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Autore: cin75    07/07/2016    6 recensioni
Dalla storia: “..E so che mi vergognerò a vita anche di questo, ma…” e fece un respiro profondo. “…non era così che mi ero immaginato la prima volta nel tuo letto.” e Jared potè comunque notare un lieve rossore......
“Credimi, anche io mi ero fatto una o due idee su come sarebbe dovuta essere la tua prima volta nel mio letto. E non era certo così!” gli sussurrò amabilmente, mentre gli posava un bacio leggero , appena accennato, sulla bocca...."
Genere: Angst, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Jared Padalecki, Jensen Ackles, Misha Collins
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Passarono altri giorni dall’aggressione di Jensen, circa dieci giorni. Jared aveva chiesto un periodo di permesso per “gravi motivi familiari”, anche se ufficiosamente si era confidato con il suo capitano e aveva ricevuto pieno appoggio. E tenendo all’oscuro Jensen, aveva detto a Jim e Felicia di non dire niente al locale di quello che era successo al ragazzo.
Il poliziotto voleva ancore provare a fargli sputare il rospo, ma se i due dipendenti avessero fatto troppa pubblicità, magari, chiunque poteva sapere qualcosa c’avrebbe pensato due volte a dirlo.
“Jensen è fuori per degli impegni di famiglia!”, doveva essere la risposta a chi avesse chiesto di lui.

I lividi sul volto e quello sul fianco, erano ormai delle , anche se brutte, macchie nerastre. I tagli al labbro e al sopracciglio , fortunatamente, si stavano rimarginando bene e avrebbero lasciato dietro di loro, solo un piccolo ricordo.
L’occhio , quello più malconcio, che all’inizio della storia, Jensen, riusciva appena a tenere aperto, non sembrava aver avuto danni e il verde che lo colorava  e che aveva affascinato Jared, non appena lo aveva conosciuto, era ritornato a brillare.

Una sera erano seduti sul divano. I play-off alla tv. Jared sorseggiava distrattamente una birra, Jensen una semplice soda.
“Quando me ne darai una ?!” fece il biondo, alludendo alla bottiglia di Jared.
Il poliziotto , senza spostare lo sguardo dalla partita alla tele, sorrise appena.
“Quando non dovrai più prendere antibiotici e antidolorifici!” rispose, poi, seriamente.
Jensen sbruffò sonoramente e quando il telecronista annunciò lo stacco pubblicitario, ritornò alla carica.
“E quando la smetterai di imbottirmi di antidolorifici e antibiotici?!”

Jared stette al gioco e cercò di non dargli troppo peso.
Dio!! ma cos’era un uomo o un bambino capriccioso??!

“Quando girerai per casa per più di una volta senza gemere di dolore e quando le tue ferite saranno apposto del tutto.” spiegò, sporgendosi appena sul tavolino di fronte al divano per controllare che non ci fossero messaggi al suo cellulare.
“Sei dispotico!” sbottò imbronciato. “Dispotico e troppo… alto!” asserì schiacciandosi con la schiena ai cuscini del divano e incrociando le braccia al petto.
“Sul serio?” esclamò Jared a quella specie di accusa o offesa.
“Sul serio!” rinsaldò Jensen, con ancora più convinzione.
“Non mi sembrava che ti dispiacessero questi miei difetti quando ti ho baciato!” lo spiazzò, alzandosi per rispondere al suo cellulare che aveva appena squillato.
Punto sul vivo, Jensen si agitò sul suo posto. “Tu…tu….io ero sdraiato e tu….non sembravi….e poi….” ma Jared si era già allontanato per rispondere in pace , lontano dai suoni della tv e dalle repliche di Jensen. “Odio quando vanno via mentre parlo!!” sbuffò il biondo.

Quando Jared tornò a sedersi accanto a lui, Jensen aveva ancora le braccia incrociate al petto. Jared strinse le labbra per non ridere, anche se, se la situazione fosse stata ben diversa e Jensen non fosse stato in quelle condizioni, la sua reazione a quell’imbronciatura così sexy sarebbe stata decisamente diversa e gliel’avrebbe mostrata in camera da letto.
Se lo sarebbe strinto al corpo, lo avrebbe abbracciato e accarezzato e baciato e abbracciato ancora. Avrebbe cercato di lenire il suo dolore. Gli avrebbe sussurrato che nessuno al mondo lo avrebbe mai più fatto soffrire.
Lo avrebbe fatto suo. Lui, sarebbe stato suo.   

Ma Jensen non stava ancora del tutto bene e quindi Jared si limitò ad ammirarlo e …desiderarlo segretamente.
E mentre nella sua mente si rincorrevano quei pensieri e le immagini di quei pensieri, l’imprevisto calore al basso ventre  lo destò e lo riportò alla realtà.
 “Sei ancora arrabbiato con me, Jensen?!” chiese guardandolo, accavallando con diplomazia le lunghe gambe.
Jensen, ignaro dei pensieri di Jared, restò sulle sue. Si limitò a fissarlo distrattamente, amando, comunque e immensamente, il modo in cui Jared lo stava guardando e l’espressione del suo viso, e i suoi occhi così dolci. Tutto…tutto gli piaceva di quel ragazzo e se non fosse stato in quelle condizioni, glielo avrebbe fatto capire in camera da letto.  
Si sarebbe lasciato baciare come nessuno lo aveva mai fatto. Si sarebbe abbandonato alle carezze delle mani di Jared, che in quei giorni lo avevano toccato solo per cambiargli la benda al torace o per disinfettargli le ferite ancora evidenti. Avrebbe concesso a Jared di prendersi ogni cosa di lui. Di toccarlo e possederlo completamente. Avrebbe goduto dei suoi sospiri e dei suoi gemiti di piacere. Lo avrebbe fatto godere con altrettanti fremiti di passione.
Lui, sarebbe stato suo. E lo avrebbe fatto, suo.

“Quando mi…” riprese con la lista delle sue richieste , schiarendosi la voce, arrochita da quei pensieri.
“Sul serio…Jensen??!” si lamentò divertito Jared.
Jensen lo fulminò con lo sguardo e seccato per quel velato rimprovero, decise di cambiare la sua richiesta.“Quando mi lascerai andare o meglio…tornare….a casa mia?!”
Ma anche Jared voleva qualcosa. Ed era qualcosa di veramente importante. Questa volta decise che non avrebbe accettato un “no comment” come risposta alla risposta di quella domanda.
“Quando mi dirai che cosa è successo in quel vicolo e chi è stato a farti una cosa del genere!” fece improvvisante serio. Anche se un secondo dopo si sentì terribilmente in colpa.
“Potrei comunque andarmene e tu non potresti obbligarmi a restare!” sembrò volerlo minacciare con poca convinzione.
“Certo. Ma io, stanne sicuro, non rinuncerei a scoprire chi è stato, e tu perderesti solo un occasione per confidarti!” lo spiazzò Jared.

Il volto di Jensen mutò radicalmente. La sua espressione divenne triste. I suoi occhi lo divennero. Il sorriso sparì definitivamente dalle sue labbra e un leggero spasmo fece contrarre i muscoli delle braccia conserte.
“Jensen..” lo richiamò Jared, amareggiato da ciò che vedeva. Abbassò il volume della televisione e gli si fece più vicino. Voleva , almeno con quei semplici gesti, dargli conforto.
Jensen guardò di soppiatto i movimenti del poliziotto e sapeva che Jared aveva diritto di sapere, ma metterlo al corrente , significava farlo entrare in quel suo pezzo  di vita che , davvero,  voleva dimenticare.  Quel mondo di cui non voleva che Jared ne facesse parte.
“Per favore, Jensen. Dimmi chi ti ha fatto del male?!” chiese con un tono talmente dolce, che non sembrò nemmeno una richiesta. “Che è successo l’altra sera?!”
Jensen sospirò pesantemente. Non voleva parlarne, ma il modo in cui Jared glielo chiese non gli lasciava scampo.
“Avevo appuntamento con il responsabile dello spaccio alle cinque e mezza, ma lui mi ha chiamato per dirmi che avrebbe tardato di una mezzora. Mi chiese di aspettarlo e allora andai a parcheggiare al lato opposto della strada dato che davanti all’ingresso principale, cominciavano ad arrivare i furgoni delle merci che avevano bisogno di spazio manovra.” iniziò così il suo racconto.
“Che è successo poi?!”
“Non l’ho mai incontrato. Verso le sei , credo che almeno fossero le sei, è iniziato tutto!” e deglutì al ricordo. E per la prima volta Jared vi vide rabbia e risentimento sul volto di Jensen. “Ho sentito una macchina  parcheggiare all’altro lato del vicolo  e pensavo che fosse lui, così mi sono sporto nella mia macchina per prendere la cartellina degli ordini che avevo lasciato sul sedile. Ho raggiunto il vicolo e un foglio mi è scivolato dalle mani. Mi sono abbassato per raccoglierlo e quando mi sono raddrizzato, il primo pugno mi ha mandato a terra. Subito dopo ne sono arrivati altri, e poi calci e poi ancora….”
“Ok!Ok!...basta. Dimmi se li hai visti.” Domandò già con un tono più determinato, Jared.
“Sentivo il dolore, sentivo i muscoli che si contraevano ad ogni colpo, sentivo le loro risate mentre mi colpivano!”,  si ritrovò a ricordare con rabbia Jensen, ma evitando ancora di confessare chi erano i colpevoli. “Io…”
Jared ignorò la rabbia che sentiva montargli dentro nel sentire Jensen confessargli quello che era accaduto e fece ricorso con tutte le sue forze solo al poliziotto che era in lui. “Ascoltami, so che non è stata una rapina. Quando ti ho portato qui, avevi ancora il tuo portafogli e il cellulare, anche se rotto, e avevi al polso il tuo orologio. Quindi non….”

“No. Non è stata una rapina!” gli confermò Jensen sorridendogli amaramente. “Non è mai una rapina!” e a quella frase detta con un profondo rammarico e dolore, Jared collegò altre cose che aveva detto Jensen, anche quando c’erano Jim e Felicia.

“Non è la prima volta, vero?”, azzardò e questa volta fu lui a deviare il discorso.  “Quella sfuriata di Jim, l’altro giorno. Il fatto di cambiare di nuovo aria, di fingerti addirittura…”
“Sono finito in ospedale già tre volte , Jared!” lo sconvolse Jensen. “La terza…” fece alzandosi appena la maglietta sul fianco e mostrando la cicatrice di un piccolo taglio al fianco. “…quello che mi ha lasciato questo ricordino, ha voluto che le cose fossero ben chiare.”
Jared lo fissò stupito. “L’avevo vista quando ti ho tolto i vestiti per curarti, ma credevo fosse la cicatrice di una qualche operazione!” sembrò voler giustificare quella sua sfuggita.
“Sì , dell’operazione che fecero i medici quando mi tolsero una lama di 10 centimetri dalla milza!” cercò perfino di ironizzare l’altro. “Me l’hanno asportata perché era ben oltre il salvabile!!”
“Oddio, Jensen.” mormorò, incredulo, il poliziotto.
“Bei ricordi!” affermò sarcastico il ragazzo che si rimetteva a posto la maglietta.
Jared lo fissò, ma non lo fece con compassione perchè Jensen non meritava di essere compianto, ma di essere appoggiato e sostenuto.
“Raccontami di te, Jensen!” fece senza severità nella voce. “Raccontami la tua storia. La dirai a me e non la poliziotto!”
Jensen fu profondamente colpito dalle parole di Jared.

Erano sincere. Jared lo era. Il modo in cui  lo stava guardando lo era. E anche il modo in cui i suoi occhi brillavano guardandolo e il tono della sua voce scevra di pietà, ma colma di comprensione.
Inspirò e decise di raccontarsi.

“Sono nato in una piccola città di provincia. Di idee troppo ristrette per comprendere persone come me. Di un moralismo troppo grande per capire che persone come me non sono una minaccia per …l’emancipazione civile.”, ironizzò per spiegare l’ambiente in cui era cresciuto. “Quando cominciarono ad avere dei sospetti su ciò che io ero, decisi di farmi scivolare addosso i loro sguardi perplessi. Andai avanti con la mia vita. Dopo il diploma, la mattina lavoravo in un autofficina e il pomeriggio seguivo un corso di marketing , la notte studiavo e wow!!... Vita normale.” ironizzò entusiasta.
“Fin quando?!”
“Fin quando a quel corso serale non conobbi Misha.” confessò, non potendo evitare di dare al suo tono di voce , un tono triste e malinconico.
“Misha?!”
Jensen sorrise al modo perplesso con cui Jared ripetè quel nome. Infondo anche lui, all’epoca lo trovava assurdo.
“I suoi avevano origini russe. In realtà il suo nome era Misha Dmitri Tippens Krushinc.  Cambiato poi, per semplice integrazione , in Misha Collins. I primi giorni nemmeno io riuscivo a pronunciarlo  e lui ci rideva come un pazzo. Capimmo di essere uguali…in quel senso, e iniziammo a frequentarci. Ma stavamo ben attenti a mostrarci in pubblico con certe…. manifestazioni.”
“Vi siete innamorati?!” e questa domanda scivolò fuori dalla bocca di Jared senza che il giovane se ne rendesse conto.
Jensen sorrise al rossore che vide subito dopo sul volto dell’altro. “No.” rispose ed era sincero. “Non credo che fosse amore quello tra noi. Ma eravamo entrambi alle nostre prime esperienze ed entrambi volevamo fare un passo alla volta. Ma ci volevamo bene, questo si. Ci volevamo molto bene e chissà, se le cose fossero andate in maniera diversa, magari quel volersi bene sarebbe potuto diventare amore”
“E cosa è successo?”
“Eravamo al parco una sera, credevamo di essere soli e sai com’è?, la luna, le stelle, la penombra della sera…insomma, ci baciammo. Ma sorte volle che in quel momento passasse il pregevole gruppo delle signore del club del libro formato dalla moglie del sindaco, del consigliere, la moglie del pastore.” fece usando il tono che si usa per annunciare l’arrivo di un personaggio importante.
“Wow!! Giudice , giuria e boia!” ironizzò Jared.
“Puoi ben dirlo!” convenne amareggiato.
“Che cosa accadde?”

Jensen, in quel momento sorrise a quel ricordo. E per un attimo , solo allora, si rese conto che se invece del silenzio, la città avesse gridato allo scandalo, avrebbe potuto combattere e farsi valere. Invece , nel modo subdolo, in cui tutti agirono, fu costretto solo ad accettare.
“Niente di plateale in effetti. Furono tutti molto discreti. Io fui gentilmente licenziato a causa della cosiddetta crisi. E i genitori di Misha ebbero un fortunato quanto improvviso trasferimento di lavoro appena fuori città, se per otto Stati di distanza lo si voglia chiamare “appena fuori città”!”
“Avete dovuto dirvi addio?” disse dispiaciuto Jared.
“No!”
“Come, perché?!” chiese sorpreso.
“Perché partirono nell’arco di due giorni.” rispose leggermente seccato Jensen. “Non avemmo nemmeno la possibilità di salutarci. Misha sparì letteralmente nel nulla e l’amichevole vicinato dei suoi genitori si preoccupò del trasloco e di tutto il resto.”
“Mi dispiace Jensen. Sul serio. Non hai mai provato a cercarlo?!”
“No. Ma non perché non mi importasse di lui. Ma perché non sapevo se cercarlo in quel momento fosse la cosa giusta. Magari la città in cui si erano trasferiti era simile alla nostra e allora , cercandolo, lo avrei messo solo in difficoltà. Io spero solo che Misha abbia avuto una vita felice, che abbia avuto tutto quello che desiderava. Perché era una brava e una bella persona. Solo questo mi auguro.”gli rispose mentre con le mani si lisciava le poche pieghe che aveva sul pantalone che indossava.
“E tu? Tu che facesti?!”
“Mi trovai un altro lavoro, in verità supplicai un altro lavoro. Guardiano notturno alla discarica cittadina. Puzzolente, difficile, ma soprattutto, per il bene della comunità, lontano dalla gente. L’unico pregio fu che era ben pagato.” fece con amaro sarcasmo. “E quando misi da parte abbastanza soldi, rilevai la gestione di un bar in periferia ed ebbi il mio primo “avviso”!” mostrando a Jared una piccola cicatrice appena sotto il mento. “Poi arrivò il secondo che fortunatamente non lasciò segni, a parte le fatture di quello che mi costò rifare il locale.”, ricordò con mal celato sarcasmo.  “A causa del terzo incontro dovetti stare una notte sotto controllo al pronto soccorso a causa di una commozione celebrale.” riferì come se quello che stava dicendo fosse una semplice e banale lista della spesa. “Il quarto , beh!, come ti ho fatto vedere, il segno lo ha lasciato. Fu allora che i miei mi pregarono di andare via. Erano terrorizzati. Avevano capito che nessuno avrebbe interceduto per me. Nessuno mi avrebbe difeso, nonostante io non facessi nulla di sconveniente. E quando anche lo sceriffo, che mi era molto affezionato nonostante tutto, mi disse che i miei avevano ragione e che lui avrebbe comunque avuto le mani legate, mi arresi e andai via.”
“E sei arrivato qui!” convenne Jared.
“No, mi fermai per qualche anno a Nashville e li conobbi Jim e quando gli dissi che stavo per aprire un locale alla mano, appena fuori la città, lui mi chiese di tenerlo presente se mi fosse servito un aiuto. Poi non se ne fece più niente e cambiai di nuovo città. Lo chiamai tre settimane dopo che arrivai qui. Non conoscevo nessuno e avevo bisogno di aiuto. Lui mi ha aiutato a mettere a posto il “Bunker”. Devo ammettere che grazie a lui ho risparmiato parecchi soldi. Ci sa davvero fare con tubi, chiavi inglesi e robe del genere.” affermò, ripensando a tutto quello che Jim aveva fatto per lui, aiutandolo con il locale ma aiutandolo anche come persona.
“Un vero tutto fare!” asserì Jared.
“Un vero amico!” volle correggerlo Jensen. “Ha avuto dei problemi con la legge e a causa di quei problemi il figlio non ne vuole sapere di lui. L’ex moglie, di certo, non fa niente per migliorare la situazione tra loro. Ma è un brav’uomo. Un brav’uomo che ha commesso degli errori.”
“Ci tiene a te!” ammise Jared.
“Si è affezionato. Ho l’età di suo figlio e credo che voglia, tramite me, rimediare a quello che non ha più. E poi anche a me manca l’affetto di una famiglia. Quindi ci compensiamo!!” confessò pensando a quanto Jim avesse fatto o facesse per lui.

“Che c’è? Stai male?!” chiese Jared vedendo Jensen che un attimo dopo si mise le mani alle tempie massaggiandole con lentezza
“Tranquillo. È solo la testa. Mi scoppia!” disse gemendo appena.
“Ok. Ti prendo qualcosa. Tu vattene  a letto.”
“Sì, credo proprio che questa volta non farò storie.” fece mentre si alzava e si dirigeva verso la camera di Jared che ormai da oltre una settimana e più era diventata la sua camera. Jared, ogni sera si sistemava sul divano, anche se a Jensen la cosa cominciava a non andare più.
“Ma che sia chiaro. Io e te non abbiamo finito. Sei bravo a sviare l’argomento. Ma io sono bravo ad insistere e voglio ancora sapere chi è stato.” lo riprese Jared mentre Jensen si avviava in camera e il biondo dovette solo annuire.
   
 
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