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Autore: Arny Haddok    06/07/2016    3 recensioni
“Gli incontri avvengono sempre nei momenti in cui la mente è molto libera o molto affollata: nel primo caso avvengono per donare alla nostra anima qualcosa di nuovo, nel secondo per liberare la nostra vita da qualcosa di sbagliato”
Osho
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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God Put A Smile Upon Your Face

Prima di cominciare ci tengo a spendere due parole per questo progetto. Sì, si tratta infatti di un progetto più che di una normale storia. Perché? In poche parole: l'idea è nata un anno fa nel mese di maggio. Io e una mia amica (Aiko Azumane qui su EFP) a cui riservo tutti i diritti di questa prima parte che avrà vita ancora lunga, abbiamo deciso di dare vita a questa "opera" Het ambientata nel mondo di Haikyuu, dove, come sappiamo, il fandom sbandiera con ampi gesti lo Yaoi. Nessuna di noi rinnega questo tipo di coppia, solo, preferiamo altro. Adesso, ho preso l'iniziativa e ho deciso di cominciare a pubblicarla a nome di entrambe. Il tutto è nato scritto in POV, e adesso la scrivo con uno stile differente per dare la possibilità a tutti i personaggi di esprimersi, ma questo sarà più immediato durante la lettura. Vi chiedo quindi di rispettare questo nostro progetto a cui abbiamo lavorato "divise" per più di un anno intero, e concludo dicendo che la responsabilità della scrittura me la sono presa in pieno io.
Detto questo, ringrazio Eliot che sarà la mia beta (spero) per più tempo possibile, e, buona lettura.



Capitolo primo "(Ri)Cominciare"

 

Quella mattina si alzò di malumore.

Solitamente chiunque si sarebbe sentito eccitato all'idea di poter cominciare una nuova scuola, in particolare le superiori, in un'altra città rispetto a quella natale: nuovi amici, ambiente completamente diverso, parlata e accento al limite del comprensibile, altri modi di fare e tanto, troppo altro. Insomma, stava cambiando vita, e la cosa non era ancora stata digerita dal suo stomaco mai stato delicato.

Anche questo la turbava: si trattava di un evento raro ed estremamente comune allo stesso tempo, eppure, nonostante nella sua vita avesse fatto fronte a problemi ancora più grandi, il solo pensiero di mettere piede in un ambiente che si sarebbe rivelato ostico la disturbava profondamente.

Tornando allo stomaco, aveva ingerito di molto peggio, ma quella mattina proprio non ne voleva sapere di smettere di farla piegare in due.

Anche se si trattava del primo giorno di scuola sarebbe tornata volentieri sui suoi stessi passi, a casa, nel suo letto, a leggere il primo libro che le sarebbe passato per le mani...ma significava dover rivivere quelle stesse sensazioni il giorno seguente, con le attenzioni di tutti rivolte a sé, maggiorate anche dalla curiosità che veniva alimentata dalla sua assenza del giorno precedente.

Meglio andare, sopportare, tornare e ripetere questa routine almeno per...tutto l'anno e i tre a venire.

Suo padre le aveva assicurato, appena fatta scattare la serratura della nuova abitazione, che non si sarebbero trasferiti più fino alla fine del suo percorso liceale, e quella conversazione l'aveva in qualche modo rinfrancata, come se tutte le paranoie mentali sparatesi nel cervello fino a quel momento fossero state perfettamente inutili.

Non andò così, anzi.

Le notti divennero sempre più lunghe anche se l'estate si avvicinava. La stanchezza non ne voleva sapere di bussare all'entrata del suo cervello e insidiarvisi per farle prendere sonno, tutto portò ad un unico risultato: non dormì per quasi due settimane, e il fatidico giorno, svegliandosi in una stanza a cui non era ancora abituata e che doveva ancora finire di sistemare dato che gli scatoloni la sopprimevano come fossero vecchiette sedute di fronte alla porta di casa dell'una o dell'altra a spettegolare, si rese conto che sì, doveva addirittura coprire le occhiaie con uno strato decisamente poco leggero di correttore.

Non era mai arrivata a quel punto, ma, se passare due settimane senza chiudere occhio portavano a quello, voleva dire che avrebbe cercato su internet un metodo poco convenzionale per addormentarsi, un metodo che si allontanasse dal training autogeno, dalle pecorelle che saltano la staccionata e anche dalla camomilla calda o fredda, con miele o senza che fosse.

 

La ragazza camminò per una ventina di minuti evitando più sguardi possibili.

Per non “distruggere le aspettative” dei suoi futuri compagni di classe aveva deciso di lasciare i capelli sciolti, dato che sulla nuca si era fatta tingere i capelli di un turchese acceso, tutto deciso almeno due anni prima in compagnia dei suoi amici. La frangia spostata verso sinistra era sempre stata un'arma di difesa infallibile nonostante il colore dei suoi capelli fosse di un castano veramente chiaro, anormale per la maggior parte dei giapponesi tipo.

La divisa le stava leggermente larga, decisamente più del dovuto, e anche se aveva sempre preferito la comodità alla sofferenza della vita segnata da un paio di jeans troppo stretti, si sentiva a disagio ogni volta che abbassava lo sguardo sulla camicia grigio-azzurra che scivolava erroneamente nella gonna, creando un movimento di tessuto tipico delle persone intente a nascondere i propri fianchi. Per non parlare della gonna, già con una fantasia a quadretti che lasciava spazio ai più portentosi ricordi di collage americani e decisamente troppo lunga, e per quella non c'era stata altra soluzione se non quella di farla diventare una gonna a vita alta stringendola con una cintura sottile di cuoio marrone. Nel tentativo di non lasciar trapelare nemmeno un brandello di quell'acozzaglia di roba informe che si era ritrovata ad indossare, optò per il maglioncino quasi color beige che veniva venduto insieme alla divisa.

Inutile dire che non aveva aiutato in alcun modo, evidenziando ancora di più il punto critico della vita.

Le calze bianche accompagnavano le sue gambe abbandonandola sotto alle ginocchia, troppo nodose per essere quelle di una ragazza attraente, in più la sua statura le aveva sempre giocato contro, sempre. Essere alti un metro e sessantadue centimetri virgola cinque significava essere più nella media che sotto, ma i suoi amici non si erano mai risparmiati dall'accollarle nomignoli come “Cicci”, “Mostrino” e “Testina”, tutti con un significato preciso e talvolta poco carino.

Infine, come se non bastasse, sua madre le aveva ricordato il nastrino rosso che andava annodato in un “grazioso” fiocco proprio nel momento in cui la porta di casa si stava chiudendo alle sue spalle, lasciandola “finalmente libera” da quella nuova abitazione. Il suo collo non le piaceva, era sempre stato troppo largo per i suoi gusti, nonostante molti le avessero sempre detto “ma cosa dici? Non è vero, hai il collo di un cigno”.

Ma quando mai.

La cartella era strabordante di ansia più che di materiale scolastico, le dita proporzionate e forse un pochino lunghe si stringevano nervosamente intorno al cuoio marrone del manico , la tracolla non le avrebbe dato la possibilità di nascondere la vergogna stringendola, dato che avrebbe generosamente amplificato la soggezione mostrando a tutta la popolazione di quel tratto del Sendai quanto una ragazzina di quindici anni si sentisse male all'idea di cominciare il liceo.

Quando l'entrata della scuola si fece spazio nel suo campo visivo, una quantità indefinibile di ragazzi si illuminarono, radiosi, di fronte ai suoi occhi chiari. Erano bellissimi. Dovunque cadesse il suo suo sguardo attento non poteva mancare un individuo “personaggio”, come li aveva da sempre definiti. In media però tutte le ragazze erano truccate, anche se mai troppo, eccedere nell'utilizzo di “copri-imperfezioni-e-sembri-un'altra-persona” andava contro il regolamento scolastico, che, in un momento di totale noia e mancanza di forze aveva letto per passare il tempo. La maggior parte osava però con acconciature alla moda o con capelli raccolti che lasciavano scoperta la pelle candida del collo e talvolta qualche orecchino o pendaglio elegante e lavorato finemente.

I sorrisi di quelle fanciulle sembravano irraggiungibili, solari, radiosi, maliziosi o innocenti dipendentemente dal bersaglio puntato.

Le loro divise erano immacolate, le cuciture e i tagli calzavano a tutte alla perfezione senza una benché minima sbavatura, con le gonne accuratamente tagliate, chi più chi meno, le camicie aderenti sul seno generoso o sulla schiena flessa per darlo alla luce. I piedi graziosamente rivolti in dentro come si vede in qualsiasi anime dove una ragazza cerca di farsi notare dal suo amato senpai.

Le loro voci le arrivavano soffuse, e lei era incapace di cogliere la parlata diversa e addirittura il significato di alcuni modi di dire.

Non era gelosa, in alcun modo.

Sentiva solo la necessità di confondersi con quelle ragazze, per evitare di essere notata, per evitare di essere lasciata in disparte, indietro.

Un universo troppo lontano da lei che si sentiva fuori luogo già sulla strada, quando ad accompagnarla c'erano solo uomini e donne che si dirigevano al lavoro.

Lei che aveva modi di fare diversi provenienti da una città lontana.

Lei e il suo sorriso tendente a sinistra, quasi perso a causa degli avvenimenti dell'anno precedente.

Lei e la sua divisa arrivata troppo tardi per rimediare.

Lei e il suo fisico da atleta, con polpacci e cosce muscolosi ma non troppo, che lasciavano immaginare a chiunque la sua passione per lo sport e il troppo impegno con il quale ci si dedicava.

Lei i suoi interessi particolari e troppo seri per una quindicenne.

Lei e le sue preoccupazioni.

Lei e se stessa.

 

Al suono della campanella si accorse di essere rimasta di fianco alla colonna del cancello, e camminò velocemente fino alla scarpiera per poter avere anche solo qualcosa in comune con tutte quelle creature lontane che aveva avuto la possibilità di osservare poco prima.

 

Dopo un celere discorso di presentazione della scuola tenutosi in palestra in cui i ragazzi del primo anno venivano divisi per classi, la massa di giovani si diresse verso l'edificio principale per essere condotta e smistata nuovamente.

Si diede un'occhiata rapida intorno, e subito capì che la maggior parte di quei ragazzi già si conosceva, o che, comunque, si era già divisa in gruppetti. Quei simil-club di persone che nella sua vita avevano giocato un ruolo fondamentale all'interno della scuola, affondandola quotidianamente a causa di ragioni superficiali e perfettamente idiote.

In poco tempo si avvicinò ad un banco vicino alla finestra, che, come si viene a sapere da film e serie TV, è sempre la soluzione giusta. Non troppo arretrato, ma nemmeno troppo vicino alla cattedra, quel banco avrebbe funto da riparo almeno per un mese, fino a quando i capoclasse non avrebbero decretato il tanto spaventoso, triste o agognato cambio di posti.

Agganciò la cartella alla lastra di metallo munita di gancio che si trovava di fianco al banco e rimase composta, indecisa su quale posizione fosse stata la migliore da adottare.

Al richiamo dell'insegnante tutti presero posto, e di fianco a lei si sedette una ragazza abbastanza alta, dai capelli mori, gli occhi verdi e un sorriso decisamente troppo sincero e felice per i suoi gusti. Con i talloni continuava a sbattere contro il poggiapiedi in legno del banco, producendo un ritmo impercettibile ma irritante, come una goccia di pioggia che, infiltrandosi nei più sottili punti deboli del tetto, ripetutamente, cade sempre nello stesso punto. La mani erano posizionate a pugno sulla mascella, sostenendole la testa. Una persona luminosa, ma irritante.

 

La presentazione della professoressa fu la più lunga mai sentita dalla ragazza con gli occhi chiari, del colore del ghiaccio, o, come una volta li avevano definiti, del grigio-azzurro del mare in piena burrasca. La voce profonda di quella donna alta, probabilmente, meno di lei senza quella sorta di trampoli che si ritrovava ai piedi, la assopiva, creando così un ambiente favorevole al sonno, quello stesso sonno che le mancava e che le rammolliva le membra.

Solo quando si passò alle presentazioni il cuore ricominciò a pompare sangue nelle sue vene, facendola tornare in uno stato di attività fisica trattenuta e facendole sudare i palmi delle mani, impedendole così di poterle poggiare sulla superficie lucida del banco.

Quel genere di cose l'agitavano più di qualsiasi altra. La mandavano in confusione, facendola incespicare sul suo stesso nome e lasciando che il disagio si catalizzasse sulle dita che finivano per tremare visibilmente. Niente aveva mai funzionato nel calmarla, e poi, lavorare ad una presentazione di fronte a ragazzi mai visti in vita sua, era veramente il peggio.

Con sua sorpresa, la prima ad alzarsi fu la ragazza che aveva inquadrato prima, che, sorridendo e quasi saltellando, arrivò alla lavagna, scrisse il suo nome in una calligrafia non troppo precisa senza però farsi pesare la situazione e recitò, come una cantilena, di fronte agli altri, come se fossero ragazzini appena entrati alle medie.

-Il mio nome, come potete leggere da qui- e indicò con la mano la scritta di gesso bianco sull'ardesia, – è Azumane Aiko. Ho frequentato la Kitagawa Daiichi e vivo qui da quando sono nata. Ho un fratello maggiore e sono onorata di poter fare la vostra conoscenza!- concluse senza mai lasciar trasparire disagio, quasi...ammirevole. Fu come un lampo a ciel sereno, e, così come si era alzata piena di energie, si inchinò, e tornò al suo posto sedendosi dritta e ascoltando attenta le presentazioni altrui, quasi incantata all'idea di poter avere a che fare con quei ragazzi per il resto dell'anno.

 

Dopo non troppo, venne il suo turno.

Appena l'insegnante chiamò il suo nome, un leggero bisbigliare si spanse tra i banchi di legno lavorato, aumentando, ad ogni passo che la divideva dalla lavagna, la sua ansia di sbagliare.

Sollevò il gessetto e lo portò immediatamente dietro la sua figura per nascondere l'agitazione che nasceva dalla pianta dei piedi e raggiungeva ogni singolo anfratto della sua persona.

Finito di disegnare i caratteri stranieri che componevano il suo nome, posò il cilindro di polvere vicino al cancellino e con sguardo freddo si voltò verso i suoi nuovi compagni. Cercò un punto sicuro dove guardare, lo sguardo di qualcuno che poteva fungere da ancora in quel momento di panico. Portò le mani dietro la schiena e le agganciò come se fossero la sua unica salvezza. Senza accorgersene, cominciò a parlare.

-Sono Haddok Arny,- e fu in quel momento che si accorse della voce adulta che stavano suonando le sue corde vocali, dell'accento che stava usando, così dannatamente diverso da quello di tutti gli altri che avevano posato le scarpe su quello stesso punto dove ora stavano le sue -vengo da Tokyo, sono figlia unica e sarà un piacere passare un anno con voi.- senza sorridere guardava il vuoto di fronte a sé, il peggio era andato, riprese a respirare quasi regolarmente come una ripresa da una sessione troppo lunga di sette su dieci in palestra.

Aveva la gola secca ma ora stava meglio, poteva ripercorrere quel sentiero pericoloso che l'avrebbe riportata nel suo luogo preferito, fino a quando...

-I tuoi genitori sono stranieri?- osò chiedere una ragazza dai capelli neri, stretti in un elastico rosso acceso, del secondo banco nella fila destra -s-solo mio padre, mia madre è giapponese- rispose sorpresa da tanto coraggio, se lo si poteva definire tale. Tutti, probabilmente, l'avrebbero definita semplicemente curiosità, ma per Arny Haddok, quello era coraggio.

Dopo essersi rispettosamente inchinata, tornò a sedersi al suo banco con passi leggeri, così estranei alle sue solite falcate che partivano dal tallone che si piantava intensamente nel pavimento, alla punta che dava la forza necessaria per muovere un ulteriore passo.

Rivolse il volto alla finestra appena capì che la ragazza chiamata Azumane la stava osservando, lei e altri che, a quanto pare, erano pronti a farle domande assolutamente non desiderate.

Smettetela, piantatela di guardarmi, pensò perfettamente consapevole. I suoi occhi si strinsero, si assottigliarono, e la lezione finì così, con venti minuti di tensione che le bloccavano il corpo e che le irrigidivano i muscoli.

Tutto quello che stava succedendo all'interno dell'aula perse d'importanza, non che prima la sua attenzione fosse focalizzata su ogni particolare come lo sarebbe stata in altri momenti, ma il solo pensiero di aver catturato la curiosità di persone a lei estranee, quasi la spaventava, catapultandola in un limbo di riflessioni e sguardi persi.

Semplicemente, non voleva attirare attenzioni, di nessun tipo. Dall'anno appena passato aveva capito che poteva diventare un enorme problema essere “controllati”, in particolare da certi individui negli occhi dei quali non si coglie altro che cattiveria.

La seconda ora passò così, quasi come in una dimensione parallela ma tangibile. Quasi come se si trovasse in Interstellar, quel film stravolgente che l'aveva trattenuta sulla poltrona blu vellutata del cinema per due ore, senza che potesse muoversi, senza che potesse perdere la concentrazione o anche solo una di quelle teorie fantascientifiche in cui non avrebbe mai capito nulla.

Poteva posare la mano sul legno lavorato del banco senza lasciare alcuna traccia, ora l'agitazione era scomparsa, la sua temperatura corporea scese fino a toccare i 35° C e, a meno che altri professori o compagni le avessero chiesto qualcosa, non avrebbe avuto problemi a mantenerla, costante e rigida.

Per sua incontenibile gioia e fortuna, fino alla pausa pranzo nessuno le si avvicinò. Non aveva voglia di esternare la sua storia, non lo avrebbe fatto se non con qualcuno dagli occhi e dai movimenti del quale avesse potuto cogliere sincerità e genuina curiosità nei suoi confronti, un interesse che non si sarebbe mai rivelato avere un secondo fine.

Si apprestava a estrarre il bento accuratamente avvolto in un fazzoletto rosa salmone e ad appoggiarlo sul banco, quando, con la coda dell'occhio destro, notò l'altezza della sua vicina di posto fermarsi vicino a lei. Dopo che mi ha rivolto quello sguardo non puà che chiedermi qualcosa si rassegnò, e con movimenti controllati alzò lo sguardo in direzione della figura ancora ancorata al pavimento del suo spazio vitale.

-Haddok...giusto? Senti, dato che vieni da fuori ho immaginato che qui tu non abbia nessuna conoscenza.-

Ma guarda quant'è sfacciata...e se invece fossi piena di amici?! Cosa ne sai pertica, immaginò mentre il suo volto manteneva un'espressione leggermente sorpresa -ti andrebbe di pranzare insieme?- e continuava a sorridere, esattamente come quando era volata verso la lavagna impaziente di presentarsi.

-V-va benissimo, siediti pure.- e Arny accennò un sorriso sbilenco dei suoi.

Prima di spostarsi su un banco diverso da quello al quale si stava lentamente abituando doveva passare ancora tanto tempo.

Subito Azumane scivolò verso la propria sedia e la sollevò quasi senza sforzo, per poi posizionarla accuratamente di fronte a quella della compagna. Si piegò per prendere il suo pranzo e, finalmente, si sedette estraendo le bacchette con gentilezza, come se non avesse di fronte una perfetta sconosciuta.

-Quindi vieni da Tokyo eh? Ho degli amici là, ma non sono proprio del centro città, diciamo più periferia. Mi era stata data anche la possibilità di studiare nella loro stessa scuola, ma...no, niente, lascia stare.- cominciò fulminea, sparando a raffica una serie di informazioni personali, per poi spegnersi, con il sorriso che si ridusse ad una leggerissima curva, e tutte quelle notizie finirono completamente al vento. Nessuno le aveva fatto richiesta riguardo la sua vita, eppure la mora aveva preso a parlare, intervallando il tutto con dei bocconi di riso non troppo generosi, ma comunque adatti al fisico di quella che sembrava un'atleta.

Ma che diavolo ha detto? Perché tutta quell'euforia è sparita? Con chi sto avendo a che fare... si chiede Haddok senza alzare lo sguardo fino all'aver elaborato una risposta.

-Beh...nemmeno io vengo dal centro di Tokyo, sono di un quartiere lontano, però la zona è quella.- spiegò calibrando le parole per fare in modo che fossero comprensibili, odiava ripetersi.

-Ooohh, avete una parlata diversa voi del centro! Però ci sono abituata, e se devo essere sincera la preferisco, ha una cadenza più internazionale, anche se siamo in una città importante, sicuramente Tokyo è più sociale, non so se sono riuscita a spiegarmi bene...- e allora il suo sorriso tornò un poco, lasciando spazio ad un velo di vergogna fin troppo sottile per essere notato.

Certo che parla eh...almeno non sarò costretta a dispensare qualsiasi mia informazione, si rassicurò la più bassa riprendendo a mangiare senza fretta, con una cadenza quasi ritmica.

-AZUMANE AIKO!- il silenzio che si stava creando, che aveva cominciato a mettere Arny a suo agio, fu ridotto a brandelli dalla voce seria ma non del tutto adulta di un ragazzo. Le bacchette minacciavano di caderle dalle dita per lo spavento, ma riuscì a tenerle stringendole improvvisamente e lasciando che fossero gli occhi, puntati sul bento, a far trasparire quella sensazione di sorpresa, sbarrandosi e rimanendo bloccati. Intanto la pertica si era alzata e teneva una mano aperta sul banco guardando il ragazzo ancora fermo sulla porta, mani premute sui lati dell'entrata e gambe divaricate.

-Che cos'hai da urlare in questo modo Tooru?! Ti sei rincretinito perché ieri non hai potuto usare la palestra e siete finiti ad allenarvi in quella del quartiere?!- chiese retoricamente Aiko, finendo per sorridere divertita dalla scenata del ragazzo che, per quanto si poteva capire, era suo amico.

Tutte queste ragazze adesso prenderanno a guardarmi in cagnesco, se solo Tooru avesse aspettato una ventina di minuti sarei andata a salutarlo senza dare troppo nell'occhio. Notò Azumane con degli sguardi fulminei verso le sue nuove compagne di classe.

Solo nell'istante in cui Arny si rese conto di star fissando quel fisico statuario nascosto dalla divisa scolastica, si voltò e tornò al suo bento, ovviamente arrossendo e maledicendosi mentalmente nel caso l'avesse notata.

Intanto le ragazze della classe avevano cominciato veramente a fissare la più alta con sguardo decisamente stupito, come se quel ragazzo, ora rilassato sulla porta, fosse una persona importante.

E poi, Azumane lo ha chiamato per nome! Sono davvero amici! E adesso hanno preso a guardarla malissimo! Ma chi diavolo è questo tizio? Sicuramente non è di prima, non avrebbe il coraggio di presentarsi ad una classe che non è la sua in questa maniera. Si rese conto Arny riprendendo a mangiare cercando di controllare la quantità di cibo sulle sue bacchette per evitare che finisse di nuovo nel bento. Aveva portato la mano sinistra sull'orlo della gonna e con le dita seguiva attentamente le cuciture sottili e confuse con il tessuto dell'indumento.

Se Azumane avesse seguito quel ragazzo allora sarebbe rimasta sola, e sarebbe stato fantastico certo, rimanere sola era una delle sue occupazioni preferite, e un'alternativa era già pronta nella cartella.

-Per tua informazione la palestra adesso è aperta, e comunque avevi promesso che ci saresti venuta a cercare per salutarci questa mattina, e non lo hai fatto! Non hai mantenuto la tua promessa Aiko-chan!-

CHAN?! Quindi sono davvero in confidenza! E poi di chi altro sta parlando? Che stiano insieme? Potrebbe essere...o no, sarebbe quasi equivoco...equivoco? Perché equivoco? Andò in confusione al suono di quella voce proveniente da quel Tooru.

Intanto la mora lo aveva raggiunto alla porta e gli stava sorridendo con fare da cucciolo abbandonato.

Irritante si bloccò Haddok in quel momento.

-Mi perdoni, vero? Non puoi non perdonare la tua Aiko!- e si attaccò a lui poggiandogli la testa sul petto, nonostante tra i due la differenza di altezza non fosse troppa.

Di risposta il ragazzo la strinse e sorrise divertito dal comportamento della mora.

-Per questa volta ti perdono, però in cambio devi venire anche da Iwa-chan!- replicò allontanandosi dall'abbraccio.

-Beh, in realtà starei pranzando con una ragazza e non voglio lasciarla sola.- chiarì Azumane con voce seria e mettendosi le mani suoi fianchi forse per sottolineare il fatto che non voleva lasciare l'aula. A quella battuta Haddok restò con le bacchette a mezz'aria, durante l'ultimo anno di scuole medie c'era solo una ragazza che si comportava in quel modo con lei: Hoshi°.

Quella che poteva definire la sua più cara amica, con cui aveva legato solo durante gli ultimi due anni di medie, la invitava quotidianamente a pranzare con lei. Spesso però Hoshi si rivelava malata, e solo all'ultimo anno cominciò a diventare un problema serio.

Fino a quando i suoi amici erano ancora alle medie non aveva questa preoccupazione che la martellava tutti i giorni, ma da quando questi dovettero cominciare le superiori qualcosa cominciò ad incrinarsi, minacciando seriamente di spezzarsi.

L'intervento di Hoshi si rivelò provvidenziale, aiutandola a tenere insieme quel filo metallico che la formava. Nonostante molti tendevano ad evitare Hoshi per la sua fama di secchiona e ragazza troppo seria, per Arny era proprio una Stella, la stella che l'avrebbe guidata verso la salvezza.

Quando la ragazza dagli occhi chiari udì le parole della più alta, il suo pensiero venne inebriato dal sorriso convinto e sincero della sua amica di Tokyo, e non pote' fare a meno di intristirsi al pensiero che non l'avrebbe più vista se non raramente.

-Ehi Haddok, ti andrebbe di conoscere i miei amici?- solo allora si risvegliò da quella malinconia tendente alla tristezza, e si ricordò di come stavano le cose.

-In verità...preferirei restare qui.- confidò spostando lo sguardo sul davanzale della finestra che dava sul cortile della scuola dov'erano montati campi da tennis e un paio da basket per le giornate estive.

-Vedrai, sarà divertente!- e a quelle parole la più bassa sentì il suo polso circondato da una stretta forte e sicura, che si rivelò essere quella di Azumane.

Venne sollevata di peso dalla sedia di legno sulla quale aveva trovato una posizione abbastanza comoda da non volerla lasciare, e non sembrava proprio che Aiko avesse utilizzato tutta la sua forza per portare a termine quell'ardua missione.

La trascinò per tutti i corridoi con passo spedito, e non mancarono di andare a scontrarsi con altri ragazzi di prima che vagavano per i corridoi.

Il fisico di Azumane era slanciato, le gambe lunghe e magre, la vita stretta, le spalle proporzionate e tendenti al basso, il collo sottile così come le dita delle sue mani. Un viso bello, decisamente. Fu una parte di quello che Arny aveva potuto mettere a fuoco durante quella corsa e durante la presentazione della mora.

 

Aiko era una bella ragazza, con un atteggiamento decisamente positivo che la portava a legarsi alle persone in modo gentile, ma anche divertente. Sapeva quando era il momento di intervenire per risolvere una situazione, e trascinare quella ragazza bassa dai capelli chiari dai suoi amici, poteva rivelarsi una mossa che avrebbe accontentato tutti: Haddok avrebbe avuto la possibilità di conoscere qualcuno, e che qualcuno! Oikawa si sarebbe finalmente messo il cuore in pace con i saluti, e ad Iwaizumi avrebbe fatto sicuramente piacere fare la conoscenza di quella piccoletta così silenziosa.

É una buona idea, decisamente si convinse tenendo ancora Arny per il polso, convinta che lasciandola questa sarebbe tornata indietro, da sola.

 

Arrivate al fantomatico muretto di cui i suoi amici d'infanzia le avevano tanto parlato dal loro ingresso all'Aoba Johsai, Tooru si alzò immediatamente in piedi e si avvicinò alle ragazze, senza lasciar trasparire la sorpresa che provò alla vista della più bassa che si ostinava a tenere lo sguardo basso e lanciare occhiate apatiche a lui e ad Iwa-chan, che, nel frattempo, si era alzato con calma e aveva raggiunto il trio.

-Prima di poter chiedere qualsiasi cosa, ragazzi questa è Haddok Arny, è nella mia classe e viene da fuori quindi trattamela bene ok?-

Trattamela? Cos'è adesso? Siamo culo e camicia per caso? O sono diventata il tuo cane? Si chiese Haddok guardando strana la compagna di classe, ma senza provare ad intervenire in alcun modo.

-Questi invece sono: - e scappò un colpo di tosse decisamente ironico- Oikawa Tooru, terzo anno, capitano del club maschile di pallavolo e palleggiatore titolare, nonché uomo più desiderato dalla fauna femminile del liceo,- continuò indicando con il palmo della mano parallelo al terreno il soggetto della presentazione -e questo invece è Iwaizumi Hajime, terzo anno, asso della squadra di pallavolo che, grazie al Grande Demone Celeste, non mi obbliga a dire cavolate per presentarlo.- conclude Aiko con un sorriso decisamente divertito dalla situazione.

Arny si inchinò rispettosamente dopo le presentazioni, sia per educazione verso i compagni più grandi, sia perché non aveva nulla da dire, e il momento stava cominciando a diventare imbarazzante a causa della sua timidezza.

-Quindi tu sei Haddok? Immagino proprio che Aiko-chan abbia cominciato ad importunarti come fa sempre quando conosce qualcuno di nuovo!- e rise il capitano del club di volley maschile con un'espressione da monello.

Arny non pote' fare a meno di pensare a quanto fosse ridicolo ma, grazie all'autocontrollo acquisito con gli anni, non fece trasparire quel pensiero nemmeno attraverso un muscolo.

-No, non direi così...diciamo che mi ha fatto piacere pranzare con qualcuno.- anche se non abbiamo finito si ricordò rispondendo al castano, decisamente alto.

-Hai sentito Aiko-chan? Non sei così fastidiosa allora!- continuò Oikawa in direzione dell'amica, la quale gli rifilò un pugno sulla spalla con tutt'altro che delicatezza.

-Ti conviene smettere Tooru, non vogliamo dare spettacolo della nostra relazione anche davanti ad Haddok, giusto?- e sorrise quasi nervosa la più alta con un pugno sempre sollevato ad altezza spalla.

-Giusto, evitate di rendervi ridicoli di fronte a questa povera ragazza.- si intromise Iwaizumi poggiando una mano sulla spalla del compagno di squadra come per trattenerlo.

Spesso si era trovato in una situazione simile, Azumane che sembrava la fidanzata di Oikawa da tanto si stuzzicavano, ed entrambi che non facevano quasi più caso a quello che succedeva intorno a loro. Hajime era abituato a tutto quello, ma, almeno, non doveva occuparsi direttamente di Aiko e dei suoi “momenti”, a quelli ci avrebbe sempre pensato Tooru, sempre.

-Questa carinissima fanciulla è sicuramente venuta per potermi conoscere, non posso mostrarle il mio lato più giocherellone, dovrei piuttosto assottigliare lo sguardo per lei!- e a questo punto l'alzatore si rivolse ad Arny, trovandola a guardarlo stranita, come se avesse appena sparato una delle stupidaggini più grandi di sempre.

-Ah...ecco, in verità Azumane mi ha portata qui e...- e morì la frase senza che la più bassa potesse pensare ad uno svolgimento sensato. Cominciava a diventare stressante la situazione, non imbarazzante.

Si sentiva in dovere di rispondere per non fare l'indifferente, e non nascondeva di essere rimasta colpita dalla bellezza di Oikawa già da quando aveva messo piede nella loro aula come fosse la sua.

Ammirevole.

 

-Sediamoci.- interruppe l'immobilità del momento la voce roca di Iwaizumi, e Haddok lo ringraziò senza sosta nella sua testa, come se in qualche modo quel ragazzo fosse stato in grado di leggerle il pensiero.

 

 

“Gli incontri avvengono sempre nei momenti in cui la mente è molto libera o molto affollata: nel primo caso avvengono per donare alla nostra anima qualcosa di nuovo, nel secondo per liberare la nostra vita da qualcosa di sbagliato”

 

Osho

 

° Hoshi significa "Stella"

Spazio (in)utile: Con una protagonista che ha un nome che di giapponese ha ben poco, si comincia questa "avventura". Ovviamente ci vorrà un po' per ingranare con il tutto, e, dato che odio qualsiasi cosa scritta in fretta e povera di dettagli, spero di avervi offerto un buon esempio di quello che riesco a fare alla tastiera di un computer. Come ho scritto all'inizio questa prima parte non è stata ideata dalla sottoscritta se non per qualche parte direi non proprio marginale. Per quelle persone malate come me, il titolo è lo stesso di una canzone dei Coldplay (amorini miei) ASCOLTATE QUELLA CANZONE PLS. Spero vivamente che questo primo capitolo possa risultare interessante. E se qualcuno ha un momento, un'impressione su questo inizio sarebbe parecchio gradita. 
Grazie a tutti di essere arrivati fino a qui *saluta contenta*.

   
 
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