soddisfatta. 
Lanciai il telefono sul letto e con aria trafelata mi diressi in bagno.

Il pomeriggio era volato fra la mia insistenza a non parlare, e mio padre che fremeva di sapere con chi sarei uscita stasera, era scontato che anche le serate fossero passate in compagnia dell’odioso Ikuto, ma non gli diedi nemmeno questa soddisfazione, e senza dire una sola parola, posate le patatine che mi stavo divorando nel mobile mi diressi verso il bagno. Appena entrai chiusi la porta, e appoggiai il cellulare sulla lavatrice. 
Erano quasi le sei, avevo a disposizione due ore per correggere l’orrore vivente che ero, prima che Rima e Yaya si presentassero a casa mia. Feci una doccia rinfrescante, perdendomi totalmente nel forte getto di acqua calda che percorreva, scivolando, ogni parte del mio corpo coperto dal bagnoschiuma. Dopo mi concentrai sui capelli, lisci, corti, lasciati sciolti? Scelsi di arricciarli solo alle punte e inserendo una mano li lasciai scivolare lungo la schiena. Visto che dovevo andare ad una festa decisi come trucco un bel rosso fuoco per le mie labbra e sugli occhi un ombretto sfumato dei colori del vestito che avrei indossato: un abitino nero, nulla di troppo appariscente, a tubino nero, con una scollatura davvero imbarazzante sul petto abbinati a dei tacchi più o meno alti dello stesso colore. Scelsi una pochette elegante e mi sedetti sulla sedia per controllare l’ora. 
«Giusto in tempo.. » — mi alzai sentendo il campanello d’ingresso suonare, e la voce di mio padre che mi chiamava mentre stavo attenta a non inciampare nei tacchi. Lui non fece domande, sorrise e scosse il capo come se avesse intuito quali erano i miei piani per quella sera. 
«Non aspettarmi sveglio.» — gli ricordai, mentre mi sistemavo la gonna salita leggermente. 
«Divertiti.. Amu.» 
«Ciao, allora.» — spinsi la maniglia e uscii, mentre lui ancora mi fissava dietro i vetri mentre mi allontanavo verso il taxi. Aprii la portiera e trovai al suo interno Yaya e Rima, con abiti eleganti, e mi sedetti al loro fianco. Educatamente mi riferii all’autista consegnandogli l’indirizzo lasciatomi da Ikuto. A quanto pare la festa si sarebbe svolta a casa di un suo amico, un altro della sua stessa pasta. La cosa non mi faceva impazzire, non mi piaceva essere accerchiata da figli di papà, mi sentivo un pesce fuor d’acqua, il fatto che ci fosse anche Ikuto quella sera mi rassicurava. Il viaggio durò poco, e in quel lasso di tempo fra i palazzi che seminavamo a gran velocità io e le ragazze parlavamo del mio strano rapporto con Ikuto e della festa che ci aspettava. Quando il taxi ci lasciò a destinazione, mi voltai a fissare la casa del proprietario. 
Era enorme, dietro a un grande cancello nero, con immensi giardinetti curati e tenuti puliti. Il mio primo pensiero era che Ikuto mi aveva convinto ad andare a quella festa solo per farsi invidiare dagli altri suoi compagni, che lui si sarebbe sposato, e mostrarmi come un pittore mostra il suo quadro. Yaya e Rima avevano gli occhi completamente spalancati, con le orbite fuori dagli incavi, come se non avessero mai visto una casa prima di quel momento. Mi avvicinai, e bussai il grande citofono aspettando che qualcuno venisse a darci il benvenuto. Pochi minuti dopo si presentò a noi un altro uomo con la divisa stirata e ben pulita, che si confondeva nel blu della notte e nel verde scuro del prato dinanzi a noi. Era il maggiordomo. 
«Signorine... — con aria da galantuomo baciò le mani a noi tre, e aprì le braccia per mostrarci l’entrata. — Il Signor Ikuto mi aveva precedentemente avvisato del vostro arrivo, signorina Amu, Yaya e Rima.»
Non era possibile che ci fosse anche un maggiordomo, pensavo che Ikuto mi avesse fatto uno scherzo e che quella casa fosse invece di una persona a caso, ma non appena sentii il maggiordomo citare i nostri nomi, e la figura nera di Ikuto venirci incontro mi sentii sollevata. - «Ciao Amu! Vedo che ti sei portata dietro le tue amiche.. »
Non appena lo vidi sorrisi istintivamente. «.. Ho pensato che più eravamo, meglio era.» 
«Avrei voluto stare solo con te però.» sottolineò lui, passandosi la lingua sulle labbra come uno psicopatico. 
«Avremo una vita intera per stare insieme io e te, non esagerare, è già troppo.» — si avvicinò e mi tirò verso di sé facendo combaciare le nostre anche per stringermi piano la vita. «Andiamo dentro.» fece un cenno anche alle mie amiche dietro di noi, che ci seguirono fin dentro l’enorme villa dove ci aspettavano i suoi amici. 
Entrammo nel grande salone che sembrava la Galleria degli Uffizi per quanto era ricca di reperti e vasi di antichissima bellezza. In fondo c’erano due divani in pelle beige, spostati di fronte a una televisione a led sottilissima che doveva costare un occhio della testa, ma a quanto pare la famiglia del festeggiato se lo poteva permettere a giudicare anche dalla vastità delle altre stanze. Sui divani c’erano dei ragazzi alti quanto Ikuto che confabulavano con in mano calici pieni di alcol fino all’orlo. Uno ero biondo platino, l’altro bruno. Ikuto mi sussurrò di fare attenzione a questi tipi, e mentre ci stavamo avvicinando sempre di più quello biondo né approfittò e si alzò: «Ikuto!» — si manteneva in equilibrio a malapena, era brillo pure lui, e diede una forte pacca sulla spalla di Ikuto, spostandosi poi a fissarmi, scatenando una insolita reazione in Ikuto che lo spintonò. «Giù le mani, Aru.» 
«Sei la sua fidanzata?» mi chiese, ma io non potei rispondere perché Ikuto mi precedette. «Lo è, anzi ti dirò di più, lei è la mia futura moglie. Ti avverto, se la tocchi giuro che ti spacco la faccia, chiaro?» rafforzò quella possessione, mettendo in chiaro quel piccolo concetto, e quel povero malcapitato non poté far altro che alzare le mani in segno di sconfitta. 
«Almeno mi presenti le tue amiche?»
Mi scrollai dalla mia posizione e mi staccai da Ikuto. 
«Certo. Mi chiamo Amu comunque e loro sono Rima e Yaya.»
Aru sembrò molto interessato a loro dopo quella minaccia di Ikuto, così si spostò da noi per avvicinarsi per passar loro un bicchiere di vodka alla fragola, mentre le guance delle due andavano a fuoco. Aru era molto simile ad Ikuto, occhi scuri, profondi, tentatori, comportamento pessimo e un tatuaggio sul collo. 
«Nessuno può toccarti senza il mio consenso.» grugnì Ikuto. 
«Non sei stato carino con Aru, voleva essere gentile. Perché non mi presenti ai tuoi amici lì?» indicai la fila di ragazzi sul divanetto. Ikuto parve contrariato, ma non rifiutò la proposta, e si avvicinò. 
«Ragazzi!» 
«Salve.» 
«Ciao Ikuto, m-ma che bella ragazza!» esclamò uno di quelli, battendo una mano sul divano per invitarmi a sedergli vicino. Annuì e presi posto insieme a Ikuto, che risultava urtato dalla mia disponibilità nei confronti di altri che non fosse lui, forse perché io e lui eravamo solo felicemente fidanzati e in procinto di sposarci, in teoria, ma in pratica non avevamo nulla da spartire con l’altro. 
«Piacere.» — superai Ikuto e strinsi la mano al ragazzo moro di prima, meno brillo dell’altro. «Io sono Amu.»
«Lo so chi sei.» mi strizzò un occhio, mentre Ikuto avrebbe voluto volentieri incenerirlo. 
«Vale anche per te, Taro.» si sistemò meglio creando uno scudo umano fra me e il suo amico. 
«Quindi questa è la tua futura moglie, giusto?» 
«Esatto, quindi frena le tue mani.»
«Amu.. » — si girò a fissarmi. «L’anello? Non vuoi più essere mia moglie?» si imbronciò fingendo di essere seriamente preso da una come me, una ragazza normale, una ragazza che non era il suo tipo. 
«Non siamo ancora sposati! Poi stasera non voglio parlare di matrimonio, Ikuto. Grazie.» gli diedi una leggera gomitata nelle costole prima di confiscargli il bicchiere dalle mani e buttare giù la tequila. Nè presi altri, più forti di quello di Ikuto, per cercare di annegare tutte le mie sofferenze, ma era servito solamente a farmi sentire su di giri e peggio di come stavo. Qualche ora dopo ero ubriaca. Si dice che gli ubriachi, i febbricitanti dicano solo il vero, speriamo non sia così. Ikuto mi fissava come un avvoltoio mentre ridacchiavo e dimenticavo i miei problemi con i suoi amici, se avesse avuto la possibilità avrebbe montato una rissa soltanto per me. Mi piaceva spiarlo e vedere che anche lui mi guardava appostato come una statua sul divano, mentre io e gli altri ci divertivamo a giocare al gioco della bottiglia. Quando si era ubriachi si guardava il mondo con un’altra ottica e prospettiva, ci sentiva diversi, migliori, ma sopratutto liberi. 
«Verità... o penitenza?» — mi chiese Aru dopo che la bottiglia aveva scelto me. 
«Verità.» risposi. 
«Allora... sei contenta di sposarti con Ikuto Tsukiyomi?» 
Questa era una domanda davvero scontata a cui rispondere. Se non fossi stata ubriaca avrei risposto certamente no lo faccio solo perché costretta, ma purtroppo la mia mente era annebbiata. 
«S-sì. Cioè Ikuto è un bel ragazzo dopotutto.. » mi voltai, e Ikuto aveva un sorriso che si sarebbe notato a chilometri e chilometri di distanza nella notte. Era bello vincere facile? 
«Ci sposiamo solamente perché siamo obbligati.» — replicai. 
«Quindi non siete innamorati, vero?»
Ikuto si alzò dal divano. 
«Ragazzi, basta davvero. Continuate voi, Amu e io abbiamo.. andiamo a prendere altre bottiglie.» — mi prese una mano e mi issò in piedi, mentre mi trascinava dietro di sé verso la cucina, nell’altra parte della villa. 
Quando ci fermammo, Ikuto aprì il frigorifero e appoggiò sul tavolo due bottiglie di birra. 
«Volevo giocare!» protestai come una bambina delle elementari, mentre Ikuto apriva il mobile nella disperata ricerca di qualcosa per stappare il tappo oppure voleva tenere impegnata la sua testa. 
«Sei troppo grande per giocare.. e poi non puoi parlare con gli altri dei nostri segreti.» 
«Ikuto, non ho detto nulla che non dovessi dire!» — incrociai le braccia. «Era la verità. Io e te, tra noi non potrà mai esserci qualcosa di serio nemmeno lontanamente, devi fartene una ragione.»
«Hai ragione, sai? Forse ho sbagliato io a ritenerti la persona giusta..»
«Come? Scusa, che diamine dici? Ti sei offeso? Questa è bella, per aver detto esclusivamente la verità.»
«La verità mi fa male. Sapere che tu non mi vedrai mai come un ragazzo, ma come un perditempo pervertito.»
«Cosa sei allora se non questo?» — gli chiesi scrutandolo attentamente per cogliere una sua piccola reazione. 
«Sai, stasera... per la prima volta non ho visto dinanzi a me una ragazzina, ma una donna. Eri perfetta, anzi sei perfetta.» — iniziò a sussurrarmi, avvicinandosi sempre di più. 
«Q-questo cosa centra Ikuto? Stavamo litigando prima.»
«Prima era prima, ora invece.. » — qualcuno entrò nella cucina improvvisamente e mi tirò a sé, così velocemente che mi strappò un urlo dalle labbra. Riconobbi i capelli di Aru, mentre mi sollevava verso il suo volto. Prima che potessi evitarlo, prima che Aru si rendesse conto che era semplicemente ubriaco, prima di tutto quello, mi ritrovai a dover fronteggiare delle labbra estranee, le labbra di Aru, forzate sulle mie chiuse, mentre con violenza mi bloccava contro il mobiletto. Cercai di spingerlo via appellandomi alle mie poche forze, ma fu Ikuto a liberarmene scaraventandolo a terra. 
«Aru sei andato completamente! Stai lontano dalla mia futura moglie!»
«Tu difendi il tuo territorio, ma io ho capito che lei ti deve sposare, non perché vuole farlo, ma perché è costretta. Allora, perché secondo te non può provare con altri uomini?» 
Ikuto digrignò i denti e con forza gli affondò un pugno nel volto. Mi spaventai e scivolai via da Aru, prima che Ikuto mi facesse del male. Sembrava una bestia, sapeva difendere il suo onore e anche il mio. 
«Non puoi avere tutte le donne, Tsukiyomi
«Finiscila o non avrai neanche una faccia domani, Aru!» — urlò, mentre io mi posizionai dietro di lui e gli bloccai il braccio. «Ti prego, Ikuto! Ti prego, io sto bene, ti prego Ikuto. Per favore.» 
Ikuto si fermò, e si girò a guardarmi, mentre le lacrime scendevano a fiotti dalle guance. 
«Sei fortunato. Stasera, grazie a lei, sono buono. Ti risparmio, ma attento.. se ci provi di nuovo.. ti spaccherò tutti i denti, uno per uno, chiaro!» lasciò la preda che rimase a terra, e prendendomi per mano uscì dalla cucina per recuperare i nostri accessori rimasti all’ingresso. Senza nemmeno dire una parola abbandonò quella festa, ignorando il richiamo degli amici brilli. Quando fummo fuori ci incamminammo nei vialetti, nella frizzante aria notturna con il candido pallore della luna ad illuminarla, e Ikuto né approfitto per mostrarmi un nuovo lato oscuro di sé. — «Ti sei fatta male?» 
La sua rabbia era stata sbollita. Era tornato calmo e strafottente. 
«Sto bene.. grazie per avermi difeso.» — la sbornia sembrava essersi dissolta dalla mia testa, mentre ci fermavamo a riposare vicino alla fontana. 
«Non lo farà di nuovo. Aru è un piccolo figlioletto di papà che vuole tutte le ragazze, ma tu no.. tu sei mia
«Fa freddo stanotte. Uscire con questo vestitino così scollato non è stata proprio una buona idea.. »
Ikuto si abbassò a fissare le mie gambe intirizzite e sembrò perlustrare ogni strato della mia pelle, mentre io guardavo altrove rossa in volto. Non mi ero ancora abituata. «Smettila, pervertito.»
«Amu... sei bellissima. Sei esattamente il tipo di ragazza che vorrei al mio fianco.» — rimasi senza fiato, stringendomi le braccia al petto. Ikuto si tolse la giacca nera, e con gentilezza me la pose sulle spalle. 
«Tieni.» 
«Ma è tua, e tu ti prenderai un malanno.»
«Correrò il rischio, potresti almeno ringraziarmi.»
«Certo, grazie mister presuntuoso.» — lo presi in giro sorridendo. Dopotutto Ikuto non era un tipo molto perverso, alle volte poteva anche rivelarsi dolce, premuroso e leggermente presuntuoso per le sue buone azioni. Ikuto mi tirò verso di sé, stringendomi. «Ti porto a casa, vieni.»
«Ma se sei ubriaco anche tu!»
«Io perlomeno lo sono meno di te, confettino. Su, su non fare storie.» — mi esortò dolcemente. 
«Non faccio storie, è pericoloso.»
«Ti preoccupi per me? Oddio sono davvero commosso, che onore!»
«Spiritoso. Ritiro tutto quello che ho detto fino ad ora.» 
Nonostante la mia iniziale preoccupazione Ikuto riuscì a convincermi a salire nella sua macchina per riportarmi a casa. Anche qualcosa di amaro ha un pizzico di dolce, no? 
Quando mi accompagnò a casa, scesi dall’auto e lo salutai. «Poteva andare meglio la serata. Per colpa tua ho lasciato Rima e Yaya lì per tutta la notte, saranno furiose con me.»
«Se la caveranno. Per me la cosa più importante è sapere che sei al sicuro da quel maniaco del mio amico.»
«Grazie, ma so cavarmela.»
«Uhm, ho qualche dubbio sai?» — disse picchiettando le dita sul volante. 
«Sei un cafone.»
«Fiero di esserlo per te.»
Cominciai a inoltrarmi verso il mio viale, ma tornai indietro: «Dimenticavo. Continuo ad odiarti.» 
Onestamente il mio odio si era indebolito dopo quel piccolo episodio, ma lui doveva saperlo per non dimenticarlo. 
Ikuto sorrise. «Lo so, anche io ti odio ancora confettino rosa.»— e dopo quelle parole la mia testa cominciò seriamente a pensare che molto in fondo anche Ikuto Tsukiyomi non mi odiava del tutto.. 






 
   
 
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