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Autore: Flowerina    06/07/2016    0 recensioni
Chandra è una ragazza apparentemente normale, ma la sua vita sta per cambiare radicalmente. Le sue oscure origini si riveleranno più complesse di quanto crede. Riuscirà ad accettare le nuove scoperte?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Talia Grace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 1:
La ragazza col tatuaggio sul collo
Chandra si svegliò di soprassalto quella mattina e, per poco, non cadde giù dal letto. Guardò la sveglia: erano le 7:45 e alle 8 in punto doveva essere a scuola. Come al solito, era in tremendo ritardo! Afferrò al volo i vestiti e li indossò in fretta; poi, si precipitò lungo le scale, baciò di sfuggita Tata e uscì di fuori, incurante della donna che protestava perché, come al solito, la ragazza non aveva fatto colazione. Tata era l’unica persona a cui voleva davvero bene nella sua vita, la sola per cui in tutti quegli anni non era fuggita dal St. Mary’s, l’“orfanotrofio barra prigione” dove aveva vissuto sin dalla nascita. Non sapeva nulla della sua vera famiglia, ma ormai considerava Tata come una madre, che l’aveva accolta quando era stata abbandonata sui gradini dell’orfanotrofio e l’aveva accudita e allevata con tanto affetto. Tata non era il vero nome della donna, ma, a quanto le era stato raccontato, proprio quella era stata la prima parola pronunciata da Chandra quando non aveva ancora un anno, e così lei l’aveva sempre chiamata da allora. Il rapporto che avevano instaurato era speciale e, anche se Tata non voleva ammetterlo, sembrava che avesse una particolare predilezione proprio per Chandra, nonostante la non esigua presenza di ragazzi nell’orfanotrofio della periferia del Queens.
Chandra aveva compiuto sedici anni il giorno precedente e, come ad ogni compleanno che ricordasse, non aveva ricevuto auguri se non da Tata e dalla sua migliore amica Vivian, compagna e unico barlume di luce in un ambiente buio e squallido quasi quanto quello dell’orfanotrofio: la scuola del St. Mary’s, la più prestigiosa del quartiere che ammetteva, oltre agli orfani, anche i figli delle famiglie più facoltose, i quali, data l’elevata retta pagata dai genitori, erano distinti dai ragazzi più poveri e ottenevano, naturalmente, anche i risultati migliori. Le classi del St. Mary’s erano formate sia dagli orfani che dai figli di famiglie ragguardevoli (anche perché questi ultimi erano in enorme inferiorità numerica), ma sin dalla disposizione dei banchi era più che chiara l’organizzazione gerarchica: i migliori (cioè, i più ricchi) davanti, gli altri nei banchi dietro, dove perlopiù trascorrevano le ore nella totale invisibilità, cosa che andava bene tanto a loro quanto ai professori. Chandra, però, non aveva mai accettato questa situazione, in quanto sin da piccola aveva sviluppato una particolare predilezione per la lettura: divorava libri su libri, tanto che aveva già terminato tutti quelli presenti nella piccola biblioteca dell’orfanotrofio ed era passata, poi, a quella un po’ più grande del quartiere, dove trascorreva ore e ore della sue giornate. Amava imparare cose nuove e, ogni volta che le capitava sotto mano qualcosa che non conosceva, si rinchiudeva in biblioteca per scoprire tutto ciò che c’era da sapere. Questa sua indole mal si conciliava, dunque, con l’organizzazione gerarchica della sua scuola e aveva trascorso tutto il primo anno di superiori piangendo e lamentandosi di questo con Tata, finché un bel giorno non era entrata nella sua classe Vivian. La ragazza proveniva da una famiglia facoltosa, in quanto figlia di un noto medico del quartiere e di un’avvocatessa che non aveva mai perso una causa. I genitori l’avevano spedita in quella scuola nella speranza che seguisse la strada di uno di loro due, ma sembrava che a Vivian non importasse nulla né della medicina né del diritto; l’unica cosa che attirava la sua attenzione era lo shopping sfrenato e, per quanto lei stessa andava dicendo in giro, la sua più grande aspirazione era quella di sposare un uomo ricco e farsi mantenere da lui. Apparentemente, le due ragazze non avevano nulla da condividere; ma Chandra voleva imparare e non poteva, mentre Vivian doveva imparare e non voleva. Essendosi casualmente trovate sole in classe in un piovoso giorno di Novembre e avendo compreso questa importante verità, le due non avevano potuto far altro che diventare migliori amiche, cosicché Chandra potesse imparare facendo i compiti di Vivian e Vivian prendesse ottimi voti senza aprire libri o, nel peggiore dei casi, ascoltando una sintesi molto semplificata fatta da Chandra. Da quell’epico incontro di due anni prima, le due avevano preso l’abitudine di incontrarsi ogni pomeriggio e, quando i compiti erano pochi o l’umore di Vivian era peggiore, erano solite andare in città accompagnate dalla madre avvocato della ragazza (che era all’oscuro della reale identità di Chandra e pensava fosse figlia di un ricco giudice del quartiere), trascorrendo l’intero pomeriggio a fare acquisti nei negozi più esclusivi con la carta di credito del paparino. Unite da questi e altri segreti, le due si erano unite in un’amicizia piuttosto salda e, grazie al sostegno reciproco, erano riuscite a sopravvivere all’interno della scuola ed erano arrivate a concludere, ormai, anche il terzo anno, dal momento che quello era l’ultimo giorno dell’anno scolastico.
Immersa in questi pensieri, Chandra arrivò a scuola giusto in tempo per sentire il suono della campanella. Si avviò automaticamente verso il suo armadietto, per prendere i libri che vi aveva lasciato, anche se sapeva che le sarebbero serviti ben poco visto che, ormai, tutti i voti erano stati, come al solito, decisi: gli optimates (termine latino che indica i “migliori” e che lei usava per riferirsi ai figli dei ricchi) sarebbero usciti con i voti più belli e gli orfani, lei compresa, avrebbero ottenuto, al massimo, un sei, se non avevano procurato guai nel corso dell’anno. Mise i libri nella cartella e rivolse uno sguardo rassegnato al suo riflesso nello specchio dell’armadietto: i lunghi capelli castani e lisci come spaghetti le ricadevano sulle spalle, raccolti di lato alle orecchie da due graziosi fermagli sormontati da piume azzurre che Vivian le aveva regalato per i suoi sedici anni. Quel giorno, aveva deciso di indossare un abito rosa pallido, lungo fino alle ginocchia (così prescriveva la politica del St. Mary’s, almeno per gli orfani) e cinto in vita da un nastro dello stesso colore dei fermagli; era il suo vestito preferito, anch’esso regalatole da Vivian e acquistato in una delle loro giornate di shopping. Sorrise e i suoi occhi si illuminarono, passando dal castano al verde come facevano sempre quando cambiava il suo umore; si chiedeva spesso se quella fosse una caratteristica della madre o del padre, ma sapeva che non lo avrebbe mai potuto scoprire.
«In ritardo, come al solito, eh?».
Vivian le chiuse lo sportello dell’armadietto e la esaminò dalla testa ai piedi; poi, sorrise ad indicare che apprezzava il look dell’amica. Del resto, era stata proprio lei ad insegnarle tutti i possibili trucchi nell’abbinare accessori e vestiario!
«Hai deciso di farti attendere anche l’ultimo giorno, a quanto pare» le disse, stuzzicandola. «Brava la mia ragazza!»
«Il mio solito problema con gli orari» ribatté Chandra. «Odio alzarmi presto.»
Le due fecero per avviarsi verso l’aula, ma le raggiunsero due degli optimates del quinto anno e le bloccarono. Chandra li conosceva molto bene, perché tutte le ragazze non facevano che parlare di loro. Uno dei due era alto, biondo, con occhi azzurri e un fisico da paura: il suo nome era David Ware; l’altro era simile all’amico per la statura e la forma fisica, ma era moro con gli occhi verdi: si chiamava Brandon Clade. Erano i ragazzi più belli e popolari della scuola.
«Vivian bella, perché ti rovini così?» disse David alla ragazza. «Sempre a frequentare la solita feccia» aggiunse, gettando un’occhiata sprezzante verso Chandra.
«Perché non andate a disturbare qualcun altro, idioti?» disse Vivian, attorcigliandosi con eleganza i lunghi capelli biondi e ricci, certamente felice per le attenzioni che riceveva dai due ragazzi più attraenti della scuola.
Quella mattina, se possibile, era più bella del solito, con un top turchese, una giacchetta azzurra e un paio di pantaloncini che, come sempre, non raggiungevano la lunghezza prescritta dalle regole del St. Mary’s, e nessun ragazzo avrebbe potuto ignorarla. Chandra, del resto, era abituata a vederla ricevere tutte quelle attenzioni e, ormai, non ci faceva più caso.
«Frena, amico» si intromise Brandon. «Feccia o non feccia, io a questa una passata la darei» aggiunse, avvicinandosi a Chandra.
«Ehi bello, lascia stare la mia amica» cercò di fermarlo Vivian, ma senza successo: il ragazzo si affiancò a Chandra e cominciò a toccarle i capelli, sentendone l’odore.
«È anche profumata, David» disse, raccogliendole i capelli da un lato.
Vivian, che era dietro l’amica, scansò con un gesto il ragazzo e si avvicinò a lei.
«Chandra, quando hai fatto quel magnifico tatuaggio?» sbottò, osservandole la parte posteriore del collo.
«Che stai dicendo?» chiese lei, ancora scossa per il comportamento di Brandon.
«Hai una I maiuscola tatuata alla base della nuca» le spiegò Vivian.
I due ragazzi si avvicinarono per vedere il tatuaggio.
«Quando ti è spuntato?» le chiese David, e Chandra non poté fare a meno di notare il verbo che aveva usato.
«Che io sappia, ora» rispose lei, con sincerità.
David la osservò ancora per un momento, come se si fosse accorto di lei solo in quel momento; poi, lanciò un’occhiata a Brandon, gli fece segno di andare via e, insieme, si dileguarono.
«Perché non mi hai detto che ti saresti tatuata?» le chiese Vivian. «Ti avrei accompagnata da un mio amico. Da chi sei andata? Non mi piace come l’ha fatto.»
«Non ho fatto nessun tatuaggio» insisté Chandra, tentando di guardare il punto indicato dall’amica senza riuscirci. «Vivian, è uno dei tuoi soliti scherzi, per caso?»
«Ma quale scherzo?» sbottò la ragazza. Prese il cellulare e le scattò una foto. «Guarda!»
Chandra non poteva credere ai propri occhi. Cercò data e ora della foto e constatò che l’amica diceva la verità; aveva questa immagine tatuata sotto la nuca:
 
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