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Autore: revin    06/07/2016    2 recensioni
La vita da reclusa è molto più dura di quella che Gwen avrebbe potuto immaginare, soprattutto in un penitenziario di massima sicurezza interamente dominato da uomini. Fox River è un inferno al quale sembra impossibile poter sopravvivere. Ma Gwen ha una missione da compiere... la vendetta.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Michael/Sara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi si mozzò il respiro in gola e non feci in tempo a trattenere un urlo quando vidi materializzarsi alle mie spalle il peggiore degli incubi.
Ero stata a tanto così da portare a termine la mia fuga, sapevo che prima o poi qualcuno si sarebbe ricordato dell’inquilina della cella 93, ma non avrei mai pensato che il viscido mostro, dopo aver conquistato il libero accesso al penitenziario, pensasse a tornare nel Braccio A per cercarmi. Avevo sperato in un po’ più di tempo, maledizione!
  • T-Bag… -  sibilai come un gatto col pelo ritto di fronte al pericolo.
  • Non vedevo l’ora che arrivasse questo momento.  -  mormorò l’uomo, sorridendo sfacciatamente mentre indietreggiavo fino a sfiorare con le spalle il ferro delle sbarre. 
Ero in trappola, ero in un mare di guai e come se non avessi già problemi a sufficienza, ero circondata. Oltre al depravato, si erano radunati altri 5 gorilla. Una situazione che non faceva ben sperare.
Questa volta non ne sarei uscita con le mie gambe, me lo sentivo. 
  • Non avere paura bambolina, non abbiamo intenzione di approfittarci di te… mmmh… o forse si?  -  Alle spalle del pedofilo giunsero esclamazioni di gioia e giubilo.  -  Beh, allora sei ufficialmente invitata alla nostra festa!
Il simpatico programmino pensato per la sottoscritta venne accolto da tutti con grande entusiasmo. Sei cani si sarebbero avventati contro un unico osso. Per la seconda volta da quando avevo messo piede a Fox River, provai il panico devastante capace di paralizzare ogni singolo muscolo del mio corpo. 
Mi sentii del tutto inerme quando T-Bag mi afferrò il braccio per trascinarmi verso di lui, e fu un patetico tentativo di opporre resistenza quando mi voltai nuovamente per aggrapparmi alle sbarre. Finii solo per scorticarmi le mani quando mi strattonò con forza perché lo seguissi.

Certo, avrei potuto ribellarmi in qualche modo, lo avevo già fatto infondo, ma sapevo che sarebbe stata una battaglia persa in partenza. Ero solo una ragazza contro 6 colossi infervorati dalla rivolta e col testosterone a mille. Peggio ancora, ero solo una ragazza debole e malaticcia. Chi volevo prendere in giro? Non avrei avuto nessunissima speranza nemmeno se mi fossi trovata davanti solo Bagwell. 
  • Dove diavolo mi stai portando sottospecie di pervertito?! Lasciami… lasciami subito!!  -  gridai, cercando più e più volte di liberarmi dalla sua presa ferrea.
  • Oh ma che brutte parole in bocca ad un fiorellino come te. Questo posto ti sta rovinando piccola, devo dirtelo.  -  Superammo il gabbiotto e proseguimmo verso il lungo corridoio. Il resto del gruppo ci seguì.  -  Vedrai che ci divertiremo un sacco, ma prima che ne diresti di scovare anche quell’altro finocchietto? Più siamo e meglio è, non è così che si dice?
Ero certa che stesse parlando di Michael. Era lui il suo obiettivo. Persino approfittare di una donna in carne ed ossa passava in secondo piano al pensiero di potersi vendicare del torto subito.
Continuammo ad avanzare, superando diverse porte massicciamente blindate che uno dei 5 scagnozzi aprì una dopo l’altra con il mazzo di chiavi che portava con sé. Come avessero fatto ad impossessarsi di quelle chiavi era per me un mistero. Non avevo idea di dove stessimo andando, né di cosa avessero intenzione di farmi, però ero certa che la nostra “passeggiata” non sarebbe durata ancora a lungo.
  • Dobbiamo sul serio trascinarci questo peso morto per tutto il penitenziario?  -  si lamentò l’uomo che aveva appena spalancato la porta per farci passare.  -  Io proporrei di darle una bella ripassata a turno, che ne dite?
  • Sono d’accordo, diamole il nostro personale benvenuto!  -  esclamò un altro dall’aspetto più rozzo e brutale, lanciandomi un’occhiata esplicita.
  • Ragazzi per favore, un po’ di tatto, così spaventiamo la nostra amica.
La vicinanza di T-Bag mi faceva accapponare la pelle più di quella di tutti gli altri. Erano tutti lì per lo stesso scopo, ovvio, ma era Bagwell l’essere più viscido e malvagio. Persino il suono della sua voce così languido, e tuttavia così urtante, mi faceva salire la nausea. Se solo fossi stata abbastanza forte da massacrarlo a sangue con le mie stesse mani… ma non lo ero, ero debole. Però non potevo arrendermi, non gli avrei permesso di farmi del male senza lottare.

Approfittando della breve pausa, ricominciai nuovamente a dibattermi e a scalciare, se non potevo combatterli avrei almeno potuto provare a scappare. Il tipo biondo che si avvicinò per primo, si ritrovò con una guancia insanguinata quando lo graffiai per allontanarlo, ma il gesto non servì a spaventare i miei avventori, tutt’altro, sembrò addirittura eccitarli. 
  • Il primo che se la spasserà con questa troietta sarò io.  -  riprese il biondo, rispondendo all’attacco con un mal rovescio che mi fece sbattere contro il muro. 
Quando sentii il sangue colarmi lungo la guancia e il dolore pulsare frenetico, la prima cosa a cui pensai fu il sopracciglio ferito. La ferita doveva essersi riaperta.
Eccomi di nuovo nella stessa situazione in cui mi ero trovata giorni prima quando T-Bag mi aveva aggredita. Rieccomi a vendere cara la pelle contro 5 energumeni fisicamente superiori.
  • Mi dispiace dolcezza, ma i miei amici non vogliono più aspettare. Sarà il caso di dare inizio alla festa.  -  Bagwell mi sorrise mordendosi il labbro inferiore quando ordinò ai due uomini più vicini a lui di bloccarmi.  -  Forza divertiamoci!
Il biondo mi afferrò per un braccio, mentre il suo compagno bloccava l’altro.
Non avrebbe avuto senso lottare, dibattersi o urlare, lo sapevo, nessuno questa volta avrebbe potuto aiutarmi. A pochi centimetri da me, T-Bag continuava a fissarmi voglioso come se al posto mio avesse avuto tra le mani una gigantesca torta alla panna montata.
  • Ti consiglio di togliermi le mani di dosso, galeotto! -  sibilai tagliente quando l’uomo sfiorò il mio braccio nudo, preso da chissà quale fantasia da pervertito.
Il tono della mia voce per attimo sembrò sorprenderlo :  -  Scusa, come mi hai chiamato?
Sorrisi sarcastica, pregando dentro di me di risultare convincente.   -  Galeotto. E’ quello che sei, un misero galeotto che trascorrerà il resto della sua vita in gabbia.
L’uomo ricambiò il sorriso avvicinandosi al mio orecchio.  -  Piccola, ti sembra saggio provocarmi in una situazione del genere?
Ancora una volta ingoiai il panico e sfoderai tutta la mia audacia.  -  Perché, ti stai sentendo provocato? Tu non mi fai alcuna paura. Ti credi chissà chi per aver stuprato e ucciso dei ragazzini innocenti… chissà quanta forza di volontà e coraggio ti saranno serviti per compiere un’impresa del genere. Cos’è, sei totalmente incapace a soddisfare una donna che hai dovuto ripiegare su dei ragazzini?
  • Immagino che lo scoprirai molto presto.
  • Ah io non credo, direi che sarebbe inutile scomodare i pronostici, io dico che non riuscirai a combinare un bel niente e posso spiegarti anche il perché. Se adesso tu fallisci, 5 colossi saturi di anabolizzanti e steroidi sapranno che ho ragione e ti daranno del cazzone senza palle, sai che è così. Non puoi neanche tirarti indietro ormai…  -  Sorrisi di nuovo, questa volta più sfacciata. Sapevo di aver premuto il tasto giusto, T-Bag stava cominciando a perdere la pazienza.  -  …Comincio a pensare che tu abbia paura delle donne. Dì la verità, ti sei sentito subito minacciato dalla mia presenza. La settimana scorsa per tendermi un agguato hai dovuto corrompere quel celebroleso di secondino e ti sei fatto accompagnare da due gorilla grossi almeno il doppio di te, e oggi addirittura cinque. Eh si Theodore, gli psicologi lo definirebbero un problema.
Ero riuscita ad innervosirlo. Le sue mascelle erano così contratte che le tempie gli si erano tinte di una sfumatura di prugna. Mentre T-Bag piantava un pugno a due centimetri dal mio orecchio facendomi sussultare, capii che la mia finzione aveva raggiunto l’effetto desiderato e seppi come liberarmi e che cosa fare.
  • Ti farò rimangiare ogni singola parola… ogni singola parola!  -  sbottò, cominciando a sbottonarsi i pantaloni.
Adesso i nostri visi erano vicinissimi, potevo sentire il suo cattivo alito mentre mi parlava.
  • Oh si certo, perché non chiedi anche agli altri tre con le mani libere di tenermi ferma. Magari così ti riesce.
  • Credi che abbia bisogno di loro per farmi una troietta come te? Lasciatela!  -  ordinò ai due energumeni che mi avevano bloccato le braccia. Poi, puntando i suoi occhi viscidi su di me, sibilò  -  Rimpiangerai di avermi provocato.
Non so dove trovai la forza per attaccare, ormai avevo capito che non avrei avuto nient’altro da perdere. Se dovevo cadere, qualcuno lo avrei trascinato a terra con me.
Fu in quel momento che agii. Senza pensarci e senza guardare il mio avversario negli occhi, lo colpii con una testata così forte che per alcuni interminabili secondi la vista mi venne meno. L’uomo, colto di sorpresa, indietreggiò dolorante, tamponandosi la fronte e finendo addosso ai suoi scagnozzi. Fu la mia momentanea salvezza. Approfittando del momento di confusione, mi mossi di lato cercando una via di fuga, assecondando l’istinto e il desiderio di salvare la pelle. Scattai in avanti e presi a correre. Qualche passo, e una mano mi afferrò la caviglia. Il contraccolpo mi fece cadere rovinosamente sul freddo pavimento piastrellato, sbattendo la mascella. Per lunghi istanti non fu altro che dolore. La mia agonia però sembrava essere appena iniziata. Provai a reagire quando un uomo con la mascella quadrata mi sollevò letteralmente di peso con una solida presa sul collo per spingermi verso T-Bag, ormai ripresosi dal mio attacco a tradimento. Nonostante tutto, non smisi di lottare neanche quando mi ritrovai nuovamente circondata. Bagwell riuscì ad afferrarmi per i capelli e strattonarmi contro il muro. Avrei voluto continuare a tirare testate ed urlare a squarciagola, ma ormai non ne avevo più la forza, ero stremata.
Quando il pervertito mi riacciuffò per i capelli e cominciò a trascinarmi per il corridoio, non riuscii neanche ad opporre resistenza. L’uomo non badò minimamente alle mie proteste.
Come avevo potuto sperare di sopravvivere in un posto del genere? Keith l’aveva detto che sarebbe stata una follia. Quella sarebbe stata la mia fine. Poi all’improvviso ci fermammo.
  • Oh ma guardate un po’ chi abbiamo qui. Oggi dev’essere proprio il mio giorno fortunato. 
Spinta dalla curiosità di vedere chi o cosa avesse attirato l’attenzione del mio aguzzino tanto da fargli mollare la presa per lasciarmi a terra, sollevai appena la testa cercando di mettere a fuoco le due figure ferme dinanzi a noi. Prima che potessi capire in chi ci fossimo imbattuti,l’uomo più alto parlò: 
 
-  Lasciala andare T-Bag!
 
Riconobbi all’istante quella voce, era Lincoln Burrows. Ma non poteva essere davvero lui, a quell’ora lui non avrebbe dovuto trovarsi lì. Prima che potessi chiedermi il perché della sua presenza, esaminai la figura evidentemente terrorizzata al suo fianco. Era una guardia, il novellino che aveva preso servizio alcuni giorni dopo il mio arrivo. Probabilmente quando era scoppiata la rivolta, Lincoln non si trovava nella sua cella, così quando erano iniziati i disordini il secondino era stato costretto a riaccompagnarlo.  Questo di sicuro avrebbe spiegato perché Lincoln fosse ammanettato e perché, mentre fuori imperversava il caos, lui e la guardia si trovassero in prossimità del blocco A. 
  • Non credo che sia possibile. Vedi, ormai ho promesso ai miei amici una festa e questa bella bambolina è stata formalmente invitata come ospite d’onore.  -  spiegò Bagwell.
  • E’ solo una ragazzina. Lei non c’entra niente qui dentro e tu lo sai.
  • Eppure è qui, e noi non vogliamo certo che si senta esclusa. 
Quando avevo riconosciuto Lincoln, per un istante avevo sperato nella salvezza, non perché pensavo che potesse salvarmi da 6 uomini che mi tenevano in ostaggio, ma solo perché sapevo che lui non mi avrebbe lasciata al mio destino. Lui mi avrebbe aiutata. Poi però T-Bag si era piegato sulle ginocchia puntando un grosso coltello contro la mia gola e il mio cuore aveva mancato un battito per la paura.
  • Ci tieni tanto alla ragazzina? Hai ragione, d'altronde gli hai messo gli occhi addosso prima di noi, hai la precedenza e io lo rispetto… Senti che facciamo, ti propongo uno scambio. Che ne dici se io ti lascio giocare con questa sgualdrinella e tu mi lasci divertire un po’ con la guardia?
Al lato opposto, l’uomo accanto a Lincoln sussultò.
  • Sai che non posso farlo.  -  fu la risposta di Burrows.
  • Peccato, volevo proporti uno scambio alla pari. Vorrà dire che me li terrò tutti e due.
Un istante dopo esplose il caos e una violenza inaudita che mi paralizzò.
Lincoln riuscì a liberarsi delle manette prendendo le chiavi alla guardia che riconoscendo il pericolo lo lasciò fare, ma si ritrovò comunque in evidente svantaggio numerico quando T-Bag e altri tre uomini gli si buttarono addosso per atterrarlo, mentre gli altri due energumeni si occupavano del secondino, immobilizzandolo con facilità.
Anche se Lincoln era grande e grosso, era improbabile che riuscisse a sbaragliare 4 avversari. Si batté fino allo stremo delle forze e riuscì persino a mettere ko due uomini prima di finire al tappeto, ma non poté più nulla quando altri due lo bloccarono riuscendo a buttarlo a terra e T-Bag iniziò a colpirlo con ferocia a pedate e manganellate.
Erano tutti così impegnati a tenere a bada Lincoln che nessuno si era più curato della mia presenza. Non avrei avuto un’altra occasione per darmela a gambe e mettermi in salvo. Ma come potevo abbandonare Lincoln al suo destino? Se non lo avessimo incrociato per caso, chissà che cosa ne sarebbe stato di me. Mi dispiaceva per lui, gli uomini di T-Bag lo stavano massacrando, ma come avrei potuto aiutarlo? Dopo aver finito con Burrows, quei criminali si sarebbero sicuramente ricordati di me per finire ciò che avevano cominciato. Tutto ciò che mi restava da fare era approfittare dell’opportunità per squagliarmela. Non restava molto tempo.

Nonostante la sua mole, era evidente che Lincoln non sarebbe riuscito a resistere a lungo. Non aveva speranze neanche la nuova guardia, disarmata e catturata ad una velocità record.
Senza ulteriori indugi cominciai a correre nella direzione opposta, sperando e pregando che nessuno si accorgesse della mia fuga. Aprii la prima porta sulla sinistra e mi ci infilai dentro senza la più pallida idea di dove stessi andando. Mi ritrovai di fronte l’ennesimo corridoio, deserto per fortuna, quindi continuai nella fuga. Ormai non ce la facevo più. Arrancavo appoggiandomi ai muri, le gambe si muovevano per un puro riflesso condizionato e dai polmoni sentivo risalire al posto dell’aria, catrame.

Inciampai e caddi due o tre volte prima di raggiungere l’ennesima biforcazione e fui costretta a fermarmi quando, a pochi metri da me, oltre la successiva porta blindata, udii degli schiamazzi. Avevo paura non solo che potesse trattarsi di T-Bag e del suo gruppo in possesso delle chiavi, ma soprattutto che accecata e stanca com’ero, avessi percorso una strada parallela al Braccio A e fossi tornata al punto di partenza.
Prosciugata di ogni energia, mi lasciai cadere a terra sul pavimento fresco quando sentii le voci allontanarsi.
Sarei dovuta tornare indietro, trovare un’altra via d’uscita, un nascondiglio, invece chiusi gli occhi e rimasi lì, immobile, provando a liberare i polmoni e a calmare i tremori che di colpo si erano impossessati di me, dopo aver esaurito ogni residuo di adrenalina.
Solo allora i miei pensieri andarono a Lincoln Burrows. Chissà perché aveva deciso di esporsi per aiutarmi. Era un uomo senza speranze, senza nessuna via di scampo. Tra 18 giorni esatti Lincoln sarebbe stato legato ad una sedia elettrica e 5.000 volt avrebbero attraversato il suo corpo, stroncandone la vita definitivamente. Al suo posto chi altri si sarebbe fatto pestare a sangue per salvare una ragazzina sconosciuta? Non riuscivo a capire. Se quell’uomo così freddo e spietato com’era stato descritto dalla cronaca aveva avuto il coraggio di sparare un colpo in testa ad un perfetto sconosciuto, perché darsi tanta pena per una ragazza conosciuta in carcere?
Quei pensieri continuarono a turbinarmi in testa, finché non percepii due mani scuotermi perché mi riprendessi, e una voce lieve e piuttosto preoccupata proferire parole che non riuscii a capire. Impiegai più di un minuto per concentrarmi nel socchiudere le palpebre e mettere a fuoco il viso dello sconosciuto che mi si era avvicinato.
  • Ch… Charles…
  • Ragazza, hai scelto proprio il luogo meno adatto per fare un riposino. 
Westmoreland si dimostrò molto più perspicace e utile del previsto. Capì al volo che restare lì sarebbe stato pericoloso, quindi mi caricò sulle spalle e mi portò via. In quel momento non mi importò dove stessimo andando, se il vecchio volesse aiutarmi o fare il furbo e approfittare della situazione. Un secondo dopo persi del tutto conoscenza. 
  • Ragazzina… ehi ragazzina, mi senti?  -  domandò una voce roca e metallica nel momento stesso in cui mi parve di riaffiorare da un sonno agitato e terribilmente scomodo.  -  Mi senti? Riesci a parlare?  -  Riuscivo a sentire, ma più che altro non mi andava di rispondere.  -  Ehi ragazzina…
Molto presto mi resi conto che quella voce nervosa e preoccupata al contempo, mi era familiare. Fin troppo. Era la voce di Burrows. Era proprio lui.
  • Ti avevo detto di piantarla di chiamarmi ragazzina.  -  rantolai con una voce spaventosa.
  • Bene, perlomeno riesce a parlare…  -  Il nervosismo aveva ceduto il posto al sollievo.  -  … Si può sapere che diavolo è successo? Da quanto tempo è rimasta priva di conoscenza?
  • Circa mezz’ora. E non lo so cosa le è successo. L’ho trovata a terra, nei pressi delle cucine. Ho visto che stava male e ho pensato di nasconderla qui.  -  rispose qualcuno.
L’altra voce mi sorprese, finché ricordai di aver visto il vecchio Westmoreland prima di perdere i sensi. Immediatamente il contenuto della mia testa sgusciò e rotolò in un impeto di nausea, riportando alla memoria le ultime terribili ore a cui inspiegabilmente ero riuscita a sopravvivere.
Pian piano cominciai a riprendermi. Mi resi conto di essere ancora sdraiata a terra, ma non mi trovavo più nel corridoio deserto dove mi ero accasciata senza più energie in corpo per poter proseguire. Sotto di me le mattonelle non erano più lisce e fresche, ma ruvide. Quando spalancai gli occhi provando a mettermi seduta, il viso irrequieto e corrucciato di Lincoln si materializzò a poca distanza dal mio. Era inginocchiato accanto a me e quando si accorse che cercavo di tirarmi su, mi sollevò senza sforzo, finché mi ritrovai bloccata tra un letto a castello, Lincoln e un lavandino. Charles Westmoreland, in piedi accanto al letto, ci fissava immobile.
  • Che ci faccio qui?  -  gracchiai.
  • Charles ti ha trovata a terra e ti ha nascosta nella sua cella… Come ti senti?  -  mi chiese Lincoln, il volto palesemente più tranquillo.
  • Meglio grazie, e tu? 
Non avevo dimenticato cosa aveva fatto per me. A guardarlo sembrava conciato piuttosto male. Il suo viso era gonfio, ferito e insanguinato. Come le braccia e le mani. La maglietta bianca sul davanti era quasi completamente ricoperta di sangue. 
  • Sono stato meglio.
  • Come mi hai trovata?  -  chiesi ancora.
  • Stavo cercando Michael, quando ho incontrato il vecchio che mi ha portato qui. Ti dispiace se ti lascio con lui? Sono molto preoccupato per mio fratello, non riesco a trovarlo e…
  • Certo che no, vai.
Adesso che mi ci faceva pensare, da quando era iniziata la rivolta non avevo più visto né Michael, né Sucre. Cominciavo ad essere preoccupata anch’io.
Restai seduta e nascosta al mio posto, mentre Lincoln si alzava in piedi e lasciava la cella di Westmoreland per andare a cercare suo fratello. Fuori sembrava si fosse appena scatenato il pandemonio. Il Braccio A, inizialmente svuotatosi della maggior parte dei detenuti, era nuovamente tornato ad affollarsi come un enorme campo di battaglia. Udivo le urla, il vociare sempre più intenso dei detenuti, e dal mio nascondiglio vedevo uomini scappare, altri ammassarsi gli uni sugli altri. Non avevo mai assistito a nulla del genere. 
  • Cosa sta succedendo?  -  domandai a Charles, appena sedutosi sulla branda.
  • L’esercito è già schierato per mettere fine alla rivolta.  -  rispose  -  Tutto l’edificio è stato isolato. Ormai manca poco.
  • L’esercito?
  • Già. La situazione è degenerata quando una delle guardie è stata presa in ostaggio. Ragazza, devi tornare al più presto nella tua cella. Quando i soldati faranno irruzione, questo edificio si trasformerà in una giungla e tutti quelli che si troveranno fuori dalle loro celle ci rientreranno a forza. 
Aiutandomi con le sbarre del letto riuscii a rimettermi in piedi per avvicinarmi all’uscita, ma restai agghiacciata nel guardare fuori. Con tutta la buona volontà, se fossi uscita in quel momento sarei stata trascinata via in mezzo a quel fiume di gente e portata nella direzione opposta. D’altro canto Charles aveva ragione, ormai l’esercito era schierato oltre le porte che delimitavano il Braccio A. Se avessi aspettato ancora mi sarei ritrovata tra l’incudine e il martello.

Non finii neanche di pensarlo nella mia testa che le porte esterne si aprirono, e uomini armati fino ai denti irruppero nel blocco per sedare la rivolta. Avevo pensato che la situazione non potesse peggiorare in nessun modo quando avevo visto esplodere l’apice dei disordini, ma a quel punto fui costretta a ricredermi. I detenuti vennero costretti a rientrare nelle loro celle con la forza, alcuni furono tramortiti, colpiti ripetutamente e gettati nei rispettivi alloggi come fossero stati pupazzi. Un gruppo ristretto cercò inutilmente di ribellarsi. Su questi ultimi piovvero raffiche di manganellate così forti che alcuni rimasero addirittura a terra, immobili.

Quando la folla cominciò a sparpagliarsi, decisi che era arrivato il momento di andare. Ringraziai Charles per il suo aiuto e lasciai la sua cella, assicurandomi che la strada fosse libera e che potessi sgusciare con facilità tra soldati e galeotti per tornare alla 93, ma accadde l’imprevedibile proprio in quel momento. Nella confusione generale, un uomo precipitò dal piano superiore, schiantandosi a pochi metri da me.
Restai attonita e sbigottita quando mi resi conto che era morto. Quasi senza rendermene conto, la mia prima reazione fu di sollevare lo sguardo verso il piano rialzato e un moto di rabbia e di paura si scatenò nel mio petto quando i miei occhi incontrarono quelli di T-Bag. Non c’era alcun dubbio che fosse stato proprio lui ad assassinare quell’uomo a sangue freddo, per giunta non un detenuto qualsiasi, ma una guardia.

T-Bag aveva ucciso una guardia. Perché lo aveva fatto? Che razza di mostro era quello?

Quando tornai al cadavere dilaniato e insanguinato del povero secondino mi resi conto in fretta di conoscerlo. Il suo viso era ricoperto di sangue, probabilmente doveva essere stato pestato per bene prima di venir buttato giù, eppure mi bastò un’occhiata più attenta per ricordare di aver già incontrato quell’uomo quello stesso giorno. Era la guardia che avevo visto in compagnia di Lincoln prima che quest’ultimo mi salvasse da T-Bag. Era il secondino che era stato subito catturato, mentre io me la davo a gambe. Improvvisamente sentii qualcosa muoversi nello stomaco e risalire verso la gola quando intuii che al posto di quell’uomo avrei potuto esserci io.
  • Gwyneth, che fai ancora lì? Corri nella tua cella!  -  mi ordinò Charles vedendomi paralizzata a pochi passi dalla sua cella.
Prima di trovare il coraggio di abbandonare il cadavere al suo destino, sollevai occhi carichi di odio e di disprezzo verso l’assassino colpevole di un simile abominio. L’uomo ricambiò il mio sguardo con sardonico trionfo, prima di appoggiare l’indice tra bocca e naso per intimarmi di tenere la bocca chiusa. Il suo era stato un avvertimento esplicito: se avessi parlato, il prossimo cadavere a Fox River sarebbe stato quello mio.

Prima di quel giorno non mi era mai capitato di immaginare l’inferno, ma dopo ciò che avevo visto, ero certa che a Fox River esistesse qualcosa di molto molto simile. Lì dentro mostri della peggior specie venivano ancora chiamati esseri umani, lì dentro uomini innocenti morivano senza sapere neanche il perché.
   
 
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