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Autore: Flowerina    16/07/2016    1 recensioni
Chandra è una ragazza apparentemente normale, ma la sua vita sta per cambiare radicalmente. Le sue oscure origini si riveleranno più complesse di quanto crede. Riuscirà ad accettare le nuove scoperte?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Talia Grace
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Chandra era sconvolta: non  riusciva proprio a spiegarsi come le fosse stato fatto un tatuaggio sul collo senza che se ne accorgesse. Sentì a malapena i rimproveri del prof della prima ora per il loro enorme ritardo e le scuse addotte da Vivian per giustificarle; si mosse verso il banco come se fosse in trance e così rimase per tutta la mattinata, cercando di trovare una spiegazione plausibile per quello strano tatuaggio. I ricordi dei giorni precedenti erano vividi e chiari, ma nessuno di essi comprendeva l’essersi recata da un tatuatore, né tantomeno la ragazza ricordava di aver provato dolore nella zona interessata. Come faceva una persona normale a dimenticare un momento specifico e a ricordare chiaramente tutto il resto? Di solito, per dimenticare qualcosa ci si ubriacava, ma Chandra era talmente astemia da non sopportare neppure l’odore degli alcolici. Poteva essere caduta e aver battuto la testa, ma in quel caso avrebbe dimenticato più cose. Arrivò persino a temere di essere stata drogata in qualche modo da una persona che le aveva fatto il tatuaggio, ma non trovò un valido motivo per cui qualcuno avrebbe potuto metterla fuori gioco solo per imprimerle con l’inchiostro una lettera sulla pelle. Ma allora, cosa era successo? L’aveva fatto di sua spontanea volontà e poi l’aveva dimenticato? E, in tal caso, come faceva ad essere sicura di non aver rimosso anche altri ricordi?
«Ehi Chandra, sei ancora tra noi?» esordì Vivian, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. «La scuola è finita: possiamo andare.»
Chandra scosse la testa, come per uscire da una trance, e si rese conto che in classe erano rimaste solo lei e l’amica. Di fuori, le urla di gioia degli studenti riempivano l’aria e si udiva chiaramente il rumore di secchiate d’acqua e gavettoni, unito alle risate di migliaia di ragazzi festanti. Era finita... la scuola era finita! Improvvisamente, il tatuaggio sotto la nuca sembrò un ricordo lontano e, poco a poco, come il ronzio di un insetto che fugge via, divenne sempre più impercettibile, fino a svanire del tutto. La gioia prese il posto della preoccupazione, e Chandra si alzò dal banco e corse verso l’esterno con Vivian alle spalle che gridava: «Ehi, non è giusto! Aspettami.»
L’amica la raggiunse e, insieme, si diressero fuori dal St. Mary’s senza una meta precisa. Middle Village, il quartiere dove si ergevano l’orfanotrofio e la scuola, era uno dei tipici luoghi americani, simile a quelli che si vedono nelle fotografie che pubblicizzano il nuovo continente. Le villette a schiera con garage annesso si susseguivano tutte uguali lungo il percorso, mostrando bambini che giocavano a basketball, uomini che lavavano la macchina e, nel periodo natalizio, enormi alberi e luci diffuse in ogni angolo; tutte immagini, queste, che suscitavano un’enorme invidia in Chandra, spingendola a sognare spesso e ad occhi aperti una vita che non aveva mai avuto. In quei momenti, sentiva una forte fitta al cuore ed era assalita da rabbia mista a tristezza, che le offuscavano la vista. Ma in un pomeriggio come quello, con la prospettiva delle lunghe vacanze estive e di un’infinità di momenti da trascorrere passeggiando tra i quartieri e rilassandosi con Vivian, quei sentimenti non avevano alcuna possibilità di vincere contro la felicità che la pervadeva.
«Allora Chandra, mi accompagni a casa o ti fermi qui?» disse Vivian, distogliendola ancora una volta dai suoi pensieri.
«Come? Non stiamo insieme?» le chiese lei.
«Ma che fai? Non mi ascolti?» si meravigliò l’amica. «Te l’ho detto due minuti fa: oggi non posso fermarmi, mia madre vuole passare con me tutto il pomeriggio. Dice che è una sorpresa per festeggiare gli ottimi voti di quest’anno.»
«Quelli che ti ho fatto prendere io, vorrai dire» sbottò Chandra, contrariata.
Vivian si fermò di scatto e le afferrò con forza le mani.
«Promettimi che non lo dirai mai a nessuno, amica mia» le disse, con fare solenne e occhi spalancati.
«Sai che non lo farei mai» la tranquillizzò Chandra. «Solo che non capisco perché non possa venire anche io. In fin dei conti, è merito mio se hai avuto questi voti.»
«Conosci mia madre: adora fare shopping con me» si giustificò Vivian. «Inoltre, come ti ho già detto migliaia di volte, dobbiamo essere prudenti: non possiamo rischiare che ti veda qualcuno dei nostri compagni e riveli a mia madre la tua vera identità.»
«Sì, giusto» disse Chandra, senza convinzione.
«Bene!» esclamò Vivian, con l’aria di chi abbia risolto un gran problema. «Ora decidi: vieni con me o torni in orfanotrofio?»
«Ti accompagno» decise Chandra. «Ho detto a Tata che sarei stata con te tutto il pomeriggio. Non ho voglia di rinchiudermi di nuovo tra quelle quattro mura.»
«Perfetto!» disse Vivian, scuotendosi i lunghi capelli. «Prendiamo la metro.»
Le due si diressero verso la stazione della metropolitana, Vivian a passo svelto e deciso, Chandra ciondolandosi senza convinzione. L’amica acquistò un biglietto per tutte e due, visto che i suoi fondi erano certamente più sostanziosi di quelli di Chandra, e salirono giusto in tempo sul mezzo che stava partendo. Si sedettero su uno dei sedili liberi e Vivian tirò cuffiette e i-phone fuori dalla sua borsetta.
«Il viaggio è molto lungo» si giustificò, prima di infilarle alle orecchie e chiudere una conversazione mai iniziata. 
Chandra sprofondò nel suo sedile e chiuse gli occhi, tentando di reprimere la rabbia che la invadeva.
“Vivian è una ragazza particolare. Non è cattiva, ti ha comprato molte cose” si disse.
“Per sdebitarsi dei compiti che le hai fatto durante tutto l’anno scolastico” puntualizzò una vocina; ma Chandra spinse via questi pensieri, e decise che Vivian si sarebbe fatta perdonare nel corso di tutta l’estate che avevano davanti. Si rilassò, appoggiò la testa contro il finestrino e, non avendo delle cuffiette né un cellulare moderno che contenesse musica (il suo era un vecchio modello compratole, ancora una volta, da Vivian), ascoltò la voce che annunciava tutte le fermate della metro. L’amica viveva a Forest Hills, un quartiere altolocato del Queens dove risiedevano i più ricchi e famosi, costituito da ville con piscina e metri di giardino che facevano invidia persino alle stars di Hollywood. Chandra odiava andare in quel quartiere e affrontare tutti quei ricconi fingendo di essere una di loro. Tutti erano finti (tanto negli atteggiamenti quanto nel fisico!) e avevano valori completamente opposti a quelli che Tata le aveva inculcato sin da piccolina. Inoltre, molti degli optimates della sua scuola vivevano lì e lei doveva fare i salti mortali per evitare di incrociarli; quando questo succedeva, doveva sopportare i loro commenti maligni, sorridere e tacere per non attirare maggiore attenzione e fare arrivare la voce ai genitori di Vivian. Anche David e Brandon abitavano lì, e Chandra non poté fare a meno di tornare col pensiero a quanto era successo quella mattina; David, vedendo il tatuaggio, aveva chiesto “Quando ti è spuntato”, non “Quando lo hai fatto”, per poi lanciare uno sguardo fugace all’amico e dileguarsi insieme a lui. Il suo atteggiamento era apparso molto sospetto, e Chandra arrivò a sperare di incontrarlo (si odiò per questo pensiero) a Forest Hills, per chiedergli delucidazioni in merito.
Dopo quelle che parvero ore, la voce registrata annunciò che la fermata successiva sarebbe stata Metropolitan Avenue/72 Drive, quella più vicina a Forest Hills, e Chandra scosse Vivian per farle capire che dovevano scendere. L’amica si tolse le cuffie e le ripose nella borsetta, e insieme si diressero verso l’uscita.
«Eccoti i soldi per il biglietto di ritorno, Cha» le disse Vivian, mettendole in mano alcuni spiccioli.
 Chandra avrebbe preferito accompagnarla ancora per un po’, ma capì che non era quello che l’amica voleva e preferì non insistere.
«No, tranquilla Vi. Tata mi ha dato dei soldi per oggi» le disse senza entusiasmo, restituendole gli spiccioli.
«Chandra, non insistere. Mi hai accompagnata e tocca a me pagarti il biglietto!» replicò Vivian, rimettendole i soldi in mano.
La ragazza li accettò per evitare di dilungarsi troppo nel battibecco, ma non poté fare a meno di pensare che i gesti di gentilezza dell’amica si riducevano ad acquisti in denaro, come se i soldi potessero sistemare ogni cosa. Salutò Vivian con freddezza e tornò verso la metro. Poiché la corsa successiva era venti minuti dopo, decise di fermarsi nel bar della stazione per prendere un caffè e una fetta di torta: del resto, aveva tutto il pomeriggio davanti e non era entusiasta all’idea di tornare subito in orfanotrofio. Inoltre, immaginava già i commenti di Tata, da sempre contraria all’amicizia tra lei e Vivian: “Quella ragazza è l’opposto di tutto ciò che ti ho insegnato, piccolina (insisteva a chiamare Chandra così, nonostante lei le avesse fatto più volte capire che, avendo compiuto i sedici anni, non amava tanto quel nomignolo); non mi piace che voi due vi frequentiate tanto”. Chandra detestava quando Tata le diceva queste cose, anche se nel suo cuore sapeva che aveva ragione; non sopportava, però, l’idea che qualcuno prendesse le decisioni per lei, come se fosse incapace di farlo, e tendeva a fare sempre di testa sua, anche se ciò la portava a sbagliare. Sorseggiò il caffè lentamente, gustando l’aroma e la sensazione di libertà che questo le dava; in orfanotrofio non lo facevano bere ai ragazzi e, da quando Vivian glielo aveva fatto provare, per lei era divenuto simbolo di ribellione alle regole, facendola sentire più normale nei momenti in cui poteva prenderlo.
Finì di sorseggiare il caffè, pagò alla cassa e prese la metropolitana per tornare all’orfanotrofio. Scesa dalla metro all’arrivo, decise di prendere la strada più lunga per andare in istituto, in modo da perdere ancora un po’ di tempo dal momento che non erano scoccate nemmeno le sei. Camminò di nuovo tra le villette a schiera, ma questa volta la tristezza prese il sopravvento e si ritrovò ad immaginare ancora di vivere in una di quelle case con i genitori mai conosciuti. Chissà qual era il loro aspetto? Da chi aveva preso Chandra gli occhi che cambiavano colore, i capelli castani e la statura non troppo alta? Chi le aveva trasmesso, invece, il carattere incostante, un po’ remissivo e un po’ ribelle? E i suoi genitori, se erano ancora vivi, dove si trovavano? Tata le aveva raccontato più volte che l’avevano lasciata sui gradini dell’orfanotrofio quindici anni prima; ma, quando la donna aveva aperto la porta al suono del campanello, vi aveva trovato solo un passeggino con lei all’interno e un messaggio tra le sue mani: “Vi preghiamo di aver cura di questa bambina. Il suo nome è Chandra Deer e ha compiuto un anno qualche giorno fa, il 12 giugno. Crescetela come una figlia. Noi la ameremo per sempre”. Tutto qui! Un minuscolo biglietto (che Chandra conservava ancora gelosamente, come un tesoro prezioso) e nessuna spiegazione sul perché l’avessero abbandonata. Perché... perché l’avevano lasciata sui gradini di quella prigione senza chiarire il motivo? Perché era dovuta crescere senza l’affetto di una vera famiglia e tra le vessazioni continue dei suoi compagni di istituto e di scuola? Più ci pensava e più una rabbia profonda minacciava di sopraffarla, rabbia di fronte alla sua come a tante altre ingiustizie nel mondo. E, inevitabilmente, iniziava a stringere i pugni e a digrignare i denti, rivelando l’aspetto che del suo carattere più la spaventava, quello impetuoso e incontrollabile.
Mentre rifletteva su questi pensieri, vide lontano la porta dell’orfanotrofio; si fermò, inspirò profondamente ed espirò per tentare di calmarsi, poi riprese a camminare per rientrare in istituto. Ma, prima di poter arrivare a destinazione, fu afferrata con violenza e trascinata in un vicolo adiacente e isolato.
«Discendente di Ifigenia, la tua fine è vicina» disse una voce conosciuta, ridacchiando malignamente. Era David e le teneva con forza le braccia.
Chandra tentò di liberarsi dalla sua stretta, ma si bloccò quando davanti le comparve Brandon.
«È inutile che tenti di liberarti, non hai la forza per fronteggiarci» le disse, con un ghigno stampato in volto. «La tua morte ci darà il potere per eliminare quei fastidiosi semidei.»
Okay, Chandra doveva aver sbattuto la testa: oltre al riferimento buttato lì al mito di Ifigenia, le sembrava di aver sentito chiaramente la parola “semidei”; o era uscita fuori di testa, o quei due non avevano tutte le rotelle al loro posto! Tentò di liberarsi nuovamente, ma Brandon le mollò uno schiaffo scaraventandola a terra. Il brusco impatto col terreno non passò inavvertito: Chandra tentò di attutire la caduta con le mani, ma il braccio destro non ne fu contento e protestò trasmettendole un immenso dolore. Chandra se lo strinse forte con l’altra mano e respirò profondamente per alleviare il supplizio, ma David la rialzò violentemente tirandola proprio dal braccio destro e la ragazza non poté soffocare un grido immenso, represso immediatamente da Brandon che le tappò la bocca con la mano.
«Sta’ zitta!» le disse, strattonandola con violenza. «Andiamo via, David, prima che qualcuno ci senta» aggiunse, rivolgendosi all’amico.
«Voi due non andrete da nessuna parte» li fermò una voce femminile.
D’improvviso, nel vicolo comparvero una decina di ragazze di età differente, dai dieci ai quattordici anni, più o meno. Tutte erano armate di arco e sembravano guerriere esperte, tanto che a Chandra fecero venire in mente le amazzoni della mitologia greca (Perfetto, era impazzita!).
«Lasciatela andare immediatamente» continuò la ragazza di prima, facendosi avanti tanto da permettere a Chandra di vederla distintamente. Dimostrava all’incirca quindici anni e, a guardarla bene, ricordava una delle adolescenti che vivevano per strada nel quartiere e si mantenevano con dei piccoli furti, quelle che Tata le aveva più volte consigliato di evitare; aveva una giacca militare, pantaloni neri in pelle e catene lungo i passanti, capelli neri come la pece e occhi di un blu intenso cerchiati da un forte eyeliner anch’esso nero. Faceva paura solo a guardarla e Chandra si chiese come David e Brandon non avessero indietreggiato vedendola comparire.
«E tu chi saresti?» la schernì quest’ultimo, togliendo la mano dalla bocca di Chandra che si sforzò di non urlare per il forte dolore che aveva al braccio.
«Io sono figlia di Giove e seguace di colei che mi ha mandato a fermarvi» si presentò la ragazza punk. «Io sono Talia Grace, loro sono le Cacciatrici di Artemide e voi siete nei guai!»
 
      
ANGOLO AUTRICE
 
Eccomi al secondo capitolo di questa ff ispirata alla saga di Percy Jackson. Ho aspettato ad aggiornare perché, pur avendo in mente la trama, sto scrivendo di volta in volta aggiungendovi particolari. Spero che la storia vi piaccia e, se avete dei suggerimenti, non esitate a farvi avanti! Vorrei ringraziare, intanto, tutti coloro che l’hanno letta e visualizzata e, in particolare, Anna in Black che l’ha messa tra le seguite.
Al prossimo capitolo
Flowerina
   
 
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